Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 2 dicembre 2017

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO“VEGLIATE”

P. MARKO IVAN RUPNIK

                                     “VEGLIATE”

antoniobortoloso.blogspot.it

Prima Domenica di Avvento

Mc 13,33-37

Congregatio pro Clericis
Siamo all’inizio del nuovo anno liturgico ed è interessante vedere come inizio e fine siano così simili
nel contenuto della parola che viene annunciata. La fine indica che il tempo infatti sta entrando nell’ottavo giorno, in una dimensione nuova, passa nel tempo sacro e la storia si trasforma nella storia di Dio, della storia della salvezza per l’uomo e tutto ciò che è lo scenario del mondo passerà in questa trasformazione di un tempo nuovo.
E con lo stesso annuncio comincia il nuovo anno liturgico, cioè il tempo non è quello che sembra, ma bisogna attendere che sfoci in una nuova dimensione che ne riveli la sacralità, la liturgia. La storia perciò non è quella che noi facciamo, ma bisogna che si trasformi nella verità della storia. Si tratta di un passaggio in uno stato definitivo del mondo e l’anno liturgico ci farà camminare in questo confine tra qui e al di là facendo vedere come queste due realtà si incontrano e fondono in uno stato definitivo del mondo e dell’umanità.
In concreto questa prima domenica – è l’anno dell’evangelista Marco – comincia con “vegliate”, “vigilate”, “vegliate”: tre volte viene esplicitamente fatto questo invito che piuttosto è un comando.
Perché bisogna vigilare e vegliare? Perché non si sa quando il padrone viene, e allora ci si può trovare addormentati. Si tratta di vigilare mentre svolgiamo il compito che ci è stato dato per poter riconoscere il padrone quando verrà, se sbagliamo il padrone il compito che stiamo facendo non ha senso. La vigilanza e la veglia vanno orientate in questa dinamica: tra il compito e il padrone che ce l’ha dato e che alla fine viene.
Ecco il passaggio, si tratta di perforare una dimensione nuova nel nostro compito affinché non diventi in se stesso lo scopo rendendo l'uomo oggetto e vittima di quel compito di cui si è persa la dimensione dell'attesa, il padrone non verrà più perché non c’è, abituati come siamo a essere gli unici protagonisti, primi e ultimi, arrivando a credere di poter gestire anche l'aldilà.
Però il vangelo ci dice che l’aldilà è libero, perché per il vangelo di Marco è la manifestazione dell’amore di Dio. In Marco il discorso dell’apocalisse è la chiave di lettura della passione di Cristo.
Poco dopo aver detto di stare attenti e vegliare perché non sappiamo quando viene il padrone ci sono i versetti della sera in cui fu tradito. Ma se viene a mezzanotte? E a mezzanotte fu processato (Mc 14,53-64). Tutto quasi avviene durante la notte e nessuno se ne accorge: anche la Sua nascita avviene nel profondo della notte e, tranne qualche pastore nessuno se ne è accorto perché non vegliavano; gli unici a vegliare, dice il vangelo, erano i pastori, gli altri no. Poi dice: forse viene al canto del gallo. E infatti, al canto del gallo uno non l’ha riconosciuto, l’ha rinnegato. Forse viene al mattino, e nei primi 15 versetti del cap 15 di Mc  dove si svolge il processo di Pilato, mostrano come nessuno l’abbia riconosciuto. Che cosa è la verità? Sta davanti alla verità e non la riconosce. Così che Marco elenca tutti i momenti salienti in cui l’umanità non sarà in grado di riconoscere Cristo nella sua passione, perché questa storia, questo tempo, ha come costituzione la pasqua di Cristo, ma la nostra convinzione del lavoro e del compito pensano che Cristo deve venire con potenza e gloria, così come il nostro compito deve essere di successo, il lavoro di successo, la vita di salute e via dicendo. Sono tutte fissazioni dell’aldiquà e perciò non si riconosce che la gloria e la potenza del Signore che viene è la passione del Figlio e del nostro Salvatore.
Sono questi i due lati della medaglia della storia e vigilare e vegliare significa scrutare e cercare di vedere attraverso questa massiccia logica del mondo la logica di Dio, del suo amore per l’uomo.




P. Marko Ivan Rupnik

Fonte:http://www.clerus.va/


www.romena.it

DON MARCO POZZA"L'AVVENTO DI QUEL PORTAOMBRELLI CHE NON SERVE A NIENTE"


Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Matteo 13,33-37).
L'avvento di quel portaombrelli che non serve a niente
don Marco Pozza

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito
dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Matteo 13,33-37).
L'avvento di quel portaombrelli che non serve a niente
Sono vent'anni che mi incuriosisce quando varco la porta di casa. Non è nulla di eccezionale, non ha nulla di eccezionale: è una sorta di porta-ombrelli, di quelli bruttini. Anche un cieco avverte che non era nato per quello. In materia non ho fatto accurate ricerche per scovare la sua originaria destinazione d'uso: nutro il forte sospetto che spartisca il destino di altre cianfrusaglie, quelle quasi-inutili. Siccome, però, apparteneva alle cose-care lasciate dalla nonna (l'aveva fatto-a-mano il nonno prima di partire per l'Africa, come reliquia d'affetti in sua assenza), ci si fa mille riguardi a buttarlo via. "Lascialo lì – intercede di continuo la mamma -: non si sa mai, un giorno potrebbe servire". Finora non è servito, un giorno potrebbe servire. La mamma, da come lo dice, ci crede davvero a quello che dice: «Se non ci metterà troppo, l'aspetterò tutta la vita» (O. Wilde). Un giorno non l'ho più trovato: "Dove l'avete messo?" ho chiesto ai miei. L'avevano portato in garage per spolverarlo: non-vedendolo, mi sono accorto di essermi affezionato ad esso. Il motivo? Adoro la sua capacità di aspettare. Degli oggetti inutili, come quel porta-ombrelli, mi fa impazzire il loro aspettare di diventare utili. D'attendere, umili, che arrivi il loro turno. Se arriverà, quando arriverà.
L'Avvento è la stagione del mio porta-ombrelli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento». È la stagione dell'attesa: quella delle cose lente, che paiono non arrivare mai, che quando arrivano sembrano in forte ritardo. L'attesa – annotava lo scultore Buonarroti – è il futuro che si presenta a mani vuote. Il verbo dell'attesa, poi, è attendere: è verbo di trazione, ha forza di tensione, è freccia d'arco puntata, agguato sul punto d'accadere. È, pure, verbo di desiderio, identica semantica della speranza. In spagnolo "attendere" si dice esperar: in fondo aspettare è anche sperare. L'avvento è, dunque, stagione del desiderio: desiderare è allargare a più-non-posso il cuore, svuotare fino in fondo la sacca, cercare di fare più spazio possibile all'oggetto del desiderio. Quando il mio desiderio s'avvererà – apparendomi sotto forma dell'oggetto sognato – più il mio contenitore è vuoto, più-desiderio potrà contenere. A forza di desiderare, mi sono allenato a migliorare la mia capacità di portata. Che è l'esatto contrario di chi dice che aspettare è tempo-perso: «Aspettare è ancora un'occupazione. È non aspettare niente che è terribile» (C. Pavese). Aspettare il desiderato, quello che, guarda caso, «voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino». Arriva quando arriva.
Nel frattempo – c'è qualcosa di più triste del non aver avuto un'occasione: è averla avuta e non essere stati capaci di coglierla – non resta che il mestiere dell'attesa: «Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!» Vegliare è verbo che affatica: occhiaie smunte, ossa stanche, schiena spossata. È restare svegli nel mentre tutt'intorno si dorme, crederci quando più nessuno lo fa, stare in attesa quando l'amore ritarda. E' correre il rischio d'apparire così folli da farsi ridere dietro dal mondo intelligente: "A che serve attendere? - dice quel delinquente di Lucifero – I cristiani hanno tanto tempo da perdere". Non capisce, citrullo come è per natura, che senza l'attesa la sorpresa diventa noia, lo stupore tramuta in abitudine, l'amore in volersi-bene. Perché, se non sto-in-attesa così a lungo - da sentire gli occhi che bruciano, le ginocchia che scricchiolano, il cuore che batte – rischio di fare la fine dei cittadini di Betlemme, proprio nella notte della grande attesa: dicevano tutti d'attendere il Messia, ma quando passò loro così vicino da chiedere "Permesso, posso entrare", per Lui non c'era posto. Posto, invece, ce n'era in abbondanza. Non gli fecero posto perché, pur attendendolo, non furono capaci di riconoscerlo. Peccarono di desiderio: stanchi d'attenderlo, quando Lui passò molto-vicino, fecero una svista, peccarono di vista. Sfuggì ai loro occhi.
L'accolsero gli animali, con i loro pastori: bestie e mestieri tutti d'attesa. "In attesa" è segnaletica d'avvento, annunciazione di arrivo-in-corso: «Vegliate!» È la logica del mio porta-ombrelli: "Attendo. Arriverà anche il mio turno!" (Amen)

Fonte:www.sullastradadiemmaus.it/sezioni-del-sito/vangelo

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