Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 3 dicembre 2015

San Francesco Saverio

3 dicembre. San Francesco Saverio



αποφθεγμα Apoftegma

Vi prego, in tutte le vostre cose, 
di fondarvi totalmente in Dio, 
senza confidare nel vostro potere o sapere od opinione umana, 
e in tal modo faccio conto che voi siate preparati 
per tutte le grandi avversità, sia spirituali sia corporali, 
che vi possono accadere, poiché Dio solleva e fortifica gli umili, 
soprattutto quelli che nelle cose piccole e basse 
hanno visto le loro debolezze come in un limpido specchio 
e in esse seppero vincersi. 
Questi tali, quando si vedono in tribolazioni 
maggiori di quelle in cui mai si siano trovati, 
e sprofondando in esse, 
né il demonio con i suoi ministri, 
né le molte tempeste del mare, 
né le genti malvage e barbare tanto del mare come della terra, 
né alcun'altra creature li può danneggiare: 
essi sanno per certo 
— stante la grande confidenza che hanno in Dio — 
che senza il Suo permesso o licenza non possono far niente.
San Francesco Saverio





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Marco 16, 15-20
In quel tempo, apparendo agli Undici, Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.
E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno".
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.
 


Francesco Saverio, un chiodo fisso nella mente, la salvezza d'ogni uomo. Un fuoco inestinguibile nel cuore, l'amore a Chi lo aveva amato infinitamente. Macinava chilometri, a piedi, sotto il sole e nella neve, andando a scovare tutti gli uomini che, lui lo sapeva, senza conoscere Cristo, giacevano nella morte. Oggi nessuno, tranne il Papa e pochi altri, osa più dire che senza Cristo la vita è, quanto meno, mutilata. Eppure il Signore risorto ha inviato gli apostoli di ogni generazione ad evangelizzare dicendo: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”; ma oggi questa parola suona scandalosa, e lo zelo si spegne tra riunioni, stesure di documenti, e paure d’essere troppo diversi dal mondo nel quale si vive. “Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all'inferno! Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!”: dopo un lungo cammino di conversione, San Francesco Saverio aveva compreso l’unica urgenza improcrastinabile: “annunciare il Vangelo ad ogni creatura”, perché finché l’uomo non incontra Cristo non è autenticamente libero, e per questo “è condannato all’inferno”. Ma no, si ripete nelle “Parigi” contemporanee, tutte le religioni sono uguali, è sufficiente cercare Dio che si rivela a tutti in diversi modi. E le persone scivolano nell’inferno, già qui, già ora, accanto a noi, in famiglia, in ufficio, ovunque, tra la nostra colpevole indifferenza. A chi importa la “salvezza” dei figli? Non vengono prima lo studio, il lavoro, la libertà di fare le proprie esperienze, la sicurezza economica? A chi importa la “salvezza” del marito - che conosca l'amore infinito di Dio rivelato in Cristo - della moglie, del fidanzato, del collega? Ma, se non abbiamo a cuore la “salvezza” dell’anima di chi ci è accanto, allora significa che non lo amiamo davvero. Significa che guardiamo ancora alle persone con occhi mondani, illudendoci che gli altri abbiano bisogno di tutto prima che di Cristo. Anche Francesco Saverio, giovane e brillante studente, a Parigi cercava tutt’altro che Cristo. Ma il Signore lo ha sedotto strappandolo all’egoismo e alla vanagloria, e da allora, in lui non vi fu nessun’altra volontà che quella di Dio. Aveva incontrato Cristo nel suo “inferno”, aveva conosciuto se stesso, e così non poteva più staccare gli occhi da ogni persona senza vedere in tutti lo schiavo che anche lui era stato, per annunciare a “ogni creatura” la liberazione che egli stesso aveva sperimentato. Nulla lo ha più fermato, nulla ha avuto potere sulla vita divina che portava dentro come in un tabernacolo. Per “salvare” tutti quelli a cui era stato inviato, ha bruciato nel “fuoco” dello zelo e dell'amore ogni energia, morendo sfinito a quarant’anni dopo aver fatto cose per le quali ne sarebbero stati necessari duecento: “Questo è il modo dell’evangelizzazione: «Accéndat ardor proximos», che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta…così il fuoco della sua presenza, la novità del suo essere con noi, diventa realmente visibile e forza del presente e del futuro” (Benedetto XVI). 
Quanti “serpenti” ha preso nelle sue mani incandescenti, bruciando i demoni che si insinuano nelle culture e nei cuori che non conoscono Cristo; quanti “malati e infermi sanati” nel “fuoco” della misericordia. Quanti “veleni” bevuti davanti ai nemici del Vangelo, evaporati nel calore del suo zelo senza che ne soffrisse “alcun danno”. E la “nuova lingua” ardente della misericordia con la quale ha annunciato il Vangelo alle più estreme periferie come nei palazzi dei Re. Sino all'alba d'un mattino di dicembre, alle porte della Cina, quando, esausto e abbandonato da tutti, come il suo Signore, ha fatto ritorno al Padre consumato sino all'ultimo respiro come un olocausto offerto  per aprire all'evangelizzazione anche quell'immenso Paese dove non era potuto arrivare. La sua storia è un “segno” dell'irripetibile avventura che è la vita di un uomo che appartiene a Cristo. Dio ha avuto molta pazienza con San Francesco Saverio, come ne ha con noi, ogni giorno. Ma spesso siamo paralizzati non comprendendo a che cosa Dio ci stia chiamando. Dubitiamo che Egli sia davvero l'amore che cerchiamo, e ci spaventa consegnargli la vita. Ma oggi è una buona occasione per aprire le porte a Cristo, come forse non lo hai mai fatto! Vai in una Chiesa, inginocchiati davanti al Santissimo, fai un rosario chiedendo alla Vergine Maria che ti sostenga per ripetere lì, davanti al suo Figlio fatto pane di vita: "eccomi, sono il tuo servo, la tua serva, avvenga in me secondo la tua Parola". Eccomi, come un foglio bianco mi consegno a te, scrivi tu... E allora oggi può nascere in ciascuno di noi, un santo capace di incendiare d’amore ogni luogo dove siamo chiamati a vivere. Fidanzati, sposati, studenti, anziani, per tutti è pronto lo stesso zelo di Francesco Saverio, l'amore indomito e paziente di Dio che brucia il peccato e fa di ogni istante delle nostre vite un irripetibile atto d'amore. Vivere come Saverio, ognuno dove è stato inviato, con il carattere e le attitudini, con le debolezze e i doni che ci appartengono e ci fanno unici e preziosi agli occhi di Dio, perché tutto di noi è santo, “segno” della presenza di Dio qui sulla terra. Non possiamo buttar via nulla, neanche un istante. Questa vita ci è donata per essere vissuta sino in fondo con Gesù che “opera i prodigi” che “accompagnano la parola” d’amore predicata sulle strade del mondo: “il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine” (Benedetto XVI, Udienza del 24 ottobre 2012). 





COMMENTO CATECHETICO


BREVE RIFLESSIONE

Abbracciati e compatiti



Mercoledì della I settimana del Tempo di Avvento

Avvento è imparare ad accogliere Colui che ci compatisce. Lasciare che Cristo ci abbracci sino a stritolarci nel suo amore, perché le sue ferite gloriose si imprimano nelle nostre ancora infette. E' vero, nella Chiesa, ai piedi di Gesù, abbiamo sperimentato tanti miracoli, ma Gesù vuole fare infinitamente di più. Sa bene che siamo capaci di idolatrare anche i segni del suo amore; come per un ragazzo costretto su una sedia a rotelle, infatti, non sarà una protesi a ridargli le gambe e la pace, per tornare a casa sazio e senza svenire di fronte alle difficoltà. Sì, è cruda e scandalizzante, ma è la pura verità: questa società che ha cancellato Dio, sa offrire solo inganni e morte spacciandoli per compassione. E' compassionevole illudere un handicappato chiamandolo "diversamente abile" e spingerlo a correre, nuotare e sciare per mezzo di nuovi e sofisticati strumenti per farlo sentire come gli altri. Mentre proprio questo sinistro neologismo confina il paraplegico in un ghetto demoniaco, dove è impossibile accettare la propria realtà. Chi è abile e in che cosa? Chi non può fare le olimpiadi non lo è, infatti, aborto ed eutanasia sono considerati gesti compassionevoli verso i malati, e proibirli, come ha decretato la Corte Suprema in Irlanda del Nord, è una "violazione dei diritti umani". La compassione del lupo travestito da agnello, che uccide l'anima esaltando l'uomo vecchio, incapace di farsi compatire e implorare misericordia. La stessa compassione con la quale il serpente antico ci seduce offrendoci consolazioni effimere che ci fanno schiumare ira contro le ingiustizie e chiunque ci abbia fatto del male, per impedirci di riconoscere il marcio che è nel nostro cuore e così aprirci all'abbraccio viscerale del Signore. Per l'uomo schiavo del peccato e del demonio è impossibile accettare di essere compatito, sarebbe un disonore, come alzare bandiera bianca di fronte alla storia. Qual'è il tuo handicap che il demonio usa per farti chiudere nell'orgoglio? Chiediamo a Dio di illuminarcelo in questo Avvento, perché è proprio la nostra inabilità che ci rende abili a convertirci; ad accettare cioè che siamo incapaci di amare, per lasciarci abbracciare e compatire da Cristo. In Lui anche i sette pani, simbolo della creazione ferita dal peccato, diventano il preludio all'ottavo giorno della resurrezione. Crocifissi con Lui proprio attraverso il nostro handicap e saziati della sua vita soprannaturale, potremo tornare nella storia e donarci senza svenire nella paura di morire.
Il Vangelo del giorno

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