"La Fede e il nostro rischio di vivere più vivi e più felici" di p. Ermes Ronchi - II DOMENICA di PASQUA - anno C
La Fede e il nostro rischio di vivere più vivi e più felici
di p. Ermes Ronchi
Commento
II DOMENICA di PASQUA
- anno C -
San Gregorio Magno scrive: "A noi giovò di più l'incredulità di Tommaso che la fede degli Apostoli." Vediamo come:
Il Vangelo racconta che erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei e la prima volta Tommaso non era con loro. Gli altri sono chiusi, Tommaso no, lui va e viene, entra ed esce, in una comunità che è rinchiusa su se stessa gli manca l'aria.
Tommaso è un coraggioso anche verso i suoi amici. Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non credo.
Tommaso ha la libertà di dissentire, vuole salvare la sua coscienza e la sua intelligenza.
Se Cristo è risorto come fate a restare chiusi qui?
Una comunità che ha paura, arroccata sulla difensiva, ripiegata su se stessa non può essere testimone di uno che ha vinto la morte.
Tommaso, prezioso nostro compagno di viaggio, e come lui sono preziosi tutti quelli, dentro e fuori la chiesa, che hanno questa mentalità concreta, realistica, grazie a tutti quelli che vogliono vedere, vogliono toccare, che non si accontentano del sentito dire, vogliono una fede che si incida nel cuore.
Tommaso mostra quale grande educatore fosse Gesù Cristo, maestro di umanità, l'aveva formato alla libertà interiore, al soffio dello spirito, all'indipendenza, gli farà anche un piccolo rimprovero, ma dolcemente come si fa con gli amici.
Che bello se anche nella Chiesa fossimo in questo modo educati più alla consapevolezza che non all'obbedienza, più all'approfondimento della fede, alla libertà di pensiero e di ricerca perché Dio supera infinitamente ogni nostro pensiero su di Lui, Dio non è ciò che diciamo di Lui, Egli è oltre ci innalza, ci illumina, ci allarga, ci libera.
Padre Vannucci diceva "non pensate pensieri pensati da altri" Se io devo ripetere ciò che altri hanno già detto la mia mente e il mio cuore sarebbero uno spreco, mancherà il mio mattone alla costruzione della grande cattedrale che Dio va edificando insieme con noi nel mondo ci sarebbe un vuoto, una disarmonia.
Poi il momento centrale: l'incontro con il Risorto. Quando Gesù invece di imporsi, si propone, si espone alle mani di Tommaso: Metti qui il tuo dito; guarda le mie mani, tendi la tua mano e mettila nel mio fianco.
Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i nostri tempi e la complessità del nostro cuore. Gesù non si scandalizza, si ripropone.
Gesù si espone con le sue piaghe aperte perché la resurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite perché la morte di croce non è un semplice incidente da annullare, da cancellare, da superare, ma è qualcosa che deve restare per l'eternità, gloria e vanto di Cristo, il punto più alto, il vertice della rivelazione. Nel cuore del cielo sta, per sempre, carne d'uomo ferita. Nostro alfabeto d'amore, il solo che converte.
Gesù gli dice: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le altre 10, quelle della montagna le ho sempre sentite difficili, per pochi coraggiosi, per pochi affamati di immenso.
Questa finalmente una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi non vede, per chi cerca a tentoni, per chi ricomincia.
Beati quelli che non hanno visto eppure hanno creduto. Beati! grazie a tutti quelli che credono senza bisogno di segni. Beati! che vuol dire stanno in piedi, per una vita verticale anche se è notte, anche se hanno mille dubbi, come Tommaso.
A quanti credono Dio regala gioia, beatitudine che non significa una vita più facile, ma una vita intensa e appassionata, ferita e luminosa, piagata e guaritrice.
La fede, credetemi o credete a Tommaso e a quanti l'hanno provato è il nostro rischio di essere più vivi e più felici, il nostro rischio di vivere meglio.
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