Alcuni hanno un approccio legalistico - che talvolta sfocia nell'ansia patologica - altri ne hanno svuotato ogni aspetto spirituale. Ecco come trovare un equilibrio in questa sana pratica
Garrett Johnson/ aleteia.org
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Negli ultimi anni, alcuni hanno notato una crisi diffusa nella Chiesa relativamente alla pratica dell’esame di coscienza. Da un lato, per molti è diventato un esame legalistico, fatto esclusivamente nel contesto della confessione e che può provocare effetti collaterali come scrupolosità, depressione e scoraggiamento – in alcuni casi perfino ansia patologica. Dall’altro lato, come reazione, alcuni sono passati a una psicologia più secolarizzata, del tutto svuotata dell’aspetto spirituale. Esercizi di auto-osservazione volti a raggiungere l’“igiene mentale” (in cui fondamentalmente ciò che conta è che io stia bene con me stesso) hanno sostituito le pratiche più tradizionali e olistiche.
Qual è il problema? Molto semplice: in ciascuno degli errori elencati, l’esame di coscienza si concentra su di me, quando invece, propriamente compreso, dovrebbe riguardare Dio e me.
In primo luogo, vorrei presentare qualche idea per aiutare a comprendere il giusto contesto teologico e spirituale dell’esame di coscienza. Vorrei preparare adeguatamente il palco prima di far mettere al lavoro gli attori!
Riporta indietro la memoria!
Nella nostra epoca, la memoria passa quasi inosservata. C’è un’app anche per quello, no? La memoria è stata ridotta a un immagazzinamento di dati. È come un pezzo extra da attaccare alla scheda madre. È utile ma non influisce sulla nostra vita quotidiana (il nostro sistema operativo). La prima cosa che dobbiamo fare, quindi, è tenere a mente il fatto che quando ricordo un evento della mia vita non sto solo richiamando informazioni; in qualche modo, sto rivivendo il passato.
La parola “memoria” deriva dal verbo latino rememor. “Re” esprime una forza intensiva, mentre “memor” si riferisce alla mente o al cuore. Possiamo dire, quindi, che ricordare è reinserire qualcosa nel cuore. Evidentemente, il nostro modello qui è Maria, che “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51).
Date un’occhiata a questo video. Una giovane moglie, che lotta per salvare il suo matrimonio, porta il marito nei luoghi in cui si sono innamorati, come per richiamare il Libro dell’Apocalisse, “Hai abbandonato il tuo amore di prima” (Ap 2, 4). E cosa c’è scritto dopo? “Ricorda dunque da dove sei caduto”.
Morte al moralismo
La domanda successiva è “Cosa ricordiamo?” Molti ritengono l’esame di coscienza uno strumento che ci aiuta a richiamare (ovvero a ricordare) i nostri peccati e le nostre mancanze in un periodo di riflessione silenziosa prima di accostarci al sacerdote nella confessione. È vero. L’esame di coscienza è questo, ma se è solo questo ci stiamo preparando a qualche seria battuta d’arresto spirituale.
Benedetto XVI lo ha spiegato perfettamente dicendo:
“All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas Est, 1).
Il moralismo c’è quando si agisce a causa di una regola, non di qualcuno. È etica con l’Alzheimer; l’anziano compra fiori, ma solo perché è una sua abitudine… ha dimenticato il volto della persona amata. Chi vuole aprire la Bibbia a Esodo 20 (i Dieci Comandamenti) saltando tutte le cose buone accadute nei 19 capitoli precedenti (Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù)?
Lunga vita alla storia d’amore!
Il cuore della nostra fede è il nostro rapporto con Dio. I rapporti dipendono dagli incontri. Facendo una deduzione alla Sherlock Holmes, possiamo concludere che ciò che dobbiamo ricordare al di sopra di tutto sono gli incontri, più specificatamente i nostri incontri con Dio.
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