chiedere la grazia di morire nella Chiesa, nella speranza e lasciando l'eredità di una vita cristiana
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La Parrocchia Marianista “Santissimo Nome di Maria”
alla messa Mattutina di Papa Francesco a Santa Marta in Vaticano
estratto da -Fraternità Marianista n. 224
Lunedì 27 gennaio 2014 , una nutrita rappresentanza della comunità parrocchiale del Santissimo Nome di Maria, guidata da P. Mario e P. Loris, ha avuto il grande dono di poter assistere alla S. Messa mattutina, celebrata da Papa Francesco nella Cappella della attuale residenza papale di Santa Marta.
Siamo partiti alle prime luci dell’alba dalla nostra Parrocchia e in una stupenda Roma che si stava appena risvegliando, ancora non soffocata dall’asfissiante traffico quotidiano, ci siamo rapidamente avvicinati al Vaticano fino ad imboccare Via della Conciliazione che ci ha offerto una vista di S. Pietro nella sua maestosità e con il suo colonnato anticipatore di quell’accogliente abbraccio che di lì a poco avremmo ricevuto da Papa Francesco.
Arrivati nella Cappella, bellissima nella sua semplicità, alle sette in punto è apparso Papa Francesco ed è iniziata la S.Messa con le letture del giorno. Subito dopo la partecipata lettura del Vangelo, offertaci da P.Loris, abbiamo ascoltato l’attesa omelia di Papa Francesco che ritengo opportuno riportare integralmente come registrata dalla Radio Vaticana: è l’omelia che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare dalla voce di Papa Francesco e che resterà nei nostri cuori per sempre!
Messa del Papa a Santa Marta. Quando i sacerdoti non fanno notizia di Lunedì 27 gennaio 2014
Non fanno notizia sui giornali ma danno forza e speranza agli uomini: sono tutti i vescovi e i preti “anonimi” che continuano a offrire la loro vita in nome di Cristo nel servizio alle diocesi e alle parrocchie. Per questi sacerdoti «coraggiosi, santi, buoni, fedeli» Papa Francesco ha invitato a pregare nella messa celebrata lunedì mattina, 27 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta.La riflessione del Pontefice ha preso spunto dalla prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele (5,1-7.10), che racconta l’unzione del re Davide. «Abbiamo ascoltato — ha detto — la storia di quella riunione» a Ebron, quando «tutte le tribù di Israele vennero da Davide e gli proposero di farlo re». Infatti, ha spiegato, «Davide era re di Giuda ma il regno era diviso». Tutti gli anziani del popolo «hanno visto che l’unico che poteva» essere re «era Davide». Così «sono andati da lui per fare un’alleanza». Insieme, ha proseguito il Papa, «sicuramente hanno parlato, hanno discusso come fare l’alleanza. E alla fine hanno deciso di farlo re». Ma «questa decisione non era una decisione, diciamo, democratica»; piuttosto, una decisione unanime: «tu sei re!».E «questo — ha spiegato il Pontefice — è il primo passo. Poi viene il secondo: re Davide concluse con loro un’alleanza» e gli anziani del popolo «unsero Davide re di Israele». Ecco, dunque, l’importanza dell’unzione. «Senza questa unzione — ha detto — Davide sarebbe stato soltanto il capo, l’organizzatore di un’azienda che portava avanti questa società politica che è il regno di Israele». Invece «l’unzione è un’altra cosa»; e proprio «l’unzione consacra Davide re».
«Qual è la differenza — si è domandato il Papa — tra essere un organizzatore politico del paese e essere re unto?». Quando Davide, ha spiegato, «è stato unto re di Giuda da Samuele, era piccolo, era un ragazzino. Dice la Bibbia che dopo l’unzione lo Spirito del Signore scese su Davide». E così «l’unzione fa che lo Spirito del Signore scenda sulla persona e sia con lui».
Anche il brano proposto dalla liturgia, ha notato il Papa, «dice lo stesso: Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore, Dio degli eserciti, era con lui». E «questa è proprio la specificità dell’unzione».
Il vescovo di Roma ha ricordato, in proposito, l’atteggiamento di Davide nei confronti del re Saul, «che voleva ucciderlo per gelosia, per invidia». Davide «ha avuto l’opportunità di uccidere il re Saul ma non ha voluto farlo: io mai toccherò l’unto del Signore, è una persona scelta per il Signore, unta dal Signore!». Nelle sue parole c’è il «senso della sacralità di un re».
«Nella Chiesa — ha affermato il Pontefice — noi abbiamo ereditato questo nella persona dei vescovi e dei preti». I vescovi infatti «non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione che si chiama Chiesa particolare. Sono unti. Hanno l’unzione e lo spirito del Signore è con loro». Tutti i vescovi, ha precisato il Papa, «siamo peccatori, tutti! Ma siamo unti!». E «tutti vogliamo essere più santi ogni giorno, più fedeli a questa unzione». E «quello che fa la Chiesa, quello che dà l’unità alla Chiesa, è la persona del vescovo, in nome di Gesù Cristo perché unto: non perché è stato votato dalla maggioranza, ma perché unto».
Proprio «in questa unzione una Chiesa particolare ha la sua forza e, per partecipazione, anche i preti sono unti: il vescovo impone le mani e fa l’unzione su di loro». Così, ha detto il Papa, i preti «portano avanti le parrocchie e tanti altri lavori». È l’unzione ad avvicinare al Signore vescovi e preti, che «sono eletti dal Signore». Dunque «questa unzione è per i vescovi e per i preti la loro forza e la loro gioia». La forza, ha precisato, perché proprio nell’unzione essi «trovano la vocazione per portare avanti un popolo, per aiutare un popolo» e per «vivere al servizio del popolo». Ed è anche la gioia, «perché si sentono eletti dal Signore, protetti dal Signore con quell’amore con cui il Signore protegge tutti noi».
Ecco perché, ha affermato, «quando pensiamo ai vescovi, ai preti — sacerdoti tutti e due, perché questo è il sacerdozio di Cristo: vescovo e prete — dobbiamo pensarli così: unti». Altrimenti, ha puntualizzato, «non si capisce la Chiesa». Ma «non solo non si capisce; non si può spiegare come la Chiesa vada avanti soltanto con le forze umane». Una «diocesi va avanti perché ha un popolo santo, ha tante cose, e ha anche un unto che la porta, che l’aiuta a crescere». Lo stesso vale per una parrocchia, che «va avanti perché ha tante organizzazioni, ha tante cose, ma anche perché ha un prete: un unto che la porta avanti».
Noi abbiamo memoria — ha sottolineato il Pontefice — solo di «una minima parte di quanti vescovi santi, quanti sacerdoti, quanti preti santi» hanno dedicato tutta «la loro vita al servizio della diocesi, della parrocchia». E, quindi, «di quanta gente ha ricevuto la forza della fede, la forza dell’amore, la speranza da questi parroci anonimi, che noi non conosciamo. E sono tanti!». Sono «parroci di campagna o parroci di città che, con la loro unzione, hanno dato forza al popolo, hanno trasmesso la dottrina, hanno dato i sacramenti, cioè la santità».
Qualcuno, ha notato il Papa, potrebbe obiettare: «Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!». Obiezione alla quale il Pontefice ha risposto: «Sì, anch’io l’ho letto! Ma dimmi: sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e e di campagna? La tanta carità che fanno? Il tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?» E ha aggiunto: «No, questa non è notizia!». Vale sempre, ha spiegato, il noto proverbio secondo cui «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce».
Papa Francesco ha concluso la sua riflessione invitando a pensare «a questa unzione di Davide» e, di conseguenza, «ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli». E ha chiesto di pregare «per loro: grazie a loro oggi noi siamo qui, sono stati loro che ci hanno battezzato»
L'Osservatore Romano, 28 gennaio 2014.
anche Dio piange, ha il cuore di un padre che non rinnega mai i suoi figli
Anche Dio piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i figli e non li rinnega mai anche se sono ribelli, ma sempre li aspetta. E' quanto ha affermato Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani a Santa Marta.
Le letture del giorno presentano la figura di due padri: il re Davide, che piange la morte del figlio ribelle Assalonne, e Giàiro, capo della Sinagoga, che prega Gesù di guarire la figlia. Il Papa spiega il pianto di Davide alla notizia dell’uccisione del figlio, nonostante questi combattesse contro di lui per conquistare il regno. L’esercito di Davide ha vinto, ma a lui non interessava la vittoria, “aspettava il figlio! Gli interessava soltanto il figlio! Era re, era capo del Paese, ma era padre! E così quando è arrivata la notizia della fine di suo figlio, fu scosso da un tremito: salì al piano di sopra … e pianse”:
“Diceva andandosene: ‘Figlio mio, Assalonne. Figlio mio! Figlio mio, Assalonne! Fossi morto io invece di te! Assalonne, Figlio mio! Figlio mio!’. Questo è il cuore di un padre, che non rinnega mai suo figlio. ‘E’ un brigante. E’ un nemico. Ma è mio figlio!’. E non rinnega la paternità: pianse… Due volte Davide pianse per un figlio: questa e l’altra quando stava per morire il figlio dell’adulterio. Anche quella volta ha fatto digiuno, penitenza per salvare la vita del figlio. Era padre!”.
L’altro padre è il capo della Sinagoga, “una persona importante – afferma il Papa - ma davanti alla malattia della figlia non ha vergogna di gettarsi ai piedi di Gesù: ‘La mia figlioletta sta morendo, vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva!’. Non ha vergogna”, non pensa a quello che potranno dire gli altri, perché è padre. Davide e Giàiro sono due padri:
“Per loro ciò che è più importante è il figlio, la figlia! Non c’è un’altra cosa. L’unica cosa importante! Ci fa pensare alla prima cosa che noi diciamo a Dio, nel Credo: ‘Credo in Dio Padre…’. Ci fa pensare alla paternità di Dio. Ma Dio è così. Dio è così con noi! ‘Ma, Padre, Dio non piange!’. Ma come no! Ricordiamo Gesù, quando ha pianto guardando Gerusalemme. ‘Gerusalemme, Gerusalemme! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali’. Dio piange! Gesù ha pianto per noi! E quel pianto di Gesù è proprio la figura del pianto del Padre, che ci vuole tutti con sé”.
“Nei momenti difficili” - sottolinea Papa Francesco – “il Padre risponde. Ricordiamo Isacco, quando va con Abramo a fare il sacrificio: Isacco non era sciocco, se ne era accorto che portavano il legno, il fuoco, ma non la pecorella per il sacrificio. Aveva angoscia nel cuore! E cosa dice? ‘Padre!’. E subito: ‘Eccomi figlio!’. Il Padre rispose”. Così, Gesù, nell’Orto degli Ulivi, dice “con quell’angoscia nel cuore: ‘Padre, se è possibile, allontana da me questo calice!’. E gli angeli sono venuti a dargli forza. Così è il nostro Dio: è Padre! E’ un Padre così!”. Un Padre come quello che aspetta il figlio prodigo che è andato via “con tutti i soldi, con tutta l’eredità. Ma il padre lo aspettava” tutti i giorni e “lo ha visto da lontano”. “Quello è il nostro Dio!" - ha osservato il Papa - e "la nostra paternità" - quella dei padri di famiglia come la paternità spirituale di vescovi e sacerdoti - "deve essere come questa. Il Padre ha come un’unzione che viene dal figlio: non può capire se stesso senza il figlio! E per questo ha bisogno del figlio: lo aspetta, lo ama, lo cerca, lo perdona, lo vuole vicino a sé, tanto vicino come la gallina vuole i suoi pulcini”:
“Andiamo oggi a casa con queste due icone: Davide che piange e l’altro, capo della Sinagoga, che si getta davanti a Gesù, senza paura di diventare una vergogna e far ridere gli altri. In gioco erano i loro figli: il figlio e la figlia. E con queste due icone diciamo: ‘Credo in Dio Padre…’. E chiediamo allo Spirito Santo - perché soltanto è Lui, lo Spirito Santo – che ci insegni a dire ‘Abbà, Padre!’. E’ una grazia! Poter dire a Dio ‘Padre!’ col cuore è una grazia dello Spirito Santo. Chiederla a Lui!”.
Radio Vaticana
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