Un omaggio a Maria, la Vergine cui una spada ha trafitto il cuore, secondo la profezia di Simeone; alla Madre che, insieme a suo Figlio, ha patito per la salvezza del mondo; a Colei che si è sottomessa allo scandalo della sofferenza degli innocenti nella sua propria carne: questo è espresso nei quattro movimenti della sinfonia di Kiko Argüello che con la musica e con le voci rievoca il Getsemani, ovvero la sofferenza di Gesù dinanzi al Calice del Padre; il lamento di Maria sotto la Croce e poi il perdono invocato dal Cristo crocifisso per tutti gli uomini. E infine, quella spada contro la Vergine, quella spada che rappresenta il male del mondo che colpisce gli innocenti, dinanzi al quale tutti siamo chiamati alla conversione. Così Kiko Argüello, che introduce la sua sinfonia spiegandone anche la genesi, a partire da un’esperienza personale: quella di aver trovato nella gente schiacciata, abbandonata, violentata e offesa in tutto il mondo l’immagine del Cristo crocifisso:
“Ma Dio si è fatto uomo per prendersi lui la sofferenza di tutti gli innocenti. E’ Lui l’innocente totale, l’agnello condotto al macello senza aprire bocca. Colui che porta su di sé i peccati di tutti”.
Dunque, la sofferenza degli innocenti non è il silenzio di Dio, e il dolore non è senza speranza. Non c’è infatti — dice Kiko — solo la spada a trafiggere il cuore della Vergine, ma c’è anche il Calice che Gesù beve per la nostra redenzione. Ed è per questo che il concerto si chiude con il canto del “Resurrexit”. La celebrazione a Betlemme si conclude con una preghiera comune per la pace nel mondo, per tutti gli innocenti che soffrono. Ma le ultime parole lasciate alla platea sono quelle del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal che si sofferma, attualizzandolo, sul tema della serata: quello della sofferenza.
“Noi, Chiesa di Gerusalemme, abbiamo vissuto questo mistero della sofferenza. Questo grido di sofferenza e di dolore fa parte della nostra vita. Siamo Chiesa del Calvario e della Croce, ‘Via Crucis’ che non ci dà l’impressione di finire molto rapidamente. Eppure, il Calvario che è nostro, non è lontano: appena dieci metri da una tomba vuota. Siamo Chiesa del Calvario, però allo stesso tempo siamo Chiesa e della gioia e della resurrezione e dell”Alelluja’ e della speranza, e nessuno ci potrà trattenere dal cantare il nostro ‘Alleluja’!”.
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