Il Vangelo del Giorno
Solo un Dio che ci ama fino
a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore,
soprattutto quello innocente,
è degno di fede.
Benedetto XVI, Pasqua 2006
Dal Vangelo secondo Giovanni 11,45-57.
Molti
dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva
compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e
riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i
farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo
compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e
verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra
nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in
quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia
meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione
intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo
sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la
nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano
dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non
si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là
nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si
trattenne con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti
dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi.
Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: «Che ve
ne pare? Non verrà egli alla festa?». Intanto i sommi sacerdoti e i
farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo
denunziasse, perché essi potessero prenderlo.
COMMENTO
Una
profezia illumina il senso di tutta la vita e della missione di Gesù.
Una profezia sorta dalle labbra di chi ne decreterà la morte. Caifa e le
sue parole offrono il criterio per discernere e comprendere
l'ingiustizia più grande. Il nemico risponde alla domanda più
inquietante, quella che ha scosso il cuore di Gesù, la stessa che vibra
nel nostro intimo: perchè? Perchè questa sofferenza, perchè questa
ingiustizia? Perchè questo fallimento, questo tradimento, questa morte?
Perchè il dolore degli innocenti? "Non esiste nessun interrogativo più
incalzante per gli uomini" (Hans Urs Von Balthasar, Incontrare Cristo).
Il Vangelo di oggi, come un tesoro che brilli all'aprirsi dello
scrigno, ci rivela il segreto che colma di senso gli aspetti più bui
della nostra esistenza. Proprio chi insidia la nostra vita, chi ha
deciso di ucciderci, chi ci fa del male gratuitamente, proprio il nemico
è il profeta che illumina di giustizia l'ingiustizia; le sue parole
piene di rancore, invidia, gelosia e odio, quelle parole che decretano
la nostra fine, l'oltraggio al nostro onore, che ci umiliano
nell'insignificanza, proprio quelle parole svelano il senso nascosto nel
male che si abbatte su di noi. Il mistero di un amore che si carica del
peccato altrui, del male e della morte, per salvare, redimere,
risuscitare. "Il mistero, nessun mistero quand'è tale, ossia quando
procede dalla trascendenza di Dio che s'incontra con la finitezza
dell'intelletto umano, «divarica» la coscienza: o la ragione si rifiuta e
cade nell'ateismo cioè nel buio dell'apparente evidenza, e perciò
contraddittoria, delle apparenze oppure sale con la fede nell'apertura
della Verità incommutabile" (Cornelio Fabro).
Le labbra di Caifa dischiudono quest'apertura alla Verità incommutabile. Egli sussurra a Gesù il dovere da cui è afferrata la sua missione. Le parole di Caifa cercano e trovano quell'Uno solo che può salvare il Popolo e i Popoli di ogni tempo. La profezia di Caifa incontra l'ardente desiderio, la "santa concupiscenza" di Gesù di celebrare e compiere la sua Pasqua. L'astuzia politica, mondana, mista a gelosia, rancore, invidia del Sommo Sacerdote secondo la carne, intercettano la mitezza, la misericordia, l'amore dell'unico e autentico Sommo Sacerdote secondo lo Spirito: "A noi occorreva un tale Sommo Sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, elevato sopra i cieli... Cristo, apparso come Sommo Sacerdote dei beni futuri... non mediante il sangue di capri e vitelli, ma in virtù del proprio sangue entrò nel santuario una volta per tutte, ottenendo un riscatto eterno... quanto più il sangue di Cristo... purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivo!" (Eb. 7,26. 9,11-14). Il sangue di Gesù era proprio quello che occorreva per riunire i dispersi, perchè il Popolo potesse tornare a vivere la propria vocazione, quella per la quale era stato liberato dal giogo del Faraone: servire il Dio vivo! Il sangue di Gesù profetizzato da Caifa, voluto e ottenuto da Caifa.
E' il male stesso infatti che grida al bene di distruggerlo! E' il nemico che, uccidendo, implora alla sua vittima la grazia del perdono. Il male può solo lanciarsi verso la sua propria distruzione. Ma ha come bisogno di una roccia, di una barriera su cui infrangersi. E la trova in Cristo. Lo descrive magistralmente Peguy: "Ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li ama tanto. Quando ha messo questa barriera fra loro e me. Padre nostro che sei nei cieli, queste tre o quattro parole. Questa barriera che la mia collera e forse la mia giustizia non supereranno mai. Beato chi s’addormenta sotto la protezione dei bastioni di queste tre o quattro parole" (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). La missione del Figlio, quella di riunire ogni figlio disperso. Un solo Figlio perchè tutti tornino ad essere figli.
Per questo, nelle parole di Caifa risplende l'ultima profezia, quella decisiva. Essa riannoda il filo di tutte le altre profezie e, in poche, semplici parole che suonano come un ordine, illuminano il senso e il compimento della Storia della Salvezza. Ma i farisei e i sommi sacerdoti non avevano capito nulla, non avevano considerato bene i fatti. «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Il testo originale greco ci aiuta a comprendere: non conoscevano e non calcolavano che proprio i segni compiuti da Gesù lo stavano consegnando alle loro mani per salvare la Nazione. Non entravano in relazione (conoscevano) con quegli accadimenti al punto di tradurli in una volontà che si facesse azione concreta (considerare). Conoscere, così come considerare, stimare, per un ebreo non è mai qualcosa di semplicemente intellettuale; ogni attività del pensiero è strettamente legata all'agire. In Dio parlare significa compiere. Caifa rimprovera i farisei e gli altri sacerdoti di non saper leggere gli avvenimenti per tradurli in un progetto e compierlo. Non sanno interpretare i segni per escogitare un piano di salvezza per la Nazione. La profezia infatti sorge proprio da questo: "Il profeta non è uno che predice l'avvenire... il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro.. si tratta di rendere presente in quel momento la verità divina e di indicare il cammino da prendere. Di conseguenza la parola del profeta chiede, da una parte, di essere ascoltata e seguita, pur rimanendo parola umana, e dall'altra si appoggia alla fede e si inserisce nella struttura stessa del popolo di Israele, particolarmente in ciò che attende" (J. Ratzinger, da un'intervista a di Niels Christian Hvidt). Può sembrare scandaloso, ma Caifa ha parlato in nome di Dio, ha reso presente la verità divina e ha indicato il cammino da seguire. Ed è esattamente quello che i due verbi greci che compaiono nel testo significano. Nella profezia di Isaia "il Servo di Dio fu considerato (annoverato) fra i malfattori" (Is. 53,12), dove, nella traduzione greca dei LXX è usato lo stesso verbo pronunciato da Caifa. In questo passivo vi è la volontà di Dio, il "disegno", il "calcolo" di Dio che colpiva il Servo al posto nostro, per i nostri peccati! Dio aveva considerato bene di far ricadere su uno solo il peccato di molti: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti... ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. (Is. 53). Ed è quanto, nel vangelo di Luca, Gesù annuncia circa la sua missione: "Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori" (Lc. 22,37).
Così, quando appare Caifa nella nostra vita, occorre prestare ascolto alle sue parole. Sono la profezia che ci indica la verità divina e ci indica il cammino da seguire. Quando sull'orizzonte della nostra storia si profila l'ingiustizia ed il nemico si muove contro di noi, è il momento di ascoltare la Parola di Dio racchiusa in questi avvenimenti, pur rimanendo parola umana, nell'assurdo di un nemico che la incarna. Ma è una Parola che si appoggia alla fede e ci invita a guardare a quello che ci attende. L'ingiustizia, il nemico, il male, il dolore innocente ci profetizzano la Verità e ci mostrano il cammino che conduce al nostro autentico destino, come quello di ogni uomo. Nell'onda che ci viene incontro per travolgerci è sigillato il tesoro più prezioso, l'amore infinito di Dio che attende di farsi carne in noi per la salvezza di ogni uomo. Dobbiamo ammettere di non aver capito nulla e di non aver considerato la nostra esistenza. Non conosciamo, non accogliamo e facciamo nostra la storia che Dio ci dona, non calcoliamo le occasioni che essa ci offre. Deve compiersi in noi la stessa parola che ha dovuto compiersi in Gesù. Siamo frutto del suo riscatto, ogni nostra cellula, ogni nostro istante, tutto di noi è stato ed è bagnato dal suo sangue benedetto. Dispersi nei peccati, dissipati nei vizi, con le vite prive di senso, siamo stati riscattati dal suo amore, dalla sua vita offerta per tutti noi.
Morire per – hypér, è questo il senso primo ed ultimo della nostra vita, il valore che la sostiene e la rende feconda. E di più, offrire la vita per molti è la fonte della gioia autentica; calcolare, considerare, riconoscere negli eventi che ci contrastano, nelle ingiustizie, nel volto del nemico, nel male che ci coinvolge, la volontà di Dio preparata perchè la nostra vita dia frutto. Così ogni istante, ogni evento, ogni persona custodisce per noi la stessa profezia di Caifa. Il dolore innocente, non quello che ci coinvolge quale conseguenza dei nostri peccati, ma quello che scaturisce dalla banalità del male, trova nelle parole del Sommo Sacerdote il senso nascosto che solo la fede è capace di decifrare. La fede che nasce dall'esperienza, nella propria vita, del senso che ha avuto il sacrificio di Gesù, l'innocente che ha attirato su di sé il castigo diretto a noi colpevoli. "Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato loro il segreto del giudizio stesso E adesso ecco come mi sembrano; ecco come li vedo; Ecco come sono obbligato a vederli... E davanti allo sguardo della mia collera e davanti allo sguardo della mia giustizia. Si sono tutti nascosti dietro di lui (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). Ci siamo nascosti dietro le braccia distese del Figlio crocifisso, e da lì dietro, abbiamo incontrato lo sguardo misericordioso del Padre. Questa esperienza ci conduce a conoscere e a calcolare secondo Dio, con il suo stesso sguardo ogni evento, e a diventare, uniti a Cristo, un segno del suo amore infinito: "È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme; egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore ma ora siete tornati al pastore, e guardiano delle vostre anime" (1 Pt. 2, 21-25).
Nell'offerta di Cristo, nella sua consegna per tutti gli uomini, nel compimento misterioso di questo amore attraverso i secoli nei martiri noti e sconosciuti, nelle piaghe della Chiesa Corpo di Cristo che si carica con il peccato del mondo, nell'interminabile teoria dei piccoli fratelli e discepoli di Gesù che, silenziosamente, recano impresse le stigmate del Servo di Yahwè, ogni dolore innocente ritrova il suo senso. Nell'innocenza del Figlio consegnato alla morte, ogni sangue innocente diviene il tesoro più prezioso che vi sia su questa terra. In esso è racchiuso il sangue di Cristo, che, con ogni innocente porta sulle spalle e nella carne il peccato delle generazioni, per condurre ogni uomo al Cielo. "Che mistero la sofferenza di tanti innocenti che portano su di sé il peccato di altri, l’incesto, una violenza inaudita; quella fila di donne e bambini nudi verso la camera a gas, e quel dolore profondo di uno dei guardiani che dentro al suo cuore sentiva una voce: mettiti nella fila, e va con loro alla morte; e non sapeva da dove gli veniva… Dicono che dopo l’orrore di Auschwitz non si può più credere in Dio. No! Non è vero, Dio si è fatto uomo per prendersi Lui la sofferenza di tutti gli innocenti. È Lui l’innocente totale, l’agnello condotto al macello senza aprire bocca, colui che porta su di sé i peccati di tutti" (Kiko Arguello).
Le labbra di Caifa dischiudono quest'apertura alla Verità incommutabile. Egli sussurra a Gesù il dovere da cui è afferrata la sua missione. Le parole di Caifa cercano e trovano quell'Uno solo che può salvare il Popolo e i Popoli di ogni tempo. La profezia di Caifa incontra l'ardente desiderio, la "santa concupiscenza" di Gesù di celebrare e compiere la sua Pasqua. L'astuzia politica, mondana, mista a gelosia, rancore, invidia del Sommo Sacerdote secondo la carne, intercettano la mitezza, la misericordia, l'amore dell'unico e autentico Sommo Sacerdote secondo lo Spirito: "A noi occorreva un tale Sommo Sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, elevato sopra i cieli... Cristo, apparso come Sommo Sacerdote dei beni futuri... non mediante il sangue di capri e vitelli, ma in virtù del proprio sangue entrò nel santuario una volta per tutte, ottenendo un riscatto eterno... quanto più il sangue di Cristo... purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivo!" (Eb. 7,26. 9,11-14). Il sangue di Gesù era proprio quello che occorreva per riunire i dispersi, perchè il Popolo potesse tornare a vivere la propria vocazione, quella per la quale era stato liberato dal giogo del Faraone: servire il Dio vivo! Il sangue di Gesù profetizzato da Caifa, voluto e ottenuto da Caifa.
E' il male stesso infatti che grida al bene di distruggerlo! E' il nemico che, uccidendo, implora alla sua vittima la grazia del perdono. Il male può solo lanciarsi verso la sua propria distruzione. Ma ha come bisogno di una roccia, di una barriera su cui infrangersi. E la trova in Cristo. Lo descrive magistralmente Peguy: "Ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li ama tanto. Quando ha messo questa barriera fra loro e me. Padre nostro che sei nei cieli, queste tre o quattro parole. Questa barriera che la mia collera e forse la mia giustizia non supereranno mai. Beato chi s’addormenta sotto la protezione dei bastioni di queste tre o quattro parole" (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). La missione del Figlio, quella di riunire ogni figlio disperso. Un solo Figlio perchè tutti tornino ad essere figli.
Per questo, nelle parole di Caifa risplende l'ultima profezia, quella decisiva. Essa riannoda il filo di tutte le altre profezie e, in poche, semplici parole che suonano come un ordine, illuminano il senso e il compimento della Storia della Salvezza. Ma i farisei e i sommi sacerdoti non avevano capito nulla, non avevano considerato bene i fatti. «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Il testo originale greco ci aiuta a comprendere: non conoscevano e non calcolavano che proprio i segni compiuti da Gesù lo stavano consegnando alle loro mani per salvare la Nazione. Non entravano in relazione (conoscevano) con quegli accadimenti al punto di tradurli in una volontà che si facesse azione concreta (considerare). Conoscere, così come considerare, stimare, per un ebreo non è mai qualcosa di semplicemente intellettuale; ogni attività del pensiero è strettamente legata all'agire. In Dio parlare significa compiere. Caifa rimprovera i farisei e gli altri sacerdoti di non saper leggere gli avvenimenti per tradurli in un progetto e compierlo. Non sanno interpretare i segni per escogitare un piano di salvezza per la Nazione. La profezia infatti sorge proprio da questo: "Il profeta non è uno che predice l'avvenire... il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro.. si tratta di rendere presente in quel momento la verità divina e di indicare il cammino da prendere. Di conseguenza la parola del profeta chiede, da una parte, di essere ascoltata e seguita, pur rimanendo parola umana, e dall'altra si appoggia alla fede e si inserisce nella struttura stessa del popolo di Israele, particolarmente in ciò che attende" (J. Ratzinger, da un'intervista a di Niels Christian Hvidt). Può sembrare scandaloso, ma Caifa ha parlato in nome di Dio, ha reso presente la verità divina e ha indicato il cammino da seguire. Ed è esattamente quello che i due verbi greci che compaiono nel testo significano. Nella profezia di Isaia "il Servo di Dio fu considerato (annoverato) fra i malfattori" (Is. 53,12), dove, nella traduzione greca dei LXX è usato lo stesso verbo pronunciato da Caifa. In questo passivo vi è la volontà di Dio, il "disegno", il "calcolo" di Dio che colpiva il Servo al posto nostro, per i nostri peccati! Dio aveva considerato bene di far ricadere su uno solo il peccato di molti: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti... ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. (Is. 53). Ed è quanto, nel vangelo di Luca, Gesù annuncia circa la sua missione: "Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori" (Lc. 22,37).
Così, quando appare Caifa nella nostra vita, occorre prestare ascolto alle sue parole. Sono la profezia che ci indica la verità divina e ci indica il cammino da seguire. Quando sull'orizzonte della nostra storia si profila l'ingiustizia ed il nemico si muove contro di noi, è il momento di ascoltare la Parola di Dio racchiusa in questi avvenimenti, pur rimanendo parola umana, nell'assurdo di un nemico che la incarna. Ma è una Parola che si appoggia alla fede e ci invita a guardare a quello che ci attende. L'ingiustizia, il nemico, il male, il dolore innocente ci profetizzano la Verità e ci mostrano il cammino che conduce al nostro autentico destino, come quello di ogni uomo. Nell'onda che ci viene incontro per travolgerci è sigillato il tesoro più prezioso, l'amore infinito di Dio che attende di farsi carne in noi per la salvezza di ogni uomo. Dobbiamo ammettere di non aver capito nulla e di non aver considerato la nostra esistenza. Non conosciamo, non accogliamo e facciamo nostra la storia che Dio ci dona, non calcoliamo le occasioni che essa ci offre. Deve compiersi in noi la stessa parola che ha dovuto compiersi in Gesù. Siamo frutto del suo riscatto, ogni nostra cellula, ogni nostro istante, tutto di noi è stato ed è bagnato dal suo sangue benedetto. Dispersi nei peccati, dissipati nei vizi, con le vite prive di senso, siamo stati riscattati dal suo amore, dalla sua vita offerta per tutti noi.
Morire per – hypér, è questo il senso primo ed ultimo della nostra vita, il valore che la sostiene e la rende feconda. E di più, offrire la vita per molti è la fonte della gioia autentica; calcolare, considerare, riconoscere negli eventi che ci contrastano, nelle ingiustizie, nel volto del nemico, nel male che ci coinvolge, la volontà di Dio preparata perchè la nostra vita dia frutto. Così ogni istante, ogni evento, ogni persona custodisce per noi la stessa profezia di Caifa. Il dolore innocente, non quello che ci coinvolge quale conseguenza dei nostri peccati, ma quello che scaturisce dalla banalità del male, trova nelle parole del Sommo Sacerdote il senso nascosto che solo la fede è capace di decifrare. La fede che nasce dall'esperienza, nella propria vita, del senso che ha avuto il sacrificio di Gesù, l'innocente che ha attirato su di sé il castigo diretto a noi colpevoli. "Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato loro il segreto del giudizio stesso E adesso ecco come mi sembrano; ecco come li vedo; Ecco come sono obbligato a vederli... E davanti allo sguardo della mia collera e davanti allo sguardo della mia giustizia. Si sono tutti nascosti dietro di lui (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). Ci siamo nascosti dietro le braccia distese del Figlio crocifisso, e da lì dietro, abbiamo incontrato lo sguardo misericordioso del Padre. Questa esperienza ci conduce a conoscere e a calcolare secondo Dio, con il suo stesso sguardo ogni evento, e a diventare, uniti a Cristo, un segno del suo amore infinito: "È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme; egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore ma ora siete tornati al pastore, e guardiano delle vostre anime" (1 Pt. 2, 21-25).
Nell'offerta di Cristo, nella sua consegna per tutti gli uomini, nel compimento misterioso di questo amore attraverso i secoli nei martiri noti e sconosciuti, nelle piaghe della Chiesa Corpo di Cristo che si carica con il peccato del mondo, nell'interminabile teoria dei piccoli fratelli e discepoli di Gesù che, silenziosamente, recano impresse le stigmate del Servo di Yahwè, ogni dolore innocente ritrova il suo senso. Nell'innocenza del Figlio consegnato alla morte, ogni sangue innocente diviene il tesoro più prezioso che vi sia su questa terra. In esso è racchiuso il sangue di Cristo, che, con ogni innocente porta sulle spalle e nella carne il peccato delle generazioni, per condurre ogni uomo al Cielo. "Che mistero la sofferenza di tanti innocenti che portano su di sé il peccato di altri, l’incesto, una violenza inaudita; quella fila di donne e bambini nudi verso la camera a gas, e quel dolore profondo di uno dei guardiani che dentro al suo cuore sentiva una voce: mettiti nella fila, e va con loro alla morte; e non sapeva da dove gli veniva… Dicono che dopo l’orrore di Auschwitz non si può più credere in Dio. No! Non è vero, Dio si è fatto uomo per prendersi Lui la sofferenza di tutti gli innocenti. È Lui l’innocente totale, l’agnello condotto al macello senza aprire bocca, colui che porta su di sé i peccati di tutti" (Kiko Arguello).
C. Peguy. Da Il mistero dei santi innocenti.
Io sono il loro padre, dice Dio. Padre nostro, che sei nei cieli.
Mio figlio l’ha detto loro abbastanza, che sono il loro padre.
Io sono il loro giudice. Mio figlio l’ha detto loro. Sono anche
il loro padre.
Sono soprattutto il loro padre.
Infine sono il loro padre. Colui che è padre è soprattutto padre.
Padre nostro che sei nei Cieli. Colui che è stato una volta padre
non può più essere che padre.
Essi sono i fratelli di mio figlio; sono miei figli; sono il loro
padre.
ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li amava tanto.
Che ha vissuto tra di loro, che era uno come loro.
Che andava come loro, che parlava come loro, che viveva come loro.
Che soffriva.
Che soffrì come loro, che morì come loro.
E che li ama tanto dopo averli conosciuti.
Che ha riportato nel cielo un certo gusto dell’uomo, un certo
gusto della terra.
Mio figlio che li ha tanto amati, che li ama eternamente nel
cielo.
Ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li ama tanto.
Quando ha messo questa barriera fra loro e me. Padre nostro
che sei nei cieli, queste tre o quattro parole.
Questa barriera che la mia collera e forse la mia giustizia non
supereranno mai.
Beato chi s’addormenta sotto la protezione dei bastioni di queste
tre o quattro parole.
Queste parole che camminano davanti a ogni preghiera come
le mani di chi supplica camminano davanti alla sua faccia.
Come le due mani giunte di chi supplica avanzano davanti alla
sua faccia e alle lacrime della sua faccia.
Queste tre o quattro parole che mi vincono, me, l’invincibile.
E che loro fanno venire davanti alla loro miseria come due
mani giunte invincibili.
Queste tre o quattro parole che s’avanzano come un bello
sperone davanti a una povera nave.
E che fendono l’onda della mia collera.
E quando lo sperone è passato, la nave passa, e dietro tutta la flotta.
Adesso, dice Dio, è così che li vedo;
E per tutta l’eternità, eternamente, dice Dio.
Per questa invenzione di mio Figlio eternamente è così che
bisogna che io li veda.
(E che bisogna che io li giudichi. Come volete, adesso, che io
li giudichi?
Dopo di questo.)
Padre nostro che sei nei cieli, mio figlio ha saputo sbrigarsela
molto bene.
Per legare le braccia della mia giustizia e per slegare le braccia
della mia misericordia.
(Non parlo della mia collera, che non è mai stata altro che la mia giustizia.
E qualche volta la mia carità.)
E adesso bisogna che io li giudichi come un padre. Per quel
che può giudicare, un padre. Un uomo aveva due figli.
Per quel che è capace di giudicare. Un uomo aveva due figli.
Si sa bene come giudica un padre. Ce n’è un esempio ben
noto.
Si sa bene come il padre ha giudicato il figlio che se n’era
andato e che è ritornato.
Era ancora il padre che piangeva di più.
Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato
loro il segreto del giudizio stesso.
E adesso ecco come mi sembrano; ecco come li vedo;
Ecco come sono obbligato a vederli.
Come la scia di un bel vascello va allargandosi fino a sparire
e a perdersi.
Ma comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello.
Così la scia immensa dei peccatori s’allarga fino a sparire e a
perdersi.
Ma comincia con una punta, ed è questa punta che viene verso di me,
Che è volta verso di me.
Comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello.
E il vascello è il mio stesso figlio, carico di tutti i peccati del
mondo.
E la punta del vascello son le due mani giunte di mio figlio.
E davanti allo sguardo della mia collera e davanti allo sguardo
della mia giustizia
Si sono tutti nascosti dietro di lui.
E tutto quest’immenso corteo di preghiere, tutta questa scia
immensa s’allarga fino a sparire e a perdersi.
Ma comincia con una punta ed è questa punta che è volta
verso di me.
Che avanza verso di me.
E questa punta sono queste tre o quattro parole: Padre nostro,
che sei nei cieli; mio figlio in verità sapeva quello che faceva.
E ogni preghiera sale a me nascosta dietro queste tre o quattro parole.
San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa Discorso 8 sulla Passione del Signore, 7 ; SC 74 bis, 115
« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »
«Io,
quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). O
mirabile potenza della croce! O ineffabile gloria della Passione, che
racchiude in sé il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e la
potenza del crocifisso. Hai attirato davvero ogni cosa a te, Signore, e
mentre stendevi tutto il giorno le mani verso il popolo che non credeva e
ti scherniva (Is 65,2), donavi a tutto il mondo di intendere e
proclamare la tua maestà. Hai attirato ogni cosa a te, Signore,
quando... tutti gli elementi del creato pronunciarono un'unica
sentenza... e ogni creatura negò agli empi il suo servizio (Mt 27,5s)...
Hai attirato ogni cosa a te, Signore, affinché, quello che si compiva
nell'unico tempio di Gerusalemme sotto il velo dei segni, fosse
celebrato dovunque nella pienezza e l'evidenza del sacramento, dalla
devozione di tutte le genti... Poiché la tua croce è la fonte di ogni
benedizione, la causa di ogni grazia: per suo mezzo, vien data ai fedeli
la forza nella sofferenza, la gloria nell'umiliazione, la vita nella
morte. Ora poi, essendo venuta meno la verità dei sacrifici materiali,
l'unica oblazione del tuo corpo e del tuo sangue sostituisce con
pienezza l'offerta molteplice delle vittime: poiché sei tu il vero
«Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). E così, in te
porti a compimento tutti i misteri e le celebrazioni rituali, affinché,
come uno solo è il sacrificio per ogni vittima, così pure uno sia il
regno formato da tutti i popoli.
Ruperto di Deutz (circa 1075-1130), monaco benedettino
Commento sul Vangelo di Giovanni, libro 10 ; PL 169, 646 ss.
« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »
«Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ’Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso...»
Cosa significano queste parole: «Questo non lo disse da se stesso» se non che Caifa non traeva questa parola dal suo spirito? In verità, prima che Caifa fosse, già era stata pronunciata questa parola: «Gesù deve morire per il popolo». Sì, questa parola era stata rivelata ai santi profeti, anzi era stata pronunciata prima che i profeti fossero venuti al mondo, prima che Abramo avesse ricevuto l’esistenza, prima che Adamo fosse stato plasmato. Questa parola era già nella volontà del Padre quando dichiarò: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). Fu detto allora che Gesù doveva morire per il popolo.
Caifa non disse dunque questo di sua iniziativa. Ma «poiché era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò.» E che cosa? ... Che occorreva che uno solo, un solo uomo, il Santo dei santi, il Sole di giustizia, Gesù Cristo, morisse per il popolo, e non soltanto per il popolo nato da Abramo, ma anche per tutti coloro che Dio aveva predestinati, fin dalla creazione del mondo, ad essere suoi figli adottivi (cfr Ef 1,5). Erano stati scacciati fuori dal Paradiso originale e dispersi ai quattro venti del mondo; occorreva radunarli da tutta la massa dell’umanità, fino all’ultimo eletto.
San Cirillo d'Alessandria (380-444), vescovo e dottore della Chiesa
Commento sulla lettera ai Romani , Cap. 15, 17 (trad. dal breviario)
«Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»
In molti formiamo un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri (Rm 12, 5), stringendoci Cristo nell'unità con il legame della carità, come sta scritto: « Egli è colui che ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, annulando la legge fatta di prescrizioni e di decreti « (Ef 2, 14). Bisogna dunque che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Se un membro soffre, tutte le membra ne soffrano e se un membro viene onorato, tutte la membra gioiscano (1 Cor 12, 26). « Perciò accoglietevi «, dice, « gli uni gli altri, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio « (Rm 15, 7). Ci accoglieremo vicendevolmente se cercheremo di aver gli stessi sentimenti, sopportando l'uno il peso dell'altro e conservando « l'unità dello spirito nel vincolo della pace « (Ef 4, 2-3). Allo stesso modo Dio ha accolto anche noi in Cristo. Infatti è veritiero colui che disse: Dio ha tanto amato il mondo da dare per noi il Figlio suo (cfr. Gv 3, 16). Cristo fu sacrificato per la vita di tutti e tutti siamo stati trasferiti dalla morte alla vita e redenti dalla morte e dal peccato.
Cristo si è fatto ministro dei circoncisi per dimostrare la fedeltà di Dio. Infatti Dio aveva promesso ai progenitori degli Ebrei che avrebbe benedetto lq loro discendenza e l'avrebbe moltiplicata come le stelle del cielo. Per questo Dio, il Verbo che crea e conserva ogni cosa creata e dà a tutti la sua salvezza divina, si fece uomo e apparve visibilmente come tale. Venne in questo mondo, nella carne non per farsi servire, ma piuttosto, come dice egli stesso, per servire e dare la sua vita a redenzione di tutti (Mc 10, 45).
Ruperto di Deutz (circa 1075-1130), monaco benedettino
Commento sul Vangelo di Giovanni, libro 10 ; PL 169, 646 ss.
« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »
«Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ’Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso...»
Cosa significano queste parole: «Questo non lo disse da se stesso» se non che Caifa non traeva questa parola dal suo spirito? In verità, prima che Caifa fosse, già era stata pronunciata questa parola: «Gesù deve morire per il popolo». Sì, questa parola era stata rivelata ai santi profeti, anzi era stata pronunciata prima che i profeti fossero venuti al mondo, prima che Abramo avesse ricevuto l’esistenza, prima che Adamo fosse stato plasmato. Questa parola era già nella volontà del Padre quando dichiarò: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). Fu detto allora che Gesù doveva morire per il popolo.
Caifa non disse dunque questo di sua iniziativa. Ma «poiché era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò.» E che cosa? ... Che occorreva che uno solo, un solo uomo, il Santo dei santi, il Sole di giustizia, Gesù Cristo, morisse per il popolo, e non soltanto per il popolo nato da Abramo, ma anche per tutti coloro che Dio aveva predestinati, fin dalla creazione del mondo, ad essere suoi figli adottivi (cfr Ef 1,5). Erano stati scacciati fuori dal Paradiso originale e dispersi ai quattro venti del mondo; occorreva radunarli da tutta la massa dell’umanità, fino all’ultimo eletto.
San Cirillo d'Alessandria (380-444), vescovo e dottore della Chiesa
Commento sulla lettera ai Romani , Cap. 15, 17 (trad. dal breviario)
«Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»
In molti formiamo un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri (Rm 12, 5), stringendoci Cristo nell'unità con il legame della carità, come sta scritto: « Egli è colui che ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, annulando la legge fatta di prescrizioni e di decreti « (Ef 2, 14). Bisogna dunque che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Se un membro soffre, tutte le membra ne soffrano e se un membro viene onorato, tutte la membra gioiscano (1 Cor 12, 26). « Perciò accoglietevi «, dice, « gli uni gli altri, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio « (Rm 15, 7). Ci accoglieremo vicendevolmente se cercheremo di aver gli stessi sentimenti, sopportando l'uno il peso dell'altro e conservando « l'unità dello spirito nel vincolo della pace « (Ef 4, 2-3). Allo stesso modo Dio ha accolto anche noi in Cristo. Infatti è veritiero colui che disse: Dio ha tanto amato il mondo da dare per noi il Figlio suo (cfr. Gv 3, 16). Cristo fu sacrificato per la vita di tutti e tutti siamo stati trasferiti dalla morte alla vita e redenti dalla morte e dal peccato.
Cristo si è fatto ministro dei circoncisi per dimostrare la fedeltà di Dio. Infatti Dio aveva promesso ai progenitori degli Ebrei che avrebbe benedetto lq loro discendenza e l'avrebbe moltiplicata come le stelle del cielo. Per questo Dio, il Verbo che crea e conserva ogni cosa creata e dà a tutti la sua salvezza divina, si fece uomo e apparve visibilmente come tale. Venne in questo mondo, nella carne non per farsi servire, ma piuttosto, come dice egli stesso, per servire e dare la sua vita a redenzione di tutti (Mc 10, 45).