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giovedì 3 luglio 2014

Sondaggi e contestazioni non guidano la Chiesa & Bergoglio e una lezione di venticinque anni fa sul compito dei pastori.

Da KAIRO'S

Sondaggi e contestazioni non guidano la Chiesa




di Massimo IntrovigneNei giorni scorsi è stato pubblicato - in inglese e francese mentre si attende ancora che compaia sul sito della Santa Sede la versione integrale italiana - il documento della Commissione Teologica Internazionale Il sensus fidei nella vita della Chiesa. I testi prodotti dalla Commissione non sono Magistero, ma sono punti di riferimento autorevoli nella Chiesa specie quando, come in questo caso, sono muniti della clausola secondo cui il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha approvato il testo e ne ha autorizzato la pubblicazione.
Potrebbe sembrare che la materia sia arcana, specialistica e d'interesse quasi solo per i teologi di professione, ma non è così. Fu Benedetto XVI a chiedere alla Commissione di studiare in modo approfondito il «sensus fidei», e lo studio si è protratto per ben  quattro anni, in dialogo prima con lo stesso Papa Ratzinger e poi con Papa Francesco. E non a caso Benedetto XVI chiese di studiare questo tema proprio mentre iniziava a suggerire un nuovo esame delle tematiche relative alla famiglia e ai divorziati, esame che ha portato con Papa Francesco alla convocazione del prossimo Sinodo sulla famiglia.
Di che si tratta? Il «sensus fidei», spiega il documento, è l'«istinto dei fedeli per le verità del Vangelo, che permette loro di riconoscere quali sono le dottrine cristiane autentiche e di aderirvi». Questo «istinto», che viene dalla grazia e che è soprannaturale, è stato riconosciuto già dai Padri della Chiesa e dai teologi medievali, specie benedettini, ed è stato studiato in modo approfondito da teologi del calibro di Melchior Cano (1509-1560), Johann Adam Möhler (1796-1838), Giovanni Perrone (1794-1876) e del beato John Henry Newman (1801-1890), il cui On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859) rimane ancora oggi un testo fondamentale sul tema.
Dal libro di Newman si evince che il Magistero, quando si pronuncia, tiene conto della Scrittura, del Magistero precedente, delle opinioni espresse dai teologi ma anche della «testimonianza» diffusa nel popolo fedele. Così avviene in materia di canonizzazioni, e così è avvenuto in occasione della proclamazione dei dogmi dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione di Maria. Ma il documento nota che anche la dottrina sociale della Chiesa, così come «lo sviluppo sorprendente, anche se omogeneo» - la rivendicazione dell'omogeneità viene da Benedetto XVI - in materia di libertà religiosa, dal Sillabo del Beato Pio IX (1792-1878) alla dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano II, sarebbero difficili da capire se non si considerasse il ruolo avuto nella loro preparazione da studiosi, economisti, imprenditori, giuristi e politici laici.
Il «sensus fidei» è dunque un elemento fondamentale per comprendere il ruolo dei fedeli, anche laici, nella Chiesa: un ruolo che non è solo di passiva ricezione del Magistero ma che in qualche modo partecipa alla sua formazione. Tuttavia, nota il documento, sul «sensus fidei» si sono diffusi recentemente anche equivoci ed errori. Si è immaginato cioè che l'appello al «sensus fidei» potesse diventare uno strumento per contestare il Magistero. Questo, chiarisce il documento citando anche puntuali interventi sul punto di Benedetto XVI, è totalmente sbagliato, e falsifica la dottrina esposta da Perrone e dalla «scuola romana» di cui fu autorevole esponente, nonché dal beato Newman. Quest'ultimo scriveva con grande chiarezza: «il dono che permette di discernere, discriminare, definire, promulgare e dare forza di legge a una qualunque parte della Tradizione spetta esclusivamente alla Chiesa docente», cioè al Papa e ai vescovi uniti con lui. Il documento precisa che è «il Magistero [che] giudica se le opinioni che sono presenti nel popolo di Dio e che possono sembrare "sensus fidelium" corrispondono realmente alla verità della Tradizione trasmessa dagli Apostoli». Cioè: nel popolo fedele si rilevano sensibilità e opinioni su elementi che il Magistero non ha ancora completamente chiarito. Il Magistero le studia e ne tiene conto. Ma ultimamente è il Magistero che decide, discerne e giudica se queste sensibilità «corrispondono realmente alla verità della Tradizione» oppure testimoniano semplicemente che tra i fedeli circolano equivoci ed errori, in questo secondo caso intervenendo per chiarirli.
Oggi, nota il documento, la situazione si è complicata perché il «sensus fidei fidelium» viene confuso con la nozione «sociologica» di «opinione pubblica», che è una cosa diversa. L'opinione pubblica si accerta di solito con i sondaggi. È sociologicamente rilevante, ma è anche vero che può essere manipolata e che oggi le tecniche di manipolazione hanno raggiunto un grado di raffinatezza ignoto in altre epoche. I sondaggi e anche l'attenzione a quanto sostengono i media a proposito delle opinioni che sarebbero maggioritarie tra i cattolici, spiega il testo, non sono inutili. Ma è molto importante chiarire che non c'entrano con il «sensus fidei fidelium», dove non conta «la maggioranza espressa secondo le regole della democrazia» ma la fede.
Si viene qui al punto fondamentale del documento. Nell'espressione «sensus fidei fidelium» è cruciale capire chi sono i «fedeli» del cui «senso della fede» il Magistero, pur riservandosi di operare un discernimento autorevole, tiene conto. Certamente non si tratta del «pubblico» in generale, dal momento che all'interno del «pubblico» - che determina l'«opinione pubblica» - oggi i fedeli cattolici sono in minoranza. Ma non si tratta neppure di tutti coloro che si dichiarano cattolici - né dei soli cattolici, perché in una certa misura e cautamente, secondo il documento, si può tenere conto anche della sensibilità dei fratelli separati rispettosi della Chiesa Cattolica e con cui è in corso un dialogo ecumenico. Ma il cuore, il nucleo duro dei «fedeli» di cui tenere conto per accertare qual è il «sensus fidei fidelium» è costituito dai fedeli cattolici che aderiscono al Magistero: «disposizione necessaria per una partecipazione autentica al "sensus fidei" è l'attenzione al Magistero della Chiesa e la volontà di ascoltare l'insegnamento dei pastori della Chiesa». In definitiva, «i soggetti del "sensus fidei" sono i membri della Chiesa che tengono conto delle parole di Gesù a coloro che invia: "Chi ascolta voi ascolta me"». E si tratta del Magistero di oggi, non solo di quello di ieri né di un ipotetico Magistero di domani. Del Magistero anche ordinario, non solo di quello straordinario e infallibile.
Comprendiamo qui perché il documento è importante. In occasione del prossimo Sinodo sulla famiglia la Santa Sede ha distribuito un questionario. Alcune conferenze episcopali, tra cui quella svizzera, si sono affidate a sociologi per accertare le opinioni maggioritarie in tema di divorzio, aborto, omosessualità. Il documento spiega che queste indagini, se sono fatte bene, non sono inutili: come afferma l'«Instrumentum laboris» per il Sinodo, servono almeno ad accertare il gravissimo scollamento fra la società moderna e la dottrina cattolica. Sbaglierebbe però in modo grossolano chi pensasse che così si accerta il «sensus fidei fidelium»: si accerta l'opinione, ma non l'opinione «dei fedeli» perché coloro che si dicono cattolici ma non ascoltano e aderiscono al Magistero non rientrano fra i soggetti rilevanti per accertare il «sensus fidei». Per questi ultimi, più dei sondaggi, rileva la vita ordinaria della Chiesa che è - o dovrebbe essere - nota ai vescovi, i quali interagiscono - o dovrebbero interagire - con le parrocchie, gli ordini religiosi e i movimenti, e sapere quali idee vi circolano, chi segue il Magistero e chi lo contesta.
Così pure, è del tutto inutile che certi teologi, storici o blogger oppongano il «sensus fidei fidelium» come interprete della Tradizione cattolica  all'interpretazione della Tradizione cattolica insegnata dal Papa e dai vescovi in comunione con lui, magari citando a sproposito il beato Newman. Tra tante opinioni, maggioritarie e minoritarie, che pretendono di dire che cos'è la Tradizione, il beato Newman - come abbiamo visto, e come ricorda il documento - insegnava che «spetta esclusivamente al Magistero» discernere che cosa fa veramente parte della Tradizione e che cosa è soggettiva opinione di qualcuno. Il «sensus fidei» è un grande elemento di libertà, di coralità e di armonia nella vita della Chiesa. Diventa una mistificazione quando lo si usa per contestare il Magistero.

Agostino e la verità senza sconti




Bergoglio e una lezione di venticinque anni fa sul compito dei pastori. 

Sul sacerdozio. Pubblichiamo stralci della prefazione al libro Agostino. Sul sacerdozio curato da Giancarlo Ceriotti e inserito nella collana «La biblioteca di Papa Francesco», diretta da Antonio Spadaro (edizioni Rcs per il «Corriere della Sera», in collaborazione con «La Civiltà Cattolica»). Il libro raccoglie alcuni Discorsi del vescovo di Ippona e i Commenti 46 e 123 al Vangelo di Giovanni.
(Diefo Fares) Nel 1989, padre Jorge Bergoglio, mentre svolgeva il suo magistero pastorale, dedicò molte riflessioni al Sermone 46 di Agostino, il Discorso dei pastori. Alcuni compagni di allora hanno conservato gli appunti di quelle riflessioni, che rilette oggi fanno un certo effetto, perché sono le stesse frasi che Papa Francesco condivide con tutto il mondo. Tuttavia ciò che conta non sono tanto gli appunti ma i ricordi vivi di quelle lezioni, a cui noi studenti e novizi partecipavamo e che commentavamo con entusiasmo, perché illuminavano il nostro percorso pastorale nei quartieri dove svolgevamo la nostra missione. Erano lezioni in cui si imparava ad amare il lavoro che ognuno di noi svolgeva nella sua zona in mezzo al proprio gregge, lezioni grazie alle quali colui che sarebbe diventato Papa Francesco era capace di formare «pastori con la passione per le proprie pecore». Gli esempi che Bergoglio utilizzava provenivano dalla sua esperienza nella parrocchia del patriarca San José, della quale fu il primo parroco. Durante i suoi sei anni di ministero, riportò moltitudini di fedeli in quattro grandi chiese: San José, San Pedro Claver, Santos Mártires Rioplatenses e San Alonso Rodríguez; e con le decine di gesuiti che entrarono in quegli anni nella Compagnia, riuscì a realizzare una feconda attività pastorale, che ricordiamo con gioia e che ancora oggi ci conforta.

L’anno seguente la parrocchia conobbe la sua massima affluenza di bambini e giovani della zona. Gli studenti e i fratelli gesuiti andavano a cercare, casa per casa, i bambini, che i genitori erano lieti di affidare loro affinché partecipassero al catechismo. Per la giornata dedicata al fanciullo arrivavano quasi cinquemila bambini e il Collegio Massimo diventava una specie di “città del bimbo” con proiezioni cinematografiche, giochi sportivi, regali, pranzi, merende, giocattoli e la santa messa. Noi, che siamo stati formati da Bergoglio, stiamo sperimentando in questi mesi la stessa gioia di trent’anni fa, adesso moltiplicata a livello mondiale, e piazza San Pietro sembra la vecchia parrocchia del Patriarca San José dove Bergoglio, tanti anni fa, svolgeva la sua missione pastorale. 
Il Discorso dei pastori di Agostino è un sermone scomodo. Lo stesso Agostino utilizza questa espressione quando chiede a coloro che lo stanno ascoltando di pregare per lui: «Vi fo presente tale difficile situazione affinché vogliate compatirci e pregare per noi. Verrà infatti il giorno in cui tutto sarà sottoposto a giudizio». Agostino condanna, con un tono da giudizio finale, i pastori che egoisticamente si curano di se stessi e non delle pecore. Il suo verdetto senza appello non lascia via di scampo: «Ogni vescovo pertanto che godesse per il posto che occupa e cercasse il suo onore e guardasse esclusivamente ai suoi interessi privati, sarebbe di quelli che pascono se stessi e non le pecore». Queste parole di Agostino, che sono un commento a Ezechiele, devono essere lette senza glossa, come dice Papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium, 271), e da tutti coloro che hanno una missione, quella di condurre un gregge di anime, che sia piccolo come una famiglia o grande come una Chiesa. 
La famosa distinzione, con voi sono cristiano e per voi sono vescovo, è sempre illuminante. Agostino afferma: «Noi siamo insigniti di due dignità che occorre ben distinguere: la dignità di cristiani e quella di vescovi. La prima, cioè l’essere cristiani, è per noi; l’altra, cioè l’essere vescovi, è per voi. Nel fatto di essere cristiani vanno sottolineati i vantaggi che derivano a noi; nel fatto di essere vescovi, ciò che conta è esclusivamente la vostra utilità. Oltre a essere cristiani, per cui dovremo render conto a Dio della nostra vita, siamo anche vescovi, e quindi dovremo rendergli conto anche del nostro ministero». Come cristiano si sente ed è uno del gregge, che viene guidato e accudito da Cristo Buon Pastore, mentre come pastore a sua volta deve occuparsi degli altri. 
Qual è quella situazione che si presenta «difficile» ma che è necessario affrontare, e che come pastori non possiamo tralasciare? È quella situazione in cui dobbiamo dire la verità di Cristo senza sconti, anche se a qualcuno non piacerà, così come succedeva agli «interpreti della legge» che si sentivano offesi da Gesù: «Maestro, quando affermi queste cose ci offendi» (Luca, 11, 45). Agostino afferma: «Ci aiuterà il Signore a dirvi il vero; e a ciò riusciremo se non presumeremo dirvi cose nostre. Infatti, se diremo del nostro, saremo pastori che pasciamo noi stessi, non le pecore; se invece ci viene dal Signore quel che diciamo, qualunque sia la persona che vi pasce, è sempre il Signore a pascervi». Secondo Agostino il Buon Pastore è Cristo, e coloro che sono chiamati a condividere con lui questa sacra missione sono come lampade che illuminano il popolo con la luce della vera dottrina, la quale è cibo e alimento delle anime. Agostino combatte le eresie dell’epoca, che inducevano all’errore e portavano i pastori a intraprendere la strada sbagliata, e a diventare così un cattivo esempio di trascuratezza, facendo disperdere il gregge e lasciandolo alla mercé dei lupi.
Ho deciso di prediligere la difficoltà come caratteristica fondamentale del Discorso sui pastori, perché credo che sia il capo del filo grazie al quale si può sciogliere tutta la matassa. Non si può esprimere questo concetto con una sola frase. Quindi proverò a spiegarlo con alcune domande. Avete notato come la gente in generale più è “semplice” e meglio si trova con Papa Francesco? È un fatto davvero impressionante. E quando dico semplice nomino qualcosa che appartiene alla sfera interiore: la non autoreferenzialità. Agostino li chiamerebbe “pecore”: persone che si sentono parte di un gregge e il loro punto di riferimento è il pastore. 
Avete anche notato chi sono coloro che si sentono in difficoltà con Papa Francesco? Possiamo dire che sono coloro che cercano di approfittare della lana e del latte, invece di occuparsi delle pecore? Il buon pastore, ci diceva Bergoglio, non è solo colui che fa il bene ma anche chi resiste al male e prepara le sue pecore ad affrontare i pericoli e i conflitti, le rafforza contro le tentazioni che arriveranno. Francesco lo chiamava lo «spirito bellico» del buon pastore, che sa distinguere la pecora malata da quella debole e da quella forte. Con quelle malate è dolce e compassionevole, si occupa delle loro ferite, senza tralasciare le piaghe da incidere per «non lasciar progredire l’infezione».
L'Osservatore Romano

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