Lunedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Non voglio ammassare meriti per il cielo;
voglio lavorare solo per il tuo Amore,
nell’unico desiderio di farti piacere,
di consolare il tuo sacro Cuore
e di salvare anime che ti ameranno per sempre.
Al tramonto di questa vita,
mi presenterò a Te, o Signore,
con le mani vuote,
perché non voglio domandarti di cantare le mie opere…
Tutta la nostra giustizia si presenta macchiata ai tuoi occhi.
Voglio rivestirmi dunque della tua Giustizia
e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Tè.
Non voglio altro Trono o altra Corona se non Tè, o mio Diletto!…
voglio lavorare solo per il tuo Amore,
nell’unico desiderio di farti piacere,
di consolare il tuo sacro Cuore
e di salvare anime che ti ameranno per sempre.
Al tramonto di questa vita,
mi presenterò a Te, o Signore,
con le mani vuote,
perché non voglio domandarti di cantare le mie opere…
Tutta la nostra giustizia si presenta macchiata ai tuoi occhi.
Voglio rivestirmi dunque della tua Giustizia
e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Tè.
Non voglio altro Trono o altra Corona se non Tè, o mio Diletto!…
S. Teresa di Lisieux
Lc 21,1-4
In quel tempo, mentre era nel tempio, Gesù, alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una povera vedova che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”.
Il commento
Per il «superfluo» occupiamo le nostre migliore energie, dando importanza agli aspetti marginali della vita, mentre fluiamo sull’essenziale e fondamentale, secondo l'etimologia latina del termine «superfluus», composto da «super» - «sopra» - e «fluus» (da «fluere») - «scorrere». Marginali e «inutili», secondo un altro significato del termine, sono, ad esempio le passioni civili, sportive o culturali che sembrano trionfare in questi tempi, come gli amori travolgenti che, negli sconvolgimenti ormonali, incendiano il cuore; quando catturano la scena dell’esistenza diventandone i protagonisti «assoluti», stringono anima, mente e cuore in un cappio mortale senza recare altro «utile» che l’insoddisfazione e l’ira giustiziera che ne consegue. Al Tempio, i ricchi «gettano» a Dio il loro «superfluo». Essi sono immagine di chi idolatra il proprio impegno e le proprie pretese virtù nell’illusione di darsi agli altri e agli ideali, solo perché assorbono tempo ed energie, ma è incapace di consegnare oltre la superfice, la «propria vita». La libido, infatti, è attratta irresistibilmente da ciò che costruisce e sembra appagare, mentre la paura di morire impedisce di donarsi senza riserve. Non è un caso che il contrasto evidenziato dal Signore sia tra una «una povera vedova» e «alcuni ricchi»: essi sono come sposi adulteri perché idolatri. Con le «loro offerte» non si mettono in gioco: impegnando solo il «superfluo» rivelano come i loro rapporti siano chiusi nell’egoismo che tradisce Dio e gli altri nascondendo la «mina» sotto terra. Non si fidano perché non conoscono l’amore gratuito, e per questo usano solo quella parte di se stessi che non li espone ai rischi di un impegno autentico e totale, cercando con essa di servirsi di Dio e del prossimo. Tra il «superfluo» e la propria «ricchezza» vi è come un anticoncezionale che li protegge da eventi imprevisti: come accade nei rapporti sessuali chiusi alla vita, essi si illudono di poter piegare la storia e gli affetti secondo gli impulsi della carne, senza accorgersi di sciupare così la vita nella sterilità.
La «vedova» invece è fedele al suo unico Sposo. Ella entra nel Tempio appena purificato dal Signore con la stessa certezza che aveva accompagnato Abramo mentre saliva al Moria per sacrificare il suo unico figlio: il «Dio dei vivi» aveva il potere di compiere l’impossibile, anche di risuscitare i morti. Spogliata d'ogni «superfluo», è divenuta l’«ultima nella società», secondo il significato originale di «nella sua miseria»: senza alcuna sicurezza, ha solo quei «due spiccioli» tra le mani: «due» come lei e il suo Sposo uniti in una stessa carne e in un solo spirito; nulla più di quell’amore esclusivo, l’unico capace di farla «vivere». E’ «vedova», perché vive già ogni relazione come i «figli della risurrezione», al di là dell’egoismo carnale. La storia l’ha resa come «un angelo del cielo» che sulla terra non ha nulla capace di soddisfarla. Anela all’unica cosa «cosa necessaria», il compimento dell’amore che l’ha sposata a Cristo, di cui ha sperimentato le primizie. Per questo «getta le due monete» nel tesoro del Tempio, restituendo a Dio la vita da Lui ricevuta, unita al sacrificio di Cristo che ha «gettato» la sua nella morte per riscattarla e farla sua sposa per l’eternità; ella è certa che, proprio donandosi, vedrà compiute le sue nozze come una pietra preziosa incastonata nella Gerusalemme celeste. L’amore autentico, infatti, è sempre aperto alla vita che non muore, una profezia escatologica che rivela il Cielo, perché la vita vera, piena e autentica sgorga solo dall’intimità fedele e totale con Lui. Mentre le «offerte dei ricchi» avranno catturato l’attenzione e il plauso di tutti, nessuno si sarà accorto dei due spiccioli «deposti» dalla «vedova». Ella è lontana dagli sguardi umani e dalla gloria vana di questo mondo, vive d’amore nel «segreto della sua stanza» nuziale. Anche noi siamo chiamati a non aver paura di consegnarci a Dio insieme a Cristo, in un rapporto vissuto come un segreto che nessuno può sapere, forse senza apparente significato o valore umano. Così è il dono perseverante di tutta la vita, l'offerta delle piccole cose che la costituiscono; non si tratta di grandi gesti «superflui», ma della «fedeltà nel poco», il piccolo «spicciolo» che costituisce oggi la nostra vita unita a quella di Cristo: è Lui che tesse ogni filo della nostra esistenza per farne un drappeggio meraviglioso. Se «gettata» con il Signore e «deposta» nel «tesoro» del suo amore, questa giornata ha dunque, istante per istante, un valore infinito, come uno spicciolo d’oro incorruttibile che risplende già per l’eternità, accanto a Cristo e a tutti coloro che, per mezzo del sacrificio silenzioso di noi stessi, saranno accolti in Cielo: «Dio non esige da te il valore del metallo luccicante, ma quell'oro che nel giorno del giudizio il fuoco non può consumare» (S. Ambrogio).
APPROFONDIMENTI
Nessun commento:
Posta un commento