Il futuro di Dio
Giovanni Maria Vian: "Il futuro di Dio"
È un avvenimento senza precedenti, e che di conseguenza ha subito fatto il giro del mondo, la rinuncia di Benedetto XVI al papato. Come lo stesso Pontefice ha annunciato con semplice solennità davanti a un gruppo di cardinali, dalla sera del 28 febbraio la sede episcopale di Roma sarà vacante e subito dopo verrà convocato il conclave per eleggere il successore dell’apostolo Pietro. Così è specificato nel breve testo che il Papa ha composto direttamente in latino e che ha letto in concistoro.
La decisione del Pontefice è stata presa da molti mesi, dopo il viaggio in Messico e a Cuba, in un riserbo che nessuno ha potuto infrangere, e avendo «ripetutamente esaminato» la propria coscienza «davanti a Dio» (conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata), a causa dell’avanzare dell’età. Benedetto XVI ha spiegato, con la chiarezza a lui propria, che le sue forze «non sono più adatte per esercitare in modo adeguato» il compito immane richiesto a chi viene eletto «per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo».
Per questo, e soltanto per questo, il Romano Pontefice, «ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà» (bene conscius ponderis huius actus plena libertate) rinuncia al ministero di vescovo di Roma affidatogli il 19 aprile 2005. E le parole che Benedetto XVI ha scelto indicano in modo trasparente il rispetto delle condizioni previste dal diritto canonico per le dimissioni da un incarico che non ha paragoni al mondo per il peso reale e l’importanza spirituale.
È risaputo che il cardinale Ratzinger non ha in alcun modo cercato l’elezione al pontificato, una delle più rapide nella storia, e che l’ha accettata con la semplicità propria di chi davvero affida la propria vita a Dio. Per questo Benedetto XVI non si è mai sentito solo, in un rapporto autentico e quotidiano con chi amorevolmente governa la vita di ogni essere umano e nella realtà della comunione dei santi, sostenuto dall’amore e dal lavoro (amore et labore) dei collaboratori, e sorretto dalla preghiera e dalla simpatia di moltissime persone, credenti e non credenti.
In questa luce va letta anche la rinuncia al pontificato, libera e soprattutto fiduciosa nella provvidenza di Dio. Benedetto XVI sa bene che il servizio papale, «per la sua essenza spirituale», può essere compiuto anche «soffrendo e pregando», ma sottolinea che «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede» per un Papa «è necessario anche il vigore, sia del corpo, sia dell’animo», vigore che in lui va naturalmente scemando.
Nelle parole rivolte ai cardinali, prima stupiti e poi commossi, e con la sua decisione che non ha precedenti storici paragonabili, Benedetto XVI dimostra una lucidità e un’umiltà che è innanzi tutto, come ha spiegato una volta, aderenza alla realtà, alla terra (humus). Così, non sentendosi più in grado di «amministrare bene» il ministero affidatogli, ha annunciato la sua rinuncia. Con una decisione umanamente e spiritualmente esemplare, nella piena maturità di un pontificato che, fin dal suo inizio e per quasi otto anni, giorno per giorno, non ha smesso di stupire e che certo lascerà una traccia profonda nella storia. Quella storia che il Papa legge con fiducia nel segno del futuro di Dio.
g.m.v.
La decisione del Pontefice è stata presa da molti mesi, dopo il viaggio in Messico e a Cuba, in un riserbo che nessuno ha potuto infrangere, e avendo «ripetutamente esaminato» la propria coscienza «davanti a Dio» (conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata), a causa dell’avanzare dell’età. Benedetto XVI ha spiegato, con la chiarezza a lui propria, che le sue forze «non sono più adatte per esercitare in modo adeguato» il compito immane richiesto a chi viene eletto «per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo».
Per questo, e soltanto per questo, il Romano Pontefice, «ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà» (bene conscius ponderis huius actus plena libertate) rinuncia al ministero di vescovo di Roma affidatogli il 19 aprile 2005. E le parole che Benedetto XVI ha scelto indicano in modo trasparente il rispetto delle condizioni previste dal diritto canonico per le dimissioni da un incarico che non ha paragoni al mondo per il peso reale e l’importanza spirituale.
È risaputo che il cardinale Ratzinger non ha in alcun modo cercato l’elezione al pontificato, una delle più rapide nella storia, e che l’ha accettata con la semplicità propria di chi davvero affida la propria vita a Dio. Per questo Benedetto XVI non si è mai sentito solo, in un rapporto autentico e quotidiano con chi amorevolmente governa la vita di ogni essere umano e nella realtà della comunione dei santi, sostenuto dall’amore e dal lavoro (amore et labore) dei collaboratori, e sorretto dalla preghiera e dalla simpatia di moltissime persone, credenti e non credenti.
In questa luce va letta anche la rinuncia al pontificato, libera e soprattutto fiduciosa nella provvidenza di Dio. Benedetto XVI sa bene che il servizio papale, «per la sua essenza spirituale», può essere compiuto anche «soffrendo e pregando», ma sottolinea che «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede» per un Papa «è necessario anche il vigore, sia del corpo, sia dell’animo», vigore che in lui va naturalmente scemando.
Nelle parole rivolte ai cardinali, prima stupiti e poi commossi, e con la sua decisione che non ha precedenti storici paragonabili, Benedetto XVI dimostra una lucidità e un’umiltà che è innanzi tutto, come ha spiegato una volta, aderenza alla realtà, alla terra (humus). Così, non sentendosi più in grado di «amministrare bene» il ministero affidatogli, ha annunciato la sua rinuncia. Con una decisione umanamente e spiritualmente esemplare, nella piena maturità di un pontificato che, fin dal suo inizio e per quasi otto anni, giorno per giorno, non ha smesso di stupire e che certo lascerà una traccia profonda nella storia. Quella storia che il Papa legge con fiducia nel segno del futuro di Dio.
g.m.v.
L'Osservatore Romano, 12 febbraio 2013.
* * *
Dimissioni del Papa. Il mondo esprime sorpresa e rispetto
La notizia della rinuncia di Benedetto XVI al pontificato ha fatto in poco tempo il giro del mondo, monopolizzando i siti internet dei giornali e le dirette televisive e catalizzando l’attenzione del web, come dimostra il fatto che sia subito balzata al primo posto nelle tendenze mondiali di twitter. Mentre in ogni luogo del pianeta si commenta l’avvenimento, da tutte le capitali giungono attestati di stima e di riconoscenza per l’opera del Pontefice.Di «straordinario coraggio e straordinario senso di responsabilità» ha parlato il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, il quale ha aggiunto che nel loro ultimo colloquio traspariva come Benedetto XVI «fosse provato e consapevole di una fatica difficilmente sostenibile».
All’uscita dalla Sala del Concistoro, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha definito quella del Papa una decisione «che lascia con animo carico di dolore e di rincrescimento», sottolineando che «ancora una volta Benedetto XVI ha offerto esempio di profonda libertà interiore» e assicurando «la profonda gratitudine e l’affettuosa vicinanza dei vescovi italiani per l’attenzione costante che ha avuto per il nostro Paese e per la guida sicura e umile con cui ha indirizzato la barca di Pietro».
Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha detto che si tratta di «una notizia che emoziona e suscita il mio più grande rispetto». Merkel ha ricordato inoltre gli incontri personali avuti con Benedetto XVI a Roma e in Germania, in occasione del viaggio del Pontefice nella sua terra natale nel settembre 2011. «Indimenticabile per me — ha detto il cancelliere federale — resta il discorso che il Papa ha tenuto davanti al Parlamento tedesco, quando sottolineò il compito fondamentale di noi politici: servire il diritto e difendersi dal dominio dell’ingiustizia». È stato — ha concluso — «un grande momento per il nostro Parlamento. E personalmente le parole del Papa mi accompagneranno ancora a lungo».
Di decisione «altamente rispettabile» ha parlato il presidente francese, François Hollande. La Repubblica — ha aggiunto — «saluta il Papa che prende questa decisione».
Da Londra, il primo ministro britannico, David Cameron, ha scritto in una nota di volere inviare i suoi migliori auguri al Papa dopo il suo annuncio di oggi. Il premier ha sottolineato che Benedetto XVI «mancherà come capo spirituale a milioni di persone» e ha evidenziato il suo operare «senza sosta per rafforzare i legami tra Gran Bretagna e Santa Sede».
L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, ha spiegato di aver accolto con «cuore pesante e completa comprensione» la decisione di Joseph Ratzinger di lasciare il ministero di vescovo di Roma, un ruolo — ha detto — «ricoperto con grande dignità, visione e coraggio». Il primate della Comunione anglicana ha rigraziato Dio per la vita di Benedetto XVI «profondamente dedicata, in parole e opere, nella preghiera e nel servizio dispendioso, alla sequela di Cristo».
Il Patriarcato ortodosso di Mosca ha ricordato la «dinamica positiva» che Benedetto XVI ha garantito nei rapporti ecumenici e ha auspicato che tale dinamica continui anche col suo successore.
Il portavoce della Chiesa copta egiziana, il vescovo Angelos, ha rivolto a Benedetto XVI espressioni di stima e rispetto, sostenendo che «in quanto religioso il Papa ha assunto un ruolo importante per l’estensione della pace e la rinuncia alla violenza», e ne ha sottolineato la «visione chiara, saggia e profonda».
Yona Metzger, rabbino capo di Israele, ha lodato il Papa per l’impronta data al dialogo tra le religioni. «Nel corso del suo pontificato — ha detto — abbiamo registrato le migliori relazioni da sempre tra Chiesa cattolica e gran rabbinato e auspichiamo che questa tendenza continui. Credo che questo Papa meriti tanto credito per i progressi fatti nel dialogo tra giudaismo, cristianesimo e islamismo. Auguriamo al Papa buona salute e lunga vita».
Vicinanza e rispetto a Benedetto XVI «per la sofferta e coraggiosa decisione» ha espresso il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, il quale ha ricordato come «estremamente significativi» i passi compiuti dal Papa durante il suo magistero «per l’avvicinamento tra ebrei e cristiani nel solco dei valori comuni». Analoghe espressioni di stima sono giunte dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.
Di scelta coraggiosa e da rispettare ha infine parlato Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia.
All’uscita dalla Sala del Concistoro, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha definito quella del Papa una decisione «che lascia con animo carico di dolore e di rincrescimento», sottolineando che «ancora una volta Benedetto XVI ha offerto esempio di profonda libertà interiore» e assicurando «la profonda gratitudine e l’affettuosa vicinanza dei vescovi italiani per l’attenzione costante che ha avuto per il nostro Paese e per la guida sicura e umile con cui ha indirizzato la barca di Pietro».
Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha detto che si tratta di «una notizia che emoziona e suscita il mio più grande rispetto». Merkel ha ricordato inoltre gli incontri personali avuti con Benedetto XVI a Roma e in Germania, in occasione del viaggio del Pontefice nella sua terra natale nel settembre 2011. «Indimenticabile per me — ha detto il cancelliere federale — resta il discorso che il Papa ha tenuto davanti al Parlamento tedesco, quando sottolineò il compito fondamentale di noi politici: servire il diritto e difendersi dal dominio dell’ingiustizia». È stato — ha concluso — «un grande momento per il nostro Parlamento. E personalmente le parole del Papa mi accompagneranno ancora a lungo».
Di decisione «altamente rispettabile» ha parlato il presidente francese, François Hollande. La Repubblica — ha aggiunto — «saluta il Papa che prende questa decisione».
Da Londra, il primo ministro britannico, David Cameron, ha scritto in una nota di volere inviare i suoi migliori auguri al Papa dopo il suo annuncio di oggi. Il premier ha sottolineato che Benedetto XVI «mancherà come capo spirituale a milioni di persone» e ha evidenziato il suo operare «senza sosta per rafforzare i legami tra Gran Bretagna e Santa Sede».
L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, ha spiegato di aver accolto con «cuore pesante e completa comprensione» la decisione di Joseph Ratzinger di lasciare il ministero di vescovo di Roma, un ruolo — ha detto — «ricoperto con grande dignità, visione e coraggio». Il primate della Comunione anglicana ha rigraziato Dio per la vita di Benedetto XVI «profondamente dedicata, in parole e opere, nella preghiera e nel servizio dispendioso, alla sequela di Cristo».
Il Patriarcato ortodosso di Mosca ha ricordato la «dinamica positiva» che Benedetto XVI ha garantito nei rapporti ecumenici e ha auspicato che tale dinamica continui anche col suo successore.
Il portavoce della Chiesa copta egiziana, il vescovo Angelos, ha rivolto a Benedetto XVI espressioni di stima e rispetto, sostenendo che «in quanto religioso il Papa ha assunto un ruolo importante per l’estensione della pace e la rinuncia alla violenza», e ne ha sottolineato la «visione chiara, saggia e profonda».
Yona Metzger, rabbino capo di Israele, ha lodato il Papa per l’impronta data al dialogo tra le religioni. «Nel corso del suo pontificato — ha detto — abbiamo registrato le migliori relazioni da sempre tra Chiesa cattolica e gran rabbinato e auspichiamo che questa tendenza continui. Credo che questo Papa meriti tanto credito per i progressi fatti nel dialogo tra giudaismo, cristianesimo e islamismo. Auguriamo al Papa buona salute e lunga vita».
Vicinanza e rispetto a Benedetto XVI «per la sofferta e coraggiosa decisione» ha espresso il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, il quale ha ricordato come «estremamente significativi» i passi compiuti dal Papa durante il suo magistero «per l’avvicinamento tra ebrei e cristiani nel solco dei valori comuni». Analoghe espressioni di stima sono giunte dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.
Di scelta coraggiosa e da rispettare ha infine parlato Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia.
L'Osservatore Romano, 12 febbraio 2013.
* * *
Dall’età tardoantica a oggi tutte le volte che un Papa ha rinunciato (o dovuto rinunciare) al suo ministero. Scesi dal soglio di Pietro
La risposta di Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo, era stata esplicita. Alla domanda del giornalista Peter Seewald («Quindi è immaginabile una situazione nella quale lei ritenga opportuno che il Papa si dimetta?») aveva detto «Sì. Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi».In verità, la ricostruzione storica dei casi in cui si è interrotto un pontificato prima della morte del Papa, ci riconduce a pochissime figure e in nessun caso a una situazione come quella che si è verificata con la decisione di Benedetto XVI.
Agli albori della Chiesa, quando ancora la predicazione degli apostoli era realtà viva e ricordata per testimonianza diretta, troviamo la figura di Papa Clemente: nella lista dei vescovi di Roma stilata da Ireneo di Lione indicato come terzo successore di Pietro dopo Lino e Anacleto. Le fonti non sono univoche nel ricostruire una data esatta del suo Pontificato: secondo Eusebio di Cesarea sarebbe succeduto ad Anacleto nel dodicesimo anno di Domiziano, cioè nell’anno 92 (Historia Ecclesiastica, III, 15). Ma Girolamo riporta, oltre a questa, anche la tradizione che voleva Clemente come successore immediato di Pietro. Epifanio di Salamina si chiedeva come mai un contemporaneo degli apostoli fosse subentrato solo più tardi nell’episcopato romano e ipotizza che gli apostoli possano aver ordinato chi li sostituisse nel governo della Chiesa romana mentre loro erano impegnati nel ministero apostolico. Epifanio immagina, sulla base della lettera della Chiesa dei Romani a quella dei Corinzi (cfr. 54, 2) — tradizionalmente attribuita a Clemente anche se, in realtà, il fatto non è documentato, e nella quale si esortano i più generosi ad allontanarsi piuttosto che suscitare sedizioni, divisioni e discordie — che in questo passo si rifletta una situazione personale dell’autore il quale, per non suscitare problemi all’interno della comunità, si sarebbe astenuto dall’esercitare le funzioni episcopali finché non vi fu costretto alla morte di Pietro, di Lino e di Cleto.
Siamo però in un ambito in cui il condizionale è d’obbligo e le notizie mancano del necessario fondamento storico. Anche perché — è l’orientamento degli studi attuali — almeno fino al II secolo la guida della Chiesa di Roma sembra vedere come protagonista un collegio di presbiteri piuttosto che una figura prevalente.
Da Clemente si passa a Ponziano. Diciottesimo vescovo della Chiesa di Roma, la data di inizio del suo episcopato va fissata, per congettura, al 230. La fonte più attendibile, il Catalogo liberiano, stabilisce la durata del suo ministero in cinque anni, due mesi e sette giorni. Nel 235 Ponziano fu deportato in Sardegna insieme con il presbitero Ippolito. La durezza del provvedimento risulta dal testo dalla specificazione: in insula nociva, formula che probabilmente intende il clima insalubre e la condanna ai lavori forzati in miniera. Il catalogo ricorda quindi la data della rinuncia di Papa Ponziano alla carica, rinuncia espressa con il termine tecnico discinctus est (cfr. Thesaurus linguae Latinae, V, 1, Lipsiae 1909-34, col. 1316), avvenuta in Sardegna (in eadem insula) il 28 settembre e l’ordinazione, come successore, di Antero il 21 novembre.
Ponziano, come ipotizza l’Enciclopedia dei Papi, «potrebbe essere stato spinto da un ammirevole realismo, avendo dato per certo che non sarebbe uscito vivo dalla deportazione, e che l’assenza di un pastore avrebbe nuociuto al gregge. Ma circostanze particolari potrebbero averlo indotto a un gesto di forte significato simbolico. Se il presbitero Ippolito esiliato con lui, sia o meno da identificare con l’autore dell’Èlenchos, fosse stato il capo spirituale di una comunità romana dissidente con l’orientamento in quel momento maggioritario rappresentato da Ponziano, il gesto di quest’ultimo acquisterebbe ulteriore spessore in quanto teso a favorire o sancire una riconciliazione. E se ci si volesse spingere oltre nel campo della congettura l’elezione a Roma di Antero, un greco di origine orientale, come dovrebbe essere stato Ippolito, avrebbe il sapore di una ulteriore apertura alla riunione delle varie componenti della comunità romana».
Con un salto di circa tre secoli si giunge a Papa Silverio. Alla morte del padre (Papa Ormisda) nel 523, ne compose l’epitaffio, oggi perduto, nel quale celebrava i tentativi di riconciliazione con l’Oriente e il ritorno dell’Africa alla libertà. Non è noto se all’epoca Silverio fosse già entrato nel clero, poiché l’iscrizione non porta alcun titolo, ma si sa che quando giunse la morte di Papa Agapito, avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, egli era suddiacono della Chiesa di Roma.
La sua candidatura al soglio pontificio, imposta da re Teodato, secondo il cronista del Liber pontificalis suscitò un diffuso malumore tra il clero, come reazione al rango modesto del candidato nella gerarchia ecclesiastica. Era la prima volta che un suddiacono accedeva al pontificato. Silverio si impegnò nella lotta contro i monofisiti nel concilio che si svolse dal 2 al 4 giugno del 536, durante il quale fu condannato in contumacia Antimo, che fu deposto dalla sua sede di Trebisonda. Questa politica di repressione del monofisismo indispose l’imperatrice Teodora, che decise la rovina di Silverio inviando una lettera al generale Belisario nella quale gli intimava di deporre il Papa.
Belisario obbedì convocando i presbiteri, i diaconi e tutto il clero affinché eleggessero Vigilio, che fu consacrato il 29 marzo 537, sebbene il Liber pontificalis lo designi come diacono fino alla morte del suo predecessore. Secondo la stessa fonte Silverio fu confinato nell’isola di Palmarola, una delle Pontine, e ridotto alla stato monastico. Liberato parla invece di un primo esilio a Patara, in Licia, mostrando una relativa concordanza con Procopio, il quale riferisce che Belisario mandò il Papa accusato di tradimento «in Grecia».
In tutt’altra epoca si inquadra Benedetto IX, al secolo Teofilatto dei conti di Tuscolo, regnante tra l’ottobre del 1032 e il settembre del 1044. A lui toccò di rappresentare il segno della assoluta mondanizzazione e strumentalizzazione del potere papale. Nella sua complessa vicenda il Pontefice fu espulso da Roma, dove rientrò prima di essere definitivamente sconfitto. Incerta la data di nascita e l’esatta posizione della genitura, si può comunque dire che non fosse fanciullo al momento dell’elezione, come sostenuto a lungo. Gli Annales Romani riportano che nel 1044 a Roma scoppiò una rivolta contro il Papa che venne cacciato. Subito dopo venne eletto il vescovo di Sabina Giovanni, che prese il nome di Silvestro III, il quale dopo 49 giorni venne a sua volta rimosso da Benedetto IX che tornò sul soglio pontificio.
In carica Benedetto IX vi rimase dal 10 marzo al 1° maggio del 1045, quando cedette l’incarico a Giovanni Graziano, che divenne Pontefice con il nome di Gregorio VI.
La successione era avvenuta con un meccanismo usuale, dati i tempi, quello dell’acquisto per denaro. Anche il nuovo Papa non restò a lungo sul soglio: sceso in Italia nell’autunno del 1046, Enrico III riunì un concilio a Sutri, invitando i tre Pontefici che erano stati protagonisti delle vicende degli ultimi due anni. Silvestro III non si presentò. Gregorio VI, unico presente, riconobbe la sua colpa, pur nell’affermazione della sua buona fede. Nemmeno Benedetto IX si presentò e nel concilio romano immediatamente successivo, nel Natale del 1046, fu dichiarato deposto dal nuovo Pontefice Clemente II. Ma dopo la morte improvvisa di Clemente, il 9 ottobre 1047, Benedetto IX riuscì a tornare ancora sul soglio di Pietro, forte dell’appoggio di Bonifacio di Canossa, e sfruttando la lontananza dall’Italia di Enrico III. Durò però poco. Enrico chiese a Bonifacio di scortare a Roma il nuovo Pontefice scelto da lui stesso, Poppone di Bressanone che assunse il nome di Damaso II. Dopo un’iniziale riluttanza Bonifacio dovette cedere alle minacce del sovrano e accompagnò a malincuore il Papa germanico nella città eterna, determinando l’allontanamento definitivo di Benedetto IX, che si rifugiò tra i castelli della Sabina. Qui Teofilatto continuò a considerarsi in carica in uno sdegnoso ritiro.
Dopo il caso di Celestino V del quale scriviamo in questa pagina, si arriva così all’ultimo Pontefice che lasciò il soglio di Pietro. Angelo Correr, figlio del patrizio veneziano Nicolò di Pietro, Papa dal 1406 al 1415 con il nome di Gregorio XII, dimettendosi da vicario di Pietro (ma su richiesta del concilio di Costanza) cercò di avviare verso la soluzione un groviglio di problemi straordinariamente complesso: anni di lotte e di contese giuridiche, belliche e diplomatiche con gli antipapi Benedetto XIII, espressione della fazione avignonese, e Giovanni XXIII (nome che verrà poi riutilizzato da Papa Roncalli) durante lo scisma d’Occidente.
Nel marzo 1415 aveva nominato Carlo Malatesta suo procuratore, delegando nel contempo propri rappresentanti con la potestà di convocare a suo nome il concilio. Se l’assemblea conciliare avesse accettato tale procedura Gregorio sarebbe apparso come l’unico Papa legittimo; si trattava di un riconoscimento formale, ma importante. Il concilio ritenne comunque opportuno accogliere la richiesta, destinata a spianare la via all’unità. Così il 4 luglio 1415 il cardinale Dominici lesse la bolla di convocazione del concilio, dopodiché il Malatesta dette l’annuncio ufficiale dell’abdicazione di Gregorio XII. Il concilio aveva deciso di conferire a Gregorio XII il titolo di cardinale vescovo di Porto con il primo rango dopo il Papa e la nomina vitalizia di legato per la Marca di Ancona. Di quanto era avvenuto a Costanza il 4 luglio 1415 ebbe notizia il 19 luglio e il giorno seguente, nell’ultimo concistoro che volle convocare, si spogliò dei simboli del potere papale rivestendo l’abito cardinalizio. Dal gennaio 1416, tornato Angelo Correr, visse a Recanati dove si spense il 18 ottobre 1417. L’11 novembre di quello stesso anno, con l’elezione di Oddone Colonna che assunse il nome di Martino V, il grande scisma era definitivamente riassorbito.
Agli albori della Chiesa, quando ancora la predicazione degli apostoli era realtà viva e ricordata per testimonianza diretta, troviamo la figura di Papa Clemente: nella lista dei vescovi di Roma stilata da Ireneo di Lione indicato come terzo successore di Pietro dopo Lino e Anacleto. Le fonti non sono univoche nel ricostruire una data esatta del suo Pontificato: secondo Eusebio di Cesarea sarebbe succeduto ad Anacleto nel dodicesimo anno di Domiziano, cioè nell’anno 92 (Historia Ecclesiastica, III, 15). Ma Girolamo riporta, oltre a questa, anche la tradizione che voleva Clemente come successore immediato di Pietro. Epifanio di Salamina si chiedeva come mai un contemporaneo degli apostoli fosse subentrato solo più tardi nell’episcopato romano e ipotizza che gli apostoli possano aver ordinato chi li sostituisse nel governo della Chiesa romana mentre loro erano impegnati nel ministero apostolico. Epifanio immagina, sulla base della lettera della Chiesa dei Romani a quella dei Corinzi (cfr. 54, 2) — tradizionalmente attribuita a Clemente anche se, in realtà, il fatto non è documentato, e nella quale si esortano i più generosi ad allontanarsi piuttosto che suscitare sedizioni, divisioni e discordie — che in questo passo si rifletta una situazione personale dell’autore il quale, per non suscitare problemi all’interno della comunità, si sarebbe astenuto dall’esercitare le funzioni episcopali finché non vi fu costretto alla morte di Pietro, di Lino e di Cleto.
Siamo però in un ambito in cui il condizionale è d’obbligo e le notizie mancano del necessario fondamento storico. Anche perché — è l’orientamento degli studi attuali — almeno fino al II secolo la guida della Chiesa di Roma sembra vedere come protagonista un collegio di presbiteri piuttosto che una figura prevalente.
Da Clemente si passa a Ponziano. Diciottesimo vescovo della Chiesa di Roma, la data di inizio del suo episcopato va fissata, per congettura, al 230. La fonte più attendibile, il Catalogo liberiano, stabilisce la durata del suo ministero in cinque anni, due mesi e sette giorni. Nel 235 Ponziano fu deportato in Sardegna insieme con il presbitero Ippolito. La durezza del provvedimento risulta dal testo dalla specificazione: in insula nociva, formula che probabilmente intende il clima insalubre e la condanna ai lavori forzati in miniera. Il catalogo ricorda quindi la data della rinuncia di Papa Ponziano alla carica, rinuncia espressa con il termine tecnico discinctus est (cfr. Thesaurus linguae Latinae, V, 1, Lipsiae 1909-34, col. 1316), avvenuta in Sardegna (in eadem insula) il 28 settembre e l’ordinazione, come successore, di Antero il 21 novembre.
Ponziano, come ipotizza l’Enciclopedia dei Papi, «potrebbe essere stato spinto da un ammirevole realismo, avendo dato per certo che non sarebbe uscito vivo dalla deportazione, e che l’assenza di un pastore avrebbe nuociuto al gregge. Ma circostanze particolari potrebbero averlo indotto a un gesto di forte significato simbolico. Se il presbitero Ippolito esiliato con lui, sia o meno da identificare con l’autore dell’Èlenchos, fosse stato il capo spirituale di una comunità romana dissidente con l’orientamento in quel momento maggioritario rappresentato da Ponziano, il gesto di quest’ultimo acquisterebbe ulteriore spessore in quanto teso a favorire o sancire una riconciliazione. E se ci si volesse spingere oltre nel campo della congettura l’elezione a Roma di Antero, un greco di origine orientale, come dovrebbe essere stato Ippolito, avrebbe il sapore di una ulteriore apertura alla riunione delle varie componenti della comunità romana».
Con un salto di circa tre secoli si giunge a Papa Silverio. Alla morte del padre (Papa Ormisda) nel 523, ne compose l’epitaffio, oggi perduto, nel quale celebrava i tentativi di riconciliazione con l’Oriente e il ritorno dell’Africa alla libertà. Non è noto se all’epoca Silverio fosse già entrato nel clero, poiché l’iscrizione non porta alcun titolo, ma si sa che quando giunse la morte di Papa Agapito, avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, egli era suddiacono della Chiesa di Roma.
La sua candidatura al soglio pontificio, imposta da re Teodato, secondo il cronista del Liber pontificalis suscitò un diffuso malumore tra il clero, come reazione al rango modesto del candidato nella gerarchia ecclesiastica. Era la prima volta che un suddiacono accedeva al pontificato. Silverio si impegnò nella lotta contro i monofisiti nel concilio che si svolse dal 2 al 4 giugno del 536, durante il quale fu condannato in contumacia Antimo, che fu deposto dalla sua sede di Trebisonda. Questa politica di repressione del monofisismo indispose l’imperatrice Teodora, che decise la rovina di Silverio inviando una lettera al generale Belisario nella quale gli intimava di deporre il Papa.
Belisario obbedì convocando i presbiteri, i diaconi e tutto il clero affinché eleggessero Vigilio, che fu consacrato il 29 marzo 537, sebbene il Liber pontificalis lo designi come diacono fino alla morte del suo predecessore. Secondo la stessa fonte Silverio fu confinato nell’isola di Palmarola, una delle Pontine, e ridotto alla stato monastico. Liberato parla invece di un primo esilio a Patara, in Licia, mostrando una relativa concordanza con Procopio, il quale riferisce che Belisario mandò il Papa accusato di tradimento «in Grecia».
In tutt’altra epoca si inquadra Benedetto IX, al secolo Teofilatto dei conti di Tuscolo, regnante tra l’ottobre del 1032 e il settembre del 1044. A lui toccò di rappresentare il segno della assoluta mondanizzazione e strumentalizzazione del potere papale. Nella sua complessa vicenda il Pontefice fu espulso da Roma, dove rientrò prima di essere definitivamente sconfitto. Incerta la data di nascita e l’esatta posizione della genitura, si può comunque dire che non fosse fanciullo al momento dell’elezione, come sostenuto a lungo. Gli Annales Romani riportano che nel 1044 a Roma scoppiò una rivolta contro il Papa che venne cacciato. Subito dopo venne eletto il vescovo di Sabina Giovanni, che prese il nome di Silvestro III, il quale dopo 49 giorni venne a sua volta rimosso da Benedetto IX che tornò sul soglio pontificio.
In carica Benedetto IX vi rimase dal 10 marzo al 1° maggio del 1045, quando cedette l’incarico a Giovanni Graziano, che divenne Pontefice con il nome di Gregorio VI.
La successione era avvenuta con un meccanismo usuale, dati i tempi, quello dell’acquisto per denaro. Anche il nuovo Papa non restò a lungo sul soglio: sceso in Italia nell’autunno del 1046, Enrico III riunì un concilio a Sutri, invitando i tre Pontefici che erano stati protagonisti delle vicende degli ultimi due anni. Silvestro III non si presentò. Gregorio VI, unico presente, riconobbe la sua colpa, pur nell’affermazione della sua buona fede. Nemmeno Benedetto IX si presentò e nel concilio romano immediatamente successivo, nel Natale del 1046, fu dichiarato deposto dal nuovo Pontefice Clemente II. Ma dopo la morte improvvisa di Clemente, il 9 ottobre 1047, Benedetto IX riuscì a tornare ancora sul soglio di Pietro, forte dell’appoggio di Bonifacio di Canossa, e sfruttando la lontananza dall’Italia di Enrico III. Durò però poco. Enrico chiese a Bonifacio di scortare a Roma il nuovo Pontefice scelto da lui stesso, Poppone di Bressanone che assunse il nome di Damaso II. Dopo un’iniziale riluttanza Bonifacio dovette cedere alle minacce del sovrano e accompagnò a malincuore il Papa germanico nella città eterna, determinando l’allontanamento definitivo di Benedetto IX, che si rifugiò tra i castelli della Sabina. Qui Teofilatto continuò a considerarsi in carica in uno sdegnoso ritiro.
Dopo il caso di Celestino V del quale scriviamo in questa pagina, si arriva così all’ultimo Pontefice che lasciò il soglio di Pietro. Angelo Correr, figlio del patrizio veneziano Nicolò di Pietro, Papa dal 1406 al 1415 con il nome di Gregorio XII, dimettendosi da vicario di Pietro (ma su richiesta del concilio di Costanza) cercò di avviare verso la soluzione un groviglio di problemi straordinariamente complesso: anni di lotte e di contese giuridiche, belliche e diplomatiche con gli antipapi Benedetto XIII, espressione della fazione avignonese, e Giovanni XXIII (nome che verrà poi riutilizzato da Papa Roncalli) durante lo scisma d’Occidente.
Nel marzo 1415 aveva nominato Carlo Malatesta suo procuratore, delegando nel contempo propri rappresentanti con la potestà di convocare a suo nome il concilio. Se l’assemblea conciliare avesse accettato tale procedura Gregorio sarebbe apparso come l’unico Papa legittimo; si trattava di un riconoscimento formale, ma importante. Il concilio ritenne comunque opportuno accogliere la richiesta, destinata a spianare la via all’unità. Così il 4 luglio 1415 il cardinale Dominici lesse la bolla di convocazione del concilio, dopodiché il Malatesta dette l’annuncio ufficiale dell’abdicazione di Gregorio XII. Il concilio aveva deciso di conferire a Gregorio XII il titolo di cardinale vescovo di Porto con il primo rango dopo il Papa e la nomina vitalizia di legato per la Marca di Ancona. Di quanto era avvenuto a Costanza il 4 luglio 1415 ebbe notizia il 19 luglio e il giorno seguente, nell’ultimo concistoro che volle convocare, si spogliò dei simboli del potere papale rivestendo l’abito cardinalizio. Dal gennaio 1416, tornato Angelo Correr, visse a Recanati dove si spense il 18 ottobre 1417. L’11 novembre di quello stesso anno, con l’elezione di Oddone Colonna che assunse il nome di Martino V, il grande scisma era definitivamente riassorbito.
L'Osservatore Romano, 12 febbraio 2013.
«La decisione del Papa presa già da molti mesi. Una decisione libera e fiduciosa nella provvidenza di Dio»
Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni,
ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa.
Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze,
per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale,
deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando.
Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede,
per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo,
vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere
la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.
Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto,
con piena libertà,
dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro,
a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che,
dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante
e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro
con cui avete portato con me il peso del mio ministero,
e chiedo perdono per tutti i miei difetti.
Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo,
e imploriamo la sua santa Madre Maria,
affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice.
Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore,
con una vita dedicata alla preghiera,
la Santa Chiesa di Dio.
Nessun commento:
Posta un commento