αποφθεγμα Apoftegma
Quest'albero è per me di salvezza eterna:
di esso mi nutro,
di esso mi pasco.
Per le sue radici io affondo le mie radici,
per i suoi rami mi espando,
della sua rugiada mi inebrio,
del suo spirito, come da soffio delizioso, sono fecondato.
Sotto la sua ombra ho piantato la mia tenda
e ho trovato riparo dalla calura estiva.
Quest'albero è nutrimento alla mia fame,
sorgente per la mia sete,
manto per la mia nudità;
le sue foglie sono spirito di vita e non foglie di fico.
Quest'albero è mia salvaguardia quando temo Dio,
appoggio quando vacillo,
premio quando combatto,
trofeo quando ho vinto.
Quest'albero è per me "il sentiero angusto e la via stretta";
è la scala di Giacobbe,
è la via degli angeli
alla cui sommità realmente è "appoggiato" il Signore.
Quest'albero dalle dimensioni celesti si è elevato dalla terra al cielo
fondamento di tutte le cose,
sostegno dell'universo,
supporto del mondo intero,
vincolo cosmico che tiene unita la instabile natura umana,
assicurandola con i chiodi invisibili dello Spirito,
affinchè stretta alla divinità non possa più distaccarsene.
Con l'estremità superiore tocca il cielo,
con i piedi rafferma la terra,
tiene stretto da ogni parte, con le braccia sconfinate,
lo spirito numeroso e intermedio dell'aria.
Egli era in tutte le cose e dappertutto.
E mentre riempie di sè l'universo intero,
si è svestito per scendere in lizza nudo contro le potenze dell'aria.
Dal Trattato "Sulla Santa Pasqua" dell' Anonimo Quartodecimano (Pseudo-Ippolito)
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L'ANNUNCIO |
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Ma la Festa di oggi ci viene in aiuto, illuminando la verità sulla nostra vita bagnata dall’amore infinito di Dio. “Bisognava” che Cristo fosse “innalzato” sulla Croce: “Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava: Paradiso mio, paradiso meraviglioso! Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce, di un paradiso migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa Trinità” (Silvano del Monte Athos). Mormoriamo perché abbiamo perduto il Paradiso autentico, e quello che il demonio ci ha dipinto è invece un inferno! Ma Gesù si è fatto “serpente”, ovvero peccato, perché ogni “serpente” che ci ha ucciso, ossia ogni evento della nostra vita che abbiamo rifiutato con il peccato, fosse trasformato in un paradiso migliore. I cristiani “esaltano” la Croce perché essa “esalta” l’amore di Dio in ogni circostanza che ci ha “abbassato”; trasforma il matrimonio come acqua che diventa vino, infonde “vita eterna” in ogni relazione che giaceva senza amore e speranza. La Croce piantata nel mondo, nel deserto dove, come tutti nel mondo, abbiamo peccato, rivela la misericordia di Dio: su di essa, come sulla nostra storia, è colato il sangue di Cristo che ha lavato ogni peccato; su di essa, come sulla nostra carne, si è abbandonata la sua carne che ha vinto la morte per farci passare con Lui a una vita celeste, già qui, nella carne. Coraggio, mettiamo oggi una croce nel luogo più bello della casa, e passiamo un po’ di tempo ai suoi piedi con la nostra famiglia; fissiamola senza fretta, e impariamo a farlo ogni giorno. Su di essa vedremo i fatti e le relazioni che Dio ha mandato a morderci dissolversi nel suo Unigenito dato per noi, perché il dolore che abbiamo imputato a Lui ci umili spingendoci a implorare di nuovo la salvezza che abbiamo disprezzato. Esaltare la Croce, infatti, significa umiliare noi stessi nell’abbraccio senza condizioni di Cristo. Lasciarci amare così come siamo contemplando il patibolo sul quale Cristo è stato innalzato per innalzarci con Lui alla destra del Padre. Significa donarci a Cristo per appartenergli accettando di vivere crocifissi con Lui nella storia; così, chi ancora è del mondo, potrà vedere Cristo in noi, proprio attraverso la testimonianza che nel mondo, pur non essendo il Paradiso, non si è condannati a morire ma, credendo in Lui e accogliendo il suo perdono, vi si possono gustare le primizie della vita eterna.
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