TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (ANNO B)
NOTA: Quando questa festa ricorre in domenica, si proclamano le tre letture qui indicate; se la festa ricorre in settimana, si sceglie come prima lettura una delle due che precedono il Vangelo; il Salmo responsoriale è sempre lo stesso.
La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.
La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.
NOTA: Quando questa festa ricorre in domenica, si proclamano le tre letture qui indicate; se la festa ricorre in settimana, si sceglie come prima lettura una delle due che precedono il Vangelo; il Salmo responsoriale è sempre lo stesso.
La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.
La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.
Vangelo del giorno
“Offrire i vostri corpi”: San Paolo parla della liturgia, parla di Dio,
della priorità di Dio, ma non parla di liturgia come cerimonia,
parla di liturgia come vita.
Noi stessi, il nostro corpo;
noi nel nostro corpo e come corpo dobbiamo essere liturgia.
Questa è la novità del Nuovo Testamento:
Cristo offre se stesso e sostituisce così tutti gli altri sacrifici.
E vuole “tirare” noi stessi nella comunione del suo Corpo:
il nostro corpo insieme con il suo diventa gloria di Dio, diventa liturgia.
Così questa parola “offrire” – in greco parastesai – non è solo un’allegoria;
allegoricamente anche la nostra vita sarebbe una liturgia,
ma, al contrario, la vera liturgia è quella del nostro corpo,
del nostro essere nel Corpo di Cristo,
come Cristo stesso ha fatto la liturgia del mondo, la liturgia cosmica,
che tende ad attirare a sé tutti.
Trasformare noi stessi,
lasciarsi trasformare dal Signore nella forma dell’immagine di Dio,
trasformarci ogni giorno di nuovo, attraverso la sua realtà,
nella verità del nostro essere.
E “rinnovamento”; questa è la vera novità:
che non ci sottoponiamo alle opinioni, alle apparenze,
ma alla Grazia di Dio, alla sua rivelazione.
Lasciamoci formare, plasmare
perché appaia realmente nell’uomo l’immagine di Dio.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Marco 9,2-13.Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. E lo interrogarono: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è gia venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».
IL COMMENTO
Lo sguardo della fede intercetta la Gloria nella carne. E' questa l'esperienza del Tabor. La visione dell'amore di Dio capace di perdonare e trasfigurare. E' la misericordia che sgorga dal sangue dell'Agnello, che rende candide le vesti di coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione della vita, le prove e la Croce; le vesti bianchissime del Signore Gesù, che nessuno sulla terra le avrebbe potuto rendere così. Uno splendore celeste, un'opera divina: il battesimo, il perdono e una vita rinnovata come un dono per ogni uomo, la vita trasfigurata splendente nella carne umanissima del Signore. Nessun lavandaio sulla terra potrebbe raggiungere tanto biancore: le vesti del Signore, quella carne trasfigurata, sono opera di un lavandaio celeste! Ecco l'opera del Signore, il dono anticipato nella sosta sul Tabor e poi compiuto a Gerusalemme, il mistero pasquale del Signore che si realizza nel battesimo. Una potenza che trasfigura dal di dentro, un principio di vita eterna che pervade ogni cellula che illumina di Cielo la terra. La trasfigurazione è il compimento della purificazione dell'interno della coppa perchè anche l'esterno sia netto. Il cuore rinnovato perchè ricolmo dell'amore di Dio effuso in esso per mezzo dello Spirito Santo. Il cuore nel Cielo, il tesoro incorruttibile perchè radicato nell'incorruttibile amore di Dio. La trasfigurazione è così la sconfitta dell'ipocrisia e il trionfo della Verità. Il Signore sul monte Tabor è l'Uomo autentico, compiuto, profezia e destino di ciascun uomo.
Sul Tabor, come nella nostra vita, appare uno squilibrio che atterrisce e lascia senza parole: “Non sapevano che cosa dire”. La paura che ci attanaglia di fronte all’abisso della nostra debolezza, dell’assoluta inadeguatezza, quando la verità ci si spalanca dinanzi e ci lascia di sasso. La sproporzione tra quello che dovremmo essere e quello che realmente siamo. Madri, padri, preti, assolutamente impreparati, infarciti di debolezze e peccati. Sul monte Tabor si celebra proprio il trionfo di ciò che umanamente è contraddizione e incoerenza, ma che nella luce trasfigurante dello Spirito Santo è carne debole come un seno pronto ad accogliere la vita divina. Le tende che Pietro vuole issare manifestano il desiderio più profondo di ogni uomo, quello di poter incontrare al fondo della propria realtà, nell'impossibilità di dare forza, certezza e compimento alla propria vita la forza, la certezza e il compimento di un amore più forte della morte. Il desiderio di Pietro come il nostro di oggi, coagulare quel momento prodigioso e così bello nella precarietà della vita, come nella festa di Succot: issare le capanne, le tende quale segno della permanenza del popolo nel deserto, quando, tra una mormorazione e l’altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l’incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. La tenda è la nostra carne, il vestito fragile e sberciato che la Parola di Dio, il Figlio fatto pane, trasfigura, fa nuovo, senza toppe e aggiustamenti umani: la vita nostra, giorno per giorno, come un vino nuovo in otri nuovi.
Il mistero della trasfigurazione è la pienezza di vita alla quale siamo chiamati. Non è autentica una vita che non sia attirata nella dinamica della metamorfosi, della Pasqua che trascina verso l'alto senza dimenticare la terra. Non è vero l'uomo che non sia raggiunto, pervaso e colmato dell'amore celeste che trasfigura ed accende di una luce soprannaturale la storia, gli eventi, la carne. Senza la vita di Cristo c'è spazio solo per l'ipocrisia, la vita ridotta a fiction, apparire, vendere, mentire, nel perenne inseguire ideali, desideri e pienezza inesistenti. Gesù trasfigurato è la Buona Notizia che la Chiesa ci annuncia oggi: lo splendore della verità, l'amore infinito di Dio, cerca i nostri cuori e le nostre menti di pellegrini tra le ore della vita. E una voce dal Cielo, un invito: Shemà Israel, Ascolta Israele, e vivrai. Ascolta la Parola, è dinanzi a noi già compiuta. La carne di Gesù è la stessa nostra, lo splendore di Gloria che appare in Lui è preparata per ciascuno di noi. Già oggi, anche se non ancora in pienezza.
Ascoltare la voce di Gesù, il Figlio prediletto, è il cammino, quello di un pellegrino che compie l’esodo che lo conduce alla Terra promessa, la Vita eterna con Cristo. Un cammino impregnato di nostalgia, costellato di precarietà e debolezza, ma colmo di speranza, quella di chi ha il cuore ferito dall’amato. Cabasilas (ca. 1320-1391) scriveva infatti: i cristiani sono «…esseri umani che nutrono in sé un desiderio tanto possente che supera la loro natura, che bramano più di quanto all’uomo sia lecito attendersi, costoro sono stati feriti dallo Sposo, che ha colpito i loro occhi con un raggio della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela quale sia lo strale, l’intensità del desiderio lascia intuire chi abbia scoccato il dardo». Ascoltare oggi, per vedere nella nostra stessa carne la trasfigurazione di tutto quel che ci appartiene. Gli occhi di fede del centurione, capaci di guardare lontano, da lontano. Gli occhi dischiusi sul Cielo qui in terra, la Vita immortale che prende dimora in ciascuno di noi. E tutto quello che è effimero, transitorio, radice di ansie e paure, diviene, per pura Grazia, fonte di pace. Tutto di noi, anche quello che disprezziamo, tutto tranne il peccato, è assunto dal Signore oggi e ogni giorno, e così tutto è trasfigurato.
Sul Tabor, come nella nostra vita, appare uno squilibrio che atterrisce e lascia senza parole: “Non sapevano che cosa dire”. La paura che ci attanaglia di fronte all’abisso della nostra debolezza, dell’assoluta inadeguatezza, quando la verità ci si spalanca dinanzi e ci lascia di sasso. La sproporzione tra quello che dovremmo essere e quello che realmente siamo. Madri, padri, preti, assolutamente impreparati, infarciti di debolezze e peccati. Sul monte Tabor si celebra proprio il trionfo di ciò che umanamente è contraddizione e incoerenza, ma che nella luce trasfigurante dello Spirito Santo è carne debole come un seno pronto ad accogliere la vita divina. Le tende che Pietro vuole issare manifestano il desiderio più profondo di ogni uomo, quello di poter incontrare al fondo della propria realtà, nell'impossibilità di dare forza, certezza e compimento alla propria vita la forza, la certezza e il compimento di un amore più forte della morte. Il desiderio di Pietro come il nostro di oggi, coagulare quel momento prodigioso e così bello nella precarietà della vita, come nella festa di Succot: issare le capanne, le tende quale segno della permanenza del popolo nel deserto, quando, tra una mormorazione e l’altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l’incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. La tenda è la nostra carne, il vestito fragile e sberciato che la Parola di Dio, il Figlio fatto pane, trasfigura, fa nuovo, senza toppe e aggiustamenti umani: la vita nostra, giorno per giorno, come un vino nuovo in otri nuovi.
Era stupendo quel momento, la Vita brillava tra i confini angusti di un corpo corruttibile. Come le icone orientali, la cui luce promana dal centro del dipinto e ti attira, e ti mette immediatamente in comunione con il soggetto, e ti fa interlocutore per lo squarcio di luce che ti raggiunge. Non a caso il primo soggetto che devono dipingere gli iconografi è proprio la Trasfigurazione. “La contemplazione delle icone, e in genere dei capolavori dell’arte cristiana, c’introduce in un percorso interiore, che è la via del superamento, e in questa purificazione dello sguardo, che è purificazione del cuore, ci di svela la bellezza, o almeno qualche suo raggio. E la bellezza ci mette in relazione con la forza della verità” (Joseph Ratzinger, Ferito dal dardo della bellezza). Il percorso che siamo chiamati a compiere è dunque la contemplazione, che si dà nell’ascolto e nella visione, in una parla, nell’esperienza. Sperimentare il perdono, la rconciliazione, la possibilità di ricominciare come una persona nuova, è questa la bellezza che rivela la forza della verità. la forza di Cristo, amore puro, amore infinito, amore bello.
Nell’episodio della Trasfigurazinone è svelato dunque, come una profezia, il miracolo più grande, immagine della vittoria sulla morte che di lì a poco Gesù avrebbe compiuto nell’esodo di cui discorreva con Mosè ed Elia. La Legge e i Profeti lo avevano annunziato. La luce della Pasqua nelle tenebre del sepolcro, lo splendore della vita immortale, la bellezza di Cristo crocifisso e risorto si svela così attraverso la Parola, ovvero la stoltezza della predicazione del Vangelo: l'evangelizzazione è la Trasfigurazione del mondo, degli uomini. Il Vangelo è la luce purissima nella carne votata alla morte. Tutto di noi ci parla di fine, di ineluttabilità, di morte. Prima o poi scenderà la saracinesca sul lavoro, sulla famiglia, sulla nostra stessa vita. Stiamo andando a Gerusalemme. Ma è proprio nel cammino che ci conduce alla Croce che l’annunzio del Vangelo apre il cielo della Verità: per noi è preparata la vita che non muore, abbiamo in noi il seme della vita eterna, lo Spirito Santo effuso dal Signore risorto, la Sua stessa vita. E questa vita è la Parola del Vangelo, la buona notizia dell’amore infinito di Dio che risplende nel Suo mistero pasquale. La nostra vita trasfigurata è una vita evangelizzata, illuminata dalla Buona notizia. Il Vangelo nel paradosso delle nostre debolezze e inadeguatezze, la bellezza che riverbera dalle ferite del peccato perdonato, la veste splendente di Cristo che riveste la nostra debolezza. E’ bello stare con il Signore, proprio come diceva Pietro, e noi, nell’esperienza della Pasqua, possiamo ripeterlo e annunciarlo, perchè stiamo imparando che la via alla Gloria deve passare per la Croce e dallo scorrere delle lacrime, di compunzione, di tenerezza, quelle che scoccano nell’incontro con un amore così grande, così bello. Dice sant’Efrem: “Un volto lavato da tali lacrime è di una bellezza imperitura”.
Il mistero della trasfigurazione è la pienezza di vita alla quale siamo chiamati. Non è autentica una vita che non sia attirata nella dinamica della metamorfosi, della Pasqua che trascina verso l'alto senza dimenticare la terra. Non è vero l'uomo che non sia raggiunto, pervaso e colmato dell'amore celeste che trasfigura ed accende di una luce soprannaturale la storia, gli eventi, la carne. Senza la vita di Cristo c'è spazio solo per l'ipocrisia, la vita ridotta a fiction, apparire, vendere, mentire, nel perenne inseguire ideali, desideri e pienezza inesistenti. Gesù trasfigurato è la Buona Notizia che la Chiesa ci annuncia oggi: lo splendore della verità, l'amore infinito di Dio, cerca i nostri cuori e le nostre menti di pellegrini tra le ore della vita. E una voce dal Cielo, un invito: Shemà Israel, Ascolta Israele, e vivrai. Ascolta la Parola, è dinanzi a noi già compiuta. La carne di Gesù è la stessa nostra, lo splendore di Gloria che appare in Lui è preparata per ciascuno di noi. Già oggi, anche se non ancora in pienezza.
Ascoltare la voce di Gesù, il Figlio prediletto, è il cammino, quello di un pellegrino che compie l’esodo che lo conduce alla Terra promessa, la Vita eterna con Cristo. Un cammino impregnato di nostalgia, costellato di precarietà e debolezza, ma colmo di speranza, quella di chi ha il cuore ferito dall’amato. Cabasilas (ca. 1320-1391) scriveva infatti: i cristiani sono «…esseri umani che nutrono in sé un desiderio tanto possente che supera la loro natura, che bramano più di quanto all’uomo sia lecito attendersi, costoro sono stati feriti dallo Sposo, che ha colpito i loro occhi con un raggio della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela quale sia lo strale, l’intensità del desiderio lascia intuire chi abbia scoccato il dardo». Ascoltare oggi, per vedere nella nostra stessa carne la trasfigurazione di tutto quel che ci appartiene. Gli occhi di fede del centurione, capaci di guardare lontano, da lontano. Gli occhi dischiusi sul Cielo qui in terra, la Vita immortale che prende dimora in ciascuno di noi. E tutto quello che è effimero, transitorio, radice di ansie e paure, diviene, per pura Grazia, fonte di pace. Tutto di noi, anche quello che disprezziamo, tutto tranne il peccato, è assunto dal Signore oggi e ogni giorno, e così tutto è trasfigurato.
Questa intuizione è l’esperienza della Trasfigurazione, quella che ci attende ogni giorno. E’ vero che seguire il Signore è esserne con Lui crocifissi, portando la nostra croce. E’ vero che ad ogni passo le stigmate del dolore ci trapassano il cuore. E’ vero il male, è vero il peccato, è vera la morte. Ma è vera anche la Trasfigurazione di tutto, è vera la bellezza che supera e dà senso ad ogni cosa: “Nella passione di Cristo… l’esperienza del bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la “Bellezza in sé” si è lasciato percuotere sul volto, coprire di sputi, incoronare di spine: la sacra Sindone di Torino ci racconta tutto ciò in maniera toccante. Ma proprio in quel volto sfigurato appare l’autentica, estrema Bellezza dell’ Amore che ama “sino alla fine”, mostrandosi così più forte di ogni menzogna e violenza. Soltanto chi sa cogliere questa bellezza comprende che proprio la verità, e non la menzogna, è l’estrema “affermazione” del mondo… Ma ad una condizione: che assieme a Lui ci lasciamo ferire, fidandoci di quell’ Amore che non esita a svestirsi della bellezza esteriore, per annunciare proprio in questo modo la Verità della Bellezza” (Joseph Ratzinger, Ferito dal dardo della bellezza). La bellezza crocifissa, la bellezza trasfigurata, la sua bellezza, la nostra bellezza.
APPROFONDIRE
Concordanze per il Vangelo della Trasfigurazione
COMMENTI - OMELIEJ. Ratzinger. La Trasfigurazione (da Gesù di Nazaret)
CANTALAMESSA. LA DISCESA DAL MONTE TABOR
P. Raniero Cantalamessa. Ascoltatelo!
Tommaso Federici: La II domenica di quaresima anno A. «Della Trasfigurazione del Signore»
Romano Guardini. La Trasfigurazione
Gianfranco Ravasi. La sua vera carne trasfigurata
Card. Carlo Caffarra, Omelie sulla Trasfigurazione
A. Nocent. Essere trasfigurato
Eloi Leclerq. La trasfigurazione
Bruno Forte. FACCIAMO QUI TRE TENDE. LA TRASFIGURAZIONE, BELLEZZA CHE SALVA IL MONDO
Carmen Hernandez sulla Trasfigurazione
ESEGESI
Silvano Fausti. Messaggio e lettura del vangelo della Trasfigurazione di Matteo
Leon Doufour, La Trasfigurazione
L. Sabourin. La Trasfigurazione
Lino Cignelli. La Trasfigurazione di Gesù
Per scrutare la Parola della Domenica
PADRI DELLA CHIESA
S. Agostimo, Discorso sulla Trasfigurazione
Dal "Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore" da Atanasio sinaita, vescovo
S. Ambrogio. Sulla Trasfigurazione
S. Beda il Venerabile. Sulla Trasfigurazione
Dal Sermone sulla Trasfigurazione del Signore di Pietro il Venerabile, abate di Cluny
CATECHISMO
Catechismo. Un anticipo del Regno: la Trasfigurazione
GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA
IL TABOR NELLA LETTERATURA RABBINICA
IL TABOR NELL'ANTICO TESTAMENTO
Il monte della Trasfigurazione
ARTE E LITURGIA
La Trasfigurazione nell'iconografia. immagine, catechesi, teologia
Icona della Trasfigurazione
L'icona della Trasfigurazione II
Egon Sendler. Trasfigurazione e icona: una presenza dell'indicibile che scaturisce dalla materia.
Immagini della Trasfigurazione nell'arte
La Trasfigurazione
TERMINI NOTEVOLI
Nube
Presenza - shekinà
La Voce
Sukkah - Capanna
La voce dal cielo (Bat Qól) nei Targum
RADICI NELL'EBRAISMO
Festa delle Capanne
Sukkot (La festa delle Capanne)
La festa delle capanne II
Le capanne di nuvole
Anastasio Sinaita (? - dopo 700), monaco. Discorso sulla Trasfigurazione del Signore
Il mistero della crocifissione e la bellezza del Regno di Dio
Il monte della Trasfigurazione è il posto dei misteri, il luogo delle realtà ineffabili, la roccia dei segreti nascosti, la vetta dei cieli. Qui sono stati svelati i simboli del Regno futuro : il mistero della crocifissione, la bellezza del Regno di Dio, la discesa di Cristo nella sua seconda venuta nella gloria. Su questa montagna la nube luminosa ricopre lo splendore dei giusti ; i beni futuri già si realizzano. La nube che avvolge la montagna prefigura il rapimento dei giusti sulle nubi ; ci mostra fin da oggi il nostro aspetto futuro, la nostra configurazione a Cristo.
Gesù aveva parlato ai suoi discepoli del Regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un’immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà avvenire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo : « Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire » nella gloria del Padre suo (Mt 16,28). « Sei giorni dopo, Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro » …
« Quanto è terribile questo luogo ! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo » (Gen 28,17). Verso di essa dobbiamo affrettarci.
Giovanni Paolo II,
Vita consecrata, 75
Continuamente Cristo chiama a sé nuovi discepoli, uomini e donne, per comunicare loro, mediante l'effusione dello Spirito (cfr Rm 5, 5), l'agape divina, il suo modo d'amare, e per sospingerli così a servire gli altri nell'umile dono di sé, alieno da calcoli interessati. A Pietro, che estasiato dalla luce della Trasfigurazione esclama : « Signore, è bello per noi restare qui » (Mt 17, 4), è rivolto l'invito a tornare sulle strade del mondo, per continuare a servire il Regno di Dio. « Scendi, Pietro ! desideravi riposare sul monte : scendi ; predica la Parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e importuna, rimprovera, esorta, incoraggia usando tutta la tua pazienza e la tua capacità di insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche sofferenze e supplizi, affinché, mediante il candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità ciò che è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore » (S Agostino, discorso 78, 6). Lo sguardo fisso sul volto del Signore non attenua nell'apostolo l'impegno per l'uomo ; al contrario lo potenzia, dotandolo di una nuova capacità di incidere sulla storia, per liberarla da quanto la deturpa.
Gesù aveva parlato ai suoi discepoli del Regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un’immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà avvenire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo : « Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire » nella gloria del Padre suo (Mt 16,28). « Sei giorni dopo, Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro » …
« Quanto è terribile questo luogo ! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo » (Gen 28,17). Verso di essa dobbiamo affrettarci.
Giovanni Paolo II,
Vita consecrata, 75
Contemplare e seguire Cristo Trasfigurato
Benedetto XVI. Parole sulla Trasfigurazione
Come Pietro vorremmo tutti chiedere al Signore di vivere sul Tabor. “Quando si ha la grazia di provare una forte esperienza di Dio – sottolinea Benedetto XVI – è come se si vivesse qualcosa di analogo a quanto avvenne per i discepoli durante la Trasfigurazione: per un momento si pregusta qualcosa di ciò che costituirà la beatitudine del Paradiso”:
“Si tratta in genere di brevi esperienze, che Dio a volte concede, specialmente in vista di dure prove. A nessuno, però, è dato di vivere ‘sul Tabor’ mentre si è su questa terra. L’esistenza umana infatti è un cammino di fede e, come tale, procede più nella penombra che in piena luce, non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto. Finché siamo quaggiù, il nostro rapporto con Dio avviene più nell’ascolto che nella visione; e la stessa contemplazione si attua, per così dire, ad occhi chiusi, grazie alla luce interiore accesa in noi dalla Parola di Dio”. (Angelus del 12 marzo 2006)
Sul Tabor, Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano la gloria del Figlio di Dio:
“Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio”.(Angelus del 17 febbraio 2008)
Gesù – come dice il Salmo – è “il più bello tra i figli dell’uomo” ma è anche misteriosamente colui che – afferma Isaia – “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”. Cristo – rileva il Papa – ci mostra che “la vera bellezza è l’amore di Dio” che “sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione”. “Per entrare nella vita eterna – allora – bisogna ascoltare Gesù” seguendolo sulla via della croce. Ascoltarlo come Maria:
“Ascoltarlo nella sua Parola, custodita nella Sacra Scrittura. Ascoltarlo negli eventi stessi della nostra vita cercando di leggere in essi i messaggi della Provvidenza. Ascoltarlo, infine, nei fratelli, specialmente nei piccoli e nei poveri, in cui Gesù stesso domanda il nostro amore concreto. Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce: è questa la via maestra, l’unica, che conduce alla pienezza della gioia e dell’amore”. (Angelus del 12 marzo 2006)
In fondo – spiega il Papa – “la Trasfigurazione di Gesù è stata sostanzialmente un’esperienza di preghiera”. “Pregando Gesù si immerge in Dio” che è amore, è luce è la vita stessa. Di qui il forte appello di Benedetto XVI a tutti i fedeli:
“La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”. (Angelus del 4 marzo 2007)
Benedetto XVI. Trasfigurazione, trasformazione, rinnovamento.
Lectio divina su Rom. 12, 1-2
Visita al Pontificio Seminario Romano, 15 febbraio 2012
Oggi abbiamo sentito un testo – lo sentiamo e lo meditiamo – della Lettera ai Romani: Paolo parla ai Romani e quindi parla a noi, perché parla ai Romani di tutti i tempi. Questa Lettera non solo è la più grande di san Paolo, ma è anche straordinaria per il peso dottrinale e spirituale. E’ straordinaria anche perché è una lettera scritta a una comunità che non aveva fondato e neppure aveva visitato. Egli scrive per annunciare la sua visita ed esprimere il desiderio di visitare Roma, e preannuncia i contenuti essenziali del suo Kerygma; così prepara la Città alla sua visita. Scrive a questa comunità che non conosce personalmente, perché è l’Apostolo dei Pagani - del passaggio del Vangelo dagli Ebrei ai Pagani - e Roma è la capitale dei Pagani e quindi il centro, alla fine, anche del suo messaggio. Qui deve giungere il suo Vangelo, perché sia realmente arrivato nel mondo pagano. Giungerà, ma in modo diverso da come lo aveva pensato. Paolo arriverà incatenato per Cristo e proprio in catene si sentirà libero di annunciare il Vangelo.
Nel primo capitolo della Lettera ai Romani, egli dice anche: della vostra fede, della fede della Chiesa di Roma si parla in tutto il mondo (cfr 1,8). La cosa memorabile della fede di questa Chiesa è che se ne parla nel mondo intero, e possiamo riflettere come stia oggi. Anche oggi si parla molto della Chiesa di Roma, di tante cose, ma speriamo che si parli anche della nostra fede, della fede esemplare di questa Chiesa, e preghiamo il Signore perché possiamo far sì che si parli non di tante cose, ma della fede della Chiesa di Roma.
Il testo letto (Rm 12, 1-2) è l’inizio della quarta ed ultima parte della Lettera ai Romani e comincia con le parole “Vi esorto” (v. 1). Normalmente si dice che si tratti della parte morale che segue alla parte dogmatica, ma nel pensiero di san Paolo, e anche nel suo linguaggio, non si possono dividere così le cose: questa parola “esorto”, in greco parakalo, porta in sé la parola paraklesis – parakletos, ha una profondità che va molto oltre la moralità; è una parola che certamente implica ammonizione, ma anche consolazione, cura per l’altro, tenerezza paterna, anzi materna; questa parola “misericordia” – in greco oiktirmon e in ebraico rachamim, grembo materno - esprime la misericordia, la bontà, la tenerezza di una madre. E se Paolo esorta, tutto questo è implicito: parla col cuore, parla con la tenerezza dell’amore di un padre e parla non solo lui. Paolo dice “per la misericordia di Dio” (v. 1): si fa strumento del parlare di Dio, si fa strumento del parlare di Cristo; Cristo parla a noi con questa tenerezza, con questo amore paterno, con questa cura per noi. E così anche non fa appello soltanto alla nostra moralità e alla nostra volontà, ma anche alla Grazia che è in noi, che lasciamo operare la Grazia. E’ quasi un atto nel quale la Grazia data nel Battesimo diventa operante in noi, dovrebbe essere operante in noi; così la Grazia, il dono di Dio, e il nostro cooperare vanno insieme.
A che cosa esorta, in questo senso, Paolo? “Offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (v. 1). “Offrire i vostri corpi”: parla della liturgia, parla di Dio, della priorità di Dio, ma non parla di liturgia come cerimonia, parla di liturgia come vita. Noi stessi, il nostro corpo; noi nel nostro corpo e come corpo dobbiamo essere liturgia. Questa è la novità del Nuovo Testamento, e lo vedremo ancora dopo: Cristo offre se stesso e sostituisce così tutti gli altri sacrifici. E vuole “tirare” noi stessi nella comunione del suo Corpo: il nostro corpo insieme con il suo diventa gloria di Dio, diventa liturgia. Così questa parola “offrire” – in greco parastesai – non è solo un’allegoria; allegoricamente anche la nostra vita sarebbe una liturgia, ma, al contrario, la vera liturgia è quella del nostro corpo, del nostro essere nel Corpo di Cristo, come Cristo stesso ha fatto la liturgia del mondo, la liturgia cosmica, che tende ad attirare a sé tutti.
“Nel vostro corpo, offrire il corpo”: questa parola indica l’uomo nella sua totalità, indivisibile - alla fine - tra anima e corpo, spirito e corpo; nel corpo siamo noi stessi e il corpo animato dall’anima, il corpo stesso, deve essere la realizzazione della nostra adorazione. E pensiamo - forse direi che ognuno di noi poi rifletta su questa parola - che il nostro vivere quotidiano nel nostro corpo, nelle piccole cose, dovrebbe essere ispirato, profuso, immerso nella realtà divina, dovrebbe divenire azione insieme con Dio. Questo non vuol dire che dobbiamo sempre pensare a Dio, ma che dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la nostra vita – e non solo alcuni pensieri – siano liturgia, siano adorazione. Paolo poi dice: “Offrire i vostri corpi come sacrifico vivente” (v. 1): la parola greca è logike latreia e appare poi nel Canone Romano, nella Prima Preghiera Eucaristica, “rationabile obsequium”. E’ una definizione nuova del culto, ma preparata sia nell’Antico Testamento, sia nella filosofia greca: sono due fiumi – per così dire – che guidano verso questo punto e si uniscono nella nuova liturgia dei cristiani e di Cristo. Antico Testamento: dall’inizio hanno capito che Dio non ha bisogno di tori, di arieti, di queste cose. Nel Salmo 50 [49], Dio dice: Pensate che io mangi dei tori, che io beva sangue di arieti? Io non ho bisogno di queste cose, non mi piacciono. Io non bevo e non mangio queste cose. Non sono sacrificio per me. Sacrificio è la lode di Dio, se voi venite a me è lode di Dio (cfr vv. 13-15.23). Così la strada dell’Antico Testamento va verso un punto in cui queste cose esteriori, simboli, sostituzioni, scompaiono e l’uomo stesso diventa lode di Dio.
Lo stesso avviene nel mondo della filosofia greca. Anche qui si capisce sempre più che non si può glorificare Dio con queste cose – con animali od offerte –, ma che solo il “logos” dell’uomo, la sua ragione divenuta gloria di Dio, è realmente adorazione, e l’idea è che l’uomo dovrebbe uscire da se stesso e unirsi con il “Logos”, con la grande Ragione del mondo e così essere veramente adorazione. Ma qui manca qualcosa: l’uomo, secondo questa filosofia, dovrebbe lasciare – per così dire – il corpo, spiritualizzarsi; solo lo spirito sarebbe adorazione. Il Cristianesimo, invece, non è semplicemente spiritualizzazione o moralizzazione: è incarnazione, cioè Cristo è il “Logos”, è la Parola incarnata, e Lui ci raccoglie tutti, cosicché in Lui e con Lui, nel suo Corpo, come membri di questo Corpo diventiamo realmente glorificazione di Dio. Teniamo presente questo: da una parte certamente uscire da queste cose materiali per un concetto più spirituale dell’adorazione di Dio, ma arrivare all’incarnazione dello spirito, arrivare al punto in cui il nostro corpo sia riassunto nel Corpo di Cristo e la nostra lode di Dio non sia pura parola, pura attività, ma sia realtà di tutta la nostra vita. Penso che dobbiamo riflettere su questo e pregare Dio, perché ci aiuti affinché lo spirito diventi carne anche in noi, e la carne diventi piena dello Spirito di Dio.
La stessa realtà la troviamo anche nel capitolo quarto del Vangelo di San Giovanni, dove il Signore dice alla samaritana: Non si adorerà in futuro su quel colle o sul quell’altro, con questi o altri riti; si adorerà in spirito e in verità (cfr Gv 4,21-23). Certamente è spiritualizzazione, uscire da questi riti carnali, ma questo spirito, questa verità non è un qualunque spirito astratto: lo spirito è lo Spirito Santo, e la verità è Cristo. Adorare in spirito e verità vuol dire realmente entrare attraverso lo Spirito Santo nel Corpo di Cristo, nella verità dell’essere. E così noi diventiamo verità e diventiamo glorificazione di Dio. Divenire verità in Cristo esige il nostro coinvolgimento totale.
E poi continuiamo: “Santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Secondo versetto: dopo questa definizione fondamentale della nostra vita come liturgia di Dio, incarnazione della Parola in noi, ogni giorno, con Cristo - la Parola incarnata -, san Paolo continua: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare” (v. 2). “Non conformatevi a questo mondo”. C’è un non conformismo del cristiano, che non si fa conformare. Questo non vuol dire che noi vogliamo fuggire dal mondo, che a noi non interessa il mondo; al contrario vogliamo trasformare noi stessi e lasciarci trasformare, trasformando così il mondo. E dobbiamo tenere presente che nel Nuovo Testamento, soprattutto nel Vangelo di San Giovanni, la parola “mondo” ha due significati e indica quindi il problema e la realtà della quale si tratta. Da una parte il “mondo” creato da Dio, amato da Dio, fino al punto di dare se stesso e il suo Figlio per questo mondo; il mondo è creatura di Dio, Dio lo ama e vuol dare se stesso affinché esso sia realmente creazione e risposta al suo amore. Ma c’è anche l’altro concetto del “mondo”, kosmos houtos: il mondo che sta nel male, che sta nel potere del male, che riflette il peccato originale. Vediamo questo potere del male oggi, per esempio, in due grandi poteri, che di per sé stessi sono utili e buoni, ma che sono facilmente abusabili: il potere della finanza e il potere dei media. Ambedue necessari, perché possono essere utili, ma talmente abusabili che spesso diventano il contrario delle loro vere intenzioni.
Vediamo come il mondo della finanza possa dominare sull’uomo, che l’avere e l’apparire dominano il mondo e lo schiavizzano. Il mondo della finanzia non rappresenta più uno strumento per favorire il benessere, per favorire la vita dell’uomo, ma diventa un potere che lo opprime, che deve essere quasi adorato: “Mammona”, la vera divinità falsa che domina il mondo. Contro questo conformismo della sottomissione a questo potere, dobbiamo essere non conformisti: non conta l’avere, ma conta l’essere! Non sottomettiamoci a questo, usiamolo come mezzo, ma con la libertà dei figli di Dio.
Poi l’altro, il potere dell’opinione pubblica. Certamente abbiamo bisogno di informazioni, di conoscenza delle realtà del mondo, ma può essere poi un potere dell’apparenza; alla fine, quanto è detto conta di più che la realtà stessa. Un’apparenza si sovrappone alla realtà, diventa più importante, e l’uomo non segue più la verità del suo essere, ma vuole soprattutto apparire, essere conforme a queste realtà. E anche contro questo c’è il non conformismo cristiano: non vogliamo sempre “essere conformati”, lodati, vogliamo non l’apparenza, ma la verità e questo ci dà libertà e la libertà vera cristiana: il liberarsi da questa necessità di piacere, di parlare come la massa pensa che dovrebbe essere, e avere la libertà della verità, e così ricreare il mondo in modo che non sia oppresso dall’opinione, dall’apparenza che non lascia più emergere la realtà stessa; il mondo virtuale diventa più vero, più forte e non si vede più il mondo reale della creazione di Dio. Il non conformismo del cristiano ci redime, ci restituisce alla verità. Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad essere uomini liberi in questo non conformismo che non è contro il mondo, ma è il vero amore del mondo.
E san Paolo continua: “Trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare” (v. 2). Due parole molto importanti: “trasformare”, dal greco metamorphon, e “rinnovare”, in greco anakainosis. Trasformare noi stessi, lasciarsi trasformare dal Signore nella forma dell’immagine di Dio, trasformarci ogni giorno di nuovo, attraverso la sua realtà, nella verità del nostro essere. E “rinnovamento”; questa è la vera novità: che non ci sottoponiamo alle opinioni, alle apparenze, ma alla Grazia di Dio, alla sua rivelazione. Lasciamoci formare, plasmare perché appaia realmente nell’uomo l’immagine di Dio.
“Rinnovando - dice Paolo in modo sorprendente per me - il vostro modo di pensare”. Quindi questo rinnovamento, questa trasformazione comincia con il rinnovamento del pensare. San Paolo dice “o nous”: tutto il modo del nostro ragionare, la ragione stessa deve essere rinnovata. Rinnovata non secondo le categorie del consueto, ma rinnovare vuol dire realmente lasciarci illuminare dalla Verità che ci parla nella Parola di Dio. E così, finalmente, imparare il nuovo modo di pensare, che è il modo che non obbedisce al potere e all’avere, all’apparire eccetera, ma obbedisce alla verità del nostro essere che abita profondamente in noi e ci è ridonata nel Battesimo.
“Rinnovare il modo di pensare”: ogni giorno è un compito proprio nel cammino dello studio della Teologia, della preparazione per il sacerdozio. Studiare bene la Teologia, spiritualmente, pensarla fino in fondo, meditare la Scrittura ogni giorno; questo modo di studiare la Teologia con l’ascolto di Dio stesso che ci parla è il cammino di rinnovamento del pensare, di trasformazione del nostro essere e del mondo.
E, infine, “Facciamo tutto - secondo Paolo - per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto” (cfr v. 2). Discernere la volontà di Dio: possiamo imparare questo soltanto in un cammino obbediente, umile, con la Parola di Dio, con la Chiesa, con i Sacramenti, con la meditazione della Sacra Scrittura. Conoscere e discernere la volontà di Dio, quanto è buono. Questo è fondamentale nella nostra vita.
E, nel giorno della Madonna della Fiducia, vediamo nella Madonna proprio la realtà di tutto questo, la persona che è realmente nuova, che è realmente trasformata, che è realmente sacrificio vivente. La Madonna vede la volontà di Dio, vive nella volontà di Dio, dice “sì”, e questo “sì” della Madonna è tutto il suo essere, e così ci mostra la strada, ci aiuta.
Quindi, in questo giorno, preghiamo la Madonna, che è l’icona vivente dell’uomo nuovo. Ci aiuti a trasformare, a lasciar trasformare il nostro essere, ad essere realmente uomini nuovi, ad essere anche poi, se Dio vuole, Pastori della sua Chiesa. Grazie.
E' bello-restare-con-cristo
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS"
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Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, è diventato egli stesso carne, per operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti.
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Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa, l'inseparabilità, pur nella distinzione, tra il Regno di Dio, Regno di Cristo e la Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa di Cristo.
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La risposta adeguata alla rivelazione di Dio è «l'obbedienza della fede (cf. Rm 1,5; Rm 16,26;2 Cor 10,5-6), per la quale l'uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestando il “pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela” e dando il proprio assenso volontario alla rivelazione fatta da lui». La fede è un dono di grazia: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”»
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San Bruno ( ?-1101), fondatore dei Certosini Lettera a Rodolfo il Verde , 4, 15-16 ; SC 88, 695
Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo.
Che cosa infatti, vi è di più opposto alla ragione, alla giustizia e alla natura stessa, dell'amare più la creatura che il Creatore, del ricercare più il perituro che l'eterno, più il terreno che il celeste?... Tutti, infatti, la Verità consiglia, quando dice: « Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò » (Mt 11,28). Non è una pessima ed inutile fatica l'essere tormentati dalla concupiscenza, l'essere incessantemente afflitti da preoccupazioni e ansietà, da timore e dolore per le cose desiderate?... Fuggi dunque, o fratello mio, tutte queste inquietudini e miserie, e passa dalla tempesta di questo mondo al riparo sicuro e quieto del porto.
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