αποφθεγμα Apoftegma
Nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle sole parole.
Filippo fa a Natanaele un invito significativo: "Vieni e vedi!".
La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva:
la testimonianza altrui è certamente importante,
poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia
con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni.
Ma poi dobbiamo essere noi stessi
a venir coinvolti personalmente in una relazione
intima e profonda con Gesù.
Benedetto XVI
L'ANNUNCIO
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,45-51.
Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret».
Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».
Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».
Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!».
Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».
GESU' CI CONOSCE NELL'INTIMO AMANDO IN NOI LA SUA IMMAGINE PER RIDESTARLA E FARLA SPLENDERE DINANZI AL MONDO
"Come mi conosci?". Che non è solo chiedere a Gesù come faccia a conoscerci, ma è molto di più: in che modo mi conosci? "Come il Padre ha amato me anche io ho amato voi". C'è un "come" unico e irripetibile, la forma concreta con la quale il Signore ci ama. Ciascuno di noi è diverso, non vi è una persona identica all'altra; così, come seguendo il sentiero intricato delle nostre impronte digitali, Gesù ci ama. Si inerpica nelle asperità del carattere, scende nei precipizi dei cambi di umore, si ferma laddove cadiamo. Gesù ha amato Natanaele "vedendolo prima" di ogni altro. Così anche ciascuno di noi è amato da Lui in una forma originale, perché ci ha visto quando e dove nessuno poteva vederci. Ci ha visto ancor "prima di essere chiamati". Come accadde per Isaia, per Geremia e per San Paolo, Dio ci ha "conosciuti" perché i suoi occhi ci hanno "visto ancor prima" di essere formati nel grembo materno, quando eravamo ancora informi. Il suo amore precede ogni nostra scelta, ogni pensiero e ogni attitudine, ogni gesto buono o malvagio. Il suo amore non dipende da noi! Lui ci ha amati da sempre perché, come Natanaele, ci ha "visti senza falsità". Ma come, siamo falsi e ipocriti, sempre dissimulando la parte meno nobile di noi stessi... Siamo peccatori, e ogni peccato sorge dal demonio, il padre della menzogna, e il Signore ci "vede senza malizia"? Si, perché ci ha "visto prima", laddove siamo stati pensati e creati dal Padre. Ci ha "visti sotto il fico": è il luogo dove i rabbini studiavano la Torah; ma il fico, in Osea 9,10, era anche il simbolo di Israele. Israele, che significa forte con Dio, nasce sotto il fico, nell'ascolto e nell'accoglienza docile della Parola di Dio. Israele diviene esso stesso Parola, il segno della presenza di Dio nella storia. Tutti noi, dice San Giovanni, siamo stati creati per mezzo del Verbo - della Parola - e in Lui sussistiamo e ci muoviamo. Ecco, Gesù ha visto Natanaele mentre veniva creato, pensato e intessuto nel seno di sua madre, attraverso la forza della Parola. Natanaele è apparso ed è venuto al mondo ascoltando la Parola. Non può esserci malizia e falsità in chi è stato creato nella Parola della Verità. Poi è venuta la menzogna, certo, e il peccato originale. Ma ancor più in origine, per così dire, vi è la Torah che ha tratto Natanaele e ciascuno di noi alla vita. In questo istante Gesù lo ha visto e ci ha visto, "prima" di peccare, e "prima" anche di essere chiamato nella Chiesa, ad essere padre, madre, prete o suora; "prima" di qualsiasi chiamata vi è la Parola che ci ha creato: in quell'istante Gesù ha posato il suo sguardo su di noi e ci ha "giudicato" puri, senza il veleno della menzogna. E quello sguardo Gesù ha conservato sino ad oggi, nonostante i nostri peccati. Lui ci vede come nessuno può vederci, neanche nostra madre, nostro marito, nessuno. Per questo va alla ricerca della pecora perduta: perché per Gesù non esistono persone malvagie, da scartare, senza speranza. Ai suoi occhi e vi sono solo persone che hanno perduto la memoria della loro identità, della casa paterna, della Parola d'amore che le ha create. Esistono solo persone che" erano sotto il fico".
E' questa l'origine di ciascuno di noi, dove siamo stati guardati con amore da Dio. Ogni esperienza successiva ha graffiato questa primitiva, e il dolore forse ha contribuito all'oblio. Ma l'esperienza di come e da chi siamo stati amati e generati esiste, non è stata cancellata. Dentro di noi vi è come un'eco che risuona senza interruzione, ora più flebile, ora più veemente. Ma è proprio questa memoria che innerva le nostre giornate, e ci getta alla ricerca della nostra origine, in tutto quello che facciamo. Cerchiamo ovunque e in tutti l'amore che ci ha generato... Per questo Natanaele, anche se in un primo momento, all'udire di Gesù, oppone i criteri della carne, il frutto della propria esperienza, non rimane in essi. Si muove invece, accogliendo l'invito di Filippo. Qualcosa l'ha fatto oltrepassare la barriera della natura e lo ha sospinto ad "andare e vedere". Lo stesso può accadere per noi. Il desiderio di essere amati per quello che siamo ci sospinge sempre, ad "andare e vedere". Siamo un po' come giocatori di poker, e, per questo, molte volte siamo caduti nel bluff de demonio. Ma ancora una volta, oggi, il Signore viene alla nostra vita, attraverso un fratello, un catechista, un sacerdote, e ci annuncia il suo amore. Non dobbiamo far altro che obbedire e "andare e vedere". E' fondamentale l'andare: senza il movimento che ci fa uscire da noi stessi è impossibile poi vedere. E' necessario aprire il cuore, fosse anche di un millimetro, e muoversi per uscire dalle certezze, dal pensiero che "da Nazaret non può venire nulla di buono". Forse sino ad oggi non abbiamo ottenuto quello che abbiamo chiesto; forse il matrimonio continua a far acqua; forse il figlio è andato solo peggiorando seguendo amicizie cattive; forse davvero oggi tutto ci dice che "da Nazaret non è mai venuto nulla di buono", perché Gesù o è sordo o è impotente dinanzi alle nostre sofferenze. Ma oggi il Signore viene di nuovo a sfiorare il profondo del nostro cuore, e il suo sguardo torna nella parte limpida e incontaminata della nostra anima. E ci attira a Lui, a consegnare noi stessi al suo amore. Scopriremo che nessuno ci ha mai amato come Lui; "andando" verso di Lui, "vedremo" noi stessi come da Lui siamo guardati, e nulla potrà mai più essere come prima. Come è accaduto per Natanaele, sperimenteremo che, amati da sempre, è del tutto irrilevante stare a guardarci dentro cercando perché abbiamo peccato, da dove viene la nostra sofferenze o qual'è l'origine del nostro fallimento. Prima di tutto c'era il suo amore. Tornando ad esso, anche i peccati, i macelli, i fallimenti che gli sono successivi, acquistano una fisionomia diversa. Non sono altro che l'esperienza della vanità di tutto quello che non è figlio del suo amore. Vedremo, come Natanaele, "i cieli aperti" e "li angeli scendere e salire su Gesù". Ciò significa che i "cieli si aprono" per noi laddove incontriamo il Signore e sperimentiamo il suo amore infinito e "prima" di tutto; la terra dove abitiamo diviene allora, come fu per Giacobbe, un luogo santo e tutto - matrimonio, lavoro, malattie - acquista una luce nuova. In tutto possiamo vedere scendere il Cielo e tutto salire nel Regno eterno. Tutta la nostra vita è una chiamata ad andare a vedere. Ci chiama la moglie quando è stanca e nervosa; ci chiama il marito depresso; ci chiama il figlio che va male a scuola; tutto ci chiama per farci uscire da noi stessi e andare per vedere l'amore di Dio che ci ha dato la vita. Questa è l'unica forma di vita senza malizia e falsità: rischiare ogni giorno il proprio "io" per vedere un Tu capace di colmare la propria vita, perché "Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, ma ci rende buoni e belli perché ci ama" (san Bernardo).
Nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle sole parole.
Filippo fa a Natanaele un invito significativo: "Vieni e vedi!".
La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva:
la testimonianza altrui è certamente importante,
poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia
con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni.
Ma poi dobbiamo essere noi stessi
a venir coinvolti personalmente in una relazione
intima e profonda con Gesù.
Benedetto XVI
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,45-51.
Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret».
Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».
Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».
Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!».
Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».
GESU' CI CONOSCE NELL'INTIMO AMANDO IN NOI LA SUA IMMAGINE PER RIDESTARLA E FARLA SPLENDERE DINANZI AL MONDO
"Come mi conosci?". Che non è solo chiedere a Gesù come faccia a conoscerci, ma è molto di più: in che modo mi conosci? "Come il Padre ha amato me anche io ho amato voi". C'è un "come" unico e irripetibile, la forma concreta con la quale il Signore ci ama. Ciascuno di noi è diverso, non vi è una persona identica all'altra; così, come seguendo il sentiero intricato delle nostre impronte digitali, Gesù ci ama. Si inerpica nelle asperità del carattere, scende nei precipizi dei cambi di umore, si ferma laddove cadiamo. Gesù ha amato Natanaele "vedendolo prima" di ogni altro. Così anche ciascuno di noi è amato da Lui in una forma originale, perché ci ha visto quando e dove nessuno poteva vederci. Ci ha visto ancor "prima di essere chiamati". Come accadde per Isaia, per Geremia e per San Paolo, Dio ci ha "conosciuti" perché i suoi occhi ci hanno "visto ancor prima" di essere formati nel grembo materno, quando eravamo ancora informi. Il suo amore precede ogni nostra scelta, ogni pensiero e ogni attitudine, ogni gesto buono o malvagio. Il suo amore non dipende da noi! Lui ci ha amati da sempre perché, come Natanaele, ci ha "visti senza falsità". Ma come, siamo falsi e ipocriti, sempre dissimulando la parte meno nobile di noi stessi... Siamo peccatori, e ogni peccato sorge dal demonio, il padre della menzogna, e il Signore ci "vede senza malizia"? Si, perché ci ha "visto prima", laddove siamo stati pensati e creati dal Padre. Ci ha "visti sotto il fico": è il luogo dove i rabbini studiavano la Torah; ma il fico, in Osea 9,10, era anche il simbolo di Israele. Israele, che significa forte con Dio, nasce sotto il fico, nell'ascolto e nell'accoglienza docile della Parola di Dio. Israele diviene esso stesso Parola, il segno della presenza di Dio nella storia. Tutti noi, dice San Giovanni, siamo stati creati per mezzo del Verbo - della Parola - e in Lui sussistiamo e ci muoviamo. Ecco, Gesù ha visto Natanaele mentre veniva creato, pensato e intessuto nel seno di sua madre, attraverso la forza della Parola. Natanaele è apparso ed è venuto al mondo ascoltando la Parola. Non può esserci malizia e falsità in chi è stato creato nella Parola della Verità. Poi è venuta la menzogna, certo, e il peccato originale. Ma ancor più in origine, per così dire, vi è la Torah che ha tratto Natanaele e ciascuno di noi alla vita. In questo istante Gesù lo ha visto e ci ha visto, "prima" di peccare, e "prima" anche di essere chiamato nella Chiesa, ad essere padre, madre, prete o suora; "prima" di qualsiasi chiamata vi è la Parola che ci ha creato: in quell'istante Gesù ha posato il suo sguardo su di noi e ci ha "giudicato" puri, senza il veleno della menzogna. E quello sguardo Gesù ha conservato sino ad oggi, nonostante i nostri peccati. Lui ci vede come nessuno può vederci, neanche nostra madre, nostro marito, nessuno. Per questo va alla ricerca della pecora perduta: perché per Gesù non esistono persone malvagie, da scartare, senza speranza. Ai suoi occhi e vi sono solo persone che hanno perduto la memoria della loro identità, della casa paterna, della Parola d'amore che le ha create. Esistono solo persone che" erano sotto il fico".
E' questa l'origine di ciascuno di noi, dove siamo stati guardati con amore da Dio. Ogni esperienza successiva ha graffiato questa primitiva, e il dolore forse ha contribuito all'oblio. Ma l'esperienza di come e da chi siamo stati amati e generati esiste, non è stata cancellata. Dentro di noi vi è come un'eco che risuona senza interruzione, ora più flebile, ora più veemente. Ma è proprio questa memoria che innerva le nostre giornate, e ci getta alla ricerca della nostra origine, in tutto quello che facciamo. Cerchiamo ovunque e in tutti l'amore che ci ha generato... Per questo Natanaele, anche se in un primo momento, all'udire di Gesù, oppone i criteri della carne, il frutto della propria esperienza, non rimane in essi. Si muove invece, accogliendo l'invito di Filippo. Qualcosa l'ha fatto oltrepassare la barriera della natura e lo ha sospinto ad "andare e vedere". Lo stesso può accadere per noi. Il desiderio di essere amati per quello che siamo ci sospinge sempre, ad "andare e vedere". Siamo un po' come giocatori di poker, e, per questo, molte volte siamo caduti nel bluff de demonio. Ma ancora una volta, oggi, il Signore viene alla nostra vita, attraverso un fratello, un catechista, un sacerdote, e ci annuncia il suo amore. Non dobbiamo far altro che obbedire e "andare e vedere". E' fondamentale l'andare: senza il movimento che ci fa uscire da noi stessi è impossibile poi vedere. E' necessario aprire il cuore, fosse anche di un millimetro, e muoversi per uscire dalle certezze, dal pensiero che "da Nazaret non può venire nulla di buono". Forse sino ad oggi non abbiamo ottenuto quello che abbiamo chiesto; forse il matrimonio continua a far acqua; forse il figlio è andato solo peggiorando seguendo amicizie cattive; forse davvero oggi tutto ci dice che "da Nazaret non è mai venuto nulla di buono", perché Gesù o è sordo o è impotente dinanzi alle nostre sofferenze. Ma oggi il Signore viene di nuovo a sfiorare il profondo del nostro cuore, e il suo sguardo torna nella parte limpida e incontaminata della nostra anima. E ci attira a Lui, a consegnare noi stessi al suo amore. Scopriremo che nessuno ci ha mai amato come Lui; "andando" verso di Lui, "vedremo" noi stessi come da Lui siamo guardati, e nulla potrà mai più essere come prima. Come è accaduto per Natanaele, sperimenteremo che, amati da sempre, è del tutto irrilevante stare a guardarci dentro cercando perché abbiamo peccato, da dove viene la nostra sofferenze o qual'è l'origine del nostro fallimento. Prima di tutto c'era il suo amore. Tornando ad esso, anche i peccati, i macelli, i fallimenti che gli sono successivi, acquistano una fisionomia diversa. Non sono altro che l'esperienza della vanità di tutto quello che non è figlio del suo amore. Vedremo, come Natanaele, "i cieli aperti" e "li angeli scendere e salire su Gesù". Ciò significa che i "cieli si aprono" per noi laddove incontriamo il Signore e sperimentiamo il suo amore infinito e "prima" di tutto; la terra dove abitiamo diviene allora, come fu per Giacobbe, un luogo santo e tutto - matrimonio, lavoro, malattie - acquista una luce nuova. In tutto possiamo vedere scendere il Cielo e tutto salire nel Regno eterno. Tutta la nostra vita è una chiamata ad andare a vedere. Ci chiama la moglie quando è stanca e nervosa; ci chiama il marito depresso; ci chiama il figlio che va male a scuola; tutto ci chiama per farci uscire da noi stessi e andare per vedere l'amore di Dio che ci ha dato la vita. Questa è l'unica forma di vita senza malizia e falsità: rischiare ogni giorno il proprio "io" per vedere un Tu capace di colmare la propria vita, perché "Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, ma ci rende buoni e belli perché ci ama" (san Bernardo).
vangelodelgiorno.blogspot.it/
Giovedì della XXI settimana del Tempo Ordinario
αποφθεγμα Apoftegma
Poiché questa notte luminosa
in cui lo splendore delle fiaccole si confonde coi raggi del sol levante,
diventa un giorno continuo,
non più frammezzato dalle tenebre,
comprendiamo fratelli come si avveri in essa la profezia che dice:
È questo il giorno fatto dal Signore”.
Gregorio di Nissa
L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 24,42-51
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
DESTATI DALL'AMORE PER NASCERE OGNI GIORNO NELLA VITA NUOVA CHE CI CONSEGNA AL FRATELLO
"Vegliare, stare pronti": con la parabola di oggi il Signore ci svela quale sia l"agire" dei cristiani, il loro atteggiamento fondamentale nella vita. Che significa? Non dormire? Non proprio, visto che nella parabola delle dieci vergini si addormentano tutte. E' qualcosa di più profondo, e dobbiamo andare al Cantico dei Cantici: "Quando dormivo ma il mio cuore vegliava". Ecco, la Chiesa è l'amata che attende l'Amato. "Vegliare" è attendere il Signore, istante dopo istante. Il "cuore" che "veglia", infatti, è un cuore innamorato. E' l'intimo di chi ha conosciuto l'amore di Cristo che guarda sempre la sua amata come "la sua perfetta", anche se è un cumulo di difetti e peccati. E lì, nel cuore, decide il bene, desidera compiere la volontà di Dio, per questo "veglia" in attesa dell'occasione per unirsi a Lui; è sempre "pronto" a salire sulla Croce che la storia gli presenta, perché vi riconosce il letto d'amore dove consumare le nozze con lo Sposo. Chi "agisce così" nel cuore è un "servo prudente e fidato" perché non ha altro pensiero che Cristo, il "suo Signore". Ma Gesù è davvero il mio Signore? E' il Signore "nostro", della nostra comunità, della nostra parrocchia? Oppure è un "ladro" che viene a prendere ciò che è mio? "Cerchiamo di capire questo": se qualcuno ti chiede un briciolo del tuo tempo così prezioso? Non diciamo se ti chiede un prestito di denaro, o la macchina... E se ti trovi investito da un'ingiustizia, se scopri di essere malato, se tuo figlio è aggredito dalla leucemia? Non è proprio questo che attendi oggi, vero? Non per questo "vegli" e ti "tieni pronto"... Chiedi a tua figlia che cosa o chi stia aspettando. Ammesso che riesca ad alzare lo sguardo dal cellulare, ti guarderà stralunata, come uscendo da un sogno, e i suoi occhi ti pianteranno in faccia un bel: "ma che stai a dì"? Non ci ha mai pensato, non è un problema suo. Lei vive questo attimo totalizzante, fatto di presenze, parole, immagini virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio. Per questo non può soffrire, non può sacrificarsi; per questo non studia, non aiuta in casa, non si accorge e non si preoccupa di ciò che le accade a cinque centimetri. E' un'egoista totale, strangolata dall'io e dai suoi capricci, perché il demonio, attraverso il mondo che frequenta, le ha stretto le mani al collo, senza che se ne accorgesse, facendola precipitare in una "notte" senza luce. E' diventata una "figlia delle tenebre", cioè come un "padrone di casa" che "non sa a quale ora della notte viene il ladro" e per questo scivola superficialmente sui giorni. Il demonio, infatti, l'ha convinta che non c'è nessun "ladro" di cui aver paura, perché, essendo dio, ha la sua vita nelle mani e nessuno potrà strappargliela. Proprio come il Libro della Sapienza (cap. 17; leggilo qui) descrive gli egiziani nella notte della Pasqua. Tua figlia, come te e me, come questa generazione, siamo tutti idolatri e adulteri, "tutti legati dalla stessa catena di tenebre", e per questo "intorpiditi da un medesimo sonno"; "credendo di restar nascosti con i nostri peccati segreti, sotto il velo opaco dell'oblio, siamo stati "colpiti da spavento terribile e agitati da fantasmi mostruosi, paralizzati per l'abbattimento dell'anima". Così, "sorpresi" dagli eventi della storia, "cadiamo sotto la necessità ineluttabile". Sì, quando arriva il "ladro" non possiamo far nulla, solo imprecare e maledire, deprimerci e cercare di sfuggire spaventati, oppressi dall'ineluttabilità che ci perseguita ovunque. Per questo arriviamo anche a "percuotere i nostri compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi". La paura genera sempre l'impazienza. Attento con tuo figlio, attento; senza accorgertene stai covando un mostro di egoismo: non lasciarlo in preda della "notte" con la sola luce del display del suo smartphone. Infilato nella rete virtuale alla fine crederà che tutto nella vita è a portata di touch... E quando scoprirà che non è così non farà altro che bastonare gli amici, esigere da loro che nutrano il suo orgoglio, e di drogherà, berrà, passerà da un letto all'altro, senza saziarsi mai. Come anche noi, che, frustrate le nostre concupiscenze mascherate da belle speranze, "pensiamo nel cuore che Egli stia ritardando", che non gli importa di noi, e per questo abbiamo smesso di "vegliare".
Ma fratelli, quella stessa "notte" che ha atterrito gli egiziani, è la "notte in cui Dio ha liberato i figli di Israele nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li ha fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. E' la notte che salva su tutta la terra i credenti in Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra nell’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro" (Exultet di Pasqua). La "notte" nella quale ci siamo infilati sedotti dal principe delle tenebre è quella nella quale il nostro uomo vecchio schiavo in Egitto precipita nel mare del battesimo insieme ai cavalli e ai cavalieri del faraone. Questa "notte" è quella in cui Dio lo "punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti": coraggio, perché se davvero lo desideriamo, quel peccato che ci ha incatenato all'infedeltà e alla stoltezza sarò gettato dove "sarà pianto e stridore di denti", e, come gli egiziani affogati nel mare, "non lo rivedremo mai più". Questa "notte" che ci ha risucchiato nella paura della morte che abbiamo cercato di far tacere addormentandoci nei peccati è la "notte beata" che ha "meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". Oggi possiamo sperimentare "il santo mistero di questa notte" che "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti". Tutto questo significa lasciare che il Mistero Pasquale del Signore giunga di nuovo a noi attraverso la Chiesa; ascoltare questa Parola come una Buona Notizia che mi riguarda, accogliendola nel cuore perché abbia il potere di compiere ciò che annuncia; accostarci ai sacramenti che realizzano in noi il Mistero che trasforma la "notte" di morte in un'alba di luce che non muore, che fa di un "figlio delle tenebre" oppresso dal sonno del cuore, un "figlio della luce" innamorato dello Sposo che attende con perseveranza. Fratelli, la "notte" nella quale stiamo vivendo è la "notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore" sulla Croce gloriosa del suo Figlio diletto. E' la "notte" che ci desta dal sonno della morte e ci fa "beati", perché il Vangelo oggi ci dice che la "beatitudine" consiste nel "vegliare", "agendo" con "prudenza e fedeltà", cioè con sapienza e amore, adempiendo l'"incarico" che è stato affidato. Allora, accogliamo oggi Cristo, lo Sposo che per noi si è fatto "servo fedele e prudente" "spogliando se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Kyrios, il Signore, a gloria di Dio Padre". "Servo" e "Signore" sono proprio i due termini che appaiono nel Vangelo di oggi: chi ha sperimentato l'amore sino alla fine del "Servo" che, chinandosi sin dentro la propria "notte" lo ha innalzato con Lui nella sua Signoria, seguirà nella sua vita le sue orme. Sarà cioè un "servo" che "obbedirà" ed entrerà "umilmente" nella "morte di croce" che la storia gli presenterà. Così, e solo così, anche noi parteciperemo della Signoria di Cristo, saremo cioè "kyrios", "signori" che hanno in sè il potere di consegnare la propria vita come "cibo". Fratelli, la vita ci è data come un "incarico" d'amore con il quale dare pienezza e compimento al tempo. Ci hai mai pensato? L'amore è un incarico che si realizza distendendo le braccia sulla Croce; solo così potremo unirci al "Servo", accogliere in noi la sua vita, e così, risorti, siamo "messi a capo dei domestici del Signore per dare loro il cibo a suo tempo", esattamente come è accaduto, guarda caso sul far della notte, quando Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci. L'amore ci trasforma in "servi" che "moltiplicano" l'amore riversato in loro perché divenga "cibo" da dare ai "domestici", cioè alle persone affidate a ciascuno di noi. C'è un "tempo" favorevole per donare se stessi, un "kairos" che solo un cuore innamorato sa discernere, perché l'amore è riversato in esso per mezzo dello Spirito Santo che fiuta nelle persone e negli eventi il profumo di Cristo. Per questo Gesù dice che tornerà "quando meno ce lo aspettiamo": è tipico dello Sposo che vuole accendere, far crescere e tenere vivo in noi l'amore. Il "cuore" della sposa, infatti, "veglia" anche "mentre dorme". Per divenire "servi prudenti e fedeli" dobbiamo camminare dietro a Cristo come la Sposa del Cantico dei Cantici: imparare a udire il "Diletto che bussa", che "mette la mano nel chiavistello della porta" del nostro cuore; sentire "palpitare le viscere", la sede dell'angoscia e della compassione, e "alzarsi per aprire all'Amato" e sentire le "mani impregnarsi di mirra", quella di prima qualità con la quale fu unto il corpo di Gesù; sì, dobbiamo sperimentare il suo amore crocifisso per noi sino a che esso fluisca sulle nostre mani schiudendole ai chiodi che la storia ci prepara. Dobbiamo crescere nella fede fratelli, e si cresce solo camminando sulle orme dell'Amato, sino ad "incontrarlo e a non lasciarlo mai" più nelle nozze eterne con Lui. E' il destino che ci attende in Cielo e che cominciamo a pregustare sulla terra, ovvero la "beatitudine" celeste dell'"amministratore di tutti i suoi beni", partecipando cioè della sua vita immortale.
L'ANNUNCIO |
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
DESTATI DALL'AMORE PER NASCERE OGNI GIORNO NELLA VITA NUOVA CHE CI CONSEGNA AL FRATELLO
"Vegliare, stare pronti": con la parabola di oggi il Signore ci svela quale sia l"agire" dei cristiani, il loro atteggiamento fondamentale nella vita. Che significa? Non dormire? Non proprio, visto che nella parabola delle dieci vergini si addormentano tutte. E' qualcosa di più profondo, e dobbiamo andare al Cantico dei Cantici: "Quando dormivo ma il mio cuore vegliava". Ecco, la Chiesa è l'amata che attende l'Amato. "Vegliare" è attendere il Signore, istante dopo istante. Il "cuore" che "veglia", infatti, è un cuore innamorato. E' l'intimo di chi ha conosciuto l'amore di Cristo che guarda sempre la sua amata come "la sua perfetta", anche se è un cumulo di difetti e peccati. E lì, nel cuore, decide il bene, desidera compiere la volontà di Dio, per questo "veglia" in attesa dell'occasione per unirsi a Lui; è sempre "pronto" a salire sulla Croce che la storia gli presenta, perché vi riconosce il letto d'amore dove consumare le nozze con lo Sposo. Chi "agisce così" nel cuore è un "servo prudente e fidato" perché non ha altro pensiero che Cristo, il "suo Signore". Ma Gesù è davvero il mio Signore? E' il Signore "nostro", della nostra comunità, della nostra parrocchia? Oppure è un "ladro" che viene a prendere ciò che è mio? "Cerchiamo di capire questo": se qualcuno ti chiede un briciolo del tuo tempo così prezioso? Non diciamo se ti chiede un prestito di denaro, o la macchina... E se ti trovi investito da un'ingiustizia, se scopri di essere malato, se tuo figlio è aggredito dalla leucemia? Non è proprio questo che attendi oggi, vero? Non per questo "vegli" e ti "tieni pronto"... Chiedi a tua figlia che cosa o chi stia aspettando. Ammesso che riesca ad alzare lo sguardo dal cellulare, ti guarderà stralunata, come uscendo da un sogno, e i suoi occhi ti pianteranno in faccia un bel: "ma che stai a dì"? Non ci ha mai pensato, non è un problema suo. Lei vive questo attimo totalizzante, fatto di presenze, parole, immagini virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio. Per questo non può soffrire, non può sacrificarsi; per questo non studia, non aiuta in casa, non si accorge e non si preoccupa di ciò che le accade a cinque centimetri. E' un'egoista totale, strangolata dall'io e dai suoi capricci, perché il demonio, attraverso il mondo che frequenta, le ha stretto le mani al collo, senza che se ne accorgesse, facendola precipitare in una "notte" senza luce. E' diventata una "figlia delle tenebre", cioè come un "padrone di casa" che "non sa a quale ora della notte viene il ladro" e per questo scivola superficialmente sui giorni. Il demonio, infatti, l'ha convinta che non c'è nessun "ladro" di cui aver paura, perché, essendo dio, ha la sua vita nelle mani e nessuno potrà strappargliela. Proprio come il Libro della Sapienza (cap. 17; leggilo qui) descrive gli egiziani nella notte della Pasqua. Tua figlia, come te e me, come questa generazione, siamo tutti idolatri e adulteri, "tutti legati dalla stessa catena di tenebre", e per questo "intorpiditi da un medesimo sonno"; "credendo di restar nascosti con i nostri peccati segreti, sotto il velo opaco dell'oblio, siamo stati "colpiti da spavento terribile e agitati da fantasmi mostruosi, paralizzati per l'abbattimento dell'anima". Così, "sorpresi" dagli eventi della storia, "cadiamo sotto la necessità ineluttabile". Sì, quando arriva il "ladro" non possiamo far nulla, solo imprecare e maledire, deprimerci e cercare di sfuggire spaventati, oppressi dall'ineluttabilità che ci perseguita ovunque. Per questo arriviamo anche a "percuotere i nostri compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi". La paura genera sempre l'impazienza. Attento con tuo figlio, attento; senza accorgertene stai covando un mostro di egoismo: non lasciarlo in preda della "notte" con la sola luce del display del suo smartphone. Infilato nella rete virtuale alla fine crederà che tutto nella vita è a portata di touch... E quando scoprirà che non è così non farà altro che bastonare gli amici, esigere da loro che nutrano il suo orgoglio, e di drogherà, berrà, passerà da un letto all'altro, senza saziarsi mai. Come anche noi, che, frustrate le nostre concupiscenze mascherate da belle speranze, "pensiamo nel cuore che Egli stia ritardando", che non gli importa di noi, e per questo abbiamo smesso di "vegliare".
Ma fratelli, quella stessa "notte" che ha atterrito gli egiziani, è la "notte in cui Dio ha liberato i figli di Israele nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li ha fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. E' la notte che salva su tutta la terra i credenti in Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra nell’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro" (Exultet di Pasqua). La "notte" nella quale ci siamo infilati sedotti dal principe delle tenebre è quella nella quale il nostro uomo vecchio schiavo in Egitto precipita nel mare del battesimo insieme ai cavalli e ai cavalieri del faraone. Questa "notte" è quella in cui Dio lo "punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti": coraggio, perché se davvero lo desideriamo, quel peccato che ci ha incatenato all'infedeltà e alla stoltezza sarò gettato dove "sarà pianto e stridore di denti", e, come gli egiziani affogati nel mare, "non lo rivedremo mai più". Questa "notte" che ci ha risucchiato nella paura della morte che abbiamo cercato di far tacere addormentandoci nei peccati è la "notte beata" che ha "meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". Oggi possiamo sperimentare "il santo mistero di questa notte" che "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti". Tutto questo significa lasciare che il Mistero Pasquale del Signore giunga di nuovo a noi attraverso la Chiesa; ascoltare questa Parola come una Buona Notizia che mi riguarda, accogliendola nel cuore perché abbia il potere di compiere ciò che annuncia; accostarci ai sacramenti che realizzano in noi il Mistero che trasforma la "notte" di morte in un'alba di luce che non muore, che fa di un "figlio delle tenebre" oppresso dal sonno del cuore, un "figlio della luce" innamorato dello Sposo che attende con perseveranza. Fratelli, la "notte" nella quale stiamo vivendo è la "notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore" sulla Croce gloriosa del suo Figlio diletto. E' la "notte" che ci desta dal sonno della morte e ci fa "beati", perché il Vangelo oggi ci dice che la "beatitudine" consiste nel "vegliare", "agendo" con "prudenza e fedeltà", cioè con sapienza e amore, adempiendo l'"incarico" che è stato affidato. Allora, accogliamo oggi Cristo, lo Sposo che per noi si è fatto "servo fedele e prudente" "spogliando se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Kyrios, il Signore, a gloria di Dio Padre". "Servo" e "Signore" sono proprio i due termini che appaiono nel Vangelo di oggi: chi ha sperimentato l'amore sino alla fine del "Servo" che, chinandosi sin dentro la propria "notte" lo ha innalzato con Lui nella sua Signoria, seguirà nella sua vita le sue orme. Sarà cioè un "servo" che "obbedirà" ed entrerà "umilmente" nella "morte di croce" che la storia gli presenterà. Così, e solo così, anche noi parteciperemo della Signoria di Cristo, saremo cioè "kyrios", "signori" che hanno in sè il potere di consegnare la propria vita come "cibo". Fratelli, la vita ci è data come un "incarico" d'amore con il quale dare pienezza e compimento al tempo. Ci hai mai pensato? L'amore è un incarico che si realizza distendendo le braccia sulla Croce; solo così potremo unirci al "Servo", accogliere in noi la sua vita, e così, risorti, siamo "messi a capo dei domestici del Signore per dare loro il cibo a suo tempo", esattamente come è accaduto, guarda caso sul far della notte, quando Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci. L'amore ci trasforma in "servi" che "moltiplicano" l'amore riversato in loro perché divenga "cibo" da dare ai "domestici", cioè alle persone affidate a ciascuno di noi. C'è un "tempo" favorevole per donare se stessi, un "kairos" che solo un cuore innamorato sa discernere, perché l'amore è riversato in esso per mezzo dello Spirito Santo che fiuta nelle persone e negli eventi il profumo di Cristo. Per questo Gesù dice che tornerà "quando meno ce lo aspettiamo": è tipico dello Sposo che vuole accendere, far crescere e tenere vivo in noi l'amore. Il "cuore" della sposa, infatti, "veglia" anche "mentre dorme". Per divenire "servi prudenti e fedeli" dobbiamo camminare dietro a Cristo come la Sposa del Cantico dei Cantici: imparare a udire il "Diletto che bussa", che "mette la mano nel chiavistello della porta" del nostro cuore; sentire "palpitare le viscere", la sede dell'angoscia e della compassione, e "alzarsi per aprire all'Amato" e sentire le "mani impregnarsi di mirra", quella di prima qualità con la quale fu unto il corpo di Gesù; sì, dobbiamo sperimentare il suo amore crocifisso per noi sino a che esso fluisca sulle nostre mani schiudendole ai chiodi che la storia ci prepara. Dobbiamo crescere nella fede fratelli, e si cresce solo camminando sulle orme dell'Amato, sino ad "incontrarlo e a non lasciarlo mai" più nelle nozze eterne con Lui. E' il destino che ci attende in Cielo e che cominciamo a pregustare sulla terra, ovvero la "beatitudine" celeste dell'"amministratore di tutti i suoi beni", partecipando cioè della sua vita immortale.
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