La domanda alla quale risponde questa settimana padre Edward McNamara L.C., è stata posta da un lettore in Nigeria.
Sono un seminarista che sta per concludere la sua formazione. Ho notato che alcuni sacerdoti, vescovi inclusi, sia in seminario che in parrocchia, scrivono le loro omelie e le leggono durante la Messa. Altri invece tengono un’omelia a braccio. La mia domanda è: qual è la posizione ufficiale della Chiesa? L’omelia deve essere scritta? C'è qualche normativa? -- A.M., Enugu, Nigeria
Per quanto riguarda l’omelia, le normative ufficiali sono ben poche. L’argomento è stato però trattato ampiamente da papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium e il Santo Padre lo affronta frequentemente, in particolare nei suoi incontri con i sacerdoti. Vari vescovi mi hanno confidato che lui tocca frequentemente il tema durante gli incontri privati nell’ambito delle visite quinquennali ad limina Apostolorum in Vaticano. È un argomento che sta molto a cuore al Pontefice.
Tra i consigli che offre per preparare l'omelia, il Santo Padre afferma nella sua esortazione apostolica:
“156. Alcuni credono di poter essere buoni predicatori perché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazione. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio. Ricordiamo che «l’importanza evidente del contenuto dell’evangelizzazione non deve nasconderne l’importanza delle vie e dei mezzi». La preoccupazione per la modalità della predicazione è anch’essa un atteggiamento profondamente spirituale. Significa rispondere all’amore di Dio, dedicandoci con tutte le nostre capacità e la nostra creatività alla missione che Egli ci affida; ma è anche un esercizio squisito di amore al prossimo, perché non vogliamo offrire agli altri qualcosa di scarsa qualità. Nella Bibbia, per esempio, troviamo la raccomandazione di preparare la predicazione per assicurare ad essa una misura adeguata: «Compendia il tuo discorso. Molte cose in poche parole» (Sir 32,8).
“157. Solo per esemplificare, ricordiamo alcuni strumenti pratici, che possono arricchire una predicazione e renderla più attraente. Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare ed accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”.
“158. Diceva già Paolo VI che i fedeli «si attendono molto da questa predicazione, e ne ricavano frutto purché essa sia semplice, chiara, diretta, adatta». La semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Dev’essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano. Ci sono parole proprie della teologia o della catechesi, il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei cristiani. Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente. Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con la Parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione. La semplicità e la chiarezza sono due cose diverse. Il linguaggio può essere molto semplice, ma la predica può essere poco chiara. Può risultare incomprensibile per il suo disordine, per mancanza di logica, o perché tratta contemporaneamente diversi temi. Pertanto un altro compito necessario è fare in modo che la predicazione abbia unità tematica, un ordine chiaro e connessione tra le frasi, in modo che le persone possano seguire facilmente il predicatore e cogliere la logica di quello che dice.
“159. Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività. Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!”.
Si tratta di consigli molto utili, che devono stare a cuore a tutti i predicatori, ma non affrontano la domanda concreta posta dal nostro lettore.
La mia opinione è che le omelie debbano sempre essere ben preparate, anche per quanto riguarda il modo in cui vanno tenute. Devono sempre venire dal cuore, ma anche una omelia letta può venire dal cuore.
Perciò, partendo dal presupposto che l’omelia sia stata ben preparata, la scelta di metterla per intero sulla carta, di redigere solo uno schema espositivo o invece fissarla interamente nella mente dipende completamente dalla capacità e dalle inclinazioni del predicatore, dalle esigenze della comunità dei fedeli e dal contesto particolare della celebrazione.
Un vescovo o un sacerdote possono scegliere di scrivere e leggere la loro omelia poiché ritengono che la precisione linguistica sia molto importante in alcuni contesti, specialmente se il testo verrà poi pubblicato.
Alcuni sacerdoti e diaconi preferiscono leggere il testo semplicemente perché non hanno buona memoria. Altri predicatori scrivono le loro omelie o redigono schemi per poi tenere l’omelia senza neppure dare uno sguardo a quello che hanno scritto. La mera presenza del testo li libera dalla preoccupazione di subire imbarazzanti vuoti di memoria.
Altri ancora, come il grande Fulton Sheen (1895-1979), preferiscono non usare un testo scritto. Va ricordato, tuttavia, che questa forma richiede una maggiore preparazione per fare le cose per bene. Spesso è anche la forma più efficace dal punto di vista retorico, nel senso che facilita ad esempio il contatto personale con i fedeli.
Ci sono anche coloro che partendo da un testo preparato raggiungono questo contatto, e questa forma non dovrebbe essere considerata da meno. Avendo stili diversi, sia papa Benedetto che papa Francesco dimostrano che questa forma può essere un metodo di predicazione molto efficace.
Poco efficace invece è leggere un testo semplicemente scaricato da Internet o preso da qualche altra fonte. Anche se letto bene, spesso manca la qualità di essere frutto di una meditazione orante, assimilazione del messaggio e convinzione personale della sua verità, tutti elementi fondamentali se l'omelia vuole essere vera comunicazione della fede.
Nella sua esortazione, papa Francesco sviluppa anche questo argomento:
“144. Parlare con il cuore implica mantenerlo non solo ardente, ma illuminato dall’integrità della Rivelazione e dal cammino che la Parola di Dio ha percorso nel cuore della Chiesa e del nostro popolo fedele lungo il corso della storia. L’identità cristiana, che è quell’abbraccio battesimale che ci ha dato da piccoli il Padre, ci fa anelare, come figli prodighi – e prediletti in Maria –, all’altro abbraccio, quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria. Far sì che il nostro popolo si senta come in mezzo tra questi due abbracci, è il compito difficile ma bello di chi predica il Vangelo”.
[Traduzione dall'inglese a cura di Paul De Maeyer]
Nessun commento:
Posta un commento