Lidia Maggi "Sono forse io il custode di mio fratello?"
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, e chiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale (Articolo 2 della Costituzione
Italiana)
“Sono forse io il custode di mio fratello?”
rispondeva Caino a Dio che gli chiedeva dove fosse suo fratello Abele. E’ una
domanda che risuona nel nostro tempo attraversato da mutamenti demografici e
sociali, da veloci e inediti cambiamenti geopolitici, da venti di guerra fino
alle coste del nostro Mediterraneo; eventi che ci stanno consegnando un mondo
diverso da quello che fino a ieri abbiamo conosciuto.
Un cambio di paradigma che esige da parte di
tutti, nessuno escluso, la ricerca di una nuova lingua per ridire le ragioni
dello stare insieme. Ci aspetta certamente un cammino lungo e impegnativo:
l’altro irrompe nella nostra vita, obbliga ad interrogarci: “Sono forse io il
custode dell’altro, chiunque egli sia?”. E di cos’altro siamo custodi?
E’ una domanda che chiede conto dell’umanità di
tutti e che necessita risposte politiche coraggiose, di progettualità
innovative, ma che non può esimerci da una profonda riflessione sul significato
di essere gli uni degli altri custodi.
Non a caso l’interrogazione di Dio a Caino
“Dov’è tuo fratello Abele?” esige una risposta concreta, chiede conto di un
“dove”, di un luogo, di una situazione, di un nome. Sai in che condizione vivono
i tuoi fratelli, le tue sorelle, le donne e gli uomini a te vicini, a te
lontani? Qual è il loro volto? Sai chi sono questi fratelli e sorelle nel comune
genere umano, questi coinquilini della terra?
Per rispondere non si può guardare solo a se
stessi: bisogna aprirsi alla realtà e al mondo. Sono interrogativi ai quali non
si può sfuggire, che coinvolgono ogni donna e ogni uomo e implicano la
responsabilità di vedere nell’altro la sua sofferenza, la sua precarietà, la sua
fragilità, la sua rabbia ma anche il suo essere risorsa e aiuto per noi.
L’assunzione di questa responsabilità richiede
un’interrogazione profonda nelle comunità, l’instaurarsi di relazioni e pratiche
umane, un ascolto attento delle paure, l’aprirsi ad uno scambio sociale basato
sulla reciproca conoscenza. Non sembra un caso che il termine «responsabilità»
trovi la sua radice etimologica nella parola «risposta»: l’altro ci interpella,
chiede di «esserci», di diventare un interlocutore, una persona, di dare quella
«risposta» che ciascuno – senza deleghe – può dare.
Ed è una domanda che sta attraversando molte
persone in questa difficile e complessa stagione.
Secondo il filosofo ebreo Emmanuel
Lévinas (1906 -1995), uno dei più grandi filosofi morali del 900, in questa
domanda, che di fatto presuppone che l’altro non ci riguardi, troviamo l’origine
dell’immoralità; per Lévinas, infatti, la naturale responsabilità verso l’altro
ci costituisce come esseri morali.
E il testo biblico come situa questa
domanda?…in che contesto?… quali indicazioni i primi capitoli di Genesi danno
per stare dentro la realtà nel modo più umano possibile?
Moltefedi l'ha chiesto a Lidia Maggi che, in modo sapiente, ha sempre
aiutato a leggere il testo biblico cogliendovi quelle interpellazioni
dell’umano, che costituiscono lo specifico della vicenda cristiana.
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