unite insieme così strettamente che emettono una luce sola.
Santa Teresa d'Avila, Mansioni, VII
Dal Vangelo secondo Giovanni 17,20-26.
Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
IL COMMENTO
L'amore è l'unità. Per comprendere cosa siano la comunione e l'unità nella Chiesa occorre partire dall'amore, da quello con il quale il Padre ha amato il Figlio. Per questo la perfetta unità è un dono celeste, un'opera dello Spirito Santo. E' Lui che, donato alla Chiesa, riversa l'amore di Dio nei cuori dei discepoli. E' nello Spirito Santo che la Chiesa è una, cattolica ed apostolica. Non si tratta di sforzi, compromessi, documenti. La Chiesa non può darsi l'unità da se stessa. La Chiesa è una perchè è divina. Perchè è il Corpo di Cristo, perchè è viva nell'intimità di Dio. Possiamo allora chiederci ancora una volta come Dio ha amato il Figlio, come sono, tra loro, una cosa sola.
Dobbiamo ripercorrere tutta la vita di Gesù. Scopriremo che in ogni istante Egli ha compiuto la volontà del Padre. E' questa la chiave dell'unità. Ed essa passa per l'obbedienza. Sappiamo che, nella Scrittura, obbedienza ed ascolto, coincidono. Ecco perchè nella preghiera sacerdotale Gesù accenna alla Parola che ha dato ai suoi discepoli, che diviene parola dei discepoli che chiama e, creduta, genera figli alla Chiesa. La comunione e l'unità passano dunque per l'ascolto della Parola. Comprendiamo allora quanto siano fondamentali la predicazione e l'annuncio. Senza di essi l'unità non è neanche immaginabile. La carne rende impotenti anche i desideri e i progetti più nobili. E' nella Parola che si dà l'intimità dell'amore da cui sgorga, naturalmente, la comunione. La preghiera di Gesù è dunque l'intercessione presso il Padre perchè i discepoli prima, e il mondo poi, possano accogliere la Parola, essere custoditi in essa, sperimentarne il potere, incarnarne la Verità e divenire così testimoni autentici per compiere la missione di annunciare al mondo il Signore Gesù Cristo risorto. Nella catechesi del 25 gennaio del 2012 Benedetto XVI diceva al proposito: " Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi (Gv 17,20). Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: «Gesù ha portato a pieno compimento l’opera del Padre, e la sua preghiera, come il suo Sacrificio, si estende fino alla consumazione dei tempi. La preghiera dell’Ora riempie gli ultimi tempi e li porta verso la loro consumazione» (n. 2749). La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. Essa proviene esclusivamente dall’unità divina e arriva a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito Santo. Gesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra... L’unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perchè tutti siano realmente una sola cosa. L’unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù – che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell’efficacia della missione cristiana nel mondo".
La Parola di Dio è la Verità. E la Verità è la carità di Dio fatta carne in Cristo Gesù. Essa è il vertice della comunione, il vincolo di perfezione. Amore e unità sono dunque le caratteristiche uniche e celesti con le quali la Chiesa si presenta al mondo. Esso potrà credere solo vedendo compiuti, in essa, l'amore e l'unità. Perchè questo si realizzi è necessario che la Chiesa sia sempre in cammino, in conversione, in ascolto della Parola di Dio, nutrita dei sacramenti, sperimentando, passo dopo passo, nella comunità concreta dei cristiani, il compiersi, per Grazia dello Spirito Santo, dell'amore e dell'unità. E' in questo cammino che Gesù continua a far conoscere il suo Nome, la sua persona. E' nel cammino di un'iniziazione cristiana che formi permanentemente alla fede che i cristiani possono vivere l'intimità con il Padre, nel Figlio, per mezzo dello Spirito Santo.
E' la comunità concreta nella quale ci ha posti la Provvidenza il luogo dove discende la Gloria di Dio, la sua presenza misteriosa. E' la comunità il luogo dove Gesù è Figlio amato e amante, dove Egli è e i suoi discepoli sono, in un amore più forte della morte, l'amore tra il Padre e il Figlio, lo Spirito Santo vivo. Per questo la Parola del Vangelo di oggi ci chiama a perseverare nel cammino intrapreso, a non abbandonare Gerusalemme, la comunità, dove saremo rivestiti di potenza dall'alto. Stringerci alla Parola di Dio, al Verbo fatto carne nella predicazione, nella proclamazione, nella meditazione. Nutrirci, giorno dopo giorno, della Parola fatta sacramento e amore nello Spirito Santo che il Padre, nel Nome di Gesù, riversa sulla sua Chiesa. Fedeli alla Chiesa, al cammino di fede che Dio ci ha donato, alla comunità nella quale siamo gestati alla fede, per contemplare, nelle visissitudini delle nostre vite, la Gloria di Gesù, il nostro stesso destino eterno. Il nostro e quello del mondo intero, perchè tutti, per mezzo della Chiesa, siano uno in Cristo Gesù.
Sant’Ignazio d’Antiochia (? - circa 110), vescovo et martire
Lettera agli Efesini, 2-4
« Come tu sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola »
Bisogna glorificare in ogni modo Gesù Cristo che ha glorificato voi, perché riuniti in una stessa obbedienza e sottomessi al vescovo e ai presbiteri siate santificati in ogni cosa. Non vi comanderò come se fossi qualcuno. Se pur sono incatenato nel Suo nome, non ancora ho raggiunto la perfezione in Gesù Cristo. Solo ora incomincio a istruirmi e parlo a voi come miei condiscepoli. Bisogna che da voi sia unto di fede, di esortazione, di pazienza e di magnanimità. Ma poiché la carità non mi lascia tacere con voi, voglio esortarvi a comunicare in armonia con la mente di Dio. E Gesù Cristo, nostra vita inseparabile, è il pensiero del Padre, come anche i vescovi posti sino ai confini della terra sono nel pensiero di Gesù Cristo.
Conviene procedere d'accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell'armonia del vostro accordo prendendo nell'unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre... È necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio.
San Pier Damiani (1007-1072), eremita poi vescovo, dottore della Chiesa
Opuscoli, 11 « Dominus vobiscum », 6
« Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola »
La santa Chiesa, sebbene sia diversa per la moteplicità delle persone, è fusa nell'unità dal fuoco dello Spirito Santo: e perciò, anche se nel suo corpo visibile sembra essere divisa in diversi luoghi, questo non toglie nulla al mistero della sua intima unità. Infatti «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). È dunque questo Spirito, uno e molteplice, uno nella maestà dell'essenza e molteplice nei diversi doni, a permettere alla Chiesa Santa, da lui colmata, di essere una nella totalità e tutta intera nelle sue parti...
Se dunque coloro che credono in Cristo sono una cosa sola, dovunque è presente visibilmente un membro, ivi è anche presente misticamente tutto il corpo... Ecco perché, quando parecchi fedeli si trovano insieme, possono dire: «Signore, tendi l'orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice. Custodiscimi perché sono fedele» (Sal 85,1). E quando siamo da soli, possiamo tuttavia cantare: «Esultate in Dio, nostra forza, acclamate al Dio di Giacobbe» (Sal 80,2). Non è inopportuno dire tutti insieme: «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode» (Sal 33,2), o proclamare, mentre sono da solo: «Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome» (Sal 33,4), e altre espressioni simili. La solitudine non impedisce a nessuno di parlare al plurale, e la moltitudine dei fedeli può certo esprimersi al singolare. La potenza dello Spirito Santo che abita in ognuno dei fedeli e li avvolge tutti insieme, fa sì che ci sia qui una solitudine riccamente popolata, e lì una moltitudine che è una cosa sola.
Benedetto XVI. La Preghiera sacerdotale di Gesù.
Catechesi del 25 gennaio 2012
Nella Catechesi di oggi concentriamo la nostra attenzione sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell’«Ora» del suo innalzamento e della sua glorificazione (cfr Gv 17,1-26). Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La tradizione cristiana a ragione la definisce la “preghiera sacerdotale” di Gesù. E’ quella del nostro Sommo Sacerdote, è inseparabile dal suo Sacrificio, dal suo “passaggio” [pasqua] al Padre, dove egli è interamente “consacrato” al Padre» (n. 2747).
Questa preghiera di Gesù è comprensibile nella sua estrema ricchezza soprattutto se la collochiamo sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr. In quel giorno il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli. La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni, riprende la struttura di questa festa. Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi (cfr Gv 17,20).
La preghiera che Gesù fa per se stesso è la richiesta della propria glorificazione, del proprio «innalzamento» nella sua «Ora». In realtà è più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare, liberamente e generosamente, nel disegno di Dio Padre che si compie nell’essere consegnato e nella morte e risurrezione. Questa “Ora” è iniziata con il tradimento di Giuda (cfr Gv 13,31) e culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre (Gv20,17). L’uscita di Giuda dal cenacolo è commentata da Gesù con queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31). Non a caso, Egli inizia la preghiera sacerdotale dicendo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l’ingresso nella piena obbedienza al Padre, un’obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo di Gesù che è un donarsi totalmente sulla croce, e proprio sulla croce – il supremo atto di amore – Egli è glorificato, perché l’amore è la gloria vera, la gloria divina.
Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui. Essi sono coloro dei quali Gesù può dire al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola» (Gv 17,6). «Manifestare il nome di Dio agli uomini» è la realizzazione di una presenza nuova del Padre in mezzo al popolo, all’umanità. Questo “manifestare” è non solo una parola, ma è realtà in Gesù; Dio è con noi, e così il nome – la sua presenza con noi, l’essere uno di noi – è “realizzato”. Quindi questa manifestazione si realizza nell’incarnazione del Verbo. In Gesù Dio entra nella carne umana, si fa vicino in modo unico e nuovo. E questa presenza ha il suo vertice nel sacrificio che Gesù realizza nella sua Pasqua di morte e risurrezione.
Al centro di questa preghiera di intercessione e di espiazione a favore dei discepoli sta la richiesta di consacrazione; Gesù dice al Padre: «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,16-19). Domando: cosa significa «consacrare» in questo caso? Anzitutto bisogna dire che «Consacrato» o «Santo», è propriamente solo Dio. Consacrare quindi vuol dire trasferire una realtà – una persona o cosa – nella proprietà di Dio. E in questo sono presenti due aspetti complementari: da una parte togliere dalle cose comuni, segregare, “mettere a parte” dall’ambiente della vita personale dell’uomo per essere donati totalmente a Dio; e dall’altra questa segregazione, questo trasferimento alla sfera di Dio, ha il significato proprio di «invio», di missione: proprio perché donata a Dio, la realtà, la persona consacrata esiste «per» gli altri, è donata agli altri. Donare a Dio vuol dire non essere più per se stessi, ma per tutti. E’ consacrato chi, come Gesù, è segregato dal mondo e messo a parte per Dio in vista di un compito e proprio per questo è pienamente a disposizione di tutti. Per i discepoli, sarà continuare la missione di Gesù, essere donato a Dio per essere così in missione per tutti. La sera di Pasqua, il Risorto, apparendo ai suoi discepoli, dirà loro: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv20,21).
Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale distende lo sguardo fino alla fine del tempo. In essa Gesù si rivolge al Padre per intercedere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi (Gv 17,20). Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: «Gesù ha portato a pieno compimento l’opera del Padre, e la sua preghiera, come il suo Sacrificio, si estende fino alla consumazione dei tempi. La preghiera dell’Ora riempie gli ultimi tempi e li porta verso la loro consumazione» (n. 2749).
La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. Essa proviene esclusivamente dall’unità divina e arriva a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito Santo. Gesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra. Egli prega «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L’unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perchè tutti siano realmente una sola cosa. L’unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù – che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell’efficacia della missione cristiana nel mondo.
«Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l’istituzione della Chiesa … Proprio qui, nell’atto dell’ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l’atto in cui egli «consacra» se stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo (cfr Gesù di Nazaret, II, 117s).
Gesù prega perché i suoi discepoli siano una cosa sola. In forza di tale unità, ricevuta e custodita, la Chiesa può camminare «nel mondo» senza essere «del mondo» (cfr Gv 17,16) e vivere la missione affidatale perché il mondo creda nel Figlio e nel Padre che lo ha mandato. La Chiesa diventa allora il luogo in cui continua la missione stessa di Cristo: condurre il «mondo» fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, fuori dal peccato, affinché ritorni ad essere il mondo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo colto qualche elemento della grande ricchezza della preghiera sacerdotale di Gesù, che vi invito a leggere e a meditare, perché ci guidi nel dialogo con il Signore, ci insegni a pregare. Anche noi, allora, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio che ci aiuti ad entrare, in modo più pieno, nel progetto che ha su ciascuno di noi; chiediamoGli di essere «consacrati» a Lui, di appartenerGli sempre di più, per poter amare sempre di più gli altri, i vicini e i lontani; chiediamoGli di essere sempre capaci di aprire la nostra preghiera alle dimensioni del mondo, non chiudendola nella richiesta di aiuto per i nostri problemi, ma ricordando davanti al Signore il nostro prossimo, apprendendo la bellezza di intercedere per gli altri; chiediamoGli il dono dell’unità visibile tra tutti i credenti in Cristo – lo abbiamo invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani – preghiamo per essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Grazie.
« Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola »
La santa Chiesa, sebbene sia diversa per la moteplicità delle persone, è fusa nell'unità dal fuoco dello Spirito Santo: e perciò, anche se nel suo corpo visibile sembra essere divisa in diversi luoghi, questo non toglie nulla al mistero della sua intima unità. Infatti «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). È dunque questo Spirito, uno e molteplice, uno nella maestà dell'essenza e molteplice nei diversi doni, a permettere alla Chiesa Santa, da lui colmata, di essere una nella totalità e tutta intera nelle sue parti...
Se dunque coloro che credono in Cristo sono una cosa sola, dovunque è presente visibilmente un membro, ivi è anche presente misticamente tutto il corpo... Ecco perché, quando parecchi fedeli si trovano insieme, possono dire: «Signore, tendi l'orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice. Custodiscimi perché sono fedele» (Sal 85,1). E quando siamo da soli, possiamo tuttavia cantare: «Esultate in Dio, nostra forza, acclamate al Dio di Giacobbe» (Sal 80,2). Non è inopportuno dire tutti insieme: «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode» (Sal 33,2), o proclamare, mentre sono da solo: «Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome» (Sal 33,4), e altre espressioni simili. La solitudine non impedisce a nessuno di parlare al plurale, e la moltitudine dei fedeli può certo esprimersi al singolare. La potenza dello Spirito Santo che abita in ognuno dei fedeli e li avvolge tutti insieme, fa sì che ci sia qui una solitudine riccamente popolata, e lì una moltitudine che è una cosa sola.
Benedetto XVI. La Preghiera sacerdotale di Gesù.
Catechesi del 25 gennaio 2012
Nella Catechesi di oggi concentriamo la nostra attenzione sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell’«Ora» del suo innalzamento e della sua glorificazione (cfr Gv 17,1-26). Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La tradizione cristiana a ragione la definisce la “preghiera sacerdotale” di Gesù. E’ quella del nostro Sommo Sacerdote, è inseparabile dal suo Sacrificio, dal suo “passaggio” [pasqua] al Padre, dove egli è interamente “consacrato” al Padre» (n. 2747).
Questa preghiera di Gesù è comprensibile nella sua estrema ricchezza soprattutto se la collochiamo sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr. In quel giorno il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli. La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni, riprende la struttura di questa festa. Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi (cfr Gv 17,20).
La preghiera che Gesù fa per se stesso è la richiesta della propria glorificazione, del proprio «innalzamento» nella sua «Ora». In realtà è più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare, liberamente e generosamente, nel disegno di Dio Padre che si compie nell’essere consegnato e nella morte e risurrezione. Questa “Ora” è iniziata con il tradimento di Giuda (cfr Gv 13,31) e culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre (Gv20,17). L’uscita di Giuda dal cenacolo è commentata da Gesù con queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31). Non a caso, Egli inizia la preghiera sacerdotale dicendo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l’ingresso nella piena obbedienza al Padre, un’obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo di Gesù che è un donarsi totalmente sulla croce, e proprio sulla croce – il supremo atto di amore – Egli è glorificato, perché l’amore è la gloria vera, la gloria divina.
Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui. Essi sono coloro dei quali Gesù può dire al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola» (Gv 17,6). «Manifestare il nome di Dio agli uomini» è la realizzazione di una presenza nuova del Padre in mezzo al popolo, all’umanità. Questo “manifestare” è non solo una parola, ma è realtà in Gesù; Dio è con noi, e così il nome – la sua presenza con noi, l’essere uno di noi – è “realizzato”. Quindi questa manifestazione si realizza nell’incarnazione del Verbo. In Gesù Dio entra nella carne umana, si fa vicino in modo unico e nuovo. E questa presenza ha il suo vertice nel sacrificio che Gesù realizza nella sua Pasqua di morte e risurrezione.
Al centro di questa preghiera di intercessione e di espiazione a favore dei discepoli sta la richiesta di consacrazione; Gesù dice al Padre: «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,16-19). Domando: cosa significa «consacrare» in questo caso? Anzitutto bisogna dire che «Consacrato» o «Santo», è propriamente solo Dio. Consacrare quindi vuol dire trasferire una realtà – una persona o cosa – nella proprietà di Dio. E in questo sono presenti due aspetti complementari: da una parte togliere dalle cose comuni, segregare, “mettere a parte” dall’ambiente della vita personale dell’uomo per essere donati totalmente a Dio; e dall’altra questa segregazione, questo trasferimento alla sfera di Dio, ha il significato proprio di «invio», di missione: proprio perché donata a Dio, la realtà, la persona consacrata esiste «per» gli altri, è donata agli altri. Donare a Dio vuol dire non essere più per se stessi, ma per tutti. E’ consacrato chi, come Gesù, è segregato dal mondo e messo a parte per Dio in vista di un compito e proprio per questo è pienamente a disposizione di tutti. Per i discepoli, sarà continuare la missione di Gesù, essere donato a Dio per essere così in missione per tutti. La sera di Pasqua, il Risorto, apparendo ai suoi discepoli, dirà loro: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv20,21).
Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale distende lo sguardo fino alla fine del tempo. In essa Gesù si rivolge al Padre per intercedere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi (Gv 17,20). Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: «Gesù ha portato a pieno compimento l’opera del Padre, e la sua preghiera, come il suo Sacrificio, si estende fino alla consumazione dei tempi. La preghiera dell’Ora riempie gli ultimi tempi e li porta verso la loro consumazione» (n. 2749).
La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. Essa proviene esclusivamente dall’unità divina e arriva a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito Santo. Gesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra. Egli prega «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L’unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perchè tutti siano realmente una sola cosa. L’unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù – che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell’efficacia della missione cristiana nel mondo.
«Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l’istituzione della Chiesa … Proprio qui, nell’atto dell’ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l’atto in cui egli «consacra» se stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo (cfr Gesù di Nazaret, II, 117s).
Gesù prega perché i suoi discepoli siano una cosa sola. In forza di tale unità, ricevuta e custodita, la Chiesa può camminare «nel mondo» senza essere «del mondo» (cfr Gv 17,16) e vivere la missione affidatale perché il mondo creda nel Figlio e nel Padre che lo ha mandato. La Chiesa diventa allora il luogo in cui continua la missione stessa di Cristo: condurre il «mondo» fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, fuori dal peccato, affinché ritorni ad essere il mondo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo colto qualche elemento della grande ricchezza della preghiera sacerdotale di Gesù, che vi invito a leggere e a meditare, perché ci guidi nel dialogo con il Signore, ci insegni a pregare. Anche noi, allora, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio che ci aiuti ad entrare, in modo più pieno, nel progetto che ha su ciascuno di noi; chiediamoGli di essere «consacrati» a Lui, di appartenerGli sempre di più, per poter amare sempre di più gli altri, i vicini e i lontani; chiediamoGli di essere sempre capaci di aprire la nostra preghiera alle dimensioni del mondo, non chiudendola nella richiesta di aiuto per i nostri problemi, ma ricordando davanti al Signore il nostro prossimo, apprendendo la bellezza di intercedere per gli altri; chiediamoGli il dono dell’unità visibile tra tutti i credenti in Cristo – lo abbiamo invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani – preghiamo per essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Grazie.
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