Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 17 novembre 2012

Da Il Vangelo del giorno di oggi ...


Sabato della XXXII settimana del Tempo Ordinario



Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre.
I discepoli sono fuggiti, ella non fugge.
Ella sta lì, con il coraggio della madre, 
con la fedeltà della madre, 
con la bontà della madre, 
e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: 
"E beata colei che ha creduto". 
"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.
 Sì, in questo momento Egli lo sa: troverà la fede. 
Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.

Benedetto XVI




Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Il commento

Sperare contro ogni speranza è il fondamento ultimo e primo della preghiera. Come la «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti ad un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato da ciascuno di noi, desidera ascoltare la nostra voce, ci chiama e ci invita a «pregare incessantemente». La «necessità di pregare sempre e senza stancarsi» è la necessità dell'amore, perché per amare Cristo, non abbiamo che l'»insistenza» delle lacrime e della preghiera. E come è necessario amare per vivere, così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, «troverà ancora la fede sulla terra», ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa e di ciascuno di noi. Anche quando tutto sembra congiurare contro di noi, la preghiera è il «linguaggio» della fede adulta. Laddove non possono le ragioni umane, può l'»insistenza» spinta al limite della resistenza altrui, come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo. 

La «Giustizia» nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta; per questo «non si stanca» nel rivendicare la misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein» tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati». La vedova sa di avere un avversario e di rischiare la vita, non trascurare la preghiera, la supplica, l'amore. Chi invece ha perduto questa coscienza si stanca e comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita. Anche noi abbiamo lo stesso «avversario», il demonio, che prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci trascina «accusandoci» davanti al Giudice. Ma è proprio da questo tribunale che possiamo elevare il grido della preghiera, i gemiti inesprimibili dello «Spirito Paraclito», il nostro «avvocato» presso il Padre, lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come «mallevadore». È Lui che, secondo il significato del termine, «impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio», presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato con i suoi stessi beni, con la sua vita. L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa «prontamente» garante per noi presso Dio e il Giudice non può che ascoltare altrettanto «prontamente» un Avvocato che garantisce mostrando le sue stesse piaghe segno della sua vita offerta in riscatto. Per questo chiediamo con insistenza il compimento in noi della Giustizia della Croce. Pur essendo schiaccianti le prove contro di noi e siamo senza attenuanti - la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). E' questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice; la «giustificazione» che fa di noi i testimoni, come Abramo, della «fede sulla terra», che crede contro ogni evidenza, avviandosi ogni giorno al Moria, sino al ritorno del Signore.  

Commenti anni precedenti

Sabato della XXXII settimana del Tempo Ordinario


Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre. 
Durante la sua vita pubblica dovette farsi da parte, 
per lasciare spazio alla nascita della nuova famiglia di Gesù, 
la famiglia dei suoi discepoli. 
Adesso si vede che ella, 
non soltanto nel corpo, ma nel cuore, 
è la Madre di Gesù. 
Ancora prima di averlo concepito nel corpo, 
grazie alla sua obbedienza, lo aveva concepito nel cuore.
Così si sarà ricordata delle parole pronunciate dai profeti, 
parole come queste: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; 
era come agnello condotto al macello". 
Ora tutto questo diventa realtà. 
Nel suo cuore avrà sempre custodito la parola 
che l’angelo le aveva detto quando tutto cominciò: 
"Non temere, Maria". 
I discepoli sono fuggiti, ella non fugge.
 Ella sta lì, con il coraggio della madre, 
con la fedeltà della madre, 
con la bontà della madre, 
e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: 
"E beata colei che ha creduto". 
"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.
 Sì, in questo momento Egli lo sa: troverà la fede. 
Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.

Benedetto XVI





Lc 18,1-8 


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.


IL COMMENTO






Sperare contro ogni speranza, il fondamento ultimo e primo della preghiera. Vedova, con un avversario a stringerle la gola, e un giudice terribile da cui aspettarsi tutto meno che giustizia. Speranze umane praticamente nulle. Questa vedova si confonde nell' immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). Il rabbino Rashi è ancora più esplicito: "Questo è detto in riferimento al tempo che il Faraone e il suo esercito inseguirono e raggiunsero gli israeliti accampati presso il mare, e non c'era nessun posto dove fuggire di fronte a loro a causa del mare, né vi era posto per passare al lato a causa della bestie feroci". La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato dalla sposa, desidera ascoltare la sua voce, la chiama e la invita a pregare e a mostrare il suo volto. La preghiera è l'amore che spalanca il mare, che ci introduce nella Pasqua, e fa della nostra vita un esodo verso la libertà. 


Forse non abbiamo mai pensato che è proprio il Signore a desiderare il nostro grido, la nostra preghiera incessante. Anche quando sembra sparire dalla nostra vita, quando ci sentiamo come questa vedova, è Lui che ci ripete: "fammi udire la tua voce, mostrami le tue lacrime, dimmi quello che vi è al fondo del tuo cuore". Crediamo sforzarci per pregare, e a volte è così, ma la necessità di pregare sempre e senza stancarsi è la necessità dell'amorePrega con fede e senza stancarsi solo un cuore innamorato, raggiunto dalla voce del suo Amato. Pregare non è follia o rifugio alienante: "L’impegno della preghiera sembra, a tutta prima, un estraniarsi dalle lotte della vita. Sembra una rinuncia a combattere. Ma chi pensa così, non conosce la potenza della preghiera" (Giovanni Paolo II, Firenze, Omelia del 19 ottobre 1986). Pregare è sperare contro ogni evidenza, sospinti dall'impulso che sorge da un cuore ferito d'amoreAncor prima di metterci a pregare, Lui conosce quello di cui abbiamo bisogno, e lo tiene già pronto per donarcelo, secondo la sua volontà; ma desidera ascoltare la nostra voce, che gli esprimiamo il nostro amore, perchè solo chi ama è davvero felice, anche nelle difficoltà. Il nostro amore verso di Lui non può che essere il povero balbettio di una vedova che cerca giustizia; parole ripetute con insistenza al giudice, come le lacrime della peccatrice versate copiose sui piedi di Gesù, perchè ama molto solo colui al quale molto è stato perdonato. Sì, per amare Cristo, non abbiamo che l'insistenza delle lacrime e della preghiera. E' necessario amare per vivere, e chi ama davvero non si stanca mai; come in qualunque relazione, non mancano certo i momenti di difficoltà, ma è proprio allora che l'amore rivela la sua definitività e la sua autenticità. Amare è cosa di tutta una vita, e così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, troverà ancora la fede sulla terra, ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa sua amata.   


Spesso dunque la fede deve accompagnarci nel deserto, come la vedova del Vangelo; radicata in altre passate esperienze, accese per Grazia dallo Spirito Santo ad illuminare la ragione incastrata nel dubbio e nell'incomprensibilità, la fede muove il cuore a pregare e ad amare nonostante l'aridità e la tentazione. Quando tutto sembra congiurare contro di noi, sul lavoro, in casa, la salute, i soldi che non bastano mai, quando siamo con la lingua di fuori, stremati dagli insuccessi e accerchiati dal nemico, la fede è sperare al di là di ogni ragionevolezza. La preghiera è il "linguaggio" della fede adulta di chi ha fondato la propria vita sull'amore di Dio, sperimentato e conosciuto. "E’ chiaro infatti che la preghiera dev’essere espressione di fede, altrimenti non è vera preghiera. Se uno non crede nella bontà di Dio, non può pregare in modo veramente adeguato. La fede è essenziale come base dell’atteggiamento della preghiera (Benedetto XVI, Omelia del 17 ottobre 2010).


La fede è questa speranza, la preghiera d'una vedova che non ha nessuno, niente altro che la propria insistenza. Giorno e notte senza stancarsi. L'insistenza dell'amore, mossa dalla certezza di essere esaudita; questa vedova sa che l'unica arma per scardinare la porta blindata del giudice è la sua insistenza. Laddove non potrebbero le ragioni umane, neppure i migliori avvocati - e comunque la vedova non ne ha - può l'insistenza spinta al limite della resistenza altrui; molestare e prendere il giudice per sfinimento. Come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo: non c'è nulla da fare, si piantano accanto alla madre, e chiedono e piangono e non smettono sino a quando, esausta, non esaudisce i suoi desideri. Il bambino sa che quella è la chiave, la sua furbizia dettata dall'esperienza e neanche troppo ragionata, lo muove a fare così. Il figlio è certo della "vittoria", perchè i suoi capricci, la sua insistenza petulante, hanno sempre avuto ragione dei primi dinieghi dei genitori. Così è per questa vedova: con l'insistenza sfianca il giudice, il quale, pur di non averla più tra i piedi, le accorda giustizia. E non era assolutamente scontato, visto che in quella società, nonostante quanto prescritto dalla Torah, la vedova contava ben poco, e meno contro un avversario potente in mezzi e avvocati. 


La vedova sa che le è stata fatta un'ingiustizia dall'avversario. Ha coscienza di aver subito un'ingiustizia, che qualcuno ha turbato l'equilibrio della sua vita, prendendola tra il Faraone e il mare, tra il falco e il serpente. Si è dovuta ingiustamente rifugiare nella cavità di una roccia, è già in prigione, ha perduto la propria libertà. E per questo, accesa dall'amore, certa di essere esaudita, affamata di giustiziainsiste senza stancarsi. Il verbo enkakein tradotto con "senza stancarsi", ha il significato di cominciare a trascurare qualcosa o tralasciare un impegno a cui si è obbligati. La coscienza di avere un avversario le impedisce di trascurare la preghiera, la supplica, l'amore. Chi invece ha perduto questa coscienza e non si rende più conto di avere un avversario che gli sta facendo un ingiustizia si stanca, comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita. Solo chi ha conosciuto la Giustizia misericordiosa di Dio ha coscienza dell'avversario, ha timore di perdere per sempre la giustizia vera, e di precipitare in una vita mutilata, a metà, come è quella di una vedova. La Giustizia nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Veritàdi cui parla spesso S. Giovanni. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta. E' l'attacco più grave, non può stancarsi nel chiedere che le sia riconosciuto, protetto o ridato il diritto di vivere nella giustizia, nella comunione con il suo Sposo. La vedova rivendica la misura di vita che le corrisponde; vuole che essa sia piena, traboccante come le spetta per diritto, e implora che le sia versata in grembo. Insiste perchè vuole vivere secondo giustizia, la giusta misura di verità, amore, pace e letizia che corrisponde alla sposa di Cristo! 


Questa insistenza si manifesta, essenzialmente, attraverso i gemiti inesprimibili dello Spirito Santo che gridano dentro ciascuno di noi. Non sappiamo quello che dobbiamo domandare, solo sappiamo, come la vedova, che c'è una giustizia, una misura alta di vita per la quale siamo stati creati ed eletti! Come, quando e dove essa si compirà è affare dello Spirito Santo. Esso attesta al nostro intimo che siamo figli, coeredi di Cristo di una vita giusta, secondo la volontà di Dio, che non possiamo trascurare. Per questo è necessario pregare sempre, ne va della nostra felicità. Non possiamo abbassare la guardia, c'è l'avversario. Questo termine indica il demonio, l'accusatore che ci accusa giorno e notte davanti a Dio, come già fece con Giobbe, e poi con glieletti di Dio. Sbandiera i nostri peccati e ci vuole condannati. E quante volte sentiamo queste accuse penetrarci dentro, tramortirci, e gettarci nello sconforto, nel vederci sempre uguali, sempre gli stessi peccati... Le accuse di colui che prima ci ha ingannati, sedotti e spinti a peccare, e poi ci trascina davanti al Giudice. E' l'esperienza che, ad esempio, facciamo in famiglia, quando discutiamo con il coniuge, con i figli o con i genitori, e ci alteriamo e, alla fine, vomitiamo ingiurie che non avremmo mai voluto pronunciare. E ci ritroviamo come questa vedova, che non può appellarsi né alla giustizia umana - il giudice non ha riguardo di nessuno - né al sentimento religioso - il giudice non teme Dio - Soli con i nostri peccati, soli con i rimorsi e quell'orgoglio ferito che ci fa impazzire. L'avversario ci ha resi vedovi, ci ha strappato lo Sposo. Per i nostri peccati, per il male che si abbatte su di noi, l'avversario ci ha tolto ingiustamente lo Sposo, e non lo vediamo più, e la vita s'e spezzata, perde di senso, scivola via privata della gioia. 


"Ma ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù; miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio" (Gb. 16,19-20). E' proprio dall'abisso nel quale siamo precipitati che possiamo elevare il grido, lasciare che lo Spirito Santo elevi i gemiti che siano i nostri avvocati presso Dio. I lamenti dello Spirito Paraclito, l'avvocato presso il Padre che perora la nostra causa. Lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come mallevadore ed è ora alla destra di Dio: Lui che, secondo il significato del termine, impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio, presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato in solido, con i suoi stessi beni, con la sua vita. L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa prontamente garante per noi presso Dio. Il Giudice non può non ascoltare prontamente dinanzi ad un Avvocato che garantisce mostrando al Padre le sue stesse piaghe, la sua vita offerta in riscatto. 


Per questo possiamo insistere, pregare senza stancarci: quello che chiediamo non è altro che il compimento in noi della Giustizia della Croce, il perdono dei nostri peccati, poter lavare e rendere candide le nostre vesti, le nostre anime, nel sangue dell'Agnello, per vivere la vita giusta, il matrimonio giusto, l'amicizia giusta, il lavoro giusto. Siamo chiamati a vivere ogni istante implorando la Giustizia che smaschera la menzogna dell'avversario e il suo impianto accusatorio; pur essendo schiaccianti le prove contro di noi - abbiamo trascurato e siamo stati infedeli, quel giorno a quell'ora in quel posto, non ci sono attenuanti: la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). E' questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice, colei alla quale è stato ridonato lo Sposo sottratto, per vivere con Lui una vita autentica. Con fede occorre saper riconoscere i nostri avversari, i pensieri e la mediocrità che ci appare la via più semplice alla felicità, le concupiscenze d'ogni genere. La grandezza e la bellezza della vita alla quale siamo chiamati ci svelano i pericoli che si nascondono dietro l'angolo, gli avversari che attentano alla nostra vocazione. Abbiamo bisogno della fede che, senza stancarsi, ci spinge a lottare e cercare prima di ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia, la nostra vera patria già su questa terra. 


La fede è il fondamento delle cose che si sperano, la certezza della "pronta" Giustizia di Dio, nel tempo necessario che si rivelerà breve un fulmine, se sarà colmato con l'attesa, il grido, la preghiera, l'amore. S. Basilio Magno afferma che "chi prega, ha le mani sul timone della storia". Si tratta della preghiera che sussurra senza posa il dolce Nome di Gesù, secondo l'interpretazione che la Chiesa Orientale ha dato al versetto sulla necessità di pregare senza stancarsi. Il Pellegrino russo ha imparato che la "preghiera del cuore" recitata al ritmo dei respiri e dei battiti del cuore, è l'unica cosa necessaria nella vita. Attraverso di essa si imprimono il desiderio di giustizia e perdono, della vita piena e santa, il grido, l'abbandono, l'amore e la fede su ogni passo posato nella storia. La preghiera della vedova che trasferisce tutta intera la propria vicenda umana ai piedi del Trono di misericordia del Padre. Forse nulla cambierà secondo i nostri umani desideri, ma sarà mutato il nostro sguardo sui fatti e le persone, la vera Giustizia che giudica tutto trapassando le apparenze e giungendo diritto al cuore d'ogni cosa, l'amore infinito di Dio che avvolge e impregna tutto di una dolcissima misericordia. 


"Il Signore è giudice e non v'è presso di lui preferenza di persone. Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? La preghiera dell'umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità. Il Signore non tarderà... finché non abbia fatto giustizia al suo popolo e non lo abbia allietato con la sua misericordia. Bella è la misericordia al tempo dell'afflizione, come le nubi apportatrici di pioggia in tempo di siccità" (Sir. 35,2ss). La bellezza risplendente in Maria, che è rimasta ferma nella fede nel tempo del dolore, anche dinanzi al Figlio Crocifisso, contemplando in Lui la Giustizia che Ella stessa - Figlia di Sion e Madre della Chiesa, vedova sola senza nessun avvocato, abbandonata come Gesù anche dagli amici - implorava per noi suoi figli, per ogni uomo. in Lei, come scriveva Benedetto XVI, Gesù troverà la fede sulla terra, nella Chiesa radicata in essa, ai piedi della Giustizia crocifissa e per questo eterna e capace di salvare i peccatori. La Giustizia che il mondo non conosce e che ha diritto di conoscere. 


Per questo il Signore conclude la Parabola chiedendo se "il Figlio dell'Uomo quando tornerà, troverà la fede sulla terra?" L'esperienza della Giustizia misericordiosa di Dio non può che farsi annuncio, evangelizzazione. La missione della Chiesa infatti è quella della Vedova che ha trovato prontamente giustizia. Il mondo chiede giustizia, i tribunali sono pieni, la politica si gioca nelle aule giudiziarie, da sempre nel mondo si cerca un capro espiatorio per le proprie pene, per i fallimenti, le ingiustizie, i peccati. Tutti cercano giustizia ma nel posto e nel modo sbagliati. E' missione unica e irrinunciabile della Chiesa illuminare il mondo e annunciargli la vera Giustizia; per questo occorre custodire la fede e camminare in essa. La fede che il Figlio "spera" di trovare alla fine dei tempi, e nel suo quotidiano ritorno incamminato alla nostra ricerca sulle strade di questa terra, è il nostro abbandono tra le sue braccia; la fede di Abramo, la "fede sulla terra" come canta un midrash sul sacrificio di Isacco, che ha sperato contro ogni speranza nella sterilità prima, e salendo il Moria poi, sommerso dai flutti di disperazione di una morte incipiente, nella quale ha "visto" il giorno di Cristo, la risurrezione impensabile, la Giustizia della Croce. Solo questa fede incarnata nella vedova può schiudere le labbra alla predicazione, all'annuncio del Vangelo. Così la domanda del Signore può anche essere letta: "Il Figlio dell'Uomo quando tornerà, troverà chi annunci il Vangelo? Chi mostri al mondo che sul Monte il Signore provvede? Chi custodisca e trasmetta la fede?". 


Diceva infatti il Beato Giovanni Paolo II: "Le parole pronunziate da Cristo in questa sua domanda, contengono una specie di sfida alla Chiesa di tutti i tempi. E questa sfida ha un carattere missionarioSe il Figlio dell’uomo alla sua venuta definitiva deve trovare “la fede sulla terra”, è necessario che tutta la Chiesa sia costantemente missionaria (“in statu missionis”), così come è stato sottolineato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa è missionaria, quando accoglie con fede, con speranza e con carità, la parola di Dio: questa Parola che è “viva, efficace, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12). La Chiesa vive nella luce di questa Parola. Vive e si rinnova nella sua potenza. La potenza della parola di Dio si fonda sulla Verità, sulla Verità definitiva, perché è anche la prima. Sulla Verità assoluta, cioè tale per cui in essa “si risolvono” tutte le verità che ne derivano, le verità umane. Sulla verità perciò, assolutamente semplice e limpida, che è accessibile ai “piccoli”, che si rivela a tutti gli uomini “puri di cuore” e di buona volontà, come Gesù ci ha insegnato nel suo Vangelo. La potenza della parola di Dio è nella verità ed è nella missione!" (Giovanni Paolo II, Omelia del 19 ottobre 1986).

















Isacco di Siria (VII secolo), monaco nella regione di Mossul, santo delle Chiese ortodosse 
Discorsi ascetici, I serie, § 21


«Pregare sempre senza scoraggiarsi»


Beato l'uomo che riconosce la sua debolezza. Poiché  questa conoscenza è in lui fondamento, radice, principio di ogni atto buono... Quando un uomo sa di aver bisogno dell'aiuto di Dio, prega molto. E più prega, più il suo cuore è diventa umile... Con questa comprensione, conserva la preghiera  è  come un tesoro nella sua anima. E la sua gioia è così grande che la sua preghiera diventa azione di grazie... Guidato da questa conoscenza egli contempla la grazia di Dio, Gli parla, Lo loda e Lo glorifica, Gli dice la sua gratitudine col cuore colmo di meraviglia.
Chi è giunto veramente, non per immaginazione, a portare questi segni e a vivere questa esperienza, sa ciò che dico e nulla potrà contrastarlo. Che non desideri più la vanità, che perseveri nella via di Dio con la preghiera continua, nel timore di perdere l'abbondanza dell'aiuto divino!
Questi favori sono dati all'uomo dal momento in cui riconosce la propria debolezza. Desiderando intensamente l'aiuto di Dio, si avvicina a Dio restando in preghiera. E quanto più s'avvicina a Dio per sua volontà, tanto più Dio si avvicina a lui attraverso i suoi doni e non lo priva della sua grazia, per via della sua grande umiltà. Poiché un tale uomo è come la vedova che non smette d'importunare il giudice perché le renda giustizia nei confronti del suo avversario. Dio pietoso tarda a concedere le sue grazie perché l'uomo in questa attesa sia spinto ad avvicinarsi a Lui, a restare vicino a Colui dal quale viene il suo bene, di cui ha tanto bisogno.





Giovanni Paolo II. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
Omelia, Firenze - Domenica, 19 ottobre 1986



“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8). La Chiesa ci invita a rileggere e meditare queste parole nell’odierna domenica, che - come è noto - è anche la “Giornata missionaria mondiale”. Le parole pronunziate da Cristo in questa sua domanda, contengono una specie di sfida alla Chiesa di tutti i tempi. E questa sfida ha un carattere missionario. Se il Figlio dell’uomo alla sua venuta definitiva deve trovare “la fede sulla terra”, è necessario che tutta la Chiesa sia costantemente missionaria (“in statu missionis”), così come è stato sottolineato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa è missionaria, quando accoglie con fede, con speranza e con carità, la parola di Dio: questa Parola che è “viva, efficace, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12). La Chiesa vive nella luce di questa Parola. Vive e si rinnova nella sua potenza. La potenza della parola di Dio si fonda sulla Verità, sulla Verità definitiva, perché è anche la prima. Sulla Verità assoluta, cioè tale per cui in essa “si risolvono” tutte le verità che ne derivano, le verità umane. Sulla verità perciò, assolutamente semplice e limpida, che è accessibile ai “piccoli”, che si rivela a tutti gli uomini “puri di cuore” e di buona volontà, come Gesù ci ha insegnato nel suo Vangelo. La potenza della parola di Dio è nella verità ed è nella missione! Dio non tiene nascosta questa verità nell’intimo della sua Divinità. Benché elevata al di sopra degli intelletti e dei cuori, essa è la verità salvifica, è la buona novella. Dio giunge con essa fino alla creazione. Giunge fino all’uomo. Dio affida questa verità salvifica al Figlio e allo Spirito, che sono della stessa sostanza del Padre, e da lui mandati. La Chiesa permane “in statu missionis” incontrandosi incessantemente con questa divina messaggera cioè la Verità e con la missione del Figlio nello Spirito Santo da parte del Padre.




Benedetto XVI. La Vedova importuna. 
Omelia  del 17 ottobre 2010.



La liturgia di questa domenica ci offre un insegnamento fondamentale: la necessità di pregare sempre, senza stancarsi. Talvolta noi ci stanchiamo di pregare, abbiamo l’impressione che la preghiera non sia tanto utile per la vita, che sia poco efficace. Perciò siamo tentati di dedicarci all’attività, di impiegare tutti i mezzi umani per raggiungere i nostri scopi, e non ricorriamo a Dio. Gesù invece afferma che bisogna pregare sempre, e lo fa mediante una specifica parabola (cfr Lc 18,1-8).


Questa parla di un giudice che non teme Dio e non ha riguardo per nessuno, un giudice che non ha atteggiamento positivo, ma cerca solo il proprio interesse. Non ha timore del giudizio di Dio e non ha rispetto per il prossimo. L’altro personaggio è una vedova, una persona in una situazione di debolezza. Nella Bibbia, la vedova e l’orfano sono le categorie più bisognose, perché indifese e senza mezzi. La vedova va dal giudice e gli chiede giustizia. Le sue possibilità di essere ascoltata sono quasi nulle, perché il giudice la disprezza ed ella non può fare nessuna pressione su di lui. Non può nemmeno appellarsi a principi religiosi, poiché il giudice non teme Dio. Perciò questa vedova sembra priva di ogni possibilità. Ma lei insiste, chiede senza stancarsi, è importuna, e così alla fine riesce ad ottenere dal giudice il risultato. A questo punto Gesù fa una riflessione, usando l’argomento a fortiori: se un giudice disonesto alla fine si lascia convincere dalla preghiera di una vedova, quanto più Dio, che è buono, esaudirà chi lo prega. Dio infatti è la generosità in persona, è misericordioso, e quindi è sempre disposto ad ascoltare le preghiere. Pertanto, non dobbiamo mai disperare, ma insistere sempre nella preghiera.


La conclusione del brano evangelico parla della fede: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). E’ una domanda che vuole suscitare un aumento di fede da parte nostra. E’ chiaro infatti che la preghiera dev’essere espressione di fede, altrimenti non è vera preghiera. Se uno non crede nella bontà di Dio, non può pregare in modo veramente adeguato. La fede è essenziale come base dell’atteggiamento della preghiera.














Sabato della XXXII settimana del Tempo Ordinario








Lc 18,1-8 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.



IL COMMENTO


Sperare contro ogni speranza. Vedova, con un avversario a stringerle la gola, e un giudice inumano da cui aspettarsi tutto meno che giustizia. Speranze praticamente nulle. Questa vedova si confonde nell' immagine dell'inerme colomba che raffigura Israele, presa dentro ad una grotta tra una serpe ed un'aquila, salvata dalla mano di Dio nel momento più impensato. Sperare contro ogni evidenza. Spesso questa è la fede, radicata in altre passate esperienze, accese per Grazia dallo Spirito Santo ad illuminare la ragione incastrata nel dubbio e nell'incomprensibilità. Quando tutto sembra congiurare contro di noi, sul lavoro, in casa, la salute, i soldi che non bastano mai, quando siamo con la lingua di fuori stremati dagli insuccessi, sperare al di là di ogni ragionevolezza.

La fede è questa speranza, l'insistente preghiera d'una vedova che non ha NESSUNO, niente altro che la sua propria insistenza. Giorno e notte senza stancarsi. E non ci si stanca perchè prontamente il Padre ci ascolta, ci consola del Suo amore infinito. La fede che il Figlio "spera" di trovare nel Suo quotidiano ritorno incamminato alla nostra ricerca sulle strade di questa terra, è il nostro timido abbandono tra le Sue braccia; la fede è quella di Abramo, la "fede sulla terra" come canta un midrash sul sacrificio di Isacco, che ha sperato contro ogni speranza sommerso dai flutti di disperazione di una morte onnipresente.

La fede è lasciarsi condurre dalla "pronta" GIUSTIZIA di Dio, la Sua misericordia che spezza ogni ingiustizia, che ci dona occhi nuovi, occhi di fede, su ogni cosa, trasfigurando anche il nero più nero in un bianco accecante. Forse nulla cambierà secondo i nostri umani desideri, ma sarà mutato il nostro sguardo sui fatti e le persone, la vera GIUSTIZIA che giudica tutto trapassando le apparenze e giungendo diritto al cuore d'ogni cosa, l'amore infinito di Dio che avvolge e impregna tutto di una dolcissima misericordia.





Evangelio según San Lucas 18,1-8.
Después Jesús les enseñó con una parábola que era necesario orar siempre sin desanimarse:
"En una ciudad había un juez que no temía a Dios ni le importaban los hombres;
y en la misma ciudad vivía una viuda que recurría a él, diciéndole: 'Te ruego que me hagas justicia contra mi adversario'.
Durante mucho tiempo el juez se negó, pero después dijo: 'Yo no temo a Dios ni me importan los hombres,
pero como esta viuda me molesta, le haré justicia para que no venga continuamente a fastidiarme'".
Y el Señor dijo: "Oigan lo que dijo este juez injusto.
Y Dios, ¿no hará justicia a sus elegidos, que claman a él día y noche, aunque los haga esperar?
Les aseguro que en un abrir y cerrar de ojos les hará justicia. Pero cuando venga el Hijo del hombre, ¿encontrará fe sobre la tierra?".



COMENTARIO


Esperar contra toda esperanza. Viuda, con un adversario a apretarle la garganta y un juez inhumano de que esperarse todo menos qué justicia. Ninguna esperanza. Esta viuda se confunde ne la imagen de la inerme paloma que representa Israel, cogida dentro a una gruta entre una serpiente y un águila, salvada por la mano de Dios en el momento más inesperado. Esperar contra cada evidencia. A menudo ésta es la fe, arraigada en otras pasádas experiencias, encendida por Grazia del Espíritu Santo a iluminar la razón encajada en la duda y en la incomprensibilidad. Cuando todo parece conjurar en contra de nosotros, en el trabajo, en casa, por la salud, por el dinero que no basta nunca, cuando estamos con la lengua por fuera embrujada por los fracasos, esperar más allá de cada sensatez. Esta es la fe adulta, la de esta viuda.

La fe es esta esperanza, la oracion insistente de una viuda que no tiene nadie y nada más que su misma insistencia. Día y noche sin cansarse. Y no se puede cansar porque tiene la ceteza de que rápidamente el Padre escucha, y consuela con Su amor infinito. La fe que el Hijo "espera" encontrar en Su cotidiana vuelta encaminada a nuestra búsqueda sobre los caminos de esta tierra, es nuestro tímido abandono entre Sus brazos; la fe es la de Abraham, la "fe" sobre la tierra como canta un midrash sobre el sacrificio de Isaac, la fe que ha esperado contra toda esperanza sumergida por las oleadas de desesperación de una muerte omnipresente. La fe de Abrahan que llega hasta sacrificar a su hijo. La fe que todo lo remite al Padre, confiando en su Amor, que El puede dar la vida a los muertos.

La fe es dejarse conducir de la rapida justicia de Dios, Su misericordia que destruye cada injusticia, que nos dona ojos nuevos, ojos de fe, sobre cada cosa, también transfigurando el negro más negro en un blanco cegador. Quizás nada cambiará según nuestros humanos deseos, pero serán cambiados nuestro corazon y nuestra mente, y con ellos nuestra mirada sobre los hechos y las personas; miraremos con la verdadera justicia que juzga todo traspasando las apariencias y llegando derecho al corazón de cada cosa, adonde se asconde el amor infinito de Dios que envuelve todo de una dulce misericordia.





San Tommaso d'Aquino (1225-1274), teologo domenicano, dottore della Chiesa
Compendium theologiae, 2a parte, cap.1

Pregare con fiducia senza stancarsi
Una differenza distingue la preghiera che viene fatta a Dio da quella che si rivolge a un uomo. La preghiera rivolta a un uomo esige prima un certo grado di familiarità grazie alla quale si avrà accesso presso colui che si implora. Mentre la preghiera rivolta a Dio ci fa, essa stessa, gli intimi di Dio. Nella preghiera, la nostra anima si innalza verso di lui, si intrattiene affettuosamente con lui e lo adora in spirito e verità.

Questa intimità acquistata pregando, incita l'uomo a rimettersi in preghiera con fiducia. Perciò è detto nel Salmo : « Ho gridato », cioè ho pregato con fiducia « perché mi hai esaudito, Dio mio » (Sal 16, 6). Accolto nell'intimità di Dio mediante una prima preghiera, il salmista prega, in un secondo tempo, con una fiducia accresciuta. Così, nella preghiera a Dio, l'assiduità o l'insistenza della domanda non è importuna, bensì gradita a Dio. Perché « bisogna pregare sempre, dice il Vangelo, senza stancarsi » ; e altrove, il Signore ci invita a chiedere : « Chiedete e vi sarà dato, dice, bussate e vi sarà aperto » (Mt 7, 7).


San Agustín (354-430), obispo de Hipona (África del Norte) y doctor de la Iglesia
Sermón 115, 1; PL 38, 655
«Cuando venga el Hijo del Hombre ¿encontrará esta fe en la tierra?»
¿Hay un medio más eficaz para animarnos a la oración que la parábola del juez injusto que nos ha contado el Señor? Evidentemente que el juez injusto no temía al Señor ni respetaba a los hombres. No experimentaba ninguna compasión por la viuda que recurrió a él y, sin embargo, vencido por el hastío, acabó escuchándola. Si él escuchó a esta mujer que le importunaba con sus ruegos, ¿cómo no vamos a ser escuchados nosotros por Aquel que nos invita a presentarle nuestras súplicas? Es por esto que el Señor nos ha propuesto esta comparación sacada de dos contrarios para hacernos comprender que «es necesario orar sin desanimarse». Después añade: «Pero cuando venga el Hijo del Hombre ¿encontrará esta fe en la tierra?»

Si desaparece la fe, se extingue la oración. En efecto ¿quién podría orar para pedir lo que no cree? Mirad lo que dice el apóstol Pablo para exhortar a la oración: «Todos los que invocarán el nombre del Señor serán salvados». Después para hacernos ver que la fe es la fuente de la oración y que el riachuelo no puede correr si la fuente esta seca, añade: «¿Cómo van a invocar al Señor si no creen en él?» (Rm 10,13-14).

Creamos, pues, para poder orar y oremos para que la fe, que es el principio de la oración, no nos falte. La fe difunde la oración, y la oración, al difundirse obtiene, a su vez, la firmeza de la fe.

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