Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 2 aprile 2015

Alle 21.37 del 2 aprile 2005... "S".

10 anni fa moriva 
San Giovanni Paolo II°
Ricorrerà domani il primo decennale dalla morte del Papa polacco: vogliamo ricordarlo con il racconto di come uno di noi ha vissuto l’annuncio dato dal cardinal Sandri, e riportando un’antologia di alcune pietre miliari del suo magistero >>>

su LaCroce#quotidiano 1 Aprile 2015 


Nel cuore della storia

di Mimmo Muolo
Quel minuto – le 21.37 del 2 aprile 2005 – è ormai entrato nella storia. Quella con la "S" maiuscola, che registra in quel momento la morte di Giovanni Paolo II, così come le storie di tante persone che attendevano in preghiera. Il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici e uno dei più stretti collaboratori del Papa ora santo, è stato testimone diretto dell’ora suprema. «In quel momento – racconta ad Avvenire – mi trovavo lì, nell’appartamento del Santo Padre, accanto a lui. Poco prima, verso le otto di sera, dopo i primi vespri della domenica, avevamo concelebrato l’Eucaristia nella sua camera da letto: l’ultima Eucaristia di san Giovanni Paolo II su questa terra. Non potrò mai dimenticare quei momenti, che rimangono scolpiti nel mio cuore, e il silenzio orante che seguì».
A poche decine di metri in linea d’aria, negli stessi attimi, Fabio Zavattaro, vaticanista del Tg1 (e prima di Avvenire e del Gr2, testate per le quali aveva seguito il pontificato di Karol Wojtyla fin dal 1983), nella sua postazione sulla piazza riceve un sms sul telefonino. È la notizia. «Non era certo una sorpresa – ricorda dieci anni dopo –. La aspettavamo da un momento all’altro. Eppure rimasi sgomento, in silenzio. Davvero non sapevo come andare avanti nella diretta».
Il cardinale e il giornalista. Due ruoli e due punti di osservazione diversi, ma la stessa reazione.

È il segno di quanto Giovanni Paolo II fosse riuscito ad entrare nel cuore di tutti. «Quella sera in piazza San Pietro – sottolinea Rylko – c’erano anche non cattolici e non credenti, per i quali il Papa era divenuto comunque un punto di riferimento». E Zavattaro aggiunge: «È stato veramente unPontefice, un "costruttore di ponti". Ha unito l’Europa dall’Atlantico agli Urali, ha cambiato il mondo, ha fatto sì che gli uomini aprissero le porte a Cristo».
Uniti nel ricordo, il porporato e il vaticanista, lo sono anche nella valutazione dell’eredità del Papa. «La straordinaria portata del suo magistero – ricorda il presidente del Pontificio Consiglio per i laici – fa sì che egli sia un dono provvidenziale e una bussola sicura per la Chiesa dei nostri tempi, chiamata ad annunciare il Vangelo in un mondo segnato da una profonda crisi di Dio e, di conseguenza, dalla crisi dell’uomo». Il porporato sottolinea che la sua morte è giunta «alla vigilia della festa della Divina Misericordia, festa da lui voluta e istituita nella Chiesa, seguendo le indicazioni di santa Faustina Kowalska.

E credo che questa non sia stata una semplice coincidenza cronologica. Penso – aggiunge il cardinale – che Dio stesso abbia voluto darci in questo modo una chiave di lettura della vita e del pontificato di san Giovanni Paolo II che è stato l’apostolo della Divina Misericordia, cui ha dedicato nel 1980 un’enciclica (Dives in misericordia) e alla quale, nel 2002, inaugurando il Santuario di Gesù misericordioso a Cracovia, ha affidato solennemente il mondo. Credo che anche in vista del futuro Anno Santo straordinario della misericordia, annunciato di recente dal Santo Padre, valga la pena richiamare questa grande intuizione e consegna di Papa Wojtyla».
Zavattaro sottolinea la continuità tra i due Pontefici anche rispetto al tema della famiglia. «Sono certo che il percorso sinodale disegnato da Francesco gli piacerebbe molto. Soprattutto l’accento sulla bellezza della famiglia, lui che era così attento alla crescita spirituale e umana delle coppie, tanto da dedicarvi perfino un’opera teatrale, La bottega dell’orefice, oltre alla famosaFamiliaris consortio».
Il cardinale Rylko ricorda a tal proposito che il giorno della canonizzazione, «Francesco lo ha definito a ragione "il Papa della famiglia", perché l’amore alla famiglia è stato uno dei suoi chiodi fissi. Proprio nella Familiaris consortio scriveva: "Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Significa individuare i pericoli e i mali che la minacciano, per poterli superare". Perciò "è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto, ragioni di fiducia in se stessa"».

Analogamente si potrebbe dire per i giovani, altro capitolo portante della sua eredità. «Ha trasmesso loro un grande messaggio di speranza», fa notare Zavattaro. «Non è un caso – aggiunge Rylko – che la prossima Gmg sarà a Cracovia sul tema della misericordia».
Dieci anni dopo l’eredità di san Giovanni Paolo II continua ad accrescersi.

«Era un mistico con i piedi ben piantati per terra», dice il vaticanista del Tg1. «Lo dimostrano – sottolinea il cardinale – le schiere di pellegrini che ogni giorno sostano in preghiera davanti all’altare delle sue reliquie in San Pietro. Come quando pregava nella sua cappella privata e il suo inginocchiatoio era pieno di foglietti con intenzioni di preghiera, anche oggi egli resta fedele alla sua missione di intercessore presso il Padre misericordioso».
*
Don Mietek: 
ho visto morire un santo
di Andrea Galli
È stato uno dei grandi sogni di Giovanni Paolo II quello di un’Europa che tornasse a respirare con due polmoni. E sembra un segno che oggi l’arcivescovo latino di Leopoli, in Ucraina, Paese al centro del continente e scosso brutalmente da tensioni fra le sue anime filo occidentale e filo orientale, sia Mieczyslaw Mokrzyck, conosciuto familiarmente come don Mietek nei nove anni in cui fu il secondo segretario di Wojtyla a fianco di don Stanislaw Dziwisz.

Nel decimo anniversario del transito al cielo del Pontefice santo, “don Mietek” torna con la memoria a quei giorni di 10 anni fa e in particolare a quel 2 aprile in cui la Chiesa si fermò in silenzio e in preghiera. «Il primo ricordo che mi si ripresenta – spiega l’arcivescovo – è appunto quello di come il Papa ha chiuso il suo viaggio terreno. Perché è stato un grande insegnamento, quello di un uomo che si è affidato totalmente al Signore.

A partire da venerdì 1 aprile in tanti erano venuti a salutarlo per l’ultima volta e a chiedere la sua benedizione. Cardinali, vescovi, persone che lavoravano nella Curia romana, i suoi amici più cari dalla Polonia, come Wanda Poltawska e suo marito, padre Tadeusz Styczen, il cardinale Marian Jaworski e molti altri. Al pomeriggio di sabato 2 aprile ha iniziato ad assopirsi più frequentemente.

Alla sera abbiamo celebrato la Messa. Poi il Papa ha percorso l’ultimissimo tratto della sua vita. Ho assistito al decesso di altre persone e so che quando ci si avvicina alla fine ci sono reazioni di diverse. Giovanni Paolo II è stato tranquillo fino all’ultimo: la sua mi ha ricordato una "dormizione", come quella di Maria.

Uno dei miei ricordi più forti è questo: ho visto come muore un uomo di grande fede, un santo». Il presule polacco, oggi di stanza in Ucraina ma per sempre romano dopo il periodo trascorso nell’appartamento papale, ricorda un altro episodio di questa santità ordinaria di Wojtyla: «Quando subì l’intervento di tracheotomia, ero anch’io al Gemelli. A un certo punto don Stanislaw mi passò da leggere un foglietto che il Papa aveva scritto a mano.

Feci un attimo fatica a decifrare la scrittura, poi lessi queste parole: “Che cosa mi avete fatto? Ma... Totus Tuus”. In quel biglietto c’era la sua sofferenza e le sua tristezza per un’operazione che toccava la sua voce, la sua parola, quella con cui aveva esercitato il suo ministero. Però c’era anche la fiducia, nella Madonna prima di tutto, il suo accettare la volontà di Dio». Don Mietek aggiunge un altro ricordo: «Nell’omelia del funerale, quando l’allora cardinale Ratzinger disse: “sicuramente il Papa ci sta benedicendo dalla casa del Padre”, rimasi colpito. Perché neanche lui era a conoscenza di un’abitudine di Wojtyla. Alla fine della giornata si recava in cappella, pregava, intonava un canto mariano, poi si recava nella sua stanza.

Noi lo accompagnavamo e, anche quando era in carrozzina, di fronte alla prima finestra della sua camera, faceva spegnere le luci, apriva le persiane interne, poi si sporgeva, pregava qualche istante e dava la sua benedizione. Era un gesto che mi impressionava. Era il suo sguardo che andava a chi ancora camminava in piazza San Pietro, alla città di Roma, all’Italia. Era il suo portare nel cuore il mondo intero».
Fonte Kairos

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