Giovedì della I settimana di Avvento
αποφθεγμα Apoftegma
Le parole di Gesù sono nate nel suo silenzio sul Monte,
come dice la Scrittura, nel suo essere col Padre.
Da questo silenzio della comunione col Padre,
dell'essere immerso nel Padre,
nascono le parole e solo arrivando a questo punto,
e partendo da questo punto,
arriviamo alla vera profondità della Parola
e possiamo essere noi autentici interpreti della Parola.
Il Signore ci invita, parlando, di salire con Lui sul Monte,
e nel suo silenzio,
imparare così, di nuovo, il vero senso delle parole.
Benedetto XVI
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 7,21.24-27
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.
"Castificare" la nostra vita
Le parole sono indifese, se ne possono servire gli assassini per uccidere e i santi per amare e annunciare il Vangelo. Per molti le parole sono l'unico certificato di esistenza in vita: quando si parla di un progetto è quasi come se lo lo si fosse già reaIizzato; si usano le parole come scalpelli perché scolpiscano la nostra figura nella vita e nella memoria degli altri, per essere considerati e amati. Ma di fronte alla storia, ogni parola è costretta a denudarsi perché la Croce rivela senza sconti la loro "saggezza" o la loro "stoltezza". Se in esse è viva la Parola fatta carne, si entra ogni giorno nella storia, con i dolori e le difficoltà. E si rimane lì, crocifissi, compiendo la "volontà di Dio". Oppure si tratta di parole vane, e un po' di "vento", la corrente d'aria d'un rimprovero o di un disprezzo, o il "torrente in piena" di una malattia, o la "pioggia" di un fallimento e tutta l'impalcatura della nostra vita cade ed è una "rovina grande". Per entrare nel Regno dei Cieli non basta "dire Signore, Signore", perché la comunione e l'intimità con Cristo e con ogni persona sgorgano dall'obbedienza; essa, infatti, ci strappa dai sogni e dalle illusioni, e ci fa percorrere il sentiero della storia con autenticità, il luogo dove il Regno di Dio si fa "vicino" a noi. "L'obbedienza alla verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinione comuni, è come una specie di prostituzione della parola e dell'anima. La "castità" a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma realmente purificati e resi casti dall'obbedienza alla verità, la verità parli in noi" (Benedetto XVI, Omelia del 6 ottobre 2006).Esiste dunque la possibilità di vivere e parlare con un cuore di prostituta; cercare di venderci a Lui e agli altri attraverso parole e gesti ipocriti. Non a caso le parole di Gesù giungono al termine del Discorso della Montagna: tutto quanto vi è in esso annunciato può divenire un terribile moralismo, impossibile da compiersi se non in un'ipocrita apparenza. Ma proprio in esse si può vedere in filigrana la vita di Gesù: fondato sulla Roccia, pur investito dalla tempesta della morte, non è crollato, ma è risorto dalla tomba. Gesù è stato casto nell'anima e nella parola, non ha bluffato davanti al Padre, "ha fatto la sua volontà" e per questo è "entrato nel Regno dei Cieli". La parola “volontà” - in greco Thelema - è la traduzione di due termini ebraici: hapetz e ratzah. Sorprendentemente scopriamo che le due radici non rimandano a verbi quali “comandare, imporre, ordinare”, ma significano invece “compiacersi - provare gioia - desiderare ardentemente”. "Compiere la volontà di Dio" non significa chissà quale sacrificio della propria indipendenza e dei propri desideri; al contrario, in essa vi è l'incontro tra la gioia, il compiacimento e il desiderio ardente di Dio e dell'uomo. Castificare l'anima significa dunque immergersi nella gioia di Cristo scaturita dall'obbedienza del Getsemani. Non dobbiamo gonfiare i polmoni e gridare "Signore, Signore!", ma riconoscere e accettare la nostra piccolezza indigente schiava della propria volontà e consegnarla alla castità perfetta di Cristo. E' sufficiente sostituire la preghiera alle parole per entrare con Lui nel Getsemani di ogni giorno, casa, scuola, lavoro, e lasciarci "trascinare" nelle sue caste e obbedienti parole rivolte al Padre. Quanto abbiamo bisogno di castità autentica nei dialoghi a colazione e a cena, in ufficio e a scuola. Castità che rispetta l'intimità dell'altro, che non insiste con le parole, che sa fermarsi senza sporcare e usare dell'altro per soddisfare se stessi. Digiunare dalle parole vane per consegnare il fratello all'amore e alla misericordia di Dio. L'Avvento ci chiama a deporre ogni istante della nostra vita nell'obbedienza di Cristo che ne fa una sua parola purificata e offerta al Padre: "Se non riesci a “osservare i comandamenti” non considerarti mai perso, non ti inacidire in modo moralistico o volontaristico. Più a fondo, più in basso della tua vergogna o della tua caduta c’è Cristo. Volgiti a lui, lascia che ti ami, che ti comunichi la sua forza. E’ inutile che ti accanisci in superficie: è il cuore che deve capovolgersi. Non devi cercare nemmeno innanzitutto di amare Dio, ti basta capire che Dio ti ama. Oggi." (Olivier Clèment).
Nessun commento:
Posta un commento