Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 20 marzo 2012

Martedì della IV settimana di Quaresima



Martedì della IV settimana di Quaresima



Che tirannia è mai questa?
Sono venuto alla vita – bene –,
ma perché essa mi agita con le sue violente ondate?
Voglio dire una parola audace, 
sì audace, ma voglio dirla:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!
Nasciamo, deperiamo, giungiamo alla fine.
Dormo, riposo, sto sveglio, cammino.
Siamo ora ammalati, ora in salute,
ora tra i piaceri, ora tra gli affanni.
Abbiamo parte alle stagioni solari 
e ai frutti della terra.
Moriamo e la nostra carne imputridisce:
questa è la sorte delle bestie,
che, per quanto ignobili, sono senza colpa.
Cosa dunque ho più di loro?
Niente se non Dio:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!

Gregorio Nazianzeno, A Cristo




Dal Vangelo secondo Giovanni 5,1-16. 


Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato.
Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «E' sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.


IL COMMENTO


Non avere nessuno per avere Cristo. Trentotto anni, una vita, giorni che sembravano perduti mentre accoglievano i passi del Signore diretti al suo incontro. Una vita in attesa, fosse anche un'attesa ormai in agonia, non è mai una vita sprecata perchè è una vita donata per incontrare Lui. Il fallimento umano è il corteggiamento di Dio. Lui ha posto i suoi occhi su di noi. Ci ha scelti per Lui. Come quest'uomo che, secondo il greco originale, si tiene nella sua infermità, legato al male e da esso imprigionato, a volte facendo di esso la sua identità per racimolare qualche spicciolo, a volte ribellandosene senza esito. Un uomo alla porta delle pecore, confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale nel Tempio. In un sabato che per lui non è festa, è piuttosto legge dura d'espiazione, e "l'espiazione è il miglior combustibile al fuoco della colpa" (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni). Odore di morte, acre, fumi grigi di sensi di colpa, e di salvezza improbabile. Odore di sangue. E una piscina agitata dal vento, pochi e fugaci istanti per guarigioni destinate a risolversi in altre, future infermità. E nessuno ad accorgersi di lui. Di noi. Soli con le nostre angosce, con le nostre sofferenze, con le nostre infermità. Una vita senza vita. Trentotto anni.


Che cos'è la vita? E' forse questa solitudine acida che corrode ogni speranza della moltitudine di infermi, letteralmente chi non sta in piedi, ciechi, zoppi, disseccati (secondo l'originale greco della parola paralitico) che giace ai bordi d'una speranza che delude ogni giorno di più? Cesare Pavese descrive l'invivibilità d'una vita che "taglia le gambe": "La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe, Melete" (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò). Questo è il vivere che sarebbe meglio non vivere, per il quale, con Geremia e con Giobbe, maledire il giorno della nascita. Nascere, perchè?


Ma dove meno te lo aspetti appare il suo volto, e senti la sua voce: "Vuoi guarire?". Un'eco come una saetta, fin nelle giunture dell'anima. E ti accorgi, come una stretta al cuore, che sei nato per Lui, che le orecchie ti son state date per ascoltare quella voce, e gli occhi per accogliere il suo sguardo, e le gambe inferme per essere guarite da Lui, e la mente senza risposte per la luce della sua sapienza, ed il cuore di pietra per il suo amore fatto carne. Se il paralitico avesse avuto qualcuno ad immergerlo, non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la sua parola, quella chiamata che l'ha destato alla vita vera. Sarebbe guarito, forse; avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. E non avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato salvato. E non sarebbe stato felice.


La Croce, un lettuccio e la vita distesa, prostrata, inutile; la Croce, dove giunge la Parola di Gesù e, con essa, all'istante appare la Gloria, la luce della vita nelle piaghe sanguinanti. La salvezza per sempre, e la gioia, e la pace. In quel momento tutta la vita s'illumina di senso, e si rivela per quello che è sempre stata, un letto d'amore preparato per Lui: i momenti più difficili e dolorosi, illuminati e trasfigurati come un talamo eterno per la Sua misericordia. Il paralitico non lo aveva neanche immaginato, come ciascuno di noi, nell'abisso del dolore non vede altro che oscurità. Ma ogni istante passato "così", disteso, inutile a se stesso e al mondo, dimenticato, rifiutato, disprezzato, nella morsa della solitudine è stato, ed è un passo in più verso di Lui; in ogni momento della nostra vita Dio è già all'opera, è necessaria una Parola, la predicazione della Chiesa, un cammino che gesti la fede, perchè la vita, scrostata dalla patina di menzogne deposta dal demonio per far dubitare di Dio, appaia nel suo splendore autentico. Ogni istante ferito dalla Croce o anche dai nostri peccati è una fessura aperta in noi per accogliere Lui, il nostro unico possibile abbraccio d'amore a Cristo. "Ci sono uomini che impenetrabili alla grazia, non hanno difetti nell’armatura. Non sono feriti. Il loro rivestimento morale, costantemente intatto fa a loro da corazza senza difetti... La carità di Dio non medica colui che non ha delle piaghe. Proprio perchè il volto di Gesù era sporco di sudore, fu asciugato dalla Veronica. Colui che non è caduto, non sarà mai raccolto, e colui che non è sporco non sarà mai ripulito" (Charles Peguy).


La debolezza estrema che ci caratterizza, quel ritrovarci soli con la nostra povertà ci rende come la Vergine Maria che non conosceva uomo, in quel momento non c'era per lei nessuno con cui concepire il bambino annunciato. E' il segreto della verginità, il senso della nostra vita di figli. Lo Spirito Santo, alla Parola del Signore, in virtò della predicazione, scenderà e ci coprirà con la Sua ombra, e concepirà in noi la Vita che non muore. La nostra storia, come quella della Vergine Maria, è da sempre per il Signore. Lei nell'immacolatezza d'una concezione senza peccato, noi nelle piaghe della nostra debolezza, spesso tra le macerie d'una vita distesa su di un lettuccio di dolore. Ma allo stesso modo, misteriosamente, per il Signore. “In uno stato in cui nello stesso tempo essa (Maria) sa e non sa, in questa attesa che non può definire, essa vive per Dio nella confidenza. E’ l’atteggiamento già notato e che chiamerei propriamente “mariale”: la perseveranza davanti all’incomprensibile, attraverso il ricorso a Dio. Quando infine l’angelo porterà il suo messaggio, che Maria deve diventare Madre per la potenza dello Spirito Santo, la sua anima profonda dirà: “Era dunque per questo!” (Romano Guardini, La mere du Seigneur). Era dunque per questo, per essere Madre di Dio, figlia del suo Figlio. Come la storia dolorosa di Giuseppe disceso in Egitto come schiavo, era dunque per questo: per sfamare gli stessi fratelli che lo avevano tradito e venduto. Come la nostra storia, era, è dunque per questo: per essere suoi, perchè risplenda in noi la sua Gloria. Era dunque per questo ogni evento dei nostri lunghi "trentotto anni", dare alla luce il Salvatore, l'amore e la salvezza di ogni uomo. Che vita meravigliosa abbiamo avuto sino ad oggi, e che cosa non sarà quello che Dio ci ha preparato da oggi all'eternità.


"Per questo" Lui si è giocato la vita, incontrandoci e salvandoci ha firmato la sua condanna, il mistero di amore che dà senso a tutto. Gesù sapeva di infrangere l'interpretazione legalistica del rigido codice farisaico; lo sapeva e ha ordinato di proposito al paralitico di prendere il suo lettuccio, perchè fosse svelata la vera infermità, il cuore seccato di chi, di fronte all'amore, si blocca a difendere i propri criteri. Sembra impossibile, eppure gli occhi dei farisei sono incapaci di vedere la luce del miracolo e fissano lo sguardo sull'apparente infrazione di un precetto umano da loro stabilito. E' questo il pericolo, l'unico, che può rendere vana la Croce di Cristo e impotente la sua Parola onnipotente. Stabilire a priori un recinto di criteri e desideri per ottenere la salvezza e obbligare Dio ad entrarvi per donarci una salvezza che, solo, può esserci donata imprevedibilmente e al di là dei nostri rachitici pensieri. Attraverso il Vangelo di oggi scopriamo dunque che la vera infermità non è quella che affligge il paralitico da trentotto anni gettato alla porta delle pecore. Il male inguaribile è il cuore indurito dei farisei. Il paralitico, grazie alla malattia, incontrerà il Signore e lo riconoscerà nel Tempio dove è potuto entrare con le sue gambe, nella vita nuova dove è entrato con la sua vita passata riconciliata e trasfigurata. Il paralitico ha conosciuto il perdono dei peccati ed il santo timore di Dio lo accompagnerà nei giorni a venire. I farisei, i cuori maliziosamente legati alla propria carne di uomo vecchio, decideranno di uccidere l'amore fatto carne. Che Dio ci conceda la grazia di lasciarci stupire ed amare al fondo del fallimento umano che ci accompagna, e vivere, da oggi, una vita senza peccato, l'intimità pura con il Signore.


APPROFONDIRE








San Massimo di Torino ( ? – circa 420), vescovo
Discorso per la Quaresima ; CC Sermon 50, 202-204 ; PL 57, 585A-586B


« Vuoi guarire ? » La Quaresima conduce al battesimo


Leggiamo nell'Antico Testamento che al tempo di Noè, mentre l'intero genere umano era in preda al peccato, le cataratte del cielo si sono aperte e durante quaranta giorni, le piogge si sono abbattute ; simbolicamente, la terra ha ricevuto l'acqua per quaranta giorni. Più di un diluvio, si tratta di un battesimo. Infatti è proprio un battesimo che ha spazzato via l'iniquità dei peccatori e risparmiato la giustizia di Noè. Allo stesso modo, oggi il Signore ha dato anche a noi la Quaresima affinché, per lo stesso numero di giorni, si aprano i cieli per inondarci dell'acquazzone della misericordia divina. Una volta lavati, nelle acque salutari del battesimo, il sacramento ci illumina ; come in questi tempi, le acque spazzano via l'iniquità delle nostre colpe e rassodano la giustizia delle nostre virtù.
La situazione di oggi è simile a quella del tempo di Noè. Il battesimo è diluvio per il peccatore e consacrazione per coloro che sono fedeli. Nel battesimo il Signore salva la giustizia e distrugge l'iniquità. Lo vediamo nell'esempio di un unico uomo ; l'apostolo Paolo, prima di essere stato purificato dai precetti spirituali, era persecutore e blasfemo. Una volta bagnato dalla pioggia celeste del battesimo, il bestemmiatore è morto, morto il persecutore, morto Saul ; allora nasce l'apostolo, il giusto, Paolo... Chiunque vivrà religiosamente la Quaresima e osserverà le prescrizioni del Signore vedrà morire in sè il peccato e vivere la grazia : egli succedendo, in un certo senso, a se stesso, muore in quanto peccatore, e vive come giusto.


Odi di Salomone (scritti cristiani del 2o secolo)
N°6


«L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14)


Il Signore si è fatto conoscere meglio. Si adopera per far conoscere meglio i doni ricevuti dalla sua grazia. Ci ha concesso di lodare il suo nome ; i nostri spiriti cantano il suo Spirito Santo. Infatti ha fatto scaturire un ruscello ; esso è divenuto un torrente largo e potente (Ez 47, 1s). Ha inondato e solcato l'universo, l'ha trascinato via e portato verso il Tempio. Gli ostacoli posti dagli uomini non hanno potuto fermarlo, neanche gli artifici ai quali ricorrono coloro che costruiscono dighe. Perché esso è venuto su tutta la terra e l'ha interamente riempita.
Hanno bevuto, tutti gli assetati della terra ; la loro sete è stata placata, perché l'Altissimo ha dissetato i suoi. Beati quei servi ai quali egli ha affidato le sue acque. Hanno potuto placarvi le loro labbra inaridite e raddrizzare le loro volontà inferme. Le anime che morivano sono state strappate dalla morte ; le membra spossate sono state raddrizzate e stanno in piedi. Hanno dato fortezza ai loro passi e luce ai loro occhi. Sono stati conosciuti da tutti nel Signore ; vivono grazie all'acqua viva in eterno. Alleluia !

19 marzo. Solennità di San Giuseppe


Giuseppe abbracciava il Figlio in quanto neonato,
lo serviva in quanto Dio.
Gioiva di lui in quanto buono 
e aveva soggezione di lui in quanto giusto.
Grande paradosso!
Chi mi ha dato che tu diventassi figlio mio, 
o figlio dell'Altissimo?
Volevo licenziare tua madre.
Non sapevo che nel suo utero c'era un gran tesoro,
che avrebbe arricchito in un istante la mia povertà.
Il re Davide è sorto dalla mia tribù 
e ha cinto il diadema.
A un gran abbassamento sono giunto io: 
invece che re sono carpentiere.
Mi è toccato però un diadema: 
nelle mie braccia sta il Signore dei diademi.
Mosè portava le tavole di pietra 
che il suo Signore aveva scritto.
E Giuseppe scortava solennemente la tavola pura, 
nella quale dimorava il figlio del Creatore.

S. Efrem





Mt 1,16.18-21.24

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.

IL COMMENTO

Il timore di Giuseppe dinanzi ad un Figlio, il nostro stesso timore dinanzi a noi stessi, figli nel Figlio. In Maria abbiamo ricevuto le sembianze del Figlio, la stessa natura di Dio. Ma nonostante ciò, abbiamo paura di noi stessi. Temiamo per la nostra riuscita e per il possibile rifiuto di chi vorremmo amare. La paura d'essere noi stessi per non essere rifiutati. Per paura siamo schiavi, soggetti ad un padrone che, mostrandoci debolezze e difetti, ci induce a pensare male di noi stessi e di Dio che ci ha fatto così inadeguati.

E' la paura e lo scandalo di un'infinita distanza. La lacerazione come una ferita sempre aperta tra la sublimità della nostra vocazione e l'inadeguatezza di ciò che siamo. Lo scandalo e la paura di Giuseppe, giusto della rettitudine di voler "ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di DioPer questo è preda del dubbio e dell'angoscia dinanzi a qualcosa di straordinario, al di fuori della stessa Legge cui ha votato la vita. Forse intuisce, ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità sono come uno tsunami. Giuseppe ama Maria, ma la giustizia appresa dalla sapienza del suo popolo non ammette deroghe, neanche per quella deliziosa fanciulla che attendeva di sposare. Il fatto era lì, incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva inesorabilmente Giuseppe al rifiuto di quella ragazza, proprio in virtù della Legge alla quale Giuseppe ha sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, al di là di ogni legge. Maria incinta fuori del matrimonioPromessa sposa, ma non ancora sposa. Occorreva un cuore capace di dilatarsi e saltare fuori dallo stesso perimetro della Legge. Occorreva una giustizia che superasse quella dei farisei, una visione che trascendesse anche l'amore umano di Giuseppe che già aveva deciso di ripudiare in segreto Maria, proteggendola da un triste destino, e caricandosi così con conseguenze che avrebbero segnato anche la sua vita per sempre. L'amore di Giuseppe lo avevano spinto sino a condividere la stessa sorte di Maria, ed era qualcosa di grande, forse il massimo cui si possa chiedere alla carne. Ma in quell'istante in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio chiamava ad un salto più grande. 

E Giuseppe è lì assorto, tremante, impaurito, a cercare modi e parole per ovviare all'imponderabile. Come noi, oggi, dinanzi alla nostra storia, alle briciole di un'esistenza che vorrebbe avere capo e coda, e non ne trova in nessun percorso logico e umano. Anche oggi è un giorno decisivo per la sorte di nostra moglie, di nostro figlio, di quell'amico o di quel collega. Per salvare, Dio scende anche oggi a cercare chi è finito fuori legge, e ha scelto proprio noi per accogliere e custodire l'opera del suo amore.   "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Tua sposaLa promessa sposa è "già" sposa agli occhi di Dio, perchè la Provvidenza di Dio ha precorso il tempoHa infranto le regole del mondo, la biologia del cosmo, disegnando, dall'eterno e per l'eterno, un cammino di salvezza tra le piaghe dell'umanità peccatrice, ed esso passa per le nozze di Maria e Giuseppe. Essi sono le due braccia di Dio aperte ad accogliere ogni uomo in un abbraccio di misericordia.
Tutto è già pronto dall'eternità: Maria è piena di Grazia, Immacolata Concezione per dare alla luce il Messia Immacolato; Giuseppe è figlio della Giustizia misericordiosa di Dio per accogliere e il "Giusto che si addosserà il peccato di molti". Le loro nozze, già compiute nella volontà di Dio, si celebrano ora nel tempo e nella carne, perchè la volontà di salvezza giunga nel tempo e ad ogni carne. Nella pienezza dei tempi Dio ha aperto il Cielo e ha inviato l'officiante, l'angelo dell'annuncio. Perchè queste nozze sono l'annuncio della Buona Notizia e l'umanità è in attesa del loro "consenso": “Dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. (San Bernardo, Omelie sulla Madonna).

E Maria ha detto eccomi, e Dio ha preso dimora nel suo seno, Il mistero di un Dio nascosto nella carne dell'uomo, sembra peccato invece è amore. Anche Lei, Immacolata Concezione, senza peccato s'è fatta peccato per partorire al mondo il Dio fatto peccato. Per salvare i peccatori, e farli figli di Dio, ha fatto peccato la Madre e il Figlio.
E Giuseppe è ora di fronte a quanto lo Spirito Santo ha generato, questo amore incipiente che Dio aveva deciso dovesse passare per la strettoia della sua angoscia. L'arduo cammino dell'amoreGesù al Giordano, nella fila dei peccatori, e Maria incinta fuori del matrimonio. E con Gesù e sua Madre, Giuseppe. Lo stesso amore fatto carne nel seno di Maria è ora deposto, inerme, sulla soglia della sua libertà; come per Maria, la sofferenza di ogni uomo bussa ora alla sua porta, la sua angoscia non è un affare privato, è la stessa angoscia dell'umanità che grida dentro di lui. Anche Giuseppe è agli occhi di Dio già sposato con Maria. E' l'ora del suo "consenso"Solo gli occhi di Dio vedono "oltre" l'angusto sguardo dell'uomo; solo gli occhi di Dio vedono la misericordia e il riscatto nel peccatore più turpe. E la Grazia dona a Giuseppe gli occhi di Dio, ed il suo sguardo su Maria si fa accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del mistero.

La parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi, come un balsamo di pace e di speranza: " Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia. In Lei siamo generati, e quello che è generato in Lei è opera dello Spirito Santo. Siamo dunque opera del respiro di Dio, la vita divina è dentro la nostra vita. La carne la sorregge a malapena, la tenda d'argilla che sono le nostre membra peccatrici, quelle zolle di terra che ci scandalizzano, ci bloccano, ci impauriscono non sono che la povera stalla di Betlemme dove Dio ha voluto nascere e prendere dimora. 

Non temiamo le nostre debolezze, l'astruso passato, l'incerto futuro. Quel che è in noi, quello che ci genera oggi a questo giorno come ad ogni giorno è il dito di Dio; il soffio del Suo Spirito dà vita alla nostra morte e a quella a cui siamo inviati. In Dio siamo "già" sposati con il Suo Figlio, siamo suoi da sempre, da prima della creazione del mondo. Noi siamo il suo destino e Lui è la nostra Patria. In ogni evento che ci impaurisce si nasconde l'annuncio di salvezza per noi e l'umanità intera. La storia ci è data perchè vi si compiano le nozze che diano alla luce il Salvatore del mondo. Siamo preziosi ai Suoi occhi, perchè in noi Dio vede il riscatto di questa generazione. I nostri occhi guardano la nostra vita riflessa in uno specchio, gli occhi di Dio guardano, e amano, il Suo Figlio in noi ed in ogni uomo. Come hanno guardato Maria, e come, per la Grazia, hanno imparato a guardarla gli occhi di Giuseppe.

Non temiamo oggi di accogliere lo straordinario amore di Dio, di incamminarci con Lui alla ricerca della pecora perduta, di prendere con noi quanto Egli sta operando, misteriosamente e al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla stessa Legge religiosa che vorremmo seguire. Non temiamo di amare oltre la giustizia umana, oltre l'amore contenuto nella nostra povera carne. Non temiamo di lasciarci colmare dallo stesso Spirito che ha fecondato Maria, che sta operando in chi ci è accanto, affidato alle nostre cure di marito e padre e fratello. Non temiamo di lasciarci aprire gli occhi della fede e discernere  l'opera dell'infinito amore di Dio in quanto appare, alla giustizia della Legge, ingiusto e malvagio. Gli occhi della fede che Dio dona alla Chiesa inviata alla ricerca della pecora perduta, dei peccatori, dei falliti. Gli occhi di Giuseppe attratti in un amore più grande, infinitamente più grande della carne, occhi celesti sulla terra. Gli occhi che sorgono da un cuore rinnovato e trasformato nell'amore di Dio, il dono preparato per noi oggi, per guardare, accogliere, custodire ed amare, per compiere la missione per la quale siamo nati. 


Icona della Natività. Il dubbio di Giuseppe



Nella parte inferiore si trova Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” ( Mt 1,19) Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si impersona in una figura di pastore coperto di pelli, la cui vera natura si rivela in alcune rappresentazioni, come in una cupola della Cattedrale dell’Annunciazione a Mosca, attraverso due piccoli corni che gli spuntano sul capo. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso, che è anche il nome del bastone di Dioniso e dei satiri.



APPROFONDIRE






Liturgia greca 
Menaion




L'amministratore dei misteri di Dio (1 Cor 4, 1)

Giuseppe, lo sposo di Maria, vide con i propri occhi la realizzazione delle profezie. Scelto per il più illustre matrimonio, ricevette la rivelazione per bocca degli angeli che cantavano: Gloria al Signore ! Perché ha dato la pace alla terra.
Annuncia, o Giuseppe, a Davide, l'antenato dell'Uomo-Dio, i prodigi che i tuoi occhi hanno contemplato : hai visto il bambino sul seno della Vergine ; lo hai adorato insieme con i magi ; hai reso gloria a Dio insieme con i pastori, secondo la parola dell'angelo. Prega il Cristo Dio affinché le nostre anime siano salvate.
Tu, Giuseppe, hai ricevuto in braccio il Dio immenso davanti al quale tremano le potenze celesti, quando egli nacque dalla Vergine ; e ne fosti consacrato. Perciò ti rendiamo onore.
La tua anima fu obbediente al divino precetto; pieno di una purezza senza pari, meritasti di ricevere in moglie colei che è pura e immacolata fra le donne ; fosti il custode di questa Vergine, quando essa meritò di diventare il tabernacolo del Creatore...
Colui che, con una sola parola, ha plasmato il cielo, la terra e il mare, è stato chiamato il figlio dell'artigiano, di te, ammirabile Giuseppe! Sei stato chiamato padre di colui che è senza principio e ti ha glorificato come ministro di un mistero che supera ogni intelligenza... Custode sacro della Vergine benedetta, con lei hai cantato questo cantico : « Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli ! Amen » (Dn 3, 57).




Dal blog "Il Vangelo del Giorno" di Don Antonello Iapicca



Che tirannia è mai questa?
Sono venuto alla vita – bene –,
ma perché essa mi agita con le sue violente ondate?
Voglio dire una parola audace, 
sì audace, ma voglio dirla:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!
Nasciamo, deperiamo, giungiamo alla fine.
Dormo, riposo, sto sveglio, cammino.
Siamo ora ammalati, ora in salute,
ora tra i piaceri, ora tra gli affanni.
Abbiamo parte alle stagioni solari 
e ai frutti della terra.
Moriamo e la nostra carne imputridisce:
questa è la sorte delle bestie,
che, per quanto ignobili, sono senza colpa.
Cosa dunque ho più di loro?
Niente se non Dio:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!

Gregorio Nazianzeno, A Cristo




Dal Vangelo secondo Giovanni 5,1-16. 


Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato.
Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «E' sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.


IL COMMENTO


Non avere nessuno per avere Cristo. Trentotto anni, una vita, giorni che sembravano perduti mentre accoglievano i passi del Signore diretti al suo incontro. Una vita in attesa, fosse anche un'attesa ormai in agonia, non è mai una vita sprecata perchè è una vita donata per incontrare Lui. Il fallimento umano è il corteggiamento di Dio. Lui ha posto i suoi occhi su di noi. Ci ha scelti per Lui. Come quest'uomo che, secondo il greco originale, si tiene nella sua infermità, legato al male e da esso imprigionato, a volte facendo di esso la sua identità per racimolare qualche spicciolo, a volte ribellandosene senza esito. Un uomo alla porta delle pecore, confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale nel Tempio. In un sabato che per lui non è festa, è piuttosto legge dura d'espiazione, e "l'espiazione è il miglior combustibile al fuoco della colpa" (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni). Odore di morte, acre, fumi grigi di sensi di colpa, e di salvezza improbabile. Odore di sangue. E una piscina agitata dal vento, pochi e fugaci istanti per guarigioni destinate a risolversi in altre, future infermità. E nessuno ad accorgersi di lui. Di noi. Soli con le nostre angosce, con le nostre sofferenze, con le nostre infermità. Una vita senza vita. Trentotto anni.


Che cos'è la vita? E' forse questa solitudine acida che corrode ogni speranza della moltitudine di infermi, letteralmente chi non sta in piedi, ciechi, zoppi, disseccati (secondo l'originale greco della parola paralitico) che giace ai bordi d'una speranza che delude ogni giorno di più? Cesare Pavese descrive l'invivibilità d'una vita che "taglia le gambe": "La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe, Melete" (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò). Questo è il vivere che sarebbe meglio non vivere, per il quale, con Geremia e con Giobbe, maledire il giorno della nascita. Nascere, perchè?


Ma dove meno te lo aspetti appare il suo volto, e senti la sua voce: "Vuoi guarire?". Un'eco come una saetta, fin nelle giunture dell'anima. E ti accorgi, come una stretta al cuore, che sei nato per Lui, che le orecchie ti son state date per ascoltare quella voce, e gli occhi per accogliere il suo sguardo, e le gambe inferme per essere guarite da Lui, e la mente senza risposte per la luce della sua sapienza, ed il cuore di pietra per il suo amore fatto carne. Se il paralitico avesse avuto qualcuno ad immergerlo, non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la sua parola, quella chiamata che l'ha destato alla vita vera. Sarebbe guarito, forse; avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. E non avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato salvato. E non sarebbe stato felice.


La Croce, un lettuccio e la vita distesa, prostrata, inutile; la Croce, dove giunge la Parola di Gesù e, con essa, all'istante appare la Gloria, la luce della vita nelle piaghe sanguinanti. La salvezza per sempre, e la gioia, e la pace. In quel momento tutta la vita s'illumina di senso, e si rivela per quello che è sempre stata, un letto d'amore preparato per Lui: i momenti più difficili e dolorosi, illuminati e trasfigurati come un talamo eterno per la Sua misericordia. Il paralitico non lo aveva neanche immaginato, come ciascuno di noi, nell'abisso del dolore non vede altro che oscurità. Ma ogni istante passato "così", disteso, inutile a se stesso e al mondo, dimenticato, rifiutato, disprezzato, nella morsa della solitudine è stato, ed è un passo in più verso di Lui; in ogni momento della nostra vita Dio è già all'opera, è necessaria una Parola, la predicazione della Chiesa, un cammino che gesti la fede, perchè la vita, scrostata dalla patina di menzogne deposta dal demonio per far dubitare di Dio, appaia nel suo splendore autentico. Ogni istante ferito dalla Croce o anche dai nostri peccati è una fessura aperta in noi per accogliere Lui, il nostro unico possibile abbraccio d'amore a Cristo. "Ci sono uomini che impenetrabili alla grazia, non hanno difetti nell’armatura. Non sono feriti. Il loro rivestimento morale, costantemente intatto fa a loro da corazza senza difetti... La carità di Dio non medica colui che non ha delle piaghe. Proprio perchè il volto di Gesù era sporco di sudore, fu asciugato dalla Veronica. Colui che non è caduto, non sarà mai raccolto, e colui che non è sporco non sarà mai ripulito" (Charles Peguy).


La debolezza estrema che ci caratterizza, quel ritrovarci soli con la nostra povertà ci rende come la Vergine Maria che non conosceva uomo, in quel momento non c'era per lei nessuno con cui concepire il bambino annunciato. E' il segreto della verginità, il senso della nostra vita di figli. Lo Spirito Santo, alla Parola del Signore, in virtò della predicazione, scenderà e ci coprirà con la Sua ombra, e concepirà in noi la Vita che non muore. La nostra storia, come quella della Vergine Maria, è da sempre per il Signore. Lei nell'immacolatezza d'una concezione senza peccato, noi nelle piaghe della nostra debolezza, spesso tra le macerie d'una vita distesa su di un lettuccio di dolore. Ma allo stesso modo, misteriosamente, per il Signore. “In uno stato in cui nello stesso tempo essa (Maria) sa e non sa, in questa attesa che non può definire, essa vive per Dio nella confidenza. E’ l’atteggiamento già notato e che chiamerei propriamente “mariale”: la perseveranza davanti all’incomprensibile, attraverso il ricorso a Dio. Quando infine l’angelo porterà il suo messaggio, che Maria deve diventare Madre per la potenza dello Spirito Santo, la sua anima profonda dirà: “Era dunque per questo!” (Romano Guardini, La mere du Seigneur). Era dunque per questo, per essere Madre di Dio, figlia del suo Figlio. Come la storia dolorosa di Giuseppe disceso in Egitto come schiavo, era dunque per questo: per sfamare gli stessi fratelli che lo avevano tradito e venduto. Come la nostra storia, era, è dunque per questo: per essere suoi, perchè risplenda in noi la sua Gloria. Era dunque per questo ogni evento dei nostri lunghi "trentotto anni", dare alla luce il Salvatore, l'amore e la salvezza di ogni uomo. Che vita meravigliosa abbiamo avuto sino ad oggi, e che cosa non sarà quello che Dio ci ha preparato da oggi all'eternità.


"Per questo" Lui si è giocato la vita, incontrandoci e salvandoci ha firmato la sua condanna, il mistero di amore che dà senso a tutto. Gesù sapeva di infrangere l'interpretazione legalistica del rigido codice farisaico; lo sapeva e ha ordinato di proposito al paralitico di prendere il suo lettuccio, perchè fosse svelata la vera infermità, il cuore seccato di chi, di fronte all'amore, si blocca a difendere i propri criteri. Sembra impossibile, eppure gli occhi dei farisei sono incapaci di vedere la luce del miracolo e fissano lo sguardo sull'apparente infrazione di un precetto umano da loro stabilito. E' questo il pericolo, l'unico, che può rendere vana la Croce di Cristo e impotente la sua Parola onnipotente. Stabilire a priori un recinto di criteri e desideri per ottenere la salvezza e obbligare Dio ad entrarvi per donarci una salvezza che, solo, può esserci donata imprevedibilmente e al di là dei nostri rachitici pensieri. Attraverso il Vangelo di oggi scopriamo dunque che la vera infermità non è quella che affligge il paralitico da trentotto anni gettato alla porta delle pecore. Il male inguaribile è il cuore indurito dei farisei. Il paralitico, grazie alla malattia, incontrerà il Signore e lo riconoscerà nel Tempio dove è potuto entrare con le sue gambe, nella vita nuova dove è entrato con la sua vita passata riconciliata e trasfigurata. Il paralitico ha conosciuto il perdono dei peccati ed il santo timore di Dio lo accompagnerà nei giorni a venire. I farisei, i cuori maliziosamente legati alla propria carne di uomo vecchio, decideranno di uccidere l'amore fatto carne. Che Dio ci conceda la grazia di lasciarci stupire ed amare al fondo del fallimento umano che ci accompagna, e vivere, da oggi, una vita senza peccato, l'intimità pura con il Signore.


APPROFONDIRE








San Massimo di Torino ( ? – circa 420), vescovo
Discorso per la Quaresima ; CC Sermon 50, 202-204 ; PL 57, 585A-586B


« Vuoi guarire ? » La Quaresima conduce al battesimo


Leggiamo nell'Antico Testamento che al tempo di Noè, mentre l'intero genere umano era in preda al peccato, le cataratte del cielo si sono aperte e durante quaranta giorni, le piogge si sono abbattute ; simbolicamente, la terra ha ricevuto l'acqua per quaranta giorni. Più di un diluvio, si tratta di un battesimo. Infatti è proprio un battesimo che ha spazzato via l'iniquità dei peccatori e risparmiato la giustizia di Noè. Allo stesso modo, oggi il Signore ha dato anche a noi la Quaresima affinché, per lo stesso numero di giorni, si aprano i cieli per inondarci dell'acquazzone della misericordia divina. Una volta lavati, nelle acque salutari del battesimo, il sacramento ci illumina ; come in questi tempi, le acque spazzano via l'iniquità delle nostre colpe e rassodano la giustizia delle nostre virtù.
La situazione di oggi è simile a quella del tempo di Noè. Il battesimo è diluvio per il peccatore e consacrazione per coloro che sono fedeli. Nel battesimo il Signore salva la giustizia e distrugge l'iniquità. Lo vediamo nell'esempio di un unico uomo ; l'apostolo Paolo, prima di essere stato purificato dai precetti spirituali, era persecutore e blasfemo. Una volta bagnato dalla pioggia celeste del battesimo, il bestemmiatore è morto, morto il persecutore, morto Saul ; allora nasce l'apostolo, il giusto, Paolo... Chiunque vivrà religiosamente la Quaresima e osserverà le prescrizioni del Signore vedrà morire in sè il peccato e vivere la grazia : egli succedendo, in un certo senso, a se stesso, muore in quanto peccatore, e vive come giusto.


Odi di Salomone (scritti cristiani del 2o secolo)
N°6


«L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14)


Il Signore si è fatto conoscere meglio. Si adopera per far conoscere meglio i doni ricevuti dalla sua grazia. Ci ha concesso di lodare il suo nome ; i nostri spiriti cantano il suo Spirito Santo. Infatti ha fatto scaturire un ruscello ; esso è divenuto un torrente largo e potente (Ez 47, 1s). Ha inondato e solcato l'universo, l'ha trascinato via e portato verso il Tempio. Gli ostacoli posti dagli uomini non hanno potuto fermarlo, neanche gli artifici ai quali ricorrono coloro che costruiscono dighe. Perché esso è venuto su tutta la terra e l'ha interamente riempita.
Hanno bevuto, tutti gli assetati della terra ; la loro sete è stata placata, perché l'Altissimo ha dissetato i suoi. Beati quei servi ai quali egli ha affidato le sue acque. Hanno potuto placarvi le loro labbra inaridite e raddrizzare le loro volontà inferme. Le anime che morivano sono state strappate dalla morte ; le membra spossate sono state raddrizzate e stanno in piedi. Hanno dato fortezza ai loro passi e luce ai loro occhi. Sono stati conosciuti da tutti nel Signore ; vivono grazie all'acqua viva in eterno. Alleluia !





19 marzo. Solennità di San Giuseppe



Giuseppe abbracciava il Figlio in quanto neonato,
lo serviva in quanto Dio.
Gioiva di lui in quanto buono 
e aveva soggezione di lui in quanto giusto.
Grande paradosso!
Chi mi ha dato che tu diventassi figlio mio, 
o figlio dell'Altissimo?
Volevo licenziare tua madre.
Non sapevo che nel suo utero c'era un gran tesoro,
che avrebbe arricchito in un istante la mia povertà.
Il re Davide è sorto dalla mia tribù 
e ha cinto il diadema.
A un gran abbassamento sono giunto io: 
invece che re sono carpentiere.
Mi è toccato però un diadema: 
nelle mie braccia sta il Signore dei diademi.
Mosè portava le tavole di pietra 
che il suo Signore aveva scritto.
E Giuseppe scortava solennemente la tavola pura, 
nella quale dimorava il figlio del Creatore.

S. Efrem





Mt 1,16.18-21.24

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.

IL COMMENTO

Il timore di Giuseppe dinanzi ad un Figlio, il nostro stesso timore dinanzi a noi stessi, figli nel Figlio. In Maria abbiamo ricevuto le sembianze del Figlio, la stessa natura di Dio. Ma nonostante ciò, abbiamo paura di noi stessi. Temiamo per la nostra riuscita e per il possibile rifiuto di chi vorremmo amare. La paura d'essere noi stessi per non essere rifiutati. Per paura siamo schiavi, soggetti ad un padrone che, mostrandoci debolezze e difetti, ci induce a pensare male di noi stessi e di Dio che ci ha fatto così inadeguati.

E' la paura e lo scandalo di un'infinita distanza. La lacerazione come una ferita sempre aperta tra la sublimità della nostra vocazione e l'inadeguatezza di ciò che siamo. Lo scandalo e la paura di Giuseppe, giusto della rettitudine di voler "ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di DioPer questo è preda del dubbio e dell'angoscia dinanzi a qualcosa di straordinario, al di fuori della stessa Legge cui ha votato la vita. Forse intuisce, ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità sono come uno tsunami. Giuseppe ama Maria, ma la giustizia appresa dalla sapienza del suo popolo non ammette deroghe, neanche per quella deliziosa fanciulla che attendeva di sposare. Il fatto era lì, incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva inesorabilmente Giuseppe al rifiuto di quella ragazza, proprio in virtù della Legge alla quale Giuseppe ha sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, al di là di ogni legge. Maria incinta fuori del matrimonioPromessa sposa, ma non ancora sposa. Occorreva un cuore capace di dilatarsi e saltare fuori dallo stesso perimetro della Legge. Occorreva una giustizia che superasse quella dei farisei, una visione che trascendesse anche l'amore umano di Giuseppe che già aveva deciso di ripudiare in segreto Maria, proteggendola da un triste destino, e caricandosi così con conseguenze che avrebbero segnato anche la sua vita per sempre. L'amore di Giuseppe lo avevano spinto sino a condividere la stessa sorte di Maria, ed era qualcosa di grande, forse il massimo cui si possa chiedere alla carne. Ma in quell'istante in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio chiamava ad un salto più grande. 

E Giuseppe è lì assorto, tremante, impaurito, a cercare modi e parole per ovviare all'imponderabile. Come noi, oggi, dinanzi alla nostra storia, alle briciole di un'esistenza che vorrebbe avere capo e coda, e non ne trova in nessun percorso logico e umano. Anche oggi è un giorno decisivo per la sorte di nostra moglie, di nostro figlio, di quell'amico o di quel collega. Per salvare, Dio scende anche oggi a cercare chi è finito fuori legge, e ha scelto proprio noi per accogliere e custodire l'opera del suo amore.   "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Tua sposaLa promessa sposa è "già" sposa agli occhi di Dio, perchè la Provvidenza di Dio ha precorso il tempoHa infranto le regole del mondo, la biologia del cosmo, disegnando, dall'eterno e per l'eterno, un cammino di salvezza tra le piaghe dell'umanità peccatrice, ed esso passa per le nozze di Maria e Giuseppe. Essi sono le due braccia di Dio aperte ad accogliere ogni uomo in un abbraccio di misericordia.
Tutto è già pronto dall'eternità: Maria è piena di Grazia, Immacolata Concezione per dare alla luce il Messia Immacolato; Giuseppe è figlio della Giustizia misericordiosa di Dio per accogliere e il "Giusto che si addosserà il peccato di molti". Le loro nozze, già compiute nella volontà di Dio, si celebrano ora nel tempo e nella carne, perchè la volontà di salvezza giunga nel tempo e ad ogni carne. Nella pienezza dei tempi Dio ha aperto il Cielo e ha inviato l'officiante, l'angelo dell'annuncio. Perchè queste nozze sono l'annuncio della Buona Notizia e l'umanità è in attesa del loro "consenso": “Dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. (San Bernardo, Omelie sulla Madonna).

E Maria ha detto eccomi, e Dio ha preso dimora nel suo seno, Il mistero di un Dio nascosto nella carne dell'uomo, sembra peccato invece è amore. Anche Lei, Immacolata Concezione, senza peccato s'è fatta peccato per partorire al mondo il Dio fatto peccato. Per salvare i peccatori, e farli figli di Dio, ha fatto peccato la Madre e il Figlio.
E Giuseppe è ora di fronte a quanto lo Spirito Santo ha generato, questo amore incipiente che Dio aveva deciso dovesse passare per la strettoia della sua angoscia. L'arduo cammino dell'amoreGesù al Giordano, nella fila dei peccatori, e Maria incinta fuori del matrimonio. E con Gesù e sua Madre, Giuseppe. Lo stesso amore fatto carne nel seno di Maria è ora deposto, inerme, sulla soglia della sua libertà; come per Maria, la sofferenza di ogni uomo bussa ora alla sua porta, la sua angoscia non è un affare privato, è la stessa angoscia dell'umanità che grida dentro di lui. Anche Giuseppe è agli occhi di Dio già sposato con Maria. E' l'ora del suo "consenso"Solo gli occhi di Dio vedono "oltre" l'angusto sguardo dell'uomo; solo gli occhi di Dio vedono la misericordia e il riscatto nel peccatore più turpe. E la Grazia dona a Giuseppe gli occhi di Dio, ed il suo sguardo su Maria si fa accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del mistero.

La parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi, come un balsamo di pace e di speranza: " Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia. In Lei siamo generati, e quello che è generato in Lei è opera dello Spirito Santo. Siamo dunque opera del respiro di Dio, la vita divina è dentro la nostra vita. La carne la sorregge a malapena, la tenda d'argilla che sono le nostre membra peccatrici, quelle zolle di terra che ci scandalizzano, ci bloccano, ci impauriscono non sono che la povera stalla di Betlemme dove Dio ha voluto nascere e prendere dimora. 

Non temiamo le nostre debolezze, l'astruso passato, l'incerto futuro. Quel che è in noi, quello che ci genera oggi a questo giorno come ad ogni giorno è il dito di Dio; il soffio del Suo Spirito dà vita alla nostra morte e a quella a cui siamo inviati. In Dio siamo "già" sposati con il Suo Figlio, siamo suoi da sempre, da prima della creazione del mondo. Noi siamo il suo destino e Lui è la nostra Patria. In ogni evento che ci impaurisce si nasconde l'annuncio di salvezza per noi e l'umanità intera. La storia ci è data perchè vi si compiano le nozze che diano alla luce il Salvatore del mondo. Siamo preziosi ai Suoi occhi, perchè in noi Dio vede il riscatto di questa generazione. I nostri occhi guardano la nostra vita riflessa in uno specchio, gli occhi di Dio guardano, e amano, il Suo Figlio in noi ed in ogni uomo. Come hanno guardato Maria, e come, per la Grazia, hanno imparato a guardarla gli occhi di Giuseppe.

Non temiamo oggi di accogliere lo straordinario amore di Dio, di incamminarci con Lui alla ricerca della pecora perduta, di prendere con noi quanto Egli sta operando, misteriosamente e al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla stessa Legge religiosa che vorremmo seguire. Non temiamo di amare oltre la giustizia umana, oltre l'amore contenuto nella nostra povera carne. Non temiamo di lasciarci colmare dallo stesso Spirito che ha fecondato Maria, che sta operando in chi ci è accanto, affidato alle nostre cure di marito e padre e fratello. Non temiamo di lasciarci aprire gli occhi della fede e discernere  l'opera dell'infinito amore di Dio in quanto appare, alla giustizia della Legge, ingiusto e malvagio. Gli occhi della fede che Dio dona alla Chiesa inviata alla ricerca della pecora perduta, dei peccatori, dei falliti. Gli occhi di Giuseppe attratti in un amore più grande, infinitamente più grande della carne, occhi celesti sulla terra. Gli occhi che sorgono da un cuore rinnovato e trasformato nell'amore di Dio, il dono preparato per noi oggi, per guardare, accogliere, custodire ed amare, per compiere la missione per la quale siamo nati. 


Icona della Natività. Il dubbio di Giuseppe



Nella parte inferiore si trova Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” ( Mt 1,19) Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si impersona in una figura di pastore coperto di pelli, la cui vera natura si rivela in alcune rappresentazioni, come in una cupola della Cattedrale dell’Annunciazione a Mosca, attraverso due piccoli corni che gli spuntano sul capo. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso, che è anche il nome del bastone di Dioniso e dei satiri.



APPROFONDIRE






Liturgia greca 
Menaion




L'amministratore dei misteri di Dio (1 Cor 4, 1)

Giuseppe, lo sposo di Maria, vide con i propri occhi la realizzazione delle profezie. Scelto per il più illustre matrimonio, ricevette la rivelazione per bocca degli angeli che cantavano: Gloria al Signore ! Perché ha dato la pace alla terra.
Annuncia, o Giuseppe, a Davide, l'antenato dell'Uomo-Dio, i prodigi che i tuoi occhi hanno contemplato : hai visto il bambino sul seno della Vergine ; lo hai adorato insieme con i magi ; hai reso gloria a Dio insieme con i pastori, secondo la parola dell'angelo. Prega il Cristo Dio affinché le nostre anime siano salvate.
Tu, Giuseppe, hai ricevuto in braccio il Dio immenso davanti al quale tremano le potenze celesti, quando egli nacque dalla Vergine ; e ne fosti consacrato. Perciò ti rendiamo onore.
La tua anima fu obbediente al divino precetto; pieno di una purezza senza pari, meritasti di ricevere in moglie colei che è pura e immacolata fra le donne ; fosti il custode di questa Vergine, quando essa meritò di diventare il tabernacolo del Creatore...
Colui che, con una sola parola, ha plasmato il cielo, la terra e il mare, è stato chiamato il figlio dell'artigiano, di te, ammirabile Giuseppe! Sei stato chiamato padre di colui che è senza principio e ti ha glorificato come ministro di un mistero che supera ogni intelligenza... Custode sacro della Vergine benedetta, con lei hai cantato questo cantico : « Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli ! Amen » (Dn 3, 57).






Nessun commento:

Posta un commento