III Domenica del Tempo di Pasqua. Anno B
. Commento audio
Sabato della II settimana del Tempo di Pasqua
αποφθεγμα Apoftegma
Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!
Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!
Giovanni Paolo II
Camminare sulle acque
Gesù cammina sul mare e abbiamo "paura", come i discepoli. Ci spaventa l'incontro con un mistero che supera la nostra stessa speranza. Siamo presi dalle onde della vita, è buio, e ci sentiamo soli; le preoccupazioni, le difficoltà ci schiacciano in una prospettiva limitata, distolgono il nostro sguardo dall'orizzonte verso il quale stiamo navigando. Gli eventi contingenti appesantiscono il nostro cuore sino a pensare che la vita si esaurisca in quel momento che viviamo, che tutto si giochi in quell'istante, ineluttabile. Risolvere quel problema, sospingere la barca un metro più avanti, sfangarla e superare quell'ostacolo.Anche noi, come gli apostoli, "siamo scesi al mare" sazi della vita sovrabbondante che Gesù ha moltiplicato in noi. Non ci ha fatto paura il fatto che fosse sera, e stesse tramontando il sole. Siamo cioè anche oggi scesi verso le difficoltà che sappiamo aspettarci in questa giornata, immagine della nostra vita. Lo abbiamo fatto perché il Signore ha compiuto il miracolo di trasformare la nostra debolezza in una fonte d'amore, e sappiamo che nella "barca", immagine della comunità cristiana, continuerà a farlo. Per questo ci siamo imbarcati con destinazione "Cafarnao", la nostra vita di sempre, il nostro lavoro, le nostre scuole, le gioie e i dolori.
Ma sopraggiunge il "buio" e, come accadde agli apostoli, ci accorgiamo che "Gesù non è ancora venuto da noi". Come è possibile? Ci ha lasciati soli con questo mare che si sta "agitando", in mezzo alle onde increspate dal "forte vento che soffia" proprio sulla nostra barca? Non è così? Non ti trovi per caso dentro un problema che proprio non riesci a risolvere? Ti volti, preghi ma Lui non risponde. No, non c'è, non è ancora venuto... E comincia il dubbio, e cresce la paura di non farcela. E se Lui non venisse in tempo, che posso fare da solo? E senza accorgercene dimentichiamo il contesto autentico della nostra esistenza, dove stiamo andando perché è scomparsa nel buio l'origine della nostra vita, il momento e la realtà nella quale il Signore ci ha trovato e salvato. L'unica cosa che sappiamo è che, nelle migliori delle ipotesi, Gesù è in ritardo, e quindi bisogna sbrigarsela da soli... Sì, abbiamo visto miracoli, e sperimentato il potere della benedizione del Signore, ma il buio, il vento e le onde ci annebbiano la memoria, perché siamo ancora così acerbi nella fede... Questo è il punto: Gesù non è in ritardo, anzi, è rimasto di proposito a terra. Perché è giunto il momento di farci andare da soli, e sperimentare che la nostra fede è ancora ferma a uno stato infantile. Ha fatto come i genitori che, un giorno, lasciano il loro bambino perché si butti, da solo, a camminare. Cadrà, si sbuccerà le ginocchia, ma proprio così imparerà...
E proprio come un bambino che, per arrivare al giocattolo che vuol prendere, si aggrappa qui e là per non cadere, e si ributta a gattonare, e si rialza e cade mille volte, anche le nostre parrocchie, le comunità, noi stessi si comincia ad arrangiarsi; si cercano soluzioni seguendo criteri umani, si briga e ci si affatica: consigli pastorali, e chiacchiere, e progetti, e agende zeppe di propositi. E succede che abbiamo paura quando Lui appare, quando ci si avvicina camminando sulle acque. Temiamo di vedere sbriciolarsi le piccole certezze acquisite, smentito il nostro meschino modo di orientarci nei problemi, evaporare l'effimera soluzione di compromesso, strapparsi le toppe cucite sul vestito vecchio. Mormoriamo perché Gesù ci ha lasciato soli e non risponde alle nostre preghiere, dubitiamo, ma poi, quando appare non sappiamo riconoscerlo, ci spaventa, quasi quasi ci difendiamo da Lui, perché abbiamo paura di un destino più grande, di un orizzonte che relativizzi quello che abbiamo reso assoluto nelle nostre giornate, questi nostri affari, sentimenti, lotte, preoccupazioni. Perché la serietà della vita risiede nel destino per la quale ci è data. Non è più seria e autentica quando ci afferra e ci schiaccia sul presente. Non è più seria perché stringiamo i pugni e mettiamo ogni sforzo per un colpo di remi in più. Gli eventi non sono atomi isolati, ogni istante che ci è donato è incastonato in una volontà che abbraccia l'eternità, che è proprio da dove viene Gesù camminando sul mare. Ma abbiamo bisogno di "remare circa tre o quattro miglia", ne hanno bisogno i nostri figli, forse anche il marito o la moglie, gli amici; le remate infeconde sono, spesso, le più feconde, perché proprio le crisi, anche quelle più dure che sembrano ingoiarci nella notte, sono il tratto di strada che ci prepara a vedere, conoscere e prendere con noi nella nostra vita il Signore. Non mettiamoci di traverso allora, non cerchiamo soluzioni e lasciamo che l'altro remi duro nel mare agitato tra i sibili del vento forte: non è come sembra, anche tuo figlio sta conoscendo se stesso e imparando l'umiltà, sperimentando che da solo non può farcela, per comprendere poi che anche quelle "tre o quattro miglia" erano dentro l'amore infinito dal quale Gesù ci segue, ci cerca, e viene a noi per riannodare la nostra vita al filo di misericordia che abbraccia l'eternità. Egli, infatti, proprio come all'alba della risurrezione, o la sera di Pasqua nel cenacolo, sorge dal buio, da tutto ciò che non possiamo e non riusciamo a vedere, per orientare la nostra vita nell'unica direzione autentica: Lui viene da dove ci ha trovato e salvato, non viene dall'ignoto. Viene nella notte dei nostri peccati, come viene dal sepolcro da dove ci ha risuscitati. E viene per ridestare in noi la memoria del suo amore, delle origini del nostro cammino nella Chiesa, dimenticato il quale ogni passo nella vita diventa paura del buio che nasconde la verità. Gesù ci prende con sé per condurci verso un destino che, come Abramo, non conosciamo, ma del quale Lui è profezia e primizia. Con Lui possiamo solcare i marosi perché siamo stabiliti sulla rotta che congiunge terra e storia al Cielo, il porto per il quale ci siamo imbarcati nella vita, il compimento della promessa che Lui ci ha fatto attraverso la predicazione della Chiesa. Un matrimonio sarà santo, e compiuto, solo se sospinto sulla rotta celeste, sarà aperto alla vita che non muore. Solo se sposo e sposa affronteranno insieme e nella Chiesa la traversata nella notte custodendo nel cuore la promessa e fissando il Cielo, per accogliere da Dio la sua volontà che si farà carne nei figli che Lui ha pensato per loro.Il buio, il vento e le onde, il mare di morte e solitudine, angoscia e timore che solchiamo ogni giorno è aperto verso il Cielo. Cafarnao è la Patria, l'origine e la meta, immagine della dimora dalla quale siamo stati chiamati e verso la quale siamo diretti. Il Cielo, infatti, tocca la nostra Cafarnao, trasformandola nel luogo dove compiere la volontà di Dio: ogni evento reca inscritto il destino celeste a cui siamo chiamati. Vivere autenticamente è remare avendo bene presente l'orizzonte verso il quale è orientata la nostra barca. Coraggio, perché Gesù si avvicina anche oggi a ciascuno di noi, persi nei frammenti disordinati delle nostre esistenze. Appare camminando sul mare, e ci parla, ci illumina, ci desta: "sono Io, non temete!" Sono Io, e voi siete in me, esistete per me, e con me state camminando da sempre verso il Cielo. Non temete, proprio nelle avversità, in quelle di oggi, e di domani, splende più vivido e consolante l'orizzonte celeste che dà senso alla vita. Ogni evento indica il Cielo, camminare sulle acque significa scoprire in ogni legame, nel lavoro, nella famiglia, nelle amicizie, nelle sofferenze e nelle gioie, il segno eterno del suo amore. Camminare sul mare significa non esaurirsi nei problemi, non esigere soluzioni e cambiamenti, non intestardirsi e nevrotizzare tutto, affogati nelle acque mortali dei sofismi del demonio, come se quel problema, quella difficoltà, quel litigio fossero l'ultima spiaggia. Non cedere alla disperazione, perché tutto guarda oltre, e la pazienza di chi ha gli occhi fissi sul Cielo raggiunge sempre il porto sospirato. Coraggio, "nada te turbe, nada te espante, quien à Dios tiene nada le falta. Solo Dios basta. Todo se pasa, Dios no se muda, la paciencia todo lo alcanza. Niente ti turbi, niente ti spaventi, chi ha Dio niente gli manca. Solo Dio basta. Tutto passa, Dio non cambia, la pazienza tutto lo raggiunge" (Santa Teresa d'Avila). Nulla ti turbi, perché tutto concorre al bene, anche quello che sembra non avere soluzione. Come disse Gesù a Santa Faustina Kowalska: "Non aver paura di nulla. Io sono sempre con te. Sappi ancora questo, figlia mia. che tutte le creature, sia che lo sappiano, sia che non lo sappiano, sia che vogliano, sia che non lo vogliano, fanno sempre la mia volontà". E' così per la grande storia del mondo come per le nostre di ogni giorno. Anche nella notte del Nazismo Dio era presente, ma per vederlo è necessaria la fede, come quella di San Giovanni Paolo II che sapeva leggere anche nelle vicende drammatiche del comunismo il filo della Grazia che conduce irrevocabilmente la storia. Gesù, infatti, è risorto, e cammina sul mare di morte della storia, per venire a salvare ogni uomo per condurlo al destino per il quale è stato creato, nei tempi che solo il Padre conosce.Camminare sul mare è quindi percorrere ogni centimetro della storia con questa certezza, che tutto obbedisce alla volontà di Dio, che è l'orizzonte più grande in cui tutto si muove. La sua percezione è fonte di pace, quella di chi ha sperimentato che nessun limite è posto a chi vive la vita di Cristo. Camminare sul mare è sperare, sempre, anche contro ogni speranza: "in colui che è morto per tutti si è già realizzato in pieno l'ideale della nostra speranza. Quindi noi non siamo esitanti o dubbiosi, non rimaniamo perplessi nell'incertezza dell'attesa; avendo invece già ricevuto l'anticipo della promessa, siamo in grado di vedere con l'occhio della fede quel che sarà il nostro futuro, e tutti lieti per l'elevazione della nostra natura, possediamo già quel che crediamo" (San Leone Magno, Sermo LXXI, 1-5, De resurrectione Domini). Siamo venuti al mondo per "prendere Gesù con noi", nella barca della nostra vita, e far risplendere il Cielo nel buio della terra. E' Lui, è il nostro amato che oggi ci ricorda la sublimità della nostra chiamata, la bellezza e la pienezza della nostra vita, che nulla di noi è chiuso in se stesso, che nulla si perde, che tutto è dischiuso verso un destino più grande, che anche il dolore e il fallimento portano le stigmate di un amore infinito, quello che dà consistenza e pace a ogni nostro momento, come a quello di chi ci è accanto. Apriamo, spalanchiamo oggi le porte del nostro cuore per accogliere Cristo, che ci conosce, ci ama e ci "farà toccare rapidamente" la terra promessa della vita nuova, quella alla quale, ora lo sappiamo, da sempre "siamo diretti".
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