Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 23 luglio 2012

[lectio quotidiana] Luca 6,24-35 - Lc 6,36-42 – Lc 6,43-45 <> Lc 6,46-49

Leggiamo insieme la Scrittura giorno per giorno:
 il vincolo di unità e di pace per tutti noi!

23 luglio 2012 – Lc 6,24-35

25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

COMMENTO DI GIOVANNI

E’ evidente che la parola che stiamo ricevendo in questo insegnamento di Gesù delinea e propone una morale di altissimo livello. Ricevere queste Parole così come le ascoltiamo e chiedere umilmente di poterle accogliere nella nostra vita personale e comune, è certamente risposta giusta al dono di Dio. Tuttavia, mi sembra sia possibile fare qualche piccola considerazione che ci aiuti a coglierne non solo l’indirizzo morale, ma anche – ancora una volta! – la rivelazione meravigliosa e meravigliata del dono del Signore.

Chiediamoci quale possa essere la ragione profonda dei tre “guai” dei vers.25-26. Perché tanta severità? Perché non corrispondono alla fede che Dio ha donato al suo Popolo e, con Gesù, a tutta l’umanità. La fede, infatti, è sempre la fede dei poveri e di coloro che attendono la liberazione. La fede si scontra inevitabilmente con una sapienza mondana che prevede e cerca la  crescita, il successo e l’affermazione della persona. E la fede vede in tutto ciò non una conquista e una virtù umana, ma semplicemente il dono di Dio. Vivere come attuale possesso quello che è regalo e pienezza dell’amore di Dio per noi, è quindi una strada opposta a quella della fede. Ma è quindi opposta anche e soprattutto alla strada percorsa e donata da Gesù! La categoria del “dono” e quindi della comunione tra il Signore e l’umanità è il cuore di tutto il mistero rivelato dalla Parola.

Ed è in questa prospettiva che oggi possiamo accogliere tutto quello che Gesù ci dice. La via più semplice per ricevere le Parole dei vers.27-30 è quella di riconoscere in esse la Persona, l’opera e l’insegnamento di Gesù! L’amore per tutti, compresi i nemici, il perdono e la mitezza senza limiti, sono le meraviglie che noi vediamo prima di tutto in Gesù stesso e che quindi possiamo sperare come suoi regali a noi.

Ancora di più tutto questo mi sembra espresso dai vers.31-35, dove per ben tre volte è presente una parola che la versione precedente della bibbia traduceva con il termine “merito”, e che la nuova versione ci propone con il termine “gratitudine”. Però forse si può dire qualcosa di più, e cioè che si tratta semplicemente di quella parola “grazia”, che abbiamo già incontrato e che ancora incontreremo nel Vangelo secondo Luca, e che esprime con forza quello che nessuna persona può conquistare, o meritare, o comperare, o rubare...perchè è sempre e solo "dono" del Signore! Dunque, il regalo supremo che possiamo ricevere noi poveri peccatori è quello di poter vivere, pensare e agire come Gesù ci ha mostrato in se stesso. E tale è l’agire di Dio! Il termine “peccatori” viene usato dal Signore per indicare la comune condizione umana. Ora ce n’è una altra, una nuova condizione. Quella dei figli di Dio! Dunque, queste Parole esprimono non solo un atteggiamento morale di grande livello, ma prima di tutto la vita nuova che ci è stata regalata. La vita stessa di Gesù. Il cristiano non è uno “bravo”! E’ piuttosto un “beato”! Uno che senza merito e senza fatica ha ricevuto il supremo regalo della vita di Dio. E’ il regalo del Vangelo. E’ il regalo dello Spirito di Gesù.

Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

Lc 6,36-42

 36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».39Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

COMMENTO DI GIOVANNI
Ancora una volta, e dovrei dirlo sempre, vi chiedo di ricevere i miei pensierini con molta prudenza, perché io stesso sono stupito di come ogni giorno la Parola mi costringa ad accoglierla nella sua incessante novità e nella sua continua provocazione. Il brano di oggi mi seduce per come, dopo la prima grande affermazione – “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”(ver.36) – le indicazioni che seguono sembrano chiedere la fedeltà a questo sublime invito alla misericordia con una consapevolezza assolutamente realistica dei nostri limiti e delle nostre povertà. Per cui, per celebrare la misericordia del Padre, non possiamo far altro che comportarci con tutta l’umiltà richiesta dalla nostra piccolezza e da tutte le nostre povertà. Non dobbiamo giudicare e condannare, per non essere giudicati e condannati. Il perdono è la condizione per essere perdonati, come Gesù ci insegnerà nella preghiera del “Padre nostro”(Lc.11,4). Il ver.38 promette anche la possibilità di un dono: “una misura buona, colma e traboccante”, in proporzione di come saremo stati sovrabbondanti nel perdonare gli altri. E qui interviene – e mi sembra meraviglioso! – una parabola che in Matteo 15,12-14 è rimprovero verso chi vuole farsi maestro di altri, e che nel nostro testo assume il significato di un atteggiamento che ci porta a considerarci sempre più piccoli di ogni altro, più bisognosi di aiuto, come il discepolo ha sempre bisogno del suo maestro, e al massimo, se sarà “ben preparato”, sarà come il suo maestro”(ver.40). E, a conferma di questo, ecco l’immagine della pagliuzza e della trave, ai vers.41-42. Ognuno deve considerarsi sempre come chi ha nel suo occhio una trave. Come può pretendere di poter chiedere al fratello di togliergli la pagliuzza che ha nel suo occhio? Dovrà sempre, prima, togliere la trave dal suo occhio per poter offrire al fratello la possibilità di togliergli la pagliuzza che sta nel suo occhio. Come posso pensare di essere il correttore del mio fratello, io che ho bisogno di essere aiutato più di ogni altro? Se questa lettura del testo è possibile, eccone  la conclusione: la misericordia del Padre possiamo celebrarla proprio attraverso l’umile consapevolezza della nostra condizione di poveri peccatori, bisognosi di essere aiutati da tutti. E’ affermazione suprema di una fraternità profonda lungo la strada della salvezza che il Signore ci ha regalato.
 Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

25 luglio 2012 – Lc 6,43-45
 43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

 COMMENTO DI GIOVANNI
 Il quesito che ci pone questa piccola parabola è l’identificazione dell’ albero buono (o cattivo), come immagine dell’uomo buono (o cattivo). Mi arrischio ad indicare un’ipotesi che ognuno di voi correggerà con la sua preghiera. Per tutto quello che abbiamo ascoltato, non sembra di poter identificare un uomo che sia “buono” in se stesso. Gesù stesso, nel suo incontro con un uomo ricco che lo chiama “maestro buono”(Lc.18,18-23), affermerà che “nessuno è buono se non Dio solo”. L’ipotesi dunque della bontà si collega forse alla “relazione” che ognuno può stabilire, con Dio stesso, con la sua Parola, con la Persona di Gesù, con altre persone…Così mi sembra possiamo cogliere negli incontri che finora abbiamo fatto con diverse figure del Vangelo, a partire dalla fanciulla di Nazaret. Se vale questa ipotesi, la bontà si manifesta e si compie in stretta connessione con la relazione. L’altro elemento forte per l’identificazione di questa “bontà” è il verbo “fare”. Il fare, e qui come è reso in italiano il “produrre”(ver.43) e il “trarre fuori”(ver.45), dice tutta la concretezza che la tradizione biblica assegna alla “bontà”(o alla cattiveria). Una concretezza che nasce però dal cuore, e rivela quale sia la qualità del cuore, come il frutto rivela la qualità dell’albero che lo produce. Questa fonte del cuore sembra richiamare il tema della conversione. Per il nostro cammino fino ad oggi nel Vangelo secondo Luca, esprime bene l’incontro con Gesù, e quindi la conversione a Lui o il rifiuto di Lui.
 Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

– Lc 6,43-45

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

 COMMENTO DI GIOVANNI
 Il quesito che ci pone questa piccola parabola è l’identificazione dell’ albero buono (o cattivo), come immagine dell’uomo buono (o cattivo). Mi arrischio ad indicare un’ipotesi che ognuno di voi correggerà con la sua preghiera. Per tutto quello che abbiamo ascoltato, non sembra di poter identificare un uomo che sia “buono” in se stesso. Gesù stesso, nel suo incontro con un uomo ricco che lo chiama “maestro buono”(Lc.18,18-23), affermerà che “nessuno è buono se non Dio solo”. L’ipotesi dunque della bontà si collega forse alla “relazione” che ognuno può stabilire, con Dio stesso, con la sua Parola, con la Persona di Gesù, con altre persone…Così mi sembra possiamo cogliere negli incontri che finora abbiamo fatto con diverse figure del Vangelo, a partire dalla fanciulla di Nazaret. Se vale questa ipotesi, la bontà si manifesta e si compie in stretta connessione con la relazione. L’altro elemento forte per l’identificazione di questa “bontà” è il verbo “fare”. Il fare, e qui come è reso in italiano il “produrre”(ver.43) e il “trarre fuori”(ver.45), dice tutta la concretezza che la tradizione biblica assegna alla “bontà”(o alla cattiveria). Una concretezza che nasce però dal cuore, e rivela quale sia la qualità del cuore, come il frutto rivela la qualità dell’albero che lo produce. Questa fonte del cuore sembra richiamare il tema della conversione. Per il nostro cammino fino ad oggi nel Vangelo secondo Luca, esprime bene l’incontro con Gesù, e quindi la conversione a Lui o il rifiuto di Lui.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

26 luglio 2012 – Lc 6,46-49 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande». COMMENTO DI GIOVANNI Fa  parte della grande tradizione della fede ebraico-cristiana un certo sospetto su una religiosità fatta di parole e invocazioni verso il cielo, che rischi di ignorare quanto potentemente il Signore intervenga sul volto concreto della nostra vita quotidiana. Il rischio, insomma, di una religiosità di evasione. Con Gesù, il Figlio di Dio, tutto questo si radicalizza, portando a pienezza la norma sapienziale dell’ebraismo, secondo cui anche per “comprendere” una Parola di Dio, bisogna innanzi tutto obbedirvi! Qui mi piace pensare alle Parole che stanno al cuore della liturgia cristiana, dove si ricordano le Parole di Gesù: “Fate questo in memoria di me”. Essendo dunque alla fine del cap.6, mi pare molto bello che il Signore ci dica che le meraviglie che Lui ci ha annunciate e donate, sono “possibili”. Il Vangelo non è un ideale(!!), ma è la vita nuova che Gesù ci dona. Ci è fatto il dono di poter amare i nostri nemici e di non giudicare nessuno. Un passaggio molto bello dell’Imitazione di Cristo che ascoltavo questa mattina nella preghiera, avverte quanto sia temibile un “scienza” che non abbia il sostegno di una prassi umile e forte. L’immagine della casa costruita sulla roccia è molto efficace, anche perché istintivamente pensiamo che la roccia su cui costruire sia la Parola. E questo è vero, ma sarebbe vano se questa Parola venisse ascoltata ma sostanzialmente non accolta nella nostra umile vita. E’ molto interessante questo fondamento sulla prassi. Ricordo che un amico ebreo, Stefano Levi della Torre, molti anni fa, ospite ad una nostra scuola e ancora molto giovane, diceva che siccome Dio dice che l’ebreo non può mangiare la carne di maiale, lui desidera obbedirgli. Ma il  salame è molto buono! Quando si presenterà al trono dell’Altissimo gli chiederà perché l’ebreo non può mangiare questa carne. Ma per ora, lui obbedisce. Tutto questo mi sembra di poter incoraggiare ad accoglierlo come “non difficile”, soprattutto se quello che dice la Parola viene accolto semplicemente come un grande regalo. E’ bellissimo che Gesù ci chieda di amare i nemici. Ed è bellissimo poter verificare come amare il nemico sia esperienza nuova e splendida. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

26 luglio 2012 – Lc 6,46-49

46Perché mi invocate:
“Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

 COMMENTO DI GIOVANNI

Fa  parte della grande tradizione della fede ebraico-cristiana un certo sospetto su una religiosità fatta di parole e invocazioni verso il cielo, che rischi di ignorare quanto potentemente il Signore intervenga sul volto concreto della nostra vita quotidiana. Il rischio, insomma, di una religiosità di evasione. Con Gesù, il Figlio di Dio, tutto questo si radicalizza, portando a pienezza la norma sapienziale dell’ebraismo, secondo cui anche per “comprendere” una Parola di Dio, bisogna innanzi tutto obbedirvi! Qui mi piace pensare alle Parole che stanno al cuore della liturgia cristiana, dove si ricordano le Parole di Gesù: “Fate questo in memoria di me”. Essendo dunque alla fine del cap.6, mi pare molto bello che il Signore ci dica che le meraviglie che Lui ci ha annunciate e donate, sono “possibili”. Il Vangelo non è un ideale(!!), ma è la vita nuova che Gesù ci dona. Ci è fatto il dono di poter amare i nostri nemici e di non giudicare nessuno. Un passaggio molto bello dell’Imitazione di Cristo che ascoltavo questa mattina nella preghiera, avverte quanto sia temibile un “scienza” che non abbia il sostegno di una prassi umile e forte. L’immagine della casa costruita sulla roccia è molto efficace, anche perché istintivamente pensiamo che la roccia su cui costruire sia la Parola. E questo è vero, ma sarebbe vano se questa Parola venisse ascoltata ma sostanzialmente non accolta nella nostra umile vita. E’ molto interessante questo fondamento sulla prassi. Ricordo che un amico ebreo, Stefano Levi della Torre, molti anni fa, ospite ad una nostra scuola e ancora molto giovane, diceva che siccome Dio dice che l’ebreo non può mangiare la carne di maiale, lui desidera obbedirgli. Ma il  salame è molto buono! Quando si presenterà al trono dell’Altissimo gli chiederà perché l’ebreo non può mangiare questa carne. Ma per ora, lui obbedisce. Tutto questo mi sembra di poter incoraggiare ad accoglierlo come “non difficile”, soprattutto se quello che dice la Parola viene accolto semplicemente come un grande regalo. E’ bellissimo che Gesù ci chieda di amare i nemici. Ed è bellissimo poter verificare come amare il nemico sia esperienza nuova e splendida.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

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