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Prepararsi alla XVII Domenica Tempo ordinario.
XVII Domenica Tempo ordinario (Anno B) Giovanni 6,1-15 Commenti al Vangelo Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la …Continua a leggere
Lectio della XVII Domenica del Tempo Ordinario (B)
di Silvano Fausti
Giovanni 6, 1-15
1. Messaggio nel contesto“Da dove compreremo pane?”, chiede Gesù a Filippo. “Da dove” indica l’origine, la natura. Si tratta di un pane che il discepolo ancora non conosce, come la samaritana non sa da dove viene l’acqua (cf. 4,11), Nicodemo da dove viene il vento (cf. 3,8) e il maestro di tavola da dove viene il vino (cf. 2,9). È un pane che, a differenza dell’altro, si mangia senza denaro e senza spesa (cf. Is 55, 1ss), che sazia e fa vivere.
Abbiamo visto che la Parola, diventata carne (c. 1), rinnova alleanza e tempio (c. 2), fa nascere dall’alto (c. 3) e offre l’acqua (c. 4) che fa camminare nella libertà del Figlio (c. 5). Ora ci rivela da dove viene e qual è il pane che mantiene quest’esistenza nuova, in cui si beve “il vino bello”, si diventa “casa del Padre”, si riceve “il vento” dello Spirito, si beve l’“acqua viva” e si “cammina” nell’amore. Questo pane è Gesù stesso, il Figlio che si dona ai fratelli e li mette in comunione con il Padre.
Il racconto è narrato sei volte nei vangeli, rispettivamente due volte in Mc e Mt e una volta in Lc e Gv. Al di là delle differenti accentuazioni – nello stesso diamante ognuno vede bagliori diversi –, tutti gli evangelisti interpretano il fatto in senso eucaristico: il pane prefigura il corpo di Gesù dato per noi, fine della sua e principio della nostra vita filiale e fraterna. L’eucaristia è il modo proprio di vivere del Figlio, il cibo di cui si nutre l’uomo risorto, che porta la sua barella e cammina nel sabato.
L’episodio, situato nel tempo di pasqua, presenta una grande folla che segue Gesù, in un passaggio che va oltre il mare, sul monte. Sono chiare allusioni all’esodo. Con Gesù si compie l’esodo definitivo: si pone “il mare” tra sé e la schiavitù della morte, si arriva sul “monte”, dove si riceve la Parola che diventa pane di vita. In questo cammino c’è sempre la “tentazione ” di sfiducia: come vivere nella libertà, quale cibo garantisce di non morire?
Tutto il c. 6 è un gioco di equivoci sul pane, come prima con Nicodemo sul “nascere” e con la samaritana sull’“acqua”. L’equivoco nasce da un doppio senso: una parola ha un significato comune, ma anche un altro più importante da scoprire, di cui il primo è segno. La lettura simbolica della realtà fa la differenza tra l’uomo e l’animale. Ogni cosa non è solo se stessa, ma anche rimando ad altro. Chi non lo coglie, è un “uomo animale”, che non capisce le cose di Dio (cf. 1Cor 2,14), ma neppure quelle dell’uomo. Il cibo e il sesso, per esempio, servono all’animale per conservare la vita dell’individuo e della specie; per l’uomo invece sono relazione all’altro e servono non per conservare, ma per dare la vita. In un caso sono beni da possedere per vivere, nell’altro sono da donare per amore. L’uomo infatti salva la vita se la dona e la perde se la vuol possedere.
Il testo vuol chiarire che il pane, che sazia la fame dell’uomo, è la vita filiale e fraterna. Ne mangia chi accoglie Gesù, il Figlio amato dal Padre che ama i fratelli.
Il c. 6 forma un’unità articolata, da leggere di seguito. Inizia con due racconti, uno sul monte (vv. 1-15) e l’altro nel mare (vv. 22-25); segue il discorso/dibattito sul vero pane (vv. 26-59), che porta all’accettazione o al rifiuto di Gesù, alla confessione di Pietro o al tradimento di Giuda (vv. 60-71). Come sempre, il fatto è un segno: il discorso/dibattito non solo ne chiarisce il significato, ma è l’impatto tra l’ascoltatore e la Parola, che opera in lui ciò che il racconto dice. La Parola, come è principio della creazione, lo è anche della ri-creazione: fa esistere ciò che c’è, mettendolo in relazione con la sua sorgente.
Al centro del capitolo c’è “il pane”, nominato 21 volte (su 25 in tutto il vangelo di Giovanni). Come l’acqua da cui si nasce e l’aria che si respira, anche il pane è simbolo primordiale di vita: lo si mangia per vivere. Ma, a differenza dell’acqua e dell’aria, non è solo dono della terra e del cielo; è anche frutto di lavoro, condito di gioia e fatica, di speranza e sudore. In esso è iscritto, nel bene e nel male, il destino dell’uomo, unica creatura chiamata a collaborare con il creatore per portare a compimento la creazione.
Gesù ha già parlato ai discepoli del suo cibo, che è fare la volontà del Padre e compiere l’opera sua (cf. 4,32-34). Egli vive di questo cibo, che è l’amore del Padre da comunicare ai fratelli, perché passino dalla morte alla vita. Il suo pane è amare com’è amato; la sua opera è dare la vita ai fratelli.
Il testo manifesta “da dove” viene questo pane. Solo allora si capisce cosa è, come lo si mangia e cosa produce. La domanda di Gesù a Filippo serve ad aprire la mente al mistero di ciò che sta per compiere. È facile scambiare il Signore per un fornitore di pane a buon mercato; per questo la gente lo vuole proclamare re. È invece difficile capire che il pane è segno del dono della sua vita di Figlio di Dio. Non si tratta né di comperarlo né di fare i conti con la propria insufficienza, bensì di accogliere colui che solo ha parole di vita eterna.
Il racconto, parallelo al miracolo di Eliseo (cf. 2Re 4,42-44), richiama il dono della manna nel deserto (cf. Es 16,1ss) e ha sullo sfondo il banchetto della Sapienza (cf. Pr 9,1-6; Sir 24,18-25) e il banchetto messianico (cf. Is 25,6-10a; 55,1ss). Dio dà la vita; ma qual è la vita che dà, se non la sua?
I vv. 1-4 presentano i personaggi (Gesù, folla e discepoli), il luogo (oltre il mare, sul monte) e il tempo (è vicina la pasqua). I vv. 5-10 preparano la lettura del fatto con un dialogo tra Gesù, Filippo e Andrea. I vv. 11-13 raccontano il dono del pane, con chiaro riferimento alla cena del Signore. Gesù prende il pane, rende grazie e distribuisce; la gente mangia ed è sazia, mentre i discepoli sono invitati a radunare il sovrappiù. I vv. 14-15 mostrano l’equivoco delle folle: hanno mangiato, ma non hanno capito il pane.
Il racconto inizia con Gesù che va oltre il mare fin sul monte, seguito dalla folla, e mette alla prova i discepoli per indurli a capire il pane che darà; termina con Gesù che abbandona la folla, si ritira da solo sul monte e sfugge alla tentazione di chi lo vuole re. Da questa lontananza, in intimità col Padre, soccorrerà i discepoli nel mare in tempesta (vv. 16–21); rivelerà di essere lui il vero pane, proprio perché non vuole regnare su nessuno, ma pone la sua vita a servizio di tutti.
A differenza degli altri vangeli, Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucarestia, che ci dà la vita del Figlio. È infatti l’argomento di tutto il suo vangelo. Però nel c. 6 ne illumina il mistero e nei cc. 13-17 ne esplicita le conseguenze per la chiesa che vive nell’attesa del suo Signore.
Gesù è il Figlio che ha in sé la vita come dono del Padre. Ora la dona ai fratelli perché ne vivano. Il gesto che fa e le parole che dice illustrano la sua vita di Figlio: prende il pane, rende grazie e distribuisce ai fratelli, saziando la loro fame.
La Chiesa vive di questo pane: è l’eucaristia, centro della sua vita. Non solo si sazia, ma ne raduna il “sovrappiù”, perché non vada perduto. È infatti la salvezza sua e del mondo intero.
2. Lettura del testoVersetto 1: dopo queste cose. È una connessione esplicita con il brano precedente, dove si parla dell’uomo risorto, che porta la barella e cammina (cf. 5,8.9.10.11), dell’uccisione di Gesù e della sua rivelazione di Figlio (5, 18-47). Si preannuncia la sua “ora”, quando darà la sua vita di Figlio ai fratelli.
andò al di là del mare. C’è una rottura nel racconto: nella scena precedente Gesù era a Gerusalemme, ora lo troviamo in Galilea. È l’inizio del nuovo esodo, l’uscita dalla schiavitù del peccato alla libertà del Figlio. La decisione di ucciderlo è l’occasione di questo esodo, in cui darà il suo pane.
di Galilea, di Tiberiade. Espressione insolita, che vari manoscritti interpretano. Non si tratta di una ridondanza: si intende quell’ansa del lago di Galilea che sta tra Cafarnao e Tiberiade, che può essere attraversata in barca o percorsa a piedi sulla riva (cf. Mc 6,33).
Versetto 2: lo seguiva molta folla. Così avverrà dopo la risurrezione di Lazzaro (cf. 12,9) e nel suo ingresso a Gerusalemme prima della passione (cf. 12,12). Il popolo compie l’esodo al seguito del Figlio.
perché vedevano i segni, ecc. Richiama i “segni” che Dio ha operato con Mosè.
Versetto 3: andò sul monte. Mosè salì sul monte, dove furono date le dieci parole di vita. Ora la Parola stessa si darà come pane di vita. Solo su questo monte si può vivere la libertà offerta da Dio. Qui il Signore imbandirà il suo banchetto, strapperà il velo che copre la faccia di tutti i popoli, eliminerà la morte per sempre e farà vedere il suo volto (cf. Is 25,6-10).
là sedeva con i suoi discepoli. Gesù è il maestro, anzi la Parola stessa di cui tutti siamo discepoli. Come sedette sul monte per annunciare la volontà del Padre (cf. Mt 5,1ss), ora siede per compierla, offrendo il suo cibo. Così tutto si compie (cf. 19,30).
Versetto 4: era vicina la pasqua. Questa indicazione esplicita le precedenti allusioni all’esodo e illustra il significato del pane, donato nell’ultima Pasqua, quando Gesù istituì l’eucaristia. Nella prima Pasqua annunciò la distruzione e la ricostruzione del tempio (cf. 2,13-21); nell’ultima lo uccideranno (cf. 11,55-57). Ora anticipa simbolicamente il dono che egli ci farà del suo corpo, perché ne viviamo e diventiamo nuovo tempio.
Versetto 5: alzati gli occhi, ecc. Nei racconti paralleli si dice che “alzò gli occhi al cielo” (cf. Mc 6,41; Mt 14,19; Lc 9,6); qui invece li alza sulla folla. Gesù non leva gli occhi verso il Padre, perché li ha sempre rivolti verso di lui, per compiere la sua stessa opera (cf. 5,19ss). Alza gli occhi verso i fratelli (cf. Lc 6,20), perché si è posto più in basso di loro: si è fatto il più piccolo e servo di tutti.
da dove. È la domanda di Gesù a Filippo. Ci sono pani diversi secondo l’origine diversa. La domanda di Gesù richiama quella di Mosè che si lamenta con Dio per il popolo che mormora e chiede “da dove” prendere la carne per sfamarlo (cf. Nm 11,10-15).
compreremo. Tra gli uomini tutto è oggetto di compravendita. Tranne le cose essenziali: la vita, l’amore e il pane condiviso. L’invito al banchetto messianico, preparato dal Signore su questo monte per tutti i popoli (cf. Is 25,6ss), dice di comperare e mangiare senza denaro e senza spesa, di non spendere i propri beni per ciò che non sazia (cf. Is 55,1ss). In esso risuona l’invito della Sapienza a mangiare il suo pane, che fa vivere e camminare nella via dell’intelligenza (cf. Pr 9,1-6; Sir 24,18-25).
pane. L’uomo ha la vita, ma non è la vita. La sua vita non è sua: viene da un altro e si mantiene con altro da sé, con il pane. Ma c’è pane e pane. C’è quello che si compra e si vende, per il quale si litiga e si uccide. Non è certo questo che fa vivere; ad esso, anzi, si sacrifica la vita. C’è però anche quello che si riceve dal Padre e si condivide con i fratelli, in reciproco amore, che fa dei nostri bisogni il luogo di relazione e di comunione. Questo pane non solo mantiene la vita, ma ci dona la vita stessa del Figlio.
perché costoro mangino. Il fine del lavoro dell’uomo è mangiare: vivere. Ma come si mangia? L’animale consuma il suo pasto da solo alla greppia, o contende la preda con il rivale. L’uomo invece è fatto per mangiare abitualmente attorno alla mensa, con i fratelli. Il fast food, consumato in solitudine, soddisfa la fame dell’animale, ma non quella dell’uomo. La sua vita e la sua morte dipendono da come si rapporta con il pane.
Versetto 6: diceva questo per tentarlo. Il pane è per noi il primo oggetto di tentazione, come lo fu anche per Gesù nel deserto. In Nm 11,13 Mosè tentava il Signore perché non sapeva come procurare il pane ed era sfiduciato. Qui il Signore “tenta” il discepolo per provocarlo a cogliere l’alternativa che egli offre “al pane che si compera”. Infatti sa cosa sta per fare. Dare questo pane è il senso della sua vita: è la sua carne data per noi.
Versetto 7: duecento danari di pane, ecc. Servono duecento danari, duecento giornate lavorative, per procurarsi questo pane di sudore (cf. Sal 127,2). Il discepolo ignora “da dove” venga il pane che Gesù sta per dare. Non è da acquistare con fatica: è dono del Padre al Figlio, che a sua volta condivide con i fratelli. All’economia violenta dell’appropriarsi per possedere, Gesù sostituisce quella del Figlio che dà come riceve e ama come è amato. La prima è l’economia di morte del vecchio Adamo, la seconda è quella del nuovo Adamo, che fa risorgere i morti e fa vivere.
Versetto 8: Andrea, il fratello di Simon Pietro. Dopo Filippo, si nominano altri due: sono i primi tre che seguirono Gesù. Nel dono del pane i discepoli hanno un ruolo importante. Stanno sul monte con Gesù, fanno le loro proposte, ricevono l’ordine di far accomodare la folla e, alla fine, di raccogliere il sovrappiù. Al centro sta il gesto di Gesù, che essi continueranno a fare in sua memoria.
Versetto 9: c’è un ragazzino qui. Un ragazzino, insignificante, sta all’origine del dono per tutti. Ragazzo in greco significa pure “servo”. Questo piccolo ha messo il suo pane a servizio degli altri. È immagine di Gesù, il Figlio venuto per servire e dare la vita per i fratelli, chiamando i discepoli a fare altrettanto.
cinque pani d’orzo. È il pane dei poveri. Richiama 2Re 4,42-44, dove uno offre ad Eliseo venti pani d’orzo e di farro per sfamare cento persone. Là ci sono venti pani per cento persone: un pane basta per cinque. Qui ci sono cinque pani per cinquemila persone. Il dono del Figlio è due volte cento maggiore di quello del profeta. È veramente eccessivo!
due pesciolini. È il companatico del bambino. Quanto egli ha, è sufficiente solo per lui; è la sua vita di quel giorno. Ma, una volta donato, sarà cibo sovrabbondante per tutti. Questo piccolo è come Giuseppe, il fratello minore, che sfamerà i fratelli. Mentre Filippo fa i conti con ciò che si può comprare “da fuori”, Andrea fa i conti con ciò che è disponibile “dentro”. Se i soldi sono insufficienti per il pane che manca, il pane che c’è basta per una sola persona. Ma sarà proprio il dono di uno solo che sazierà tutti. Ognuno infatti, dando ciò che ha, realizza pienamente l’essere figlio del Padre e fratello degli altri. Questo, e non altro, è il pane che sazia. Non occorre averne di più; basta condividere quello che c’è: la vita del figlio è la relazione che viene dal pane condiviso.
L’equivoco del pane è lo stesso della vita. Si pensa che manchi o si debba acquistarlo; quello che c’è, è sempre insufficiente: basta per uno solo e per un solo giorno. L’uomo pensa sempre a un pane da possedere, comprandolo e accumulandolo per domani. Ma è come la vita, che c’è solo “oggi” ed è un dono: c’è solo se la si dona. È come il respiro, che non può essere trattenuto o accumulato: c’è solo come dono e abbandono. Si può notare che i pani sono cinque e i pesciolini due: la loro somma è sette, numero che richiama il compimento della creazione. Questo poco cibo condiviso è la vita del settimo giorno, fine della creazione stessa.
Versetto 10: fate adagiare gli uomini. Il Signore prende l’iniziativa del banchetto e agisce in prima persona. Mangiano adagiati, non semplicemente seduti: è un banchetto solenne, quello messianico.
c’era molta erba. L’erba secca e appassisce, ma la parola di Dio dura sempre (cf. Is 40,7); anzi fa fiorire il deserto (cf. Is 35,1ss). Ciò che il Figlio sta per dare è un cibo che non perisce, ma che rimane interno (cf. 6,27).
nel luogo. Il “luogo” del pane (cf. 6,10.23) richiama quello dove si adora il Padre in Spirito e verità (cf. 4,20) e dove il Figlio ha guarito il fratello infermo (cf. 5,13), quello dove Gesù fu catturato (cf. 18,2), condannato (cf. 19,13) e crocifisso (cf. 19,17.20.41), quello dove sono deposti i segni della morte (cf. 20,7) e dove sono le ferite del Risorto, da vedere e toccare (cf. 20,25). È il luogo dove l’uomo sta di casa, quello che Gesù è venuto a prepararci (cf. 14,2-3).
circa cinquemila. Cinque sono i pani, cinquemila le persone. Un solo pane basta per mille, per un’infinità di persone.
Versetto 11: prese i pani. L’uomo “prende il pane”, la vita. Si può prendere come Adamo, che rapì per possedere in proprio. Allora il pane è avvelenato di morte: ci divide dal Padre e dai fratelli.
avendo reso grazie (alla lettera: avendo fatto eucaristia). Gesù prende in modo diverso da Adamo: è il Figlio, che tutto, anche il proprio io, riceve come dono dell’amore del Padre, anzi come il Padre stesso che si dona a lui. Si può prendere il pane con il morso dell’animale o il pugno chiuso nel possesso, oppure con la mano aperta che riceve e dona. Nel primo caso c’è l’arresto, nel secondo il fluire della vita.
li distribuì. In quanto prende ringraziando, Gesù è il Figlio che ha in sé, come dono, la vita del Padre. Ma il Figlio non è solo uno che riceve passivamente: è uguale al Padre perché è capace, come lui, di distribuire ai fratelli ciò che ha ricevuto. È nel “distribuire” che si vede concretamente come uno “prende”, se come dono o come possesso. Il problema dei beni è sempre la distribuzione: da essa dipende la vita dell’uomo.
Mentre gli altri vangeli parlano di Gesù che “spezza e dà” il pane, Giovanni dice solo che “distribuisce”. È implicito, ma non è detto, che abbia “spezzato”. “Spezzare” richiama la croce, la fatica della morte, “distribuire” sottolinea la gioia della vita partecipata, la risurrezione. In questo modo l’evangelista fa vedere la stessa croce come gloria.
“Prendere il pane”, “rendere grazie” e “distribuire” sono le parole dell’eucaristia, che restituiscono ad ogni pane la sua realtà profonda. Nell’eucaristia si compie la creazione e si realizza ogni desiderio di Dio e dell’uomo, ogni promessa sua e attesa nostra: riceviamo la vita del Figlio e diventiamo figli e fratelli. Queste parole trasformano in vita eterna ogni pane: sono come la farina che Eliseo mette nella pentola avvelenata della nostra esistenza, disinnescando la morte che nasconde (cf. 2Re 4,41). L’eucaristia fa, di ogni “briciola” di pane, la pienezza di vita. Per essa il creato torna ad essere “bello” come era al principio; proprio perché l’uomo che prende, rende grazie e distribuisce, è “molto bello” (cf. Gen 1,31), immagine e somiglianza di Dio.
quanti ne volevano. Ognuno mangia di questo pane secondo il proprio appetito (cf. Es 16,17). Più uno ne desidera, più ne ha; senza esaurirlo, perché il dono è infinito.
Versetto 12: furono saziati. Solo questo pane sazia la fame dell’uomo. Altro pane non sazia: dà nausea a chi ce l’ha e morte a chi non ce l’ha. Mangiare pane che non sazia è la grande maledizione, che oggi noi comprendiamo bene. Infatti gran parte dell’umanità non ha da mangiare perché una piccola parte accumula un pane che, più si mangia, più lascia affamati. Ciò che sazia è la relazione, ciò che fa morire è la sua assenza.
radunate. È importante per il discepolo “radunare” il “sovrappiù” del pane. Se ne parla con insistenza in due versetti, primo come ordine del Signore e poi come esecuzione dei discepoli. Questi sono coloro che non si accontentano di saziarsi del pane: sono chiamati a radunare il sovrappiù, ciò che va oltre la sazietà materiale. “Radunare” (in grecosynágo) richiama la “sinagoga”, l’assemblea, la comunità. Essa si forma attorno a questo “sovrappiù” di pane, che la raduna mentre lo raduna.
i pezzi che sono in sovrappiù. La manna, raccolta in sovrappiù del bisogno quotidiano, si corrompeva e periva (cf. Es 16,4.20). Solo quella raccolta il sesto giorno si conservava per il sabato (cf. Es 16,21s) e solo quella posta nell’Arca, davanti alla Presenza, si conservava sempre (cf. Es 16, 32-34). Ciò che Gesù ci dà non è solo il pane quotidiano. In esso cogliamo qualcosa di più: è il cibo del sabato, che ci introduce alla Presenza, nell’intimità con Dio. Per questo ordina di radunare il sovrappiù. Infatti il pane diviso con i fratelli non solo soddisfa la fame animale dell’uomo; ha un’eccedenza – è la sua eccellenza – che deborda oltre ogni appetito. Di questo “sovrappiù” Gesù vuol suscitare il desiderio: di questo bisogna aver fame, non del pane che perisce (cf. 6,27). Il pane donato, come ogni dono, è “segno” di questo “sovrappiù”.
perché non vadano perduti. Questo sovrappiù non deve andare perduto: è la vita del Figlio, salvezza di tutto e di tutti.
Versetto 13: radunarono. I discepoli eseguono l’ordine e si disperdono tra la folla per radunare questo sovrappiù. Infatti c’è dappertutto, perché tutto fu creato per mezzo del Figlio ed è in lui, vita di tutto ciò che è. La comunità dei discepoli non è semplice custode di questo sovrappiù: è costituita dal suo cercarlo dappertutto. I discepoli eseguono l’ordine del Signore, anche se ancora non hanno capito. Chi mai può capire questo dono? Eppure lo conservano e ce lo tramandano giorno dopo giorno, pur senza capirlo bene, come vedremo subito dopo sulla barca. Dio si è già donato a noi; attende che viviamo di lui, come lui di noi.
colmarono. Di “sovrappiù” c’è una pienezza stracolma, che indica la benedizione di Dio.
dodici ceste. Dodici sono i mesi dell’anno, dodici le tribù di Israele: di questa pienezza ce n’è per sempre e per tutti. Del pane condiviso sovrabbonda una quantità perfetta, che abbraccia la totalità del tempo e delle persone.
Versetto14: visto il segno (cf. v.2). il fatto è intuito come un “segno” di Dio. Chi può infatti dare questa abbondanza di pane? Non hanno però capito il “significato”. Per loro questo vuol dire che potranno mangiare a sazietà pane che perisce. Non hanno colto il sovrappiù. Vogliono solo il pane, non la gioia di colui che dà la vita e la comunione con lui. È l’ambiguità di tutti i miracoli.
è veramente il profeta. Identificano Gesù con “il profeta” simile a Mosè, promesso in Dt 18,15. Ma non gli danno ascolto; infatti non sanno che in quel pane c’è la vita del Figlio.
Versetto 15: stavano per venire a rapirlo. Come si rapisce il pane, così si rapisce colui che lo dà, per avere le mani sulla sorgente della vita. È l’antico e ripetitivo gesto di Adamo, che vuol impadronirsi del dono, negando colui che dona.
per farlo re. Il re è uno che ha le mani su tutto e su tutti. È l’uomo ideale, ciò che ognuno vuol essere. Gesù invece è il re, il Figlio uguale al Padre, perché si mette nelle mani di tutti, come il pane appena distribuito. Non domina nessuno; anzi pone la sua vita a servizio di ciascuno, perché sia libero. Difatti otterrà il titolo regale, scritto in ebraico, greco e latino, proprio sulla croce (cf. 19,20).
si ritirò di nuovo sul monte. Ritirarsi, in greco anachoréo (da cui “anacoreta”), significa separarsi andando in alto, in una regione superiore. Gesù vince la tentazione di diventare re (cf. Lc 4,5-8), ritirandosi sul monte, in intimità con il Padre. Cerca la sua gloria, non la propria. E la gloria di Dio è l’uomo libero, a sua immagine e somiglianza. Gesù non si serve del pane per asservire gli uomini, ma si fa loro servo per liberarli.
lui solo. Il Figlio, anche da solo, non è mai solo: è sempre con il Padre (cf. 8,16; 16,32). Per questo sa alzare gli occhi sui fratelli, condividendo con loro la sua vita di Figlio.
3. Pregare il testo
- Entro in preghiera come al solito.
- Mi raccolgo immaginando Gesù sul monte, di là del mare, con i discepoli e la folla.
- Chiedo ciò che voglio: cogliere il “sovrappiù” del pane.
- Traendone frutto, contemplo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.
Da notare:
- Testi utili: Sal 78; 106; 127; Es 16; Nm 11; Sap 16,20-29; Is 25,6-10a; 35,1ss; Mc 6,30-44p; 8,1-9p; 14,32-39p.
- Gesù si ritira al di là del mare; la folla lo segue per i segni che vede
- siede sul monte con i discepoli: è vicina la pasqua
- da dove compreremo pane?
- sapeva cosa stava per fare
- duecento danari non bastano per un boccone a testa
- c’è qui un ragazzino con cinque pani d’orzo e due pesciolini
- cos’è questo per tanta gente?
- c’era molta erba nel luogo dove Gesù dice di far adagiare la gente
- erano cinquemila
- Gesù prende il pane
- rende grazie
- distribuisce
- ognuno mangia secondo la sua fame
- l’ordine ai discepoli di radunare il sovrappiù: non vada perduto
- i discepoli radunano dodici ceste piene
- la gente lo acclama come il profeta e lo vuol proclamare re
- Gesù si ritira, da solo, sul monte.
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