Santa Maria,

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venerdì 20 luglio 2012

I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia & Domani 20 luglio inizia per tutti i musulmani il mese di Ramadan رمضان الخير والسعادة لكم ولأسرة.


Sorse Elia profeta, simile al fuoco...


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sopra: Elia profeta (Kiko Arguello)


I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia, che essi ritennero fin dall'inizio il rappresentante più emblematico della tradizione profetica ebraica, come lasciano intendere gli evangeli nell'episodio della Trasfigurazione.
Il profeta in Israele era un uomo che parlava a nome di Dio, per richiamare tutti alla fedeltà al Dio dell'alleanza. Elia svolse pienamente la propria missione mostrando con tutta la sua vita il pathos stesso di Dio, la sollecitudine del Padre verso i propri figli, soprattutto verso i più piccoli e indifesi.
Vissuto nel IX secolo a.C., in un tempo di grande crisi, Elia dapprima si sdegnò di fronte all'idolatria di molti in Israele; ma in seguito Dio lo chiamò al distacco e alla solitudine, quasi a volergli insegnare che solo servendo la Parola attesa nel silenzio è possibile diventare «uomini di Dio».
Mandato in territorio pagano, Elia conobbe il bisogno di essere alimentato, oltre che da Dio, dai poveri, nella persona della vedova di Sarepta. Ritornò in patria, e la sua parola contro l'idolatria e le ingiustizie dei potenti lo condusse al celebre scontro con i profeti di Baal sul monte Carmelo. Ma la persecuzione che egli subì a seguito della sua momentanea vittoria sugli idolatri lo aiutò a comprendere, grazie alla voce silenziosa attraverso cui Dio gli parlò sull'Oreb, che il Dio che è fuoco divorante è anche pace, silenzio, tenerezza.
Rinnovato da questa ulteriore esperienza, Elia portò a termine la sua missione nel regno del Nord e fu rapito in cielo, secondo il racconto biblico, a significare che lo spirito di Elia continuerà sempre a essere presente nella storia di Israele.
Il suo ritorno è rimasto legato, nella tradizione ebraica e cristiana, alla venuta del Messia.


TRACCE DI LETTURA
Volevi piombare dall'alto come vento impetuoso
e mostrarti potente come lo è la tempesta,
volevi soffiare l'esistenza negli esistenti
e benedire anime umane, tenendo in mano il flagello,
volevi ammonire cuori stremati nel tuo vorticare rovente
e incitare quelli impietriti a prendere fuoco.
Tu mi hai cercato nei tuoi sentieri impetuosi
ma non mi hai trovato.
Volevi salire fino al cielo come lingua di fiamma
e far piazza pulita di tutti
di quanti non sapevano resistere al tuo furore,
forte come il sole, volevi aggredire mondi
con quell'improvvisa energia
capace di accendere il tuo giovane nulla.
Tu mi hai cercato nei tuoi abissi di fiamma
ma non mi hai trovato.
Poi il mio messaggero raggiunse il tuo orecchio
e lo mise a contatto del mio cuore pacato:
allora imparasti a sentire come seme dopo seme
inizia ad agitarsi,
e ogni sorta di tremolio - la crescita delle cose! -
ti avvolse come ridda di cerchi,
il sangue che sbatteva sul sangue,
e il silenzio
fu la parola che ti vinse,
quel silenzio eterno, pieno, dolce e materno.
Allora ti sporgesti su te stesso
e mi trovasti nel tuo cuore
 (Martin Buber, Poesia).


PREGHIERA
Dio nostro,
nella prima alleanza attraverso Elia e tutti i profeti
tu hai parlato al tuo popolo,
hai ammonito i potenti,
hai difeso poveri e deboli
e hai annunciato la venuta del Messia:
concedi alla tua chiesa,
per la potenza del tuo Spirito santo,
il dono di nuovi profeti
che annuncino con forza le esigenze del regno
e ricordino il giorno della venuta gloriosa
di Gesù Cristo Signore, vivente nei secoli dei secoli.



* * *



Di seguito il testo della catechesi su Elia profeta che il Papa ha dato il 15 giugno dell'anno scorso in San Pietro.


* * *

Cari fratelli e sorelle,
nella storia religiosa dell’antico Israele, grande rilevanza hanno avuto i profeti con il loro insegnamento e la loro predicazione. Tra di essi, emerge la figura di Elia, suscitato da Dio per portare il popolo alla conversione. Il suo nome significa «il Signore è il mio Dio» ed è in accordo con questo nome che si snoda la sua vita, tutta consacrata a provocare nel popolo il riconoscimento del Signore come unico Dio. Di Elia il Siracide dice: «E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1). Con questa fiamma Israele ritrova il suo cammino verso Dio. Nel suo ministero, Elia prega: invoca il Signore perché riporti alla vita il figlio di una vedova che lo aveva ospitato (cfr 1Re 17,17-24), grida a Dio la sua stanchezza e la sua angoscia mentre fugge nel deserto ricercato a morte dalla regina Gezabele (cfr 1Re 19,1-4), ma è soprattutto sul monte Carmelo che si mostra in tutta la sua potenza di intercessore quando, davanti a tutto Israele, prega il Signore perché si manifesti e converta il cuore del popolo. È l’episodio narrato nel capitolo 18 del Primo Libro dei Re, su cui oggi ci soffermiamo.
Ci troviamo nel regno del Nord, nel IX secolo a.C., al tempo del re Acab, in un momento in cui in Israele si era creata una situazione di aperto sincretismo. Accanto al Signore, il popolo adorava Baal, l’idolo rassicurante da cui si credeva venisse il dono della pioggia e a cui perciò si attribuiva il potere di dare fertilità ai campi e vita agli uomini e al bestiame. Pur pretendendo di seguire il Signore, Dio invisibile e misterioso, il popolo cercava sicurezza anche in un dio comprensibile e prevedibile, da cui pensava di poter ottenere fecondità e prosperità in cambio di sacrifici. Israele stava cedendo alla seduzione dell’idolatria, la continua tentazione del credente, illudendosi di poter «servire a due padroni» (cfr Mt 6,24; Lc 16,13), e di facilitare i cammini impervi della fede nell’Onnipotente riponendo la propria fiducia anche in un dio impotente fatto dagli uomini.
È proprio per smascherare la stoltezza ingannevole di tale atteggiamento che Elia fa radunare il popolo di Israele sul monte Carmelo e lo pone davanti alla necessità di operare una scelta: «Se il Signore è Dio, seguiteLo. Se invece lo è Baal, seguite lui» (1Re 18, 21). E il profeta, portatore dell’amore di Dio, non lascia sola la sua gente davanti a questa scelta, ma la aiuta indicando il segno che rivelerà la verità: sia lui che i profeti di Baal prepareranno un sacrificio e pregheranno, e il vero Dio si manifesterà rispondendo con il fuoco che consumerà l’offerta. Comincia così il confronto tra il profeta Elia e i seguaci di Baal, che in realtà è tra il Signore di Israele, Dio di salvezza e di vita, e l’idolo muto e senza consistenza, che nulla può fare, né in bene né in male (cfr Ger 10,5). E inizia anche il confronto tra due modi completamente diversi di rivolgersi a Dio e di pregare.
I profeti di Baal, infatti, gridano, si agitano, danzano saltando, entrano in uno stato di esaltazione arrivando a farsi incisioni sul corpo, «con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue» (1Re 18,28). Essi fanno ricorso a loro stessi per interpellare il loro dio, facendo affidamento sulle proprie capacità per provocarne la risposta. Si rivela così la realtà ingannatoria dell’idolo: esso è pensato dall’uomo come qualcosa di cui si può disporre, che si può gestire con le proprie forze, a cui si può accedere a partire da se stessi e dalla propria forza vitale. L’adorazione dell’idolo invece di aprire il cuore umano all’Alterità, ad una relazione liberante che permetta di uscire dallo spazio angusto del proprio egoismo per accedere a dimensioni di amore e di dono reciproco, chiude la persona nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé. E l’inganno è tale che, adorando l’idolo, l’uomo si ritrova costretto ad azioni estreme, nell’illusorio tentativo di sottometterlo alla propria volontà. Perciò i profeti di Baal arrivano fino a farsi del male, a infliggersi ferite sul corpo, in un gesto drammaticamente ironico: per avere una risposta, un segno di vita dal loro dio, essi si ricoprono di sangue, ricoprendosi simbolicamente di morte.
Ben altro atteggiamento di preghiera è invece quello di Elia. Egli chiede al popolo di avvicinarsi, coinvolgendolo così nella sua azione e nella sua supplica. Lo scopo della sfida da lui rivolta ai profeti di Baal era di riportare a Dio il popolo che si era smarrito seguendo gli idoli; perciò egli vuole che Israele si unisca a lui, diventando partecipe e protagonista della sua preghiera e di quanto sta avvenendo. Poi il profeta erige un altare, utilizzando, come recita il testo, «dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore: “Israele sarà il tuo nome”» (v. 31). Quelle pietre rappresentano tutto Israele e sono la memoria tangibile della storia di elezione, di predilezione e di salvezza di cui il popolo è stato oggetto. Il gesto liturgico di Elia ha una portata decisiva; l’altare è luogo sacro che indica la presenza del Signore, ma quelle pietre che lo compongono rappresentano il popolo, che ora, per la mediazione del profeta, è simbolicamente posto davanti a Dio, diventa “altare”, luogo di offerta e di sacrificio.
Ma è necessario che il simbolo diventi realtà, che Israele riconosca il vero Dio e ritrovi la propria identità di popolo del Signore. Perciò Elia chiede a Dio di manifestarsi, e quelle dodici pietre che dovevano ricordare a Israele la sua verità servono anche a ricordare al Signore la sua fedeltà, a cui il profeta si appella nella preghiera. Le parole della sua invocazione sono dense di significato e di fede: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!» (vv. 36-37; cfr Gen 32, 36-37). Elia si rivolge al Signore chiamandolo Dio dei Padri, facendo così implicita memoria delle promesse divine e della storia di elezione e di alleanza che ha indissolubilmente unito il Signore al suo popolo. Il coinvolgimento di Dio nella storia degli uomini è tale che ormai il suo Nome è inseparabilmente connesso a quello dei Patriarchi e il profeta pronuncia quel Nome santo perché Dio ricordi e si mostri fedele, ma anche perché Israele si senta chiamato per nome e ritrovi la sua fedeltà. Il titolo divino pronunciato da Elia appare infatti un po’ sorprendente. Invece di usare la formula abituale, “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”, egli utilizza un appellativo meno comune: «Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele». La sostituzione del nome “Giacobbe” con “Israele” evoca la lotta di Giacobbe al guado dello Yabboq con il cambio del nome a cui il narratore fa esplicito riferimento (cfr Gen 32,31) e di cui ho parlato in una delle scorse catechesi. Tale sostituzione acquista un significato pregnante all’interno dell’invocazione di Elia. Il profeta sta pregando per il popolo del regno del Nord, che si chiamava appunto Israele, distinto da Giuda, che indicava il regno del Sud. E ora, questo popolo, che sembra aver dimenticato la propria origine e il proprio rapporto privilegiato con il Signore, si sente chiamare per nome mentre viene pronunciato il Nome di Dio, Dio del Patriarca e Dio del popolo: «Signore, Dio […] d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele».
Il popolo per cui Elia prega è rimesso davanti alla propria verità, e il profeta chiede che anche la verità del Signore si manifesti e che Egli intervenga per convertire Israele, distogliendolo dall’inganno dell’idolatria e portandolo così alla salvezza. La sua richiesta è che il popolo finalmente sappia, conosca in pienezza chi davvero è il suo Dio, e faccia la scelta decisiva di seguire Lui solo, il vero Dio. Perché solo così Dio è riconosciuto per ciò che è, Assoluto e Trascendente, senza la possibilità di mettergli accanto altri dèi, che Lo negherebbero come assoluto, relativizzandoLo. È questa la fede che fa di Israele il popolo di Dio; è la fede proclamata nel ben noto testo dello Shema‘ Israel: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze» (Dt 6,4-5). All’assoluto di Dio, il credente deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue forze, il suo cuore. Ed è proprio per il cuore del suo popolo che il profeta con la sua preghiera sta implorando conversione: «questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!» (1Re 18,37). Elia, con la sua intercessione, chiede a Dio ciò che Dio stesso desidera fare, manifestarsi in tutta la sua misericordia, fedele alla propria realtà di Signore della vita che perdona, converte, trasforma.
Ed è ciò che avviene: «Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutto il popolo cadde con la faccia a terra e disse: “Il Signore è Dio, il Signore è Dio”» (vv. 38-39). Il fuoco, questo elemento insieme necessario e terribile, legato alle manifestazioni divine del roveto ardente e del Sinai, ora serve a segnalare l’amore di Dio che risponde alla preghiera e si rivela al suo popolo. Baal, il dio muto e impotente, non aveva risposto alle invocazioni dei suoi profeti; il Signore invece risponde, e in modo inequivocabile, non solo bruciando l’olocausto, ma persino prosciugando tutta l’acqua che era stata versata intorno all’altare. Israele non può più avere dubbi; la misericordia divina è venuta incontro alla sua debolezza, ai suoi dubbi, alla sua mancanza di fede. Ora, Baal, l’idolo vano, è vinto, e il popolo, che sembrava perduto, ha ritrovato la strada della verità e ha ritrovato se stesso.
Cari fratelli e sorelle, che cosa dice a noi questa storia del passato? Qual è il presente di questa storia? Innanzitutto è in questione la priorità del primo comandamento: adorare solo Dio. Dove scompare Dio, l'uomo cade nella schiavitù di idolatrie, come hanno mostrato, nel nostro tempo, i regimi totalitari e come mostrano anche diverse forme del nichilismo, che rendono l'uomo dipendente da idoli, da idolatrie; lo schiavizzano. Secondo. Lo scopo primario della preghiera è la conversione: il fuoco di Dio che trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di vedere Dio e così di vivere secondo Dio e di vivere per l'altro. E il terzo punto. I Padri ci dicono che anche questa storia di un profeta è profetica, se - dicono – è ombra del futuro, del futuro Cristo; è un passo nel cammino verso Cristo. E ci dicono che qui vediamo il vero fuoco di Dio: l'amore che guida il Signore fino alla croce, fino al dono totale di sé. La vera adorazione di Dio, allora, è dare se stesso a Dio e agli uomini, la vera adorazione è l'amore. E la vera adorazione di Dio non distrugge, ma rinnova, trasforma. Certo, il fuoco di Dio, il fuoco dell'amore brucia, trasforma, purifica, ma proprio così non distrugge, bensì crea la verità del nostro essere, ricrea il nostro cuore. E così, realmente vivi per la grazia del fuoco dello Spirito Santo, dell'amore di Dio, siamo adoratori in spirito e in verità. Grazie.


رمضان الخير والسعادة لكم ولأسرة.

Domani 20 luglio inizia per tutti i musulmani il mese di Ramadan: viviamo in una società multireligiosa, questo è un dato di fatto ed una potenzialità, una reciproca opportunità di arricchimento culturale. Proprio per questo motivo propongo l'intervista seguente, all'agenzia Zenit, di Massimo Introvigne.

 

In Nigeria ogni domenica chi va a messa non sa se ritornerà a casa. In questo paese, dall'inizio di quest'anno, l'integralismo islamico ha ucciso oltre 800 persone, tra cui 150 cristiani.
Un recente sondaggio indica che in Nigeria il 70% della popolazione considera il dialogo interreligioso come l'unica uscita del problema, e quindi rigetta la violenza dei fanatici.
Per uscirne, oltre al dialogo interreligioso, sono necessari l'addestramento delle forze di polizia, l'appoggio nella misura del possibile ai settori politici islamici non fanatici, senza escludere la possibilità di colpire le zone franche che servono come le Tortugas per i pirati.
Lo ha spiegato nell'intervista  che propongo, il professor Massimo Introvigne, sociologo e storico, che ha partecipato ieri al dibattito sulla strage dei cristiani in Nigeria, promosso dall'Osservatorio della Libertà Religiosa del Ministero degli Esteri e da Roma Capitale.
L'incontro si è tenuto presso la sede dell'Associazione Stampa Estera, e ha visto la partecipazione del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, l'onorevole Margherita Boniver e il presidente della Camera, Maurizio Lupi.
Al vostro incontro si è parlato della persecuzione dei cristiani in Nigeria con la presenza di molte autorità di spicco... 
Introvigne: Questo è diventato un evento molto ampio, come ha visto, e sottolinea l'importanza che l'Italia dà al dossier della Nigeria, che non si limita alle parole: è iniziata l'epoca dei fatti.
Quale è la funzione dell'Osservatorio della libertà religiosa?
Introvigne: L'Osservatorio della Libertà religiosa del Ministero degli Affari Esteri ha la funzione di coordinamento delle iniziative che si prendono a diversi livelli. In primo luogo, quello di insistere perché le organizzazioni internazionali si mobilitino. Qui subentra l'insistenza molto metodica della diplomazia italiana per inserire la questione dei cristiani in tutte le iniziative per la pace e lo sviluppo, dalle Nazioni Unite all'Unione europea.
I tempi delle organizzazioni internazionali però sono sempre lunghi...
Introvigne: Infatti, come secondo punto, figura la collaborazione bilaterale, perché l'Italia vanta delle eccellenze in materia di sicurezza e di sorveglianza di obiettivi sensibili. Ormai purtroppo in Nigeria, tra questi obiettivi, ci sono anche le chiese cristiane, quindi sono in corso dei programmi di formazione dei funzionari amministrativi, delle forze dell'ordine, della polizia e delle guardie di frontiera nigeriane.
Quindi, dialogo e sicurezza. E poi?
Introvigne: Il terzo fattore è dare quanto più possibile appoggio alla politica. Mi spiego: sebbene il dialogo interreligioso sia compito innanzitutto delle istituzioni religiose - e su questo la Chiesa Cattolica ci da esempi di coraggio - il dialogo che è la vera soluzione dei problemi, deve includere anche attori che fanno riferimento all'islam politico, escludendo però chi fa violenza o terrorismo, chi come un dirigente di Boko Haram in Nigeria ha dichiarato che i cristiani hanno soltanto tre alternative: morire, convertirsi all'islam o emigrare. Questi ultimi vanno esclusi ma alcune delle forze dell'islam politico possono essere incluse nel dialogo.
C'è qualche altro punto importante.
Introvigne: Sì, un quarto fattore è la regionalizzazione del conflitto che non è soltanto locale ma continentale, e vede la presenza importante di focolai terroristici in luoghi che sfuggono al controllo dello Stato. Come la metà della Somalia e il Nord del Mali. Negli ultimi giorni sono emerse prove della presenza del Boko Haram nigeriano nella regione di Gao, nel Mali e in zone controllate sostanzialmente da Al-Qaeda, dove si va per fare rifornimento di carburante e di armi.
In questo caso il dialogo e la polizia non possono fare molto.
Introvigne: E qui ci sono dei nodi da sciogliere con tutte le opzioni possibili, anche quella militare che non può essere esclusa ma che richiede grande cautela. Per il momento il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite continua a non autorizzarla finché non c'è chiarezza sul tipo di iniziative militare che la Comunità economica dell'Africa orientale (EAC) sta proponendo. Ci sono paesi che vedono le cose in modo diverso, come il Burkina Faso che vorrebbe estendere il dialogo anche a una delle formazioni fondamentaliste islamiche, mentre il Niger non vuole assolutamente questo dialogo. Quindi, fino a quando non ci sarà chiarezza, l'azione militare rischia di essere “avventurista”.
Opzione militare che in alcuni casi sembra non si escluda?
Introvigne: Non ce dubbio però, che l'opzione militare per il Mali non possa essere esclusa, perché ci troviamo con un territorio che funziona un po' come le isole Tortuga per i pirati. Chi vuole va lì, apre un ufficio per le armi e l'indottrinamento. E per la Nigeria, la situazione del Mali è decisiva. Non per caso la Nigeria è uno dei Paesi che, in caso di intervento militare ha già dichiarato che metterebbe a disposizione delle truppe.
Come evitare l'aggressione ai cristiani?
Introvigne: Il dialogo è una delle due gambe sulla quale cammina la lotta alle persecuzione dei cristiani. Ed è la gamba più lungimirante e decisiva, però, visto che ogni domenica i cristiani continuano a morire, si pone anche un problema di polizia. Il dialogo è importante per ricreare un clima di collaborazione e di fiducia, di incontro e non di scontro. Ma i frutti del dialogo li raccoglieremo fra qualche anno. Intanto, visto che ogni domenica in Nigeria se uno va a messa non sa se ritorna a casa con c'è dubbio che occorre anche una risposta sia sul piano della sicurezza che della polizia.
L'Italia sta aiutando alla formazione della polizia?
Introvigne: Sì, come una iniziativa di carattere bilaterale, perché l'Italia ritiene che non si debba passare sopra la testa del governo nigeriano, che è un governo democratico, un governo amico, dove il presidente, tra l'altro, è un cristiano. Non è certamente il governo che fomenta queste violenze, ne è vittima. Tuttavia il problema di sicurezza ha in parte le sue centrali anche fuori della Nigeria.
In Nigeria esiste una maggioranza silenziosa che non vuole la violenza?
Introvigne: Sì, e vorrebbe il dialogo interreligioso. Un recente sondaggio rivela che in Nigeria il 70% propone il dialogo interreligioso come via di uscita. Anche se non fa notizia e non ne parla nessuno.
Fonte: Zenit

Da Granelli di sabbia ...

Le lanterne del Ramadan


Sono tante le tradizioni che accompagnano il Ramadan e alcune di queste, pur non avendo nessun legame con la religione, sono molto sentite, come le fawanees (sing. fanoos o fanus) ossia le bellissime lanterne colorate che in questo mese abbelliscono strade, balconi, negozi e palazzi delle città.
Negli anni passati erano utilizzate dagli “svegliatori”, ossia da quelle persone che, circa un’ora prima dell’alba, giravano con piccolo tamburello e la loro lanterna per svegliare i cittadini che dormivano, in modo che potessero effettuare in tempo il loro sohur, l’ultimo pasto prima dell’inizio di una nuova giornata di digiuno. Ai nostri giorni tale usanza  la si può trovare ancora in alcune città dell’Egitto, soprattutto nelle zone popolari.
Per quanto riguarda l’origine delle fawanees esistono varie storie. Alcune fonti sostengono che la presenza del fanoos durante il Ramadan risalga al regno di Saladino, ma sembra più probabile che tutto abbia avuto inizio un po’ di tempo prima, quando il fatimide Al-Muizz li-Din Allah entrò in Egitto il 15 del mese diRamadan e gli egiziani lo accolsero con lampade e torce.
Altre fonti invece sostengono che l’ uso delle lanterne era una tradizione natalizia dei cristiani copti e che, quando molti di questi si convertirono all’ Islam, portarono con loro l’usanza dei festeggiamenti con le lanterne fatte di latta e illuminate con candele.
Molte leggende sono nate anche attorno alla figura del califfo fatimide Al Hakim Bi-Amr Illah. C’è chi racconta che durante il suo califfato, le donne fossero autorizzate a lasciare le loro case solo durante  il Ramadan, ma dovevano comunque essere precedute da un ragazzino che portava un fanoos. In seguito queste lanterne vennero utilizzate come strumento per annunciare l'arrivo di una donna e mettere in guardia gli uomini in strada ad allontanarsi. Con gli anni le leggi riguardanti le donne divennero meno severe, ma la tradizione delle fawanees rimase.
Altri raccontano che l’usanza delle lanterne nacque quando il califfo Al Hakim, volendo illuminare le strade del Cairo durante le notti del Ramadan, ordinò a tutti gli sceicchi delle moschee di appendere le fawanees illuminandole con le candele.
Una terza storia invece racconta che una sera il califfo uscì alla ricerca in cielo della linea della luna che avrebbe indicato l’ inizio del mese Sacro e nel suo viaggio si fece accompagnare da bambini che portavano le lanterne e intonavano canti. 
Comunque, qualunque sia stata la sua origine, il fanoos resta un simbolo speciale del Ramadan. Oggi ne esistono di tantissimi tipi, ci sono anche quelle cinesi che riproducono musiche, oppure quelle con le immagini di personaggi famosi tra i bambini come Bakkar, Korombo e tanti altri cartoni animati.
Una settimana prima dell’inizio del mese, le strade egiziane vengono trasformate in capolavori di illuminazione con tantissime fawanees e i bambini giocando con la loro lanterna cantano una tradizionale filastrocca, in arabo egiziano dal titolo "wahawi ya "
La canzone è questa:

Wahawi ya Wahawi                              (metaforicamente  la luce del fuoco) 
Iyuha                                                  (parola che viene utilizzata per rimare) 
Ruht ya Sha'ban                                                (te ne sei andato, o sha’ban)
O Sha'ban                                     (riferimento al mese prima del Ramadan) 
Wi Gheet ya Ramadan                                         (sei arrivato , O Ramadan) 
Iyuha ....  
Bint el Sultan                                                                   (La figlia del sultano) 
Iyuha ... 
LABSA el Guftan                                                          (indossa il suo qaftan ) 
Iyuha ... 
Yalla ya Ghaffar                                                             (Per Dio perdonatore) 
Iduna el Idiya                                                   (facci dono di questa stagione)
Yalla ya Ghafar.


Da un tè alla menta <> storie dal mondo arabo

Ramadan 2012


Curiosità:
contrariamente al calendario gregoriano che è solare,  il calendario islamico si basa sulle fasi lunari. La grande differenza è che gli anni lunari sono più brevi ( 354 giorni invece di 365) e pur avendo lo stesso numero di mesi, questi contano solo 29 o 30 giorni ed iniziano con l’avvistamento della luna nuova. Così, nel mondo islamico, anche le festività religiose cadono in modo differente di anno in anno, come il Ramadan che anticipa ogni anno il suo inizio di 11 giorni e si sposta gradualmente attraverso tutte le stagioni, ritornando solo dopo 33 anni, allo stesso giorno.
Quest’anno la data approssimativa dell’inizio del mese di Ramadan 2012 è il 20 luglio.
Quando il Ramadan cade in inverno, il digiuno (صيام sawm) viene vissuto meglio e il momento dell'iftar gode di una maggiore spiritualità. Non bere e non mangiare quando il clima è temperato e le ore di luce sono più brevi, sottopone il fisico ad una fatica minore. Durante i mesi caldi, invece, non bere per tutto il lungo giorno sottopone il fisico ad un forte stress e l’Iftar, prima ancora che una celebrazione a carattere religioso, diventa una impellente necessità fisica.




                 *  Buon Ramadan 
a tutti i
            musulmani                                     in Italia e nel mondo *

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