Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 27 aprile 2012

Venerdì della III settimana di Pasqua



Leggere gli eventi per discernere

di Don Antonello Iapicca


Il Vangelo del Giorno




La divinità si nascose sotto l’umanità e si avvicinò alla morte, 
la quale uccise e a sua volta fu uccisa. 
La morte uccise la vita naturale, 
ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. 
Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo
né gli inferi accoglierlo senza la carne
egli nacque dalla Vergine, 
per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. 
Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, 
distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori infernali.
Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale 
e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali.
        Tu ora certo vivi. 
Coloro che ti hanno ucciso hanno agito verso la tua vita come gli agricoltori. 
La seminarono come frumento nel solco profondo. 
Ma di là rifiorì e fece risorgere con sé tutti.

S. Efrem, Discorso sul Signore, 3-4. 9



Dal Vangelo secondo Giovanni 6,52-59.

Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. 

IL COMMENTO

Ci troviamo all'epilogo del grande discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao. Alle parole di Gesù i Giudei cominciano a litigare tra di loro. E' questo il senso della parola greca, molto più forte di "discutere". Quell'uomo che si definisce l'unico pane di vita, e indica nella sua stessa carne la vita eterna, suscita uno scuotimento interno, e, soprattutto, obbliga a prendere posizione.

La sua parola divide. E' la spada che penetra sino alle giunture più profonde e mostra quello che vi è di nascosto, le vere intenzioni dei cuori. La verità all'emergere provoca sempre contrasti. Siamo noi che crediamo, avvolti nei nostri moralismi, che la parola di Gesù debba automaticamente provocare consensi, pace, tranquillità. E invece no, perchè essa urta inevitabilmente con la durezza dei cuori, con l'ostinazione delle menti, con le difese della carne. Ed è un urto violento, una saetta che fa luce, che spazza via l'ipocrisa, che denuda, che polverizza le consuetudini borghesi, le alienazioni, le idolatrie, le false certezze dove l'uomo tenta, goffamente, di installarsi. Appare come in filigrana il rifiuto patito dal Signore in quel di Betlemme, dove non v'era posto per lui e per i suoi genitori in nessun albergo: "i suoi non hanno accolto" una carne che s'era fatta albergo della divinità. 

La carne schiava del peccato non può accogliere il Signore. Per questo i Giudei si mettono a litigare, è una forma di difesa, di cercare giustificazioni, un po' come è accaduto ai progenitori. Il frutto della disobbedienza è stato infatti il taglio della relazione con Dio e, conseguentemente, di quella tra Adamo ed Eva. Alla domanda con la quale Dio lo aveva cercato e scoperto, Adamo oppone un'accusa ad Eva, condita da quella diretta direttamente a Dio: "La donna che mi hai messo accanto mi ha dato il frutto da mangiare". E' la stessa situazione che incontriamo nel Vangelo di oggi, la medesima che troveremo nel deserto quando, dopo aver mormorato per la carne, il popolo comincia a litigare e ad accusare Mosè reclamando acqua per non morire di sete. Sappiamo bene che prendendosela con il loro capo in realtà stanno dirigendo i loro strali a Dio. Così nel Vangelo. Litigano tra di loro ma in fondo è la resistenza che oppongono alle parole di Gesù, e, in esse, a Gesù stesso. Esiste per i Giudei una barriera invalicabile, ed è proprio la carne di Gesù. Credono di conoscerlo, lo hanno visto crescere, sanno tutto della sua famiglia, Lui ha una storia esattamente uguale alla loro, non può salvarli, quella carne è carne come la loro, non può dare la vita. I loro occhi, i loro pensieri, i loro cuori si fermano sull'uscio della casa, non possono entrarvi. Restano alla superficie delle cose, come Eva che fu ingannata proprio dagli occhi che si fissarono sull'apparenza, come il Popolo d'Israele che, sulla soglia della Terra Promessa, cede alla paura dei popoli che l'abitavano, incapaci di riconoscere nei prodigi operati da Dio sino ad allora, la sua fedeltà e il suo potere. 

Anche noi ci fermiamo spesso alla buccia degli eventi e delle persone. Vi è un passo del Profeta Geremia che ci aiuta a comprendere che cosa è accaduto ai Giudei nella Sinagoga di Cafarnao e quello che accade a tutti noi. "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore allontana il suo cuore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa; quando viene il bene non lo vede. Dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine dove nessuno può vivere" (Ger. 17, 5-6). Esiste una maledizione che grava su quanti confidano nella carne, ed essa consiste proprio nel non vedere il bene quando arriva. La dimora di chi vive appoggiato alla carne è una terra dove tutto brucia, è seccato dal sale, dove non si può vivere.

Ora comprendiamo perchè Gesù risponde ai Giudei affermando che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non può avere in sé la vita. Chi resta ancorato ai propri schemi, chi si chiude ostinatamente alla grazia non può vedere il bene quando viene, non si accorge di quello che è celato sotto le apparenze, non vede e non coglie i segni. Dirà Gesù in un altro momento: "Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri?" La Gloria è, nel linguaggio biblico, la presenza e la consistenza delle cose. I Giudei sono così l'immagine di chiunque cerca la consistenza, il valore della propria vita dalla carne di altri uomini. I vana-gloriosi non possono credere, sono prigionieri delle catene carnali, ogni giudizio, ogni pensiero, ogni progetto, ogni relazione, tutto è avvelenato dalla carne. Essa richiama la corruzione, il transitorio, la morte. "Ogni carne è come l'erba... ma la Parola di Dio rimane in eterno" (Is. 40,6). Per questo Gesù dirà che i padri hanno mangiato sì la manna ma sono morti. Essa era solo una profezia di quanto sarebbe accaduto, un segno che Dio, nella precarietà, avrebbe provveduto in modo definitivo, compiendo quanto quel frumento sceso dal Cielo stava annunciando. 

Nel cammino della vita, nella totale precarietà dell'esistenza Dio avrebbe deposto una rugiada di vita eterna. Nella carne Dio avrebbe deposto la vita che non muore. Dio avrebbe visitato di nuovo il mondo, avrebbe compiuto la Pasqua definitiva, la liberazione di ogni uomo dalla schiavitù del peccato. Sì, Dio avrebbe liberato i suoi figli dalla prigione della carne, avrebbe aperto i loro occhi sulla verità, il suo amore infinito celato in ogni istante della storia. E lo avrebbe fatto nel suo stesso Figlio, inviandolo ad ogni uomo quale apostolo della sua stessa vita. E' questo il senso profondo delle parole di Gesù. Il Padre, fonte della vita che non muore, lo ha inviato a donare quella stessa vita, l'unica capace di saziare i desideri dell'uomo. Gesù stesso ha vissuto, nella sua carne, "per mezzo" della vita del Padre. La sua carne l'ha custodita sin sulla Croce, sin dentro alla tomba, per lasciarla esplodere vittoriosa sulla morte: "La divinità si nascose sotto l’umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale" (S. Efrem).

Nella carne di Cristo si è compiuta la vera e definitiva liberazione. Ad essa ogni figlio di Adamo può attingere per non vedersi più morire. In Lui si realizza l'esodo definitivo, quello che dall'Egitto che tutti sperimentiamo, la schiavitù della carne che ci obbliga a fabbricare mattoni per piramidi di morte, ci conduce alla terra della libertà, dove scorrono il latte e il miele dell'amore e della comunione, dell'intimità con Dio e della gratuità. La carne di Gesù è la carne dell'agnello offerto in riscatto per i peccati. Il sangue di Gesù è quello dell'agnello che ha protetto i figli di Israele dall'angelo della morte. Per questo la carne e il sangue di Gesù sono alimento e bevanda veri, degni di fede. Nella carne e nel sangue di Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto, ogni uomo può vedere di nuovo il Cielo, il bene che l'inganno del demonio gli ha occultato. Per questo è necessario mangiare della sua carne e bere del suo sangue. E' necessario che Cristo rompa in ciascuno di noi le barriere della morte, che cancelli ogni peccato, che deponga la vita dove ci ha preso la morte. "La vita con Dio, la vita eterna nella vita temporale, è possibile per questo, perché esiste la vita di Dio con noi: Cristo è Dio che viene a stare con noi. In lui Dio ha tempo per noi, lui è il tempo di Dio per noi e quindi, allo stesso tempo, l'apertura del tempo sull'eternità" (J. Ratzinger, Il Dio vicino).

Tutto questo è dimorare in Gesù, e, con Lui, dimorare in Dio. Gli occhi aperti sul volto di Dio, e la sua misericordia capace di saziare e purificare ogni moto del nostro cuore. La vita pacificata perchè nella precarietà della carne ha preso dimora l'incorruttibilità della vita divina. La pace di un abbandono confidente perchè sazio della carne e del sangue del Signore, del cibo che comunica il tutto di Dio. Mangiare di Gesù allora è aprirsi, giorno per giorno, ad una nuova vita, dove le stesse persone e gli stessi eventi acquistano una luce nuova, la luce che emana la vita celeste scesa sino alle profondità delle nostre storie. Esse, in Cristo, non sono lanciate verso il nulla, ma in cammino verso la pienezza di quella vita che già, oggi, possiamo pregustare. Mangiare la carne e bere il sangue del Signore è accogliere la nostra stessa vita trasformata dalla potenza della sua Vita: è Lui che ogni giorno si fa nostro prossimo, viandante con noi come sulla strada di Emmaus. Mangiare di Lui è implorarlo di non passare oltre e di fermarsi esattamente dove ci troviamo, perchè quell'evento che ci spaventa, quella relazione difficile che ci blocca, non ci incuta più il timore che ha indurito il cuore del Popolo d'Israele facendolo ritornare sui propri passi e impedendogli di entrare nel riposo promesso. Gesù è mandato oggi perchè possiamo vivere per Lui, come Lui ha vissuto per il Padre: Ciò significa vivere nella storia concreta che ci si dipana dinanzi a noi come Gesù ha vissuto il cammino alla Croce che lo attendeva. Lui vedeva la vittoria oltre il Golgota, la vita al di là della propria morte. Con Lui anche noi possiamo sperimentare proprio in ciò che ci impaurisce, nei fallimenti e nelle situazioni difficili, la vita eterna, il riposo promesso, l'amore infinito che ha distrutto la morte. La carne di Cristo nella nostra carne, il suo sangue nel nostro sangue, per vivere la sua vita, eterna, infinita, che supera le mura dell'orgoglio e della paura, per entrare ogni giorno nella storia e scoprirvi i frutti di pienezza in essa piantati: "Ogni dolore accolto, ancora così nascosto, ogni silenziosa sopportazione del male, ogni superamento interiore di se stessi, ogni inizio di amore, ogni rinuncia e ogni silenzioso atto di affidamento a Dio: tutto ciò diventa ora operante nel tutto; niente di buono accade invano. Alla potenza del male, che con i suoi tentacoli minaccia di attaccare tutta la struttura della nostra società e di soffocarla in un abbraccio mortale, si oppone questo silenzioso circuito della vera vita... nel quale si realizza il regno di Dio, poiché la volontà di Dio accade sulla terra come in cielo" (J. Ratzinger, Il Dio vicino).

L'eucarestia è in fondo questo grande mistero, imparare a dimorare, istante dopo istante, nel cuore di Dio. Dire amen nell'amen di Cristo, nutrirci della volontà di Dio, il cibo del Figlio, che la carne non può conoscere. Dire amen alla storia, alimentarci del Pane Vivo disceso dal Cielo nella nostra vita, così come si presenta: amen alla malattia della nipote, amen al carattere del marito, amen al licenziamento, amen alla ribellione del figlio, amen a ogni frammento di vita perchè ciascuno, anche il più piccolo, è un frammento del corpo benedetto di Cristo che ha assunto tutta la nostra vita. Riservare alla nostra vita la stessa attenzione devota e piena di unzione con la quale non si perde neanche il più piccolo frammento dell'ostia consacrata nella patena, perchè nella patenza della nostra carne è vivo Cristo... Imparare a vivere, giorno dopo giorno, nell'amore infinito del Padre, nell'intimità feconda, libera, pacificante, gioiosa con Cristo suo Figlio. Come Giovanni, reclinato sul petto di Gesù: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Dante, Paradiso, XXV, 112-114).


Cristo come-il-pelliccano L’immagine del pellicano che nutre i propri figli con il sangue che sgorga dal suo cuore.



 La simbologia cristologica del pellicano trae origine, in particolare, dall’Adoro te Devote, antico canto eucaristico attribuito a San Tommaso d’Aquino, che recita:
«Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine;
cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere».
Le parole di questo canto hanno fatto del pellicano uno dei simboli eucaristici per eccellenza. L’iconografia cristiana, a partire dal Medioevo, ha usato l’immagine del pellicano come allegoria di Cristo che sulla Croce viene trafitto al costato perdendo sangue e acqua fonte di vita per gli uomini. Con questo simbolo, dunque, viene evidenziato il sacrificio di Cristo, la sua totale abnegazione, la sua morte in croce e l’amore del Padre che invia il proprio Figlio a versare il suo sangue per la nostra salvezza. Il Pellicano diventa, perciò, figura della Redenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono totale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio.
Dante nella Divina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dove l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, con la figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto». (Divina Commedia, Paradiso Canto XXV, 112-114).
In questo stemma il pellicano è rappresentato in argento, “smalto” simbolo della trasparenza, della Verità, sottolineando il messaggio di salvezza che il Signore proclama nel rispondere a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).



Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità 
Jesus, the Word to Be Spoken, 6


«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui»


Con quanta tenerezza Gesù ci parla quando si offre ai suoi nella santa comunione: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mo sangue dimora in me ed io in lui». Che cosa potrebbe darmi come cibo, il mio Gesù, di più della sua carne? No, Dio non potrebbe far di più, né mostrarmi un amore più grande.
La santa comunione, come dice la parola stessa, è l'unione intima di Gesù con la nostra anima e il nostro corpo. Se vogliamo avere la vita e possederla in modo più grande ancora, dobbiamo vivere della carne di nostro Signore. I santi l'hanno così ben capito che potevano passare ore in preparazione ed ancor più in rendimento di grazie. Chi potrebbe spiegarlo? «Quale profondità di ricchezza nella sapienza e scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi, esclamava Paolo, e inaccessibili le sue vie, poiché chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?» (Rm 11,33-34).
Quando accogliete Cristo nel vostro cuore dopo aver condiviso il Pane Vivo, pensate a quanto la Madonna debba aver provato allorché lo Spirito Santo la coprì della sua ombra ed ella, piena di grazia, ricevette il corpo di Cristo (Lc 1,26s). Lo Spirito era così forte in lei che subito «ella si alzò in fretta» (v.39) per andare e servire.




J. Ratzinger. La vita divina nella nostra vita.
Da "Il Dio vicino"



"La vita con Dio, la vita eterna nella vita temporale, è possibile per questo, perché esiste la vita di Dio con noi: Cristo è Dio che viene a stare con noi. In lui Dio ha tempo per noi, lui è il tempo di Dio per noi e quindi, allo stesso tempo, l'apertura del tempo sull'eternità.
Dio non è più il Dio lontano, indeterminato, a cui non arriva alcun ponte, ma è il Dio vicino: il corpo del Figlio è il ponte delle nostre anime. Per mezzo di lui il rapporto con Dio di ciascuno di noi si è fuso nell'unicità della sua relazione con Dio, così che guardare a Dio non è più distogliere lo sguardo dagli altri e dal mondo, ma fusione del nostro sguardo e del nostro essere con lo sguardo unico e l'essere unico del Figlio. Poiché lui è disceso nelle profondità della terra (Ef 4,9s), Dio non è più solo un Dio che sta in alto, ma ci circonda e ci abbraccia, dall'alto, dal basso e dal profondo di noi stessi: Egli è tutto in tutto, e per questo a noi appartiene tutto in tutto: «Tutto quello che è mio, è tuo». Il «Dio tutto in tutto» ha avuto inizio con l'autoesproprìazione di Cristo in croce. Si compirà quando il Figlio consegnerà definitivamente al Padre il regno, cioè l'umanità radunata e la creazione tutta, insieme con essa (1Cor 15,28). Per questo non c'è più il puro privato dell'io isolato, ma «tutto ciò che è mio è tuo». Questa splendida parola del padre al figlio perduto (Lc 15,31), con cui poi Gesù ha descritto la sua esclusiva relazione con il Padre nella preghiera sacerdotale (Gv 17,10), nel corpo di Cristo vale anche per noi tutti tra di noi.
Ogni dolore accolto, ancora così nascosto, ogni silenziosa sopportazione del male, ogni superamento interiore di se stessi, ogni inizio di amore, ogni rinuncia e ogni silenzioso atto di affidamento a Dio: tutto ciò diventa ora operante nel tutto; niente di buono accade invano. Alla potenza del male, che con i suoi tentacoli minaccia di attaccare tutta la struttura della nostra società e di soffocarla in un abbraccio mortale, si oppone questo silenzioso circuito della vera vita, come la potenza liberante, in cui il regno di Dio, senza attirare l'attenzione, come dice il Signore, è già in mezzo a noi (Lc 17,21). In questo circuito si realizza il regno di Dio, poiché la volontà di Dio accade sulla terra come in cielo" (J. Ratzinger, Il Dio vicino, pagg. 154-155).






Sant’Efrem, diacono. La carne crocifissa ponte che ci conduce al cielo.
Disc. sul Signore, 3-4. 9

Il nostro Signore fu schiacciato dalla morte, ma a sua volta egli la calpestò come una strada battuta. Si sottomise spontaneamente alla morte, accettò volontariamente la morte, per distruggere quella morte, che non voleva morire. Nostro Signore infatti uscì reggendo la croce perché così volle la morte. Ma sulla croce col suo grido trasse i morti fuori dagli inferi, nonostante che la morte cercasse di opporsi.
La morte lo ha ucciso nel corpo, che egli aveva assunto. Ma con le stesse armi egli trionfò sulla morte. La divinità si nascose sotto l’umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori infernali.
Cristo venne da Eva, genitrice di tutti i viventi. Ella è la vigna, la cui siepe fu aperta proprio dalla morte per le mani di quella stessa Eva che doveva, per questo, gustare i frutti della morte. Eva, madre di tutti i viventi, divenne anche causa di morte per tutti i viventi.
Fiorì poi Maria, nuova vite rispetto all’antica Eva, e in lei prese dimora la nuova vita, Cristo. Avvenne allora che la morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò la vita e con essa la moltitudine degli uomini.
Fu ben potente il figlio del falegname, che portò la sua croce sopra gli inferi che ingoiavano tutto e trasferì il genere umano nella casa della vita. Siccome poi a causa del legno il genere umano era sprofondato in questi luoghi sotterranei, sopra un legno entrò nell’abitazione della vita. Perciò in quel legno in cui era stato innestato il ramoscello amaro, venne innestato un ramoscello dolce, perché riconosciamo colui al quale nessuna creatura è in grado di resistere. Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. Attraverso questo ponte le anime si possono trasferire dalla regione della morte a quella della vita.
Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali.
Tu ora certo vivi. Coloro che ti hanno ucciso hanno agito verso la tua vita come gli agricoltori. La seminarono come frumento nel solco profondo. Ma di là rifiorì e fece risorgere con sé tutti.
Venite, offriamo il nostro amore come sacrificio grande e universale, eleviamo cantici solenni e rivolgiamo preghiere a colui che offrì la sua croce in sacrificio a Dio, per rendere ricchi tutti noi del suo inestimabile tesoro.

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