Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 6 dicembre 2012

Da IL VANGELO DEL GIORNO di oggi ... "San Nicola"


SAN NICOLA

È noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di Santa Claus (o Klaus), conosciuto in Italia come Babbo Natale 
Nicola di Mira (ca. 270-343)
Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Nicola di Mira, uno dei santi più popolari della cristianità. Le notizie storiche a suo riguardo sono piuttosto scarne. Nicola nacque a Patara, in Licia, intorno al 270. Fu vescovo di Mira, in Asia Minore, e partecipò in questa veste al concilio di Nicea nel 325. Secondo la tradizione, egli fu un pastore di eccezionale bontà e misericordia. Salvò diverse donne dalla prostituzione, dando loro il denaro necessario per uscire dallo stato di necessità in cui versavano, e venne in aiuto di un numero incalcolabile di piccoli e di oppressi. Dopo la sua morte, egli fu sepolto fuori della città di Mira. Le sue spoglie mortali, riesumate nell'XI secolo, furono trasferite a Bari. Nicola divenne patrono di quella città, mala sua popolarità si diffuse a tal punto che egli è venerato come protettore di moltissime altre città, nonché di intere nazioni, come la grande Russia. Le leggende agiografiche a suo riguardo fiorirono in tutto il medioevo, sia in oriente che in occidente, dove è ricordato in particolare da Dante e da Jacopo da Varagine. Oltre che nella data odierna, che è quella in cui Nicola morì nel 343, egli è commemorato il 9 maggio, giorno in cui il suo corpo fu trasferito a Bari.



Se non riesci a “osservare i comandamenti” non considerarti mai perso,
non ti inacidire in modo moralistico o volontaristico.
Più a fondo, più in basso della tua vergogna o della tua caduta c’è Cristo.
Volgiti a lui, lascia che ti ami, che ti comunichi la sua forza.
E’ inutile che ti accanisci in superficie:
è il cuore che deve capovolgersi.
Non devi cercare nemmeno innanzitutto di amare Dio,
ti basta capire che Dio ti ama. 
Oggi.

Olivier Clèment




Mt 7,21.24-27 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.


Il commento

Le parole sono indifese, se ne possono servire gli assassini per uccidere e i santi per amare e annunciare il Vangelo. I libri sapienziali abbondano di sentenze sulle parole vuote e vane cui non corrisponde ad alcun contenuto e non sono accompagnate dai fatti. Per molti le parole sono l'unico certificato di esistenza in vita: quando si parla di un progetto è quasi come se lo lo si fosse già reaIizzato; si usano le parole come scalpelli perché scolpiscano la nostra figura nella vita e nella memoria degli altri, per essere considerati e amati. Ma di fronte alla storia, ogni parola è costretta a denudarsi perché la Croce rivela senza sconti la loro "saggezza" o la loro "stoltezza". Se in esse è viva la Parola fatta carne, si entra ogni giorno nella storia preparata, con i dolori e le difficoltà, magari sbuffando, ma si entra. E si rimane lì, crocifissi, compiendo la "volontà di Dio". Oppure si tratta di parole vane, e un po' di "vento", la corrente d'aria d'un rimprovero o di un disprezzo, o il "torrente in piena" di una malattia, o la "pioggia" di un fallimento e tutta l'impalcatura della nostra vita cade ed ė una "rovina grande". Per entrare nel Regno dei Cieli non basta "dire Signore, Signore", perché la comunione e l'intimità con Cristo e con ogni persona sgorgano dall'obbedienza; essa, infatti, ci strappa dai sogni e dalle illusioni, e ci fa percorrere il sentiero della storia con autenticità, il luogo dove il Regno di Dio si fa "vicino" a noi.

Parlando ai teologi, Benedetto XVI diceva: "L'obbedienza alla  verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinione comuni, è come una specie di prostituzione della parola e dell'anima. La "castità" a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma realmente purificati e resi casti dall'obbedienza alla verità, la verità parli in noi" (Benedetto XVI, Omelia del 6 ottobre 2006). Esiste dunque la possibilità di vivere e parlare con un cuore di prostituta; cercare di venderci a Lui e agli altri attraverso parole e gesti ipocriti. Non a caso le parole di Gesù giungono al termine del Discorso della Montagna: tutto quanto vi è in esso annunciato può divenire un terribile moralismo, impossibile da compiersi se non in un'ipocrita apparenza. Ma proprio in esse si può vedere in filigrana la vita di Gesù: fondato sulla Roccia, pur investito dalla tempesta della morte, non è crollato, ma è risorto dalla tomba. Gesù è stato casto nell'anima e nella parola, non ha bluffato davanti al Padre, "ha fatto la sua volontà" e per questo è "entrato nel Regno dei Cieli". La parola “volontà” - in greco  Thelema - è la traduzione di due termini ebraici: hapetz e ratzah. Sorprendentemente scopriamo che le due radici non rimandano a verbi quali “comandare imporre ordinare”, ma significano invece “compiacersi  - provare gioia  - desiderare ardentemente”. "Compiere la volontà di Dio" non significa chissà quale sacrificio della propria indipendenza e dei propri desideri; al contrario, in essa vi è l'incontro tra la gioia, il compiacimento e il desiderio ardente di Dio e dell'uomo. Castificare l'anima significa dunque immergersi nella gioia di Cristo scaturita dall'obbedienza del Getsemani. Non dobbiamo gonfiare i polmoni e gridare "Signore, Signore!", ma  riconoscere e accettare la nostra piccolezza indigente schiava della propria volontà e consegnarla alla castità perfetta di Cristo. E' sufficiente sostituire la preghiera alle parole per entrare con Lui nel Getsemani di ogni giorno, casa, scuola, lavoro, e lasciarci "trascinare" nelle sue caste e obbedienti parole rivolte al Padre. L'Avvento ci chiama a deporre ogni istante della nostra vita nell'obbedienza di Cristo che ne fa una sua parola di purificata e offerta al Padre.

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