Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 3 settembre 2016

SEGUIRE L'AMATO CHE CI HA SEDOTTO E LIBERATO CON IL SUO SGUARDO DI MISERICORDIA

Il Vangelo del giorno. Commenti e approfondimenti:

 XXIII Domenica del Tempo Ordinario. Anno C:






αποφθεγμα Apoftegma

Ama dunque il padre, ma non amarlo più del Signore, 
ama chi ti ha generato ma non più di chi ti ha creato
Ama tua madre, ma non più della Chiesa 
che ti ha generato alla vita eterna. 
E dallo stesso amore che unisce figli e genitori 
giudica quanto tu debba amare Dio e la Chiesa. 
Se tanto vanno amati coloro che hanno generato un mortale, 
quanto più coloro che hanno generato 
chi giungerà all'eternità e in essa rimarrà! 
Ama la moglie, ama i figli ma secondo Dio, 
in modo da aver cura che anch'essi venerino Dio insieme con te. 
Perciò non devi amarli più di Dio e li ameresti male 
se trascurassi di condurli a Dio insieme con te. 
Può presentarsi anche l'ora del martirio
Tu vuoi far professione di fede a Cristo. 
Per questa professione puoi subire torture, 
puoi subire la morte temporale. 
Si può dare il caso che padre, moglie, figli 
insistano per strapparti alla morte, 
e con questi tentativi ti procurerebbero la morte. 
Se non riescono a procurartela, 
ecco allora ti verrà in mente questo monito: 
Chi ama il padre o la madre o la moglie o i figli più di me, 
non è degno di me.

S. Agostino






QUI IL FILE MP3 AUDIO DA SCARICARE 










SEGUIRE L'AMATO CHE CI HA SEDOTTO E LIBERATO CON IL SUO SGUARDO DI MISERICORDIA

Gesù “si volta” anche oggi per guardare chi lo segue, e come … “Si volta” verso la sua Chiesa per scrutarne il cuore, e il suo sguardo giunge anche a noi.  Forse la nostra vita è disciolta in quella della folla; abbiamo perduto l’identità e la personalità nel pensiero mondano. Gesù “si volta” e cerca un volto e una persona in mezzo alla folla di avatar nickname di evanescenti figure virtuali. Gesù ci cerca per strapparci all’anonimato di chi si nasconde spaventato dal dover essere. 
E’ la paradossale situazione della maggior parte dei giovani: desiderano affermare se stessi e urlare al mondo che ci sono, ma finiscono per lasciarsi omologare in una trasgressione teleguidata che è tutta apparenza. In realtà li vediamo tutti tristemente uguali: s-vestiti come marketing comanda, avvolti nello stesso fumo, rapiti dagli stessi spinelli, storditi dalle stesse bottiglie, incapsulati in un identico pensiero, assordati dagli stessi rumori e sfregiati dagli stessi tatuaggi, nascosti nelle stesse chat.
Ma, seppure in forme diverse, è lo stesso che capita anche a noi. Non è forse troppo spesso una folla anonima la nostra famiglia? Non lo siamo noi stessi, nel groviglio di pensieri e nevrosi , complessi e gelosie, scrupoli e fraintendimenti che ci prendono per il collo e ci trascinano nel caos? Gesù “si volta” e cerca te e me in mezzo alla menzogna e all’ipocrisia. In fondo non sappiamo neanche noi chi realmente siamo, il senso autentico e non effimero della nostra vita, di ciò che facciamo e diciamo. Che significa essere “padre o madre, marito o moglie, figlio o figlia, fratello e sorella”? E in ufficio? Qual è la nostra vera identità, che ci stiamo a fare, che parole dire, che atteggiamenti assumere? Che significa essere un impiegato, un dirigente o un professore?
E Gesù “si volta” e ci cerca, perché “molta gente andava con Lui”; questo significa anche che ciascuno di noi “va con Gesù” in “molte” forme. Dissipati e adulteri, idolatri e ipocriti, per non soffrire, ci adeguiamo alle condizioni e alle situazioni; ci mimetizziamo per non essere sorpresi in qualche debolezza ed essere mangiati dagli altri. Abbiamo paura di morire, e per questo viviamo schiavi dell’immagine, nell’illusione che essa ci protegga. “Andiamo con Gesù” in compagnia di mille noi stessi, tanti sono i volti che presentiamo durante il cammino.
E proprio per questo Gesù “si volta” e posa lo sguardo sulla verità. Le sue parole, infatti, disboscano e tagliano le erbacce, per arrivare alla radice autentica. Anche se “andiamo con Lui” e vorremmo seguirlo, “non possiamo”, come un malato che non può mangiare quello che vuole. Il rapporto con  “madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e perfino con la nostra vita”, e quello con “tutti i nostri averi”, è così malato che ci impedisce di essere “discepoli” di Gesù. Non li “odiamo”, per questo non possiamo prostrarci ai piedi del Maestro, ascoltarlo e dargli credito e fiducia, imparare da Lui e obbedirgli. “Non possiamo” amarlo perché il nostro cuore è impegnato ad amare carnalmente e con concupiscenza i familiari e i soldi: “non si può amare due padroni”; se ne amiamo uno odieremo l’altro… Quindi, amando la carne e il denaro odiamo Cristo, non si scappa.
Certo non si tratta di una competizione tra affetti diversi, dove un contendente arrivi a sbaragliare l’altro. Ma, tra Gesù e tutto il resto vi è una differenza sostanziale: Lui, e solo Lui, è Dio… Lui, e solo Lui, dà la vita, la pace, la felicità. Lui, e solo Lui, può colmare il cuore e dare senso alla vita. Lui, e solo Lui, ama sino alla fine che non ha mai fine. Un padre e una madre, per quanto di fede e buonissimi, non ci daranno mai quello di cui la nostra anima ha bisogno: "Il padre ti ha generato ma non ti ha formato lui stesso come tu sei. Ignorava quando ti seminò chi e quale figlio gli sarebbe nato. Il padre ti alimentò ma non diede a te, quando avevi fame, un pane tratto da se stesso. Infine, qualunque cosa il padre tiene in serbo per te in terra, deve morire perché tu ne venga in possesso, deve far posto con la sua morte alla tua vita. Quel padre che è Dio invece ti tiene in serbo cose che ti dà insieme a se stesso" (S. Agostino).
Potremmo ingannarci e confondere l’affetto con la Vita; allora sarà necessario “odiare” e “rinnegare” perfino la propria vita, la parte più intima dove si è infilato l’affetto che usurpa il posto di Cristo. Nessun altro può entrare in noi e comunicarci amore e vita eterni. Per questo,  il “discepolo” che “odia” il nemico di Cristo e ne difende il posto dentro di lui, lo ascolta e lo segue, è l’uomo vero e realizzato, al quale nulla manca. E’ sapiente, misericordioso, generoso, paziente, allegro, sereno. Può amare! Essere “discepolo” di Gesù e “andare dietro di Lui” significa proprio questo: amare e dare la propria vita; essere crocifissi con Lui bruciando di zelo per ogni anima.
Un “discepolo” del Signore “alza la propria croce”, secondo l’originale greco, e lo segue sul cammino che conduce al Calvario. Gesù si riferisce, infatti, all’istante nel quale il condannato a morte doveva sollevare l’asse orizzontale della croce per poi caricarselo sulle spalle e incamminarsi verso il luogo del supplizio. E’ il momento nel quale il Signore ci attende per donarci di essere noi stessi. E’ il momento nel quale siamo pienamente liberi, per accoglierla o rifiutarla. E’ il momento più importante nelle giornate dei nostri figli, quando la difficoltà e l’umiliazione li mette davanti alla libertà di accettare o rifiutare di diventare adulti e imparare a soffrire per amore.
Quando Dio ci consegna la Croce, infatti, sperimentiamo di appartenere a Lui che ci ha riscattati a prezzo del suo sangue. Ogni relazione che tradisca questa è un adulterio, e ci consegna alla morte.  Attraverso di essa iniziamo ad essere autentici e a scoprire la nostra identità. E’ la Croce che ci sgancia dalla folla come un ciclista che vada in fuga lasciandosi dietro il gruppo. Come lui, proprio all’inizio della salita decisiva, abbiamo la possibilità di staccarci e vivere secondo la volontà di Dio, come un “discepolo”. Il Legno che ci segna e ci stringe a Lui è già preparato: forse la parolina pugnace di nostro marito, proprio quella che non ci saremmo mai aspettate; forse la notizia che tuo figlio è stato bocciato e non lo avresti immaginato; forse la morte del tuo migliore amico; forse la ragazza che ha deciso di lasciarti; forse i lavori del condominio che ti impediscono almeno una settimana di vacanze.
Gesù “si volta”, ci cerca e ci consegna il Legno sul quale essere “discepoli” e seguirlo. Certo ci aspettano difficoltà, derisioni e incomprensioni; sulla via del Calvario, come su ogni cammino che conduceva alla Croce, si riversavano folle esaltate che dovevano insultare i condannati. Se “alziamo la Croce” perdonando un tradimento e accettando l’ingiustizia, saremo insultati pesantemente, proprio da chi ci è più vicino. Sulla via crucis quotidiana siamo chiamati ad “affrontare” con Gesù la “guerra” per strappare al “re” nemico i prigionieri della sua menzogna. Ma, è ovvio, non possiamo combatterlo senza “odiarlo”, altrimenti finiremo con l’odiare Dio per “accordarci” con il nemico, anche se “lontano”; le sue tentazioni, infatti, sono subdole e difficili da smascherare… 
Per questo non si può essere “discepoli” del Signore se non “odiamo” la superbia che ci fa pensare di saper affrontare la vita senza il Signore. Le nostre “truppe” sono inferiori a quelle del demonio! Solo se il Signore ha preso possesso della nostra vita potremo affrontare il nemico e vederlo sconfitto. Solo con il pensiero di Gesù potremo discernere, nella selva dell’affetto, la madre, il padre o la persona più vicina che  tenta di opporsi alla volontà di Dio con criteri e parole mondane. Gesù cita affetti “naturali” proprio per mostrare che è necessario un cambio di natura, divenire figli di Dio per vivere le relazioni in modo diverso. Esse sanno “odiare”, respingendo la tentazione che il demonio ci recapita attraverso le persone. Per amare le persone con un amore autentico, libero e puro, dobbiamo saper “odiare” peccati e inganni del demonio! 
Così con i figli, con chiunque, “calcolando” prima “le spese” che questo comporta. O si hanno i soldi per costruire o non si hanno. O si ha l’amore o non lo si ha. O si può amare nella libertà o non si può… Non si tratta di una gerarchia di affetti e valori, per la quale amare Gesù più del marito. No, perché chi non ama Cristo di amore assoluto e incorruttibile, non ama nessuno. E’ schiavo di legami che strangolano lentamente: quanti fidanzati vivono spersonalizzati e pronti a tutto pur di non perdere il partner; per poi ritrovarsi svuotati, senza dignità, con il solo disprezzo per se stessi; quanti figli vivono nell’incubo di dover dimostrare al padre di essere meglio del fratello o della sorella; quanti amici cancellano tutto di se stessi per incastrarsi nel “branco” e sentirsi vivi perché in nulla diversi dagli altri.
C’è una sola salvezza, quella che oggi ci annuncia il Signore: essere suo “discepolo” e seguirlo. Mentre il mondo e i suoi affetti e i suoi beni ci inducono a seguire un’idea di felicità, di vita, di persona, il Signore ci chiama a seguire Lui, per essere noi stessi. In Lui siamo stati creati, e solo in Lui potremo essere felici e liberi dai legami morbosi pieni di aspettative e di esigenze, di ricatti e di gelosie. Una famiglia è santa solo se Cristo vi è amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e tutte le forze, senza compromessi. Un matrimonio è compiuto solo nella libertà dei coniugi che si “odiano” ogni qualvolta il demonio li vorrebbe in competizione e antagonisti di Cristo: nella sessualità, nel rapporto con il denaro e i figli, nella vita spirituale e nello svago. I figli saranno vivi e potranno crescere e maturare solo “seguendo” Cristo, e “odiando” tutte le idee che lo vorrebbero scalzare.
Per seguire Gesù occorre quindi “rinunziare a tutti i nostri averi”. E’ una necessità, non un obbligo o la condizione per far parte di un club esclusivo. Bisogna rinunciare a tutti  i beni, nessuno escluso. Sembra una follia, magari Gesù pensava ai frati e alle suore di Madre Teresa di Calcutta. Ma in quel tempo ancora non esistevano, mentre vi erano solo i “discepoli”, i cristiani… “Rinunciare a tutto” perché non si possono fare compromessi, non si può avere il cuore strabico e schizofrenico, altrimenti si morirebbe dilaniati. Come tanti, come noi quando ci industriamo per salvare capra e cavoli e ci ritroviamo con un pugno di mosche. “Rinunciare a tutto” perché per essere “discepolo” di Gesù e salvare il mondo dobbiamo avere “tutto” il suo amore e “tutta” la sua Grazia. Mischiare queste con le risorse infette della carne significherebbe rendere tutto inservibile. Siamo chiamati a “rinunciare a tutti gli averi”, dal denaro e dai beni sino alla propria volontà, per lasciare campo libero alla volontà di Dio e allo Spirito Santo.
Seguire il Signore significa, infatti, “costruire” con Lui una “torre” come quelle che si ergevano nei campi per raccogliere e difendere il raccolto. Occorre “calcolare la spesa”, ovvero essere attenti a tutto quello che serve per amare, ad ogni occasione, senza sprecarne nessuna. E discernere i “mezzi” con cui portare la missione a compimento, ovvero lo Spirito Santo che ci spinge a donarci. Iniziare a “fondare” un rapporto, un matrimonio, un fidanzamento o un’amicizia con i “mezzi” sbagliati e insufficienti conduce alla “derisione” riservata ai falliti. Non si ama per la carne ma attraverso di essa, in virtù di un amore che ci viene donato. Altrimenti la “torre” verrà giù alla prima difficoltà. Ma il Signore ci ha amati senza condizioni sulla “torre” della Croce, “odiando” perfino il suo essere Dio pur di raggiungerci laddove giacevamo lontani dal Padre. Come non odiare allora la vita antica e tutti i legami e i beni effimeri che ci hanno condotto alla morte, per ricevere la vita vera ed eterna nella quale spenderci in attesa del Cielo?


Sabato della XXII settimana del Tempo Ordinario






αποφθεγμα Apoftegma

Per Israele, il Sabato era il giorno 
in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, 
in cui uomo e animale, padrone e schiavo, 
grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. 
Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. 
Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione 
come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza.
Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo 
dove Egli possa comunicare il suo amore 
e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. 
Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde 
è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale...

Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale del 2011










L'ANNUNCIO

Dal Vangelo secondo Luca 6,1-5. 

Un giorno di sabato passava attraverso campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 
Alcuni farisei dissero: «Perché fate ciò che non è permesso di sabato?». 
Gesù rispose: «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, quando ebbe fame lui e i suoi compagni? 
Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». 
E diceva loro: «Il Figlio dell'uomo è signore del sabato». 













COME SPIGHE STRAPPATE AL PECCATO E ALLA MORTA PER NUTRIRE IL MONDO


Dio ha donato la Legge per accogliere l'uomo nell’Alleanza con Lui, e condurlo nella fedeltà sul cammino della vita. Il sabato è il sigillo dell’Alleanza, la memoria dell’amore di Dio, la gioia del riposo e dell’intimità nuziale con Lui. Ma alcuni farisei, con le loro interpretazioni restrittive, avevano pervertito la Legge facendone una barriera che precludeva proprio il riposo e la gioia dell’incontro con Dio ai più poveri e deboli. L’esigenza e il disprezzo dei maestri li allontanavano da Dio, come appare nel Vangelo di oggi. La tradizione concedeva di entrare nel campo a raccolto ultimato, dopo che i poveri avevano spigolato la loro parte secondo i dettami della Torah: «Quando è permesso a chiunque di spigolare? Quando l’ultimo povero se n’è andato» (Mishnah, Peah 8:1). I discepoli di Gesù, dunque, non avevano infranto la Legge: come Lui avevano raggiunto l'ultimo posto, quello dietro all’ultimo povero, quello della libertà nella quale si compie il Sabato. Nulla da fare o difendere, tutto da ricevere. Ma una parte dei farisei considerava anche lo spigolare dei poveri illecito nel giorno di sabato. Non c’era limite alla loro ipocrisia: proprio loro che, soprattutto "di sabato", spigolavano nel campo del popolo per strappare con il giudizio le spighe che non crescevano secondo la Legge, impedivano ai poveri di strappare quattro spighe rimaste per miracolo nel campo. Ma questo lavoro era "permesso", anche perché spesso il giudizio restava celato nel cuore, e quando il disprezzo si palesava, lo faceva camuffandosi con gli abiti dell’insegnamento e dell’ammonimento. Come spesso capita, soprattutto di domenica, a noi preti clericali che giudichiamo i più deboli tra i parrocchiani. Come accade ai genitori (e ai figli…) che esigono moralisticamente il rispetto di regole probabilmente necessarie, ma svuotandole dell’amore che ne è il compimento, e giudicano. In tutti noi, accanto al fariseo esigente vi è anche il peccatore incapace di compiere la Legge. Per questo, la fame di Davide in fuga da Saul è la nostra, quando il demonio ci perseguita usando addirittura la Parola di Dio e l’autorità dei consacrati (preti, genitori, maestri, catechisti) per toglierci l’alimento per la nostra fede e impedirci di vivere l’elezione gratuita di Dio. 


Ma è arrivato Cristo, e ha vinto il demonio consegnando a Davide, cioè a te e a me, la dignità e la libertà che la gelosia dell'avversario gli avevano sottratto e nascosto. Smascherando le trappole di Saul, ti annuncia che, rinato in Cristo dalle acque del battesimo, sei figlio di Dio; unto con l’olio del suo Spirito, sei re con Lui. Sei libero davvero perché l’amore di Dio è stato riversato in te e non hai più bisogno di metterti le maschere con le quali apparire giusto per esigere rispetto, considerare e affetto. La tua faccia vera, il tuo sguardo, le tue parole, i tuoi gesti non hanno più bisogno di trucco, puoi apparire così come sei, perché, anche se debole, in te è vivo Cristo, e il suo amore ti spinge nell’urgenza della carità. Quella che ha spinto Lui a cadere per terra nel campo della tua vita come un chicco di grano, e morirci per portarvi molto frutto. Per non restare solo è sceso ed è rimasto accanto a te immobile nel tuo sepolcro, proprio a Shabbat, compiendo così in pienezza ogni precetto. Risorgendo è stato proclamato “Signore del sabato” perché la sua vittoria sulla morte ha dato a Shabbat il compimento per il quale era stato donato: la libertà per entrare nel riposo dell’intimità con Dio preparato per te. Non a caso nel Talmud l'Era Messianica è chiamata “Yom shekullò Shabbat, il giorno che sarà tutto Shabbat”. Coraggio allora, viene oggi il Messia che, trasformando il sepolcro dove eri sepolto in un campo fecondo del suo amore, ha fatto di tutta la tua vita uno Shabbat di libertà e felicità. Il “sabato è per l’uomo” significa proprio questo: la tua famiglia, la tua comunità, il tuo lavoro, ogni aspetto della tua vita è “per te”, perché in tutto Cristo si dona come una spiga matura. Smetti di sforzarti, e lascia operare Dio in te. Non temere, puoi e devi nutrirti dei “pani dell’offerta” una volta riservati ai sacerdoti: Cristo, infatti, ha trasformato la tua vita in una liturgia di Shabbat che, come sacerdote, sei chiamato a celebrare ogni giorno. Non aver paura, non ti giudicare, ne hai diritto proprio perché debole e povero. “Strappa” con la preghiera e l'ascolto della predicazione le “spighe” colme dell’amore di Cristo; “mangiale” e accostandoti con piena fiducia e gratitudine ai sacramenti. Così, sfamati nella Chiesa, saremo liberi di entrare nel campo della storia di ogni giorno e cadervi anche noi come chicchi di grano, perché la nostra vita divenga una spiga che chiunque sia “affamato” di amore e “bisognoso” di misericordia, possa “strappare” e mangiare in piena libertà.

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