Santa Maria,

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giovedì 10 luglio 2014

San Benedetto



Buon onomastico Papa Benedetto!

SAN BENEDETTO


Noi potremmo facilmente tenere il Vangelo a distanza pensando: “Sono i discepoli ad essere coinvolti, o, tutt’al più, i santi come Benedetto, che Dio ha chiamato a realizzare una grande opera”. Ma il Vangelo non è solo un libro di storia. Non si accontenta di raccontare gli avvenimenti. Gli apostoli, i santi e i missionari rimandano a me. Guardate Pietro che ha accompagnato Gesù e gli altri discepoli che hanno abbandonato tutto; o guardate Benedetto che, giovane studente, rifiuta la vita brillante di Roma per ritirarsi nella solitudine! Tutti sono implicati nella storia. Noi saremmo semplici spettatori? Il Vangelo non ci riguarderebbe?

Eppure il Vangelo parla dell’avvento di un nuovo regno, del segreto inaudito che fa sì che Dio permetta che nasca un regno senza fine. Ciò significa dunque che Dio ha delle aspettative su di noi. È il dramma dell’amore. E la mia storia con Dio. La storia del regno dei cieli è già cominciata. Bisogna continuare a raccontare la storia come storia di Dio e del suo mondo. In questo Vangelo, è la sua storia che Gesù racconta quando dice: “Nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria...” (Mt 19,28). 

Per Gesù, ciò vuol dire amore fino alla croce. 

Egli sa: “Mio padre mi manda nel mondo per amore e dice: Tu genererai un popolo nuovo. La tua missione è di diffondere l’amore nel mondo intero”. Dio vuole che il suo amore si riversi nel mondo. Si tratta del dramma dell’amore. Noi possiamo parteciparvi lasciando che Dio ci mostri il nostro posto. Poiché egli si indirizza a noi, personalmente. Quante volte abbiamo rifiutato questo invito: eppure la redenzione ha luogo qui e ora, oggi. Non è in teoria, ma nell’istante stesso che Gesù ama, agisce e parla. Ciò che importa è che io alzi gli occhi per vedere cosa accade. A cosa serve, se qualcuno mi perdona in teoria ma non nel suo cuore, né ora? La pratica di Gesù ci mostra una cosa: egli è andato incontro a tutti. Il suo invito valeva per tutti. Non debbo, dunque avere paura. Non sono tenuto a diventare prima un uomo a posto, posso venire quale sono. E, per una comunità, ciò significa semplicemente poter esistere anche con le proprie debolezze. 

Dal Vangelo secondo Matteo


Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto. 

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».


Parola del Signore

Patrono da 50 anni


Quest’anno la festa di san Benedetto abate, che cade oggi, riveste un carattere di speciale solennità:ricorre infatti il 50° anniversario della proclamazione del Santo Padre Benedetto "Patrono d’Europa". Era il 24 ottobre 1964, quando Papa Paolo VI, riconsacrando la ricostruita Basilica di Montecassino, consegnava all’Abate Primate Benno Gut la Bolla di proclamazione "Pacis nuntius" (Messaggero di pace). Erano presenti all'evento tanti vescovi, tutti gli Abati Presidenti della Congregazioni monastiche, tanti altri Abati e Priori benedettini, tutto il Collegio di S. Anselmo in Roma. Alla celebrazione seguì un pranzo nel grande refettorio. Insieme con il Papa sedevano a tavola circa 400 persone, e servivano alla mensa i monaci di Montecassino.
Ecco un breve passo dell'omelia di quella storica giornata:

"la Chiesa ed il mondo, per differenti ma convergenti ragioni, hanno bisogno che San Benedetto esca dalla comunità ecclesiale e sociale, e si circondi del suo recinto di solitudine e di silenzio, e di lì ci faccia ascoltare l’incantevole accento della sua pacata ed assorta preghiera, di lì quasi ci lusinghi e ci chiami alle sue soglie claustrali, per offrirci il quadro d’un’officina del «divino servizio», d’una piccola società ideale, dove finalmente regna l’amore, l’obbedienza, l’innocenza, la libertà dalle cose e l’arte di bene usarle, la prevalenza dello spirito, la pace: in una parola, il Vangelo".. (Papa Paolo VI)



Venerdì della XIV settimana del Tempo Ordinario


Davide e Nabal


L’annuncio del regno di Dio non è mai solo parola, 
mai solo insegnamento. 
E’ avvenimento, così come Gesù stesso è avvenimento, 
parola di Dio in persona. 
Annunciandolo, conducono all’incontro con Lui.

Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I





Dal Vangelo secondo Matteo 10,16-23.

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.

Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe;

e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire:
non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.
E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.
Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo.




Il commento



Il Signore invia i suoi apostoli "come pecore in mezzo ai lupi". Proprio per essere di Cristo, essi sono indifesi, esposti agli attacchi di tutti. Non c’è nulla di cui stupirsi, perché l’apostolo incarna Colui che lo manda. E’ Lui che perseguitano, è Lui che odiano. Anche noi ne sappiamo qualcosa, quando il nostro cuore in fermento è incapace di accettare un minimo rimprovero, un semplice aiuto. Quante volte abbiamo rifiutato e perseguitato, ucciso nei nostri cuori i messaggeri del Signore. Lui è la Verità, la Parola che ci annuncia la Chiesa ci smaschera, e questo non piace a nessuno. L’orgoglio ferito muove rabbiosamente le acque torbide della violenza nascosta.

L’episodio di Nabal, nel primo Libro di Samuele, lo esprime bene: questi “è troppo cattivo e non gli si può dire una parola" (1 Sam. 25,17). La traduzione non è esatta perché l’originale ebraico, invece di cattivo, recita “stolto”. Nabal è accecato e non è capace di leggere gli eventi, non vuole accogliere Davide con i suoi prodi, nonostante in passato lo avessero aiutato e difeso. Nabal non ascolta nessun consiglio, mentre la moglie di nascosto si accinge ad intercedere per il marito presso Davide, che, grazie a lei, desiste da ogni vendetta: “Non faccia caso il mio signore di quell`uomo stolto che è Nabal, perché egli è come il suo nome: stolto si chiama e stoltezza è in lui” (1 Sam. 25, 25). Nabal, quando si rende conto di quello che è successo, è preso da un fremito e muore: è la sorte dello stolto, strangolato dalla propria stoltezza. Davide è figura di Cristo e dei suoi Apostoli, inviati nel mondo ad annunciare il Regno. Nabal è figura di chi non accoglie la predicazione, per stoltezza, per orgoglio. 
Per questo il Signore invia i propri discepoli come "pecore in mezzo ai lupi", indifesi dinanzi alla violenza bruta di chi è accecato dall’orgoglio e dalla presunzione, con il cuore e la mente chiusi in un vano e stolto ragionare. E' necessaria la debolezza di una pecora: un apostolo capace di difendersi, potente in mezzi e strategie, renderebbe vana la predicazione perché sconfesserebbe la Croce, l'unica capace di svelare la stoltezza nel cuore di chi ascolta. Quando nell'evangelizzazione la sapienza mondana prende il posto della sapienza della Croce, ha buon gioco la stoltezza di Nabal e il Vangelo è rifiutato senza che gli apostoli se ne accorgano. E' l'opera del demonio che, astutamente, attirando nella rete del dialogo e della tolleranza, spoglia il Vangelo della sua forza originale, rendendolo un irrilevante contorno al pensiero del mondo. O, peggio, facendone un imprimatur al falso buonismo incapace di sanare alla radice il cuore delle persone. 
Quando la Chiesa - un sacerdote, un padre, una madre, un amico, tu ed io - cerca nel mondo le formule per annunciare il Vangelo stravolge il mandato del Signore: essa allora va come un lupo in mezzo agli agnelli, perché in fondo, che cos'è il mondo se non un grande gregge di "pecore senza pastore"? Quando la Chiesa, per la paura del rifiuto e del fallimento, accetta le subdole lusinghe del mondo e su questo sintonizza le sue parole e i suoi criteri, diventa un branco di lupi travestiti da agnelli, e da sposa si trasforma in un'isterica zitella sempre insoddisfatta; invece "la Chiesa esiste per proclamare, per essere voce della Parola del suo Sposo, che è la Parola. E la Chiesa esiste per proclamare questa Parola fino al martirio. Martirio precisamente nelle mani dei superbi, dei più superbi della Terra. Come Giovanni Battista che, soltanto, indicava, si sentiva voce, non Parola. Il segreto di Giovanni. Perché Giovanni è santo e non ha peccato? Perché mai, mai ha preso una verità come propria. Non ha voluto farsi ideologo. L’uomo che si è negato a se stesso, perché la Parola venga su. E noi, come Chiesa, possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata. La Chiesa è senza ideologie, senza vita propria: la Chiesa che è il mysterium lunae. Una Chiesa che sempre sia al servizio della Parola. Una Chiesa che mai prenda niente per se stessa, senza idee proprie, senza un Vangelo preso come proprietà, soltanto una Chiesa voce che indica la Parola, e questo fino al martirio” (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 24 giugno 2013).
Per questo Gesù invia gli apostoli "prudenti e semplici", afferrati completamenti dalla sua Parola da annunziare senza orpelli e glosse mondane; la "prudenza" che sa discernere gli eventi, e in essi svelare l'opera di salvezza di Dio e quella distruttiva del demonio. Un padre e una madre sono inviati ogni istante ai propri figli come apostoli prudenti e semplici, "senza idee proprie", con la sola Parola di Dio ad illuminare, correggere, e, soprattutto, ad amare; solo così potranno essere sempre e in ogni circostanza una Buona Notizia, un Vangelo di Verità e misericordia per i propri figli, nella libertà che sorge dalla semplicità e dalla prudenza. E, con i genitori, anche ciascuno di noi con i propri amici, con la fidanzata e il fidanzato, con i parenti, con chiunque, "sempre pronti a dare ragione della fede" che illumina e discerne il dito di Dio tra I flutti spesso violenti della storia. Solo un apostolo semplice e prudente saprà stare nella pace e potrà annunciare con coraggio e misericordia il Vangelo che "lo Spirito" farà sorgere sulle sue labbra, anche dinanzi alle difficoltà più grandi, ai turbamenti, ai peccati e ai rifiuti di coloro ai quali è inviato, "ai loro tribunali", alle "flagellazioni nelle loro sinagoghe", "davanti ai governatori e ai re" della cultura e del potere di questa società.
Tutto ciò che accade agli Apostoli è "per causa" di Cristo, "per dare testimonianza a loro e ai pagani". Ogni secondo della nostra vita è legato alla missione e per il suo bene. Siamo, con gli Apostoli di ogni generazione, il suo vessillo innalzato sul mondo, una profezia di verità sulle tenebre della menzogna. Ma le tenebre non hanno accolto la luce, non possono. Per il mondo vi è una sola salvezza, quella che è stata anche per noi: la Croce del Signore, le sue braccia distese sul male. Non v’è "nulla da pre-occuparsi", non c'è tempo per "occuparsi" in anticipo di ciò che è ancora nella mente di Dio; non siamo noi a dirigere e ispirare la sua volontà: lo Spirito Santo, il respiro e il pensiero di Dio in noi opereranno in ogni occasione compiendo il piano d'amore del Padre. Unica "occupazione", istante dopo istante, è per noi restare aggrappati al Signore, perché il suo amore colmi ogni spazio della nostra vita. 
Sappiamo come San Paolo che non ci aspettano altro che catene e persecuzioni, incomprensioni e odio. Il Vangelo è chiaro e duro: "sarete odiati da tutti". Ma come, non dovremmo farci accettare, cercare soluzioni e mediazioni, pazientare e dialogare? Il demonio è abilissimo a confondere le acque e a mettere tutto nello stesso calderone. La pazienza e la misericordia non sono opzioni strategiche per prevenire il rifiuto e le persecuzioni. In questo caso sarebbero delle caricature, atteggiamenti ipocriti di chi non ha a cuore la salvezza dell'altro ma solo il proprio successo e il salvare la pelle. Pazienza e misericordia invece sono le attitudini del cuore dell'apostolo che ha annunciato il Vangelo a "tutti", la carità più grande, ed è stato, da "tutti" odiato e rifiutato. 
Se l'apostolo vive la vita di Cristo in ogni circostanza, essa si rivela a "tutti" quelli che incontra, senza adeguarla e scolorirla per renderla commestibile alla carne dell'altro. E sempre incontrerà resistenza e odio, perché la carne non accetta lo Spirito, gli muove guerra; in "tutti" c'è qualcosa che rifiuta Cristo, quando l'annuncio raggiunge la famiglia e il modo di educare i figli, il rapporto con il denaro, le situazioni incancrenite di peccato. Per questo "il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire". Ma se la carne non è punta dal Vangelo e non lascia fuoriuscire il pus che in essa si nasconde, non può essere salvata. Se la verità non raggiunge la menzogna e non la denuncia, colui che vive nelle tenebre resterà schiavo. Solo quando il Vangelo plana sulla morte e la svela, come ad esempio Gesù ha fatto in occasione degli esorcismi, esso diviene fonte di salvezza e può compiere con potenza ciò che annuncia. E' inevitabile che i demoni, stanati e attaccati, si agitino e odino Cristo: è un aspetto inevitabile e insostituibile della missione della Chiesa. Solo chi non ama e cerca nella Chiesa la propria realizzazione fugge dall'annuncio autentico della Croce, legato indissolubilmente a quello della resurrezione. Dove non c'è denuncia dei peccati non c'è buona notizia, perché dove la morte non appare anche la resurrezione diviene inutile.
La "perseveranza sino alla fine" è il frutto dell'intimità con Cristo che ci dona il discernimento semplice e prudente di ogni evento, in famiglia, al lavoro, nelle relazioni personali; esso ci indicherà in ogni circostanza l’occasione per rendere testimonianza: nessun istante della nostra vita è inutile, perché ciascuno, anche quelli più tristi e noiosi, costituiscono l'occasione per offrire noi stessi al martirio che salva questa generazione. Un dolore di denti, un'umiliazione sul lavoro, la solitudine, tutto è santo perché ogni istante è un frutto preziosissimo della Passione del Signore, maturo per essere mangiato da tutti coloro che, affamati e accecati, hanno smarrito la vita. 
Stiamone certi, Lui ci verrà incontro e ci porterà con Lui, già qui quando riterrà opportuno che "fuggiamo in un'altra città" senza ostinarci a voler convertire le persone, quando esse si ostinano nel rifiuto, lasciando a ciascuno la libertà che il Padre ha donato sin dal principio. Ma Gesù verrà "prima" di quanto pensiamo, nel mezzo della vita spesa in missione nelle nostre "città", e si manifesterà con potenza confermando il Vangelo annunciato: è Lui che compie l'opera dell'apostolo, ogni giorno; forse a noi non sarà dato di vederlo, ma non importa, perché quando Lui giungerà alla nostra vita, il suo amore ci colmerà, consolerà e rallegrerà, sera dopo sera, sino all'ultima che ci schiuderà il riposo che attende ogni umile lavoratore della sua vigna: "Sparso il seme del Vangelo mediante la sua presenza corporale, subì la passione e la morte e risuscitò, mostrando con la passione ciò che dobbiamo sopportare per la verità, con la risurrezione ciò che dobbiamo sperare nell’eternità" (S. Agostino. De civ. Dei XVIII, 49)


altro COMMENTO





Il Signore invia i suoi apostoli come pecore in mezzo ai lupi. Indifesi. Esposti agli attacchi di tutti. Proprio per essere di Cristo. Non c’è nulla da stupirsi. L’apostolo incarna Colui che lo manda. E’ Lui che perseguitano. E’ Lui che odiano. Anche noi ne sappiamo qualcosa, quando il nostro cuore in fermento è incapace di accettare un minimo rimprovero, un semplice aiuto. Quante volte abbiamo rifiutato e perseguitato, ucciso nei nostri cuori i messaggeri del Signore. Lui è la Verità. E l’essere smascherati non piace a nessuno. L’orgoglio ferito muove rabbiosamente le acque torbide della violenza nascosta.
Vi è un episodio nel primo Libro di Samuele che esprime bene quanto stiamo dicendo. E’ l’episodio di Nabal, nel capitolo 25. In esso di Nabal si dice che è troppo cattivo e non gli si può dire una parola" (1 Sam. 25,17). La traduzione non è esatta perchè l’originale ha, invece di cattivo, “stolto”. Nabal è accecato e non è capace di leggere gli eventi, non vuole accogliere Davide con i suoi prodi, nonostante in passato lo avessero aiutato e difeso. Nabal non ascolta nessun consiglio, mentre la moglie di nascosto si accinge ad intercedere per il marito presso Davide che desiste da ogni vendetta: “Non faccia caso il mio signore di quell`uomo cattivo che è Nabal, perchè egli è come il suo nome: stolto si chiama e stoltezza è in lui” (1 Sam. 25, 25). Nabal, al conoscere il corso degli eventi, è preso da un fremito e muore. La sorte dello stolto, strangolato dalla propria stoltezza. Davide è figura di Cristo e dei suoi Apostoli, inviati nel mondo ad annunciare il Regno. Nabal è figura di chi non accoglie la predicazione. Per stoltezza. Per orgoglio. 
Per questo il Signore invia i propri discepoli come pecore in mezzo ai lupi, indifesi dinanzi alla violenza bruta di chi è accecato dall’orgoglio e dalla presunzione, con il cuore e la mente chiusi in un vano e stolto ragionare. Per questo li invia prudenti e semplici, capaci cioè di discernere gli eventi. Semplicità e prudenza infatti sono le due facce della stessa preziosa medaglia del discernimento. Esso è un aspetto fondamentale per la missione degli apostoli. E’ fondamentale e imprescindibile per assolvere alla chiamata di cui ci ha resi partecipi il Signore. Saper leggere in ogni avvenimento l’opera di Dio, discernere tra I flutti spesso violenti della storia il dito di Dio. 
Tutto ciò che accade agli Apostoli è legato alla missionetutto quello che avviene nelle nostre vite è perchè siamo di Cristo. Tutto è a causa del suo Nome che ha preso possesso di noi. Il nome nuvo che abbiamo ricevuto nel Battesimo è infatti il dolce nome di Cristo. Siamo, con gli Apostoli di ogni generazione, il suo vessillo innalzato sul mondo. Una profezia di verità sulle tenebre della menzogna. E le tenebre non hanno accolto la luce. Non possono. Per il mondo vi è una sola salvezza, quella che è stata anche per noi: la Croce del Signore, le sue braccia distese sul male. Non v’è nulla da pre-occuparsi, lo Spirito Santo, il respiro e la mente di Dio in noi opereranno in ogni occasione secondo la Volontà del Padre. Unica occupazione, istante dopo istante, è per noi restare aggrappati al Signore. Uniti a Lui. Il Suo amore a colmare ogni spazio della nostra vita. Sappaimo come San Paolo che non ci aspettano altro che catene e persecuzioni, incomprensioni, odio. Da tutti. E’ tremendo ma è così. E’ la vita di Cristo in noi. Non può essere diverso. Il discernimento semplice e prudente di ogni evento, in famiglia, al lavoro, nelle relazioni personali, ci indicherà l’occasione per rendere testimonianza. Perchè la salvezza giunga ai nostri, ai suoi persecutori. Ogni istante della nostra vita diviene così un frutto preziosissimo della Passione del Signore, maturo per essere mangiato da tutti coloro che, affamati e accecati, hanno smarrito la vita. Stiamone certi, Lui ci verrà incontro e ci porterà con Lui, nel riposo che attende ogni “umile lavoratore della Sua vigna”"Sparso il seme del Vangelo mediante la sua presenza corporale, subì la passione e la morte e risuscitò, mostrando con la passione ciò che dobbiamo sopportare per la verità, con la risurrezione ciò che dobbiamo sperare nell’eternità" (S. Agostino. De civ. Dei XVIII, 49)


Benedetto XVI
La missione degli apostoli è un grande esorcismo
Poiché il mondo è dominato dalle potenze del male, quest’annuncio è allo stesso tempo una lotta contro queste potenze. “I messaggeri di Gesù mirano, al suo seguito, ad un’esorcizzazione del mondo, alla fondazione di una nuova forma di vita nello Spirito Santo, che liberi dall’ossessione diabolica” (R. Pesch). Di fatto, il mondo antico - come ha mostrato soprattutto Henri de Lubac – ha vissuto l’irruzione della fede cristiana come liberazione dalla paura dei demoni, una paura che nonostante lo scetticismo e l’illuminismo dominava tutto; e lo stesso accade anche oggi ovunque il cristianesimo prende il posto delle antiche religioni tribali e, trasformando i loro elementi positivi, li assume in sé. Si sente tutto l’impeto di quest’irruzione nelle parole di Paolo, quando dice: “Nessuno è Dio se non uno solo. E in realtà, anche se vi sono cosìddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c’e un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per Lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per Lui” (1 Cor 8,4ss). In queste parole c’e un potere liberatorio - il grande esorcismo che purifica il mondo. Per quanti dèi possano fluttuare nel mondo - Dio è uno solo e uno solo è il Signore. Se apparteniamo a Lui, tutto il resto non ha più potere, perde lo splendore della divinità.
  αποφθεγμα Apoftegma



L’annuncio del regno di Dio non è mai solo parola, 
mai solo insegnamento. 
E’ avvenimento, così come Gesù stesso è avvenimento, 
parola di Dio in persona. 
Annunciandolo, conducono all’incontro con Lui.

Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I

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