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domenica 2 febbraio 2014

Don Ciotti e l'odore di pecora


Preso in rete

 Don Ciotti e l'odore di pecora
di Guido Mocellin | 02 febbraio 2014 
La Chiesa che egli testimonia è incidentatissima, per quanto è stata estroversa. Non sarebbe un ottimo profilo per un vescovo?


L'udienza del papa a Hollande, il Consiglio permanente della CEI, il furto di una reliquia di Giovanni Paolo II, la celebrazione del Giorno della memoria e il patchwork di notizie sul «Francesco feriale»: questi, in ordine crescente di titoli ricevuti, gli argomenti religiosi che i quotidiani italiani hanno giudicato più interessanti nella settimana appena trascorsa (25-31 gennaio2014).
Ai 12 titoli sulla presenza del presidente francese in Italia vanno aggiunti i 9 che Il Foglio ha dedicato a dipingere a tinte fosche, come continua a fare da mesi, il rapporto fede-laicità in Francia, anche forzando un intervento del card. Barbarin su La Croix, in cui spiega perché parteciperà alla manifestazione di domenica 2 febbraio contro il «matrimonio per tutti».
Anche i 15 titoli che hanno raccontato una sessione invernale particolarmente delicata del «parlamentino» CEI sarebbero stati una decina in più se avessi computato anche quelli dedicati, sabato 1, alComunicato finale, in cui si esprime l'orientamento dei vescovi italiani a lasciare al papa, almeno formalmente, la prerogativa di nominare il presidente e il segretario della loro Conferenza episcopale.
Ben 30, invece, i titoli per il furto, avvenuto nel santuario di San Pietro della Ienca, vicino L'Aquila, di una reliquia di Giovanni Paolo II: un lembo di tessuto intriso del sangue che papa Wojtyla versò quando fu colpito da Alì Agca, il 13 maggio del 1981. I giornali si appassionano alla storia, chiamando intevenire gli osservatori più autorevoli e prendendo sul serio la «pista satanica». Almeno fino a che non vengono arrestati tre delinquenti comuni, ritrovata la teca e successivamente anche la reliquia vera e propria. Schiere di dietrologi, ordinari e specializzati in «sacro e trascendente», sono tuttora all'opera per inventare versioni alternative e rabbrividenti dei fatti, e Mistero di Italia 1 ha già girato quattro puntate.
La celebrazione del Giorno della memoria, il 27 gennaio, 69° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, è uno dei rari eventi per il quale una religione diversa dalla cattolica - in questo caso, l'ebraismo - ottiene una quantità di titoli «come se avesse il papa». 37, quest'anno, anche a motivo del rinnovarsi di atti antisemiti contro il Tempio maggiore (la sinagoga) di Roma e della discussione in atto su un'eventuale legge contro il negazionismo.
Infine, si sono letti 62 titoli sommando assieme i tanti atti «feriali» od ordinari di papa Francesco e/o alcuni fatti collegati. Ad esempio, questa settimana hanno fatto faville l'attacco dei rapaci alle colombe liberate domenica 26 in San Pietro, un graffito su un muro di Roma che lo dipinge come Superman e la cover story dell'ultimo Rolling Stone, stigmatizzataufficialmente perché rozza nell'interpretare il papato attuale nel senso della discontinuità col precedente. Ma anche il dolore del papa per l'assassinio di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni morto bruciato per mano della 'ndrangheta, e l'appello ai suoi killer al pentimento e alla conversione.
Si ricollega a quest'ultimo gesto l'incontro tra Francesco e don Luigi Ciotti, avvenuto presso Casa Santa Marta il 21 ma del quale il fondatore del Gruppo Abele e di Libera ha dato conto anche in una bella intervista a Paolo Rodari, su La Repubblica del 31.
L'intervista dice dell'impressione che Ciotti ha ricevuto dall'incontro con papa Bergoglio - e conosco abbastanza don Luigi per sapere che non è facile impressionarlo, e che non è uomo da dire una cosa solo perché ci si aspetta che la dica: «Mi ha colpito la sua capacità di ascoltare, la profondità del suo sguardo, la sua attenzione e dedizione al rapporto umano come strumento di amore, di generosità e di gratuità. E la sua felicità. È un uomo felice perché disinteressato a se stesso, totalmente immerso nella vita e nell'attenzione agli altri».
E della sintonia: «Questo disinteresse a sé, alle forme e ai simboli del potere, è inversamente proporzionale alla sensibilità di fronte alle ingiustizie. Su questo non fa sconti. Chiama il male per nome, e chi lo commette alle sue responsabilità. Questa capacità di denuncia contagia».
Ma voglio sottolineare soprattutto le figure episcopali che, dice don Ciotti, hanno «accompagnato il dialogo: da Oscar Romero a don Tonino Bello. Ma è stata un'autentica gioia vedere il viso del papa illuminarsi al nome di padre Michele Pellegrino, il mio maestro. Pellegrino [cardinale arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977] mi ha ordinato sacerdote e affidato come parrocchia la strada. Nella Chiesa di Francesco vedo concretizzarsi molte speranze che scuotevano il suo cuore».
Seguendo il filo di queste ultime parole di don Ciotti ho fatto un pensiero. Qualsiasi azione di riforma della Chiesa, compresa quindi anche quella intrapresa da papa Francesco, passa attraverso il rinnovamento del corpo episcopale, e segnatamente l'immissione in esso di figure di pastori eterogenee, provenienti da esperienze diverse... anche (non solo) figure «profetiche» secondo l'accezione larga (e un po' retorica, se volete: ma così ci intendiamo) del termine. Giovanni Paolo II, soprattutto nel primo decennio di pontificato, lo fece. E pure Benedetto XVI ha dato, in proposito, qualche sorpresa.
Don Ciotti ha 68 anni. Non potrebbe, santo padre Francesco - scusi se mi permetto -, chiedergli il sacrificio di servire la Chiesa italiana come vescovo, nei prossimi anni? Lei lo ha incontrato a tu per tu: ha addosso un odore di pecora (anzi di agnello, vista la preoccupazione verso i ragazzi che vivono ai margini) che non gli si sta vicino. La Chiesa che egli testimonia è incidentatissima, per quanto è stata estroversa: più che un ospedale da campo, un camper ammaccato. Sul disinteresse per la ricchezza e il potere personali, niente da dire. Sa «misericordiare» come pochi. E l'ingiustizia proprio non la sopporta. Pensi che bravo vescovo sarebbe... E mi creda, ne abbiamo degli altri, in Italia, con questo profilo.
P.S.: Santo padre, la stessa idea è venuta anche a Gad Lerner. Solo che lui si è allargato un bel po' e lo ha candidato addirittura come futuro presidente della CEI. A me questa sembra una di quelle cose che si dicono quando si fa a chi la spara più grossa... ai giornalisti capita: abbia pazienza. Ma a farlo vescovo, per esempio a Locri-Gerace, che è vacante, o a Tortona, per dire, dove il vescovo è già dimissionario per età, ci pensi. A meno che, santo padre, non ci abbia già pensato.

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