Feria propria del 17 Dicembre
Dal 17 al 23 dicembre, vengono cantate nei Vespri alcune antifone particolari. Cominciano tutte con l’esclamazione di ammirazione: “O” (da qui il loro nome popolare di “grandi antifone O”). Si tratta di invocazioni ardenti rivolte dalla Chiesa al suo Salvatore.
Dom Geranger diceva che queste antifone contengono tutto il midollo della liturgia dell’Avvento. Queste grandi antifone cantano di volta in volta i diversi aspetti messianici del Salvatore Gesù.
Oggi, prepariamoci ad accogliere il Messia come Sapienza dell’Altissimo. Lasciamo che ci guidi sulla via della saggezza.
17 dicembre
Crocifisso del Tesoro del Duomo di Monreale
L’immagine è inchiodata all’albero di Jesse.
La pianta nasce dal fianco del re di Giuda
e i suoi rami presentano gli altri re progenitori di Gesù.
In cima la figura della Vergine.
Se questo uomo nuovo,
fatto «a somiglianza della carne del peccato»,
non avesse assunto il nostro uomo vecchio, ed egli,
che è consostanziale con il Padre,
non si fosse degnato di essere consostanziale
anche con la Madre e se egli,
che è il solo libero dal peccato,
non avesse unito a sé la nostra natura umana,
tutta quanta la natura umana sarebbe rimasta
prigioniera sotto il giogo del diavolo.
Noi non avremmo potuto aver parte alla vittoria gloriosa di lui,
se la vittoria fosse stata riportata fuori della nostra natura.
San Leone Magno
Mt 1, 1-17
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
IL COMMENTO
Una storia. E una vita. Dio con il suo popolo, senza stancarsi, con rinnovata misericordia, con pazienza, con eterno amore. In Cristo scorre questo sangue divino ed è una cosa sola con il sangue umanissimo dei suoi fratelli. Scorrere a ritroso il cammino del seme di Gesù è scoprire l'intensità e la profondità del suo amore. Da sempre con i suoi, di generazione in generazione, di momento in momento, sempre. Abramo, l'inizio incastonato in una promessa. Davide, la promessa che si svela come misericordia. L'esilio, la deportazione, la promessa che riverbera fedeltà sin dentro l'abisso del fallimento. E volti, persone, peccati, eroismi, la terra da cui è tratto il popolo, e lo Spirito Santo insufflato nei progenitori a condurre, misteriosamente, la storia.
Lo stesso termine usato da Matteo per definire la genealogia - ghénesis - lo incontriamo nel primo capitolo della Lettera di Giacomo: "(Chi non mette in pratica la parola) somiglia ad un uomo che osserva il proprio volto, alla lettera la forma del suo essere, in uno specchio" (1 Gc. 1,23). Ecco, la storia del Popolo è tutta in questa Parola. Chiamato a guardare Dio, ad abbandonarsi alla sua promessa colma d'amore fedele, ha costantemente disatteso l'ascolto e l'obbedienza e si è trovato a contemplare il proprio volto, la forma del suo essere corrotto, inconsistente, vuoto. E' il fallimento d'ogni presunzione religiosa, l'elezione dimenticata nell'orgoglio.
E non è questa la nostra medesima situazione? Quante ore passate a contemplarci allo specchio, costretti a sbattere contro la nostra insipienza e stoltezza, e quel senso d'inappagamento, di non risolto, di effimero che sbiadisce ogni istante, ogni relazione, ogni atto. E' il trionfo della carne assoggettata alla menzogna. Ma è proprio qui che Dio ha deciso di piantare la sua tenda. In questa carne votata alla morte, la nostra carne sorta da una promessa e condannata al nulla. Qui giunge l'amore appassionato di Dio, in questo prossimo Natale, in questo giorno che ci è consegnato. Qui dove siamo, come siamo, frutti bacati di una storia d'amore.
Dio è buono, Dio è misericordioso, Dio è innamorato di ciascuno di noi. Scriveva il poeta francese Charles Péguy: «Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno avuto forse tanti antenati criminali, e così criminali. Particolarmente così carnalmente criminali. È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, un arretramento spaventoso. Tutto il suo impeto, tutto il suo carico di umanità. Di carnale. Quantomeno per una parte, e per una gran parte». C'è Abramo nella nostra storia, la promessa che ci ha dato vita; c'è Davide, l'elezione ed il peccato perdonato mille volte; c'è l'esilio, quello di ogni giorno scivolato senza amore. E ci sono quei volti che ci dicono la fedeltà di Dio: Isacco, l'impossibile che Dio ha tante volte realizzato nella nostra vita; Giacobbe, l'astuzia piegata dalla Croce di ogni giorno; Rut, la straniera e pagana bagnata dalla Grazia come i nostri pensieri e i criteri spesso mondani riacciuffati dalla misericordia infinita; Salomone, il trionfo della follia divina, le tante nostre opere morte, frutto di compromessi e peccati, rigenerate dal perdono che trasforma il male in bene; e i mille altri volti, sino a Giuseppe, sino a Maria, la Chiesa nostra Madre che ci ha adottati conoscendo il profondo del nostro cuore, e che ci ha allevato con tenerezza sino ad oggi.
Attraverso Maria, la Chiesa, entriamo a far parte di una famiglia santa, dove non siamo "più stranieri né ospiti, ma siamo diventati concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù" (Ef. 2,18-20). Siamo familiari dei santi, dei graziati. Familiari di Caino, redento nel compimento di una promessa che sconvolge ogni giustizia. Gli studi recenti infatti fanno risalire le origini familiari di Gesù sino a Caino, il primo assassino della storia, colui che darà carne al peccato dei suoi genitori. La superbia ereditata si traduce in gelosia e muove la mano all'omicidio. Eppure su questo peccato, il primo visibile ad occhio nudo, la materializzazione di quell'origine peccaminosa che ha sfregiato l'innocenza di Adamo ed Eva, sul cammino votato alla morte il Signore ha posto un segno, un Tau, immagine della Croce. Il "segno di Caino", l'amore di Dio infiltratosi sin dentro l'angoscia e Dla paura della morte, quella che aveva assediato e stroncato Caino. "Allora il Signore dopo il diluvio, da tutti i discendenti di Noè, operò con sapienza e con pazienza secondo le due irresistibili leggi della redenzione... Tra tutti i popoli della terra (Gen 10) scelse Sem e la sua posterità (Gen 10, 21-31). Dalla posterità di Sem scelse la famiglia di Tare, padre di Abramo (Gen 11, 27-32). Dai figli di Tare scelse Abramo (Gen 12, 1-3), e la sua discendenza, Isacco e Giacobbe. Dai dodici figli di Giacobbe scelse la tribù di Giuda (Gen 49, 8-12). Dalla tribù di Giuda scelse la semitribù dei Cainiti (o Qainiti, o Qeniti, o Qenizziti) con Kaleb, la cui terra sta nella ‘parte montagnosa’, con capitale Hebron e comprendeva la Betlemme di Kaleb (Gios 14, 6-15); Da questa semitribù (o dan) scelse la famiglia di Ishaj (lesse), e dagli otto figli di Ishaj scelse David (1Sam 16,1-12), sul quale pose il suo Spirito divino onnipotente e messianico (1 Sam 16, 13). Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt 1, 1; Rm 1, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio di Abramo, Gesù Cristo, il Redentore" (Tommaso Federici, 24 giugno, 23 settembre, 25 dicembre: date storiche). Dio ha compiuto la sua promessa, il segno posto sulla fronte di Caino s'è fatto carne e carne crocifissa. A Betlemme, nel cuore della terra dei discendenti di Caino, nella mangiatoia di Betlemme appare l'amore capace di salvare ogni Caino della storia.
Sino ad oggi, il culmine di una generazione d'amore, proprio nella nostra terra, bagnata dal sangue dei nostri fratelli, tutti coloro dei quali non ci siamo presi cura e che, stretti nell'invidia, abbiamo assassinato nel nostro cuore. Oggi, nell'amore fatto carne brilla tutta la nostra storia, ogni angolo è purificato, ogni luogo, ogni istante, ogni volto riverbera di una luce mai vista, lo splendore della misericordia che riscatta e santifica la carne votata al peccato e alla morte.. Oggi, Gesù generato in noi dallo Spirito Santo, perchè impariamo, da Abramo e Maria, l'inizio ed il compimento della nostra storia, ad ascoltare la Parola, la Buona Notizia e ad obbedire per distogliere lo sguardo dalla nostra debolezza e fissarlo sul volto misericordioso di Colui che può darci vita, e vita eterna.
L'albero di Jesse: albero genealogico di Cristo e della maternità universale di Maria -
Breviario di Filippo il Buono, Bruxelles, Biblioteca reale (sec. XV).
San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa
Discorso 3 sul Natale (traduzione italiana : cf. undicesimaora.net San Leone Magno «Discorsi nel Natale del Signore», p.12-13)
«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo... In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo» (Ef 1,3-4)
L'incarnazione del Verbo, quando ancora doveva avvenire, produsse la stessa salvezza che elargisce ora quando si è già realizzata. Perciò il mistero della salvezza umana non è mancato in nessuna epoca. Gli apostoli hanno predicato quello che i profeti hanno profetato: non è stato compiuto troppo tardi quello che sempre è stato creduto. Ma la sapienza e la benignità divina, procrastinando l'opera della salvezza, ci ha resi più capaci della sua vocazione... preannunciata lungo tanti secoli con tanti prodigi.
Perciò errano coloro i quali pensano che Dio ha cambiato il piano circa le cose umane, o che troppo tardi ha provveduto con misericordia agli uomini. Invece egli fin dalla creazione del mondo istituì il principio di salvezza, uno e identico per tutti. Infatti la grazia di Dio, con cui sono stati sempre giustificati i santi, dalla nascita del Salvatore ha ricevuto solo un incremento, non il suo inizio. In realtà il mistero di così grande misericordia che già ha riempito il mondo, è stato efficacissimo anche nelle sue figure; perciò ne hanno ricevuto eguale grazia e quelli che l'hanno creduto quando era stato appena promesso, e quelli che l'hanno accolto ora che è stato compiuto.
Miei dilettissimi, è dunque evidente che abbondanti ricchezze della divina benignità sono state profuse in noi. Infatti, per la nostra vocazione all'eternità, non solo ci sono utili le istituzioni precedenti dell'antica Alleanza, ma la stessa Verità che è apparsa con un corpo visibile. E' dunque nostro dovere celebrare la natività del Signore non con svogliatezza o in allegria mondana... Illuminati dallo Spirito santo, con sapienza riflettete, chi sia colui che ci ha uniti a sé e chi abbiamo accolto in noi stessi. Infatti, allo stesso modo che egli nascendo si è fatto carne nostra, così noi nella rigenerazione siamo diventati suo corpo... Egli ci ha presentato il modello della sua umiltà e della sua mitezza...: rendiamoci simili all' umiltà di colui alla cui gloria vogliamo essere conformi. Gesù Cristo, nostro Signore, ci aiuti e ci guidi al possesso delle sue promesse.
CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON LA COMUNITÀ
DEL CENTRO "ALETTI" DI ROMA
IN OCCASIONE DEL 90° COMPLEANNO DEL CARDINALE TOMÁŠ ŠPIDLÍK, S.I.
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano
Giovedì, 17 dicembre 2009
Il brano del Vangelo di Matteo ci presenta la "genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1,1), sottolineando ed esplicitando ulteriormente la fedeltà di Dio alla promessa, che Egli attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro e, come per Giacobbe, talora attraverso vie tortuose e impreviste. Il Messia atteso, oggetto della promessa, è vero Dio, ma anche vero uomo; Figlio di Dio, ma anche Figlio partorito dalla Vergine, Maria di Nazaret, carne santa di Abramo, nel cui seme saranno benedetti tutti i popoli della terra (cfr Gen 22,18). In questa genealogia, oltre a Maria, vengono ricordate quattro donne. Non sono Sara, Rebecca, Lia, Rachele, cioè le grandi figure della storia d’Israele. Paradossalmente, invece, sono quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che apparentemente "disturbano" la purezza di una genealogia. Ma in queste donne pagane, che appaiono in punti determinanti della storia della salvezza, traspare il mistero della chiesa dei pagani, l’universalità della salvezza. Sono donne pagane nelle quali appare il futuro, l’universalità della salvezza. Sono anche donne peccatrici e così appare in loro anche il mistero della grazia: non sono le nostre opere che redimono il mondo, ma è il Signore che ci dà la vera vita. Sono donne peccatrici, sì, in cui appare la grandezza della grazia della quale noi tutti abbiamo bisogno. Queste donne rivelano tuttavia una risposta esemplare alla fedeltà di Dio, mostrando la fede nel Dio di Israele. E così vediamo trasparire la chiesa dei pagani, mistero della grazia, la fede come dono e come cammino verso la comunione con Dio. La genealogia di Matteo, pertanto, non è semplicemente l’elenco delle generazioni: è la storia realizzata primariamente da Dio, ma con la risposta dell’umanità. È una genealogia della grazia e della fede: proprio sulla fedeltà assoluta di Dio e sulla fede solida di queste donne poggia la prosecuzione della promessa fatta a Israele.
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Etichette: 17 dicembre, Genealogia di Gesù, Mt 1.1-17, Novena di Natale
17 Diciembre
Crocifisso del Tesoro del Duomo di Monreale
L’immagine è inchiodata all’albero di Jesse.
La pianta nasce dal fianco del re di Giuda
e i suoi rami presentano gli altri re progenitori di Gesù.
In cima la figura della Vergine.
Mt 1, 1-17
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
IL COMMENTO
Una storia. E una vita. Dio con il suo popolo, senza stancarsi, con rinnovata misericordia, con pazienza, con eterno amore. In Cristo scorre questo sangue divino ed è una cosa sola con il sangue umanissimo dei suoi fratelli. Scorrere a ritroso il cammino del seme di Gesù è scoprire l'intensità e la profondità del suo amore. Da sempre con i suoi, di generazione in generazione, di momento in momento, sempre. Abramo, l'inizio incastonato in una promessa. Davide, la promessa che si svela come misericordia. L'esilio, la deportazione, la promessa che riverbera fedeltà sin dentro l'abisso del fallimento. E volti, persone, peccati, eroismi, la terra da cui è tratto il popolo, e lo Spirito Santo insufflato nei progenitori a condurre, misteriosamente, la storia.
Lo stesso termine usato da Matteo per definire la genealogia - ghénesis - lo incontriamo nel primo capitolo della Lettera di Giacomo: "(Chi non mette in pratica la parola) somiglia ad un uomo che osserva il proprio volto, alla lettera la forma del suo essere in uno specchio" (1 Gc. 1,23). Ecco, la storia del Popolo è tutta in questa Parola. Chiamato a guardare Dio, ad abbandonarsi alla sua promessa colma d'amore fedele, ha costantemente disatteso l'ascolto e l'obbedienza e si è trovato a contemplare il proprio volto, la forma del suo essere corrotto, inconsistente, vuoto. E' il fallimento d'ogni presunzione religiosa, l'elezione dimenticata nell'orgoglio.
E non è questa la nostra medesima situazione? Quante ore passate a contemplarci allo specchio, costretti a sbattere contro la nostra insipienza e stoltezza, e quel senso d'inappagamento, di non risolto, di effimero che sbiadisce ogni istante, ogni relazione, ogni atto. E' il trionfo della carne assoggettata alla menzogna. Ma è proprio qui che Dio ha deciso di piantare la sua tenda. In questa carne votata alla morte, la nostra carne sorta da una promessa e condannata al nulla. Qui giunge l'amore appassionato di Dio, in questo prossimo Natale, in questo giorno che ci è consegnato. Qui dove siamo, come siamo, frutti bacati di una storia d'amore.
Dio è buono, Dio è misericordioso, Dio è innamorato di ciascuno di noi. Scriveva il
poeta francese Charles Péguy:
«Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno avuto forse tanti antenati criminali, e così criminali. Particolarmente così carnalmente criminali. È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, un arretramento spaventoso. Tutto il suo impeto, tutto il suo carico di umanità. Di carnale. Quantomeno per una parte, e per una gran parte». C'è Abramo nella nostra storia, la promessa che ci ha dato vita; c'è Davide, l'elezione ed il peccato perdonato mille volte; c'è l'esilio, quello di ogni giorno scivolato senza amore. E ci sono quei volti che ci dicono la fedeltà di Dio: Isacco, l'impossibile che Dio ha tante volte realizzato nella nostra vita; Giacobbe, l'astuzia piegata dalla Croce di ogni giorno; Rut, la straniera e pagana bagnata dalla Grazia come i nostri pensieri e i criteri spesso mondani riacciuffati dalla misericordia infinita; Salomone, il trionfo della follia divina, le tante nostre opere morte, frutto di compromessi e peccati, rigenerate dal perdono che trasforma il male in bene; e i mille altri volti, sino a Giuseppe, sino a Maria, la Chiesa nostra Madre che ci ha adottati conoscendo il profondo del nostro cuore, e che ci ha allevato con tenerezza sino ad oggi.
Attraverso Maria, la Chiesa, entriamo a far parte di una famiglia santa, dove non siamo "più stranieri né ospiti, ma siamo diventati concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù" (Ef. 2,18-20). Siamo familiari dei santi, dei graziati. Familiari di Caino, redento nel compimento di una promessa che sconvolge ogni giustizia. Gli studi recenti infatti fanno risalire le origini familiari di Gesù sino a Caino, il primo assassino della storia, colui che darà carne al peccato dei suoi genitori. La superbia ereditata si traduce in gelosia e muove la mano all'omicidio. Eppure su questo peccato, il primo visibile ad occhio nudo, la materializzazione di quell'origine peccaminosa che ha sfregiato l'innocenza di Adamo ed Eva, sul cammino votato alla morte il Signore ha posto un segno, un Tau, immagine della Croce. Il "segno di Caino", l'amore di Dio infiltratosi sin dentro l'angoscia e Dla paura della morte, quella che aveva assediato e stroncato Caino. "Allora il Signore dopo il diluvio, da tutti i discendenti di Noè, operò con sapienza e con pazienza secondo le due irresistibili leggi della redenzione... Tra tutti i popoli della terra (Gen 10) scelse Sem e la sua posterità (Gen 10, 21-31). Dalla posterità di Sem scelse la famiglia di Tare, padre di Abramo (Gen 11, 27-32). Dai figli di Tare scelse Abramo (Gen 12, 1-3), e la sua discendenza, Isacco e Giacobbe. Daidodici figli di Giacobbe scelse la tribù di Giuda (Gen 49, 8-12). Dalla tribù di Giuda scelse la semitribù dei Cainiti (o Qainiti, o Qeniti, o Qenizziti) con Kaleb, la cui terra sta nella ‘parte montagnosa’, con capitale Hebron e comprendeva la Betlemme di Kaleb (Gios 14, 6-15); Da questa semitribù (o dan) scelse la famiglia di Ishaj (lesse), e dagli otto figli di Ishaj scelse David (1Sam 16,1-12), sul quale pose il suo Spirito divino onnipotente e messianico (1 Sam 16, 13). Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt 1, 1; Rm 1, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio diAbramo, Gesù Cristo, il Redentore" (Tommaso Federici, 24 giugno, 23 settembre, 25 dicembre: date storiche). Dio ha compiuto la sua promessa, il segno posto sulla fronte di Caino s'è fatto carne e carne crocifissa. A Betlemme, nel cuore della terra dei discendenti di Caino, nella mangiatoia di Betlemme appare l'amore capace di salvare ogni Caino della storia.
Sino ad oggi, il culmine di una generazione d'amore, proprio nella nostra terra, bagnata dal sangue dei nostri fratelli, tutti coloro dei quali non ci siamo presi cura e che, stretti nell'invidia, abbiamo assassinato nel nostro cuore. Oggi, nell'amore fatto carne brilla tutta la nostra storia, ogni angolo è purificato, ogni luogo, ogni istante, ogni volto riverbera di una luce mai vista, lo splendore della misericordia che riscatta e santifica la carne votata al peccato e alla morte.. Oggi, Gesù generato in noi dallo Spirito Santo, perchè impariamo, da Abramo e Maria, l'inizio ed il compimento della nostra storia, ad ascoltare la Parola, la Buona Notizia e ad obbedire per distogliere lo sguardo dalla nostra debolezza e fissarlo sul volto misericordioso di Colui che può darci vita, e vita eterna.
Evangelio según San Mateo 1,1-17.
Genealogía de Jesucristo, hijo de David, hijo de Abraham:
Abraham fue padre de Isaac; Isaac, padre de Jacob; Jacob, padre de Judá y de sus hermanos.
Judá fue padre de Fares y de Zará, y la madre de estos fue Tamar. Fares fue padre de Esrón;
Esrón, padre de Arám; Arám, padre de Aminadab; Aminadab, padre de Naasón; Naasón, padre de Salmón.
Salmón fue padre de Booz, y la madre de este fue Rahab. Booz fue padre de Obed, y la madre de este fue Rut. Obed fue padre de Jesé;
Jesé, padre del rey David. David fue padre de Salomón, y la madre de este fue la que había sido mujer de Urías.
Salomón fue padre de Roboám; Roboám, padre de Abías; Abías, padre de Asá;
Asá, padre de Josafat; Josafat, padre de Jorám; Jorám, padre de Ozías.
Ozías fue padre de Joatám; Joatám, padre de Acaz; Acaz, padre de Ezequías;
Ezequías, padre de Manasés. Manasés fue padre de Amón; Amón, padre de Josías;
Josías, padre de Jeconías y de sus hermanos, durante el destierro en Babilonia.
Después del destierro en Babilonia: Jeconías fue padre de Salatiel; Salatiel, padre de Zorobabel;
Zorobabel, padre de Abiud; Abiud, padre de Eliacím; Eliacím, padre de Azor.
Azor fue padre de Sadoc; Sadoc, padre de Aquím; Aquím, padre de Eliud;
Eliud, padre de Eleazar; Eleazar, padre de Matán; Matán, padre de Jacob.
Jacob fue padre de José, el esposo de María, de la cual nació Jesús, que es llamado Cristo.
El total de las generaciones es, por lo tanto: desde Abraham hasta David, catorce generaciones; desde David hasta el destierro en Babilonia, catorce generaciones; desde el destierro en Babilonia hasta Cristo, catorce generaciones.
COMENTARIO
Una historia. Y una vida. Dios con su pueblo, sin cansarse, con renovada misericordia, con paciencia, con eterno amor. En Cristo corre esta sangre divina y es una cosa sola con la sangre humana de sus hermanos. Correr a reacio el camino de la semilla de Jesús es descubrir la intensidad y la profundidad de su amor. Desde siempre con los suyos, de generación en generación, de momento en momento. Abraham, el principio engastado en una promesa. David, la promesa que se revela como misericordia. El destierro, la deportación, la promesa que refleja fidelidad hasta dentro del abismo del fracaso. Son rostros, personas, pecados, heroísmos, la tierra de que ha sido traido el pueblo, y el Espíritu Santo insuflado en los antepasados, carne y Espiritu a conducir, misteriosamente, la historia.
El mismo término usado por Mateo para definir la genealogía - ghénesis - lo encontramos en el primero capítulo de la Carta de Santiago: "Quién no lleva a la práctica la palabra, se parece a un hombre que observa su propia cara, - a la letra - la forma de su ser en un espejo", (1 Gc. 1,23). He aquí, la historia del Pueblo está toda en esta Palabra. Llamado a mirar Dios, a entregarse a su promesa colmada de amor fiel, ha desatendido constantemente la escucha y la obediencia y se ha encontrado a contemplar su propia cara, la forma de su ser corrompido, inconsistente, vacío. Es la quiebra de cada presunción religiosa, la elección olvidada en el orgullo.
¿Y no es este nuestra misma situación? Cuántas horas perdidas a contemplarnos al espejo, obligados a sacudir contra nuestra ignorancia y necedad y aquel sentido de insatisfacion, de no solucionado, de efímero que se destiñe en cada instante, cada relación, cada acto. Es el triunfo de la carne sujeta a la mentira. Pero es justo aquí que Dios ha decidido plantar su tienda. En esta carne votada a la muerte, nuestra carne surgida por una promesa y condenada a la nada. Aquí llega el amor apasionado de Dios, en esta próxima Navidad, en este día que nos es entregado. Aquí dónde somos, como somos, frutos amargos de una historia de amor.
Dios es bueno, Dios es misericordioso, Dios está enamorado de cada uno de nosotros. El poeta francés Charles Péguy escribió: "Hace falta reconocerlo, la genealogía carnal de Jesús es espantosa. Pocos hombres han tenido quizás a muchos antepasados criminales, y así criminales. Particularmente así carnalmente criminales. Es en parte lo que da al misterio de la encarnación todo su valor, toda su profundidad, un retroceso espantoso. Todo su ímpetu, toda su carga de humanidad. De carnal. Cuanto menos por una parte, y por una gran parte." Hay Abraham en nuestra historia, la promesa que nos ha dado vida; hay David, la elección y el pecado perdonados mil veces; hay el destierro, aquello de cada día vivido sin amor. Y hay aquéllos rostros que nos dicen la fidelidad de Dios: Isaac, lo imposible que Dios muchas veces ha realizado en nuestra vida; Jacob, la astucia vuelcada em humildad por la Cruz de cada día; Rut, la extranjera y pagana mojadas como por la Gracia, como nuestros pensamientos y criterios a menudo mundanos, capturados por la misericordia infinita; Salomón, el triunfo de la locura divina, las muchos nuestras obras muertas, fruto de compromisos y pecados, reengendradas por el perdón que transforma el mal en bien; y los mil otros rostros, hasta a Josè, hasta a Maria, la Iglesia nuestra Madre que nos ha adoptado conociéndono la profundidad de nuestro corazón, y que nos ha criado con ternura hasta a hoy.
Por Maria, la Iglesia, entramos a hacer parte de una familia santa, dónde "ya no somos extranjeros ni huéspedes, pero nos hemos convertido en conciudadanos de los santos y parientes de Dios, construidos sobre el fundamento de los apóstoles y los profetas, teniendo como piedra angular el mismo Cristo Jesús" (Ef. 2,18-20). Somos familiares de los santos, de los amnistiados. Familiares de Caín, rescatado en el cumplimiento de una promesa que revuelve cada justicia humana. Los estudios recientes en efecto hacen remontar las orígenes familiares de Jesús hasta a Caín, el primer asesino de la historia, el que dará carne al pecado de sus padres. La soberbia heredada se traduce en celos y mueve la mano al homicidio. Sin embargo sobre este pecado, el primero visible a ojo desnudo, la materialización de aquella origen pecaminosa que ha desfigurado a la inocencia de Adán y Eva, sobre el camino votado a la muerte, Dios ha puesto una señal, una Tau, imagen de la Cruz. La "señal de Caín", el amor de Dios infiltrado hasta dentro de la angustia y el miedo de la muerte, la que asedió y tronchò a Caín. "Entonces Dios después del diluvio obró con sabiduría y con paciencia ... Entre todos los pueblos de la tierra, (Gen10), eligió Sem y su posteridad, (Gen 10, 21 -31). De la posteridad de Sem eligió la familia de Taras, padre de Abraham, (Gen 11, 27 -32). De los hijos de Taras eligió a Abraham, (Gen 12, 1 -3), y su descendencia, Isaac y Jacob. De los doce hijos de Jacob eligió la tribu de Judas, (Gen 49, 8 -12). De la tribu de Judas eligió la semitribù de los Cainiti (o Qainiti o Qeniti o Qenizziti), con Kaleb, cuya tierra está en la 'parte montañosa', con capital Hebron y comprendia la Belén de Kaleb, (Jos 14, 6 -159; de estA semitribù o dan, eligió la familia de Ishaj, (Yesshe), y de los ocho hijos de Ishaj eligió David (1Sam 16,1 -12), sobre el que poses su Espíritu divino omnipotente y mesiánico, (1 Sam 16,13). De David por fin e irreversiblemente hizo nacer en la carne,( Mt 1, 1; Rm 1,3), por la sola Maria Siempre Virgen, sin concurso de hombre, (Mt 1,16), el Hijo de Dios, Hijo de Abraham, Jesúcristo, el Redentor", (Tommaso Federici, 24 de junio, 23 de septiembre, 25 de diciembre: fechas históricas). Dios ha cumplido su promesa, la señal puesta sobre la frente de Caín se ha hecho carne y carne crucificada. A Belén, en el corazón de la tierra de los descendientes de Caín, en el pesebre aparece el amor capaz de salvar a cada Caín de la historia.
Hasta a hoy, el cumbre de una generación de amor, justo en nuestra tierra, mojada por la sangre de nuestros hermanos, todos los que no hemos cuidado y que, estrechos en la envidia, hemos asesinado en nuestro corazón. Hoy, en el amor hecho carne brilla toda nuestra historia, cada rincón es purificado, cada lugar, cada instante, cada rostro refleja una luz celestial, el resplandor de la misericordia que rescata y santifica la carne votada al pecado y a la muerte. Hoy, Jesús es engendrado en nosotros por el Espíritu Santo, porque aprendemos, de Abraham hasta Maria, el principio y el cumplimiento de nuestra historia, a escuchar la Palabra, la Buena Noticia y a obedecer y apartar la mirada de nuestra debilidad y fijarse en el rostro misericordioso de El que puede darnos vida y vida eterna.
L'albero di Jesse: albero genealogico di Cristo e della maternità universale di Maria -
Breviario di Filippo il Buono, Bruxelles, Biblioteca reale (sec. XV).
San Leone Magno (?-c. 461), papa e dottore della Chiesa
Lettera 31; PL 54, 791
GENEALOGIA DI GESU' CRISTO
Non giova a nulla affermare che nostro Signore, figlio della Vergine Maria, è veramente uomo, se non si crede che lo è nel modo proclamato dal Vangelo. Quando Matteo ci parla della «genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo», egli segue, a partire dalla sua origine, la discendenza umana con tutte le generazioni fino a Giuseppe, al quale era fidanzata Maria. Luca, invece, percorre a ritroso la successione delle generazioni per arrivare all'inizio del genere umano, mostrando così che il primo Adamo e l'ultimo sono della stessa natura (3,23ss).
Era certo possibile all'onnipotenza del Figlio di Dio manifestarsi, per l'istruzione e la giustificazione degli uomini, nello stesso modo in cui era apparso ai patriarchi e ai profeti, sotto una forma carnale; per esempio, quando lottava con Giacobbe (Gn 32,25) o entrava in conversazione con Abramo, accettando il servizio della sua ospitalità al punto di mangiare il cibo che questi gli presentava (Gn 18). Ma queste apparizioni erano soltanto segni, immagini di quell'uomo di cui annunciavano la realtà assunta dalla stirpe di questi antenati.
Il mistero della nostra redenzione, preparato fin da prima del tempo, dall'eternità, nessuna immagine poteva compierlo. Lo Spirito non era ancora disceso nella Vergine, e la potenza dell'Altissimo non l'aveva ancora coperta con la sua ombra (Lc 1,35). La Sapienza non si era ancora costruita una casa perché il Verbo vi si incarnasse, perché il Creatore del tempo, con l'unione in una sola persona della natura di Dio e di quella dello schiavo, nascesse nel tempo, e colui per mezzo del quale tutto è stato fatto fosse generato tra tutte le creature. Se l'uomo nuovo non si fosse fatto a somiglianza della carne del peccato e non si fosse caricato del nostro uomo vecchio, se egli, che è consustanziale al Padre, non si fosse degnato di prendere sostanza da sua madre e assumere la nostra natura – eccetto il peccato – l'umanità sarebbe rimasta prigioniera alla mercé del demonio e noi non potremmo aver parte alla vittoria trionfale di Cristo, perché essa avrebbe avuto luogo al di fuori della nostra natura. È quindi dalla mirabile partecipazione di Cristo alla nostra natura che rifulse su di noi la luce del sacramento della rigenerazione.
CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON LA COMUNITÀ
DEL CENTRO "ALETTI" DI ROMA
IN OCCASIONE DEL 90° COMPLEANNO DEL CARDINALE TOMÁŠ ŠPIDLÍK, S.I.
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano
Giovedì, 17 dicembre 2009
l brano del Vangelo di Matteo ci presenta la "genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1,1), sottolineando ed esplicitando ulteriormente la fedeltà di Dio alla promessa, che Egli attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro e, come per Giacobbe, talora attraverso vie tortuose e impreviste. Il Messia atteso, oggetto della promessa, è vero Dio, ma anche vero uomo; Figlio di Dio, ma anche Figlio partorito dalla Vergine, Maria di Nazaret, carne santa di Abramo, nel cui seme saranno benedetti tutti i popoli della terra (cfr Gen 22,18). In questa genealogia, oltre a Maria, vengono ricordate quattro donne. Non sono Sara, Rebecca, Lia, Rachele, cioè le grandi figure della storia d’Israele. Paradossalmente, invece, sono quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che apparentemente "disturbano" la purezza di una genealogia. Ma in queste donne pagane, che appaiono in punti determinanti della storia della salvezza, traspare il mistero della chiesa dei pagani, l’universalità della salvezza. Sono donne pagane nelle quali appare il futuro, l’universalità della salvezza. Sono anche donne peccatrici e così appare in loro anche il mistero della grazia: non sono le nostre opere che redimono il mondo, ma è il Signore che ci dà la vera vita. Sono donne peccatrici, sì, in cui appare la grandezza della grazia della quale noi tutti abbiamo bisogno. Queste donne rivelano tuttavia una risposta esemplare alla fedeltà di Dio, mostrando la fede nel Dio di Israele. E così vediamo trasparire la chiesa dei pagani, mistero della grazia, la fede come dono e come cammino verso la comunione con Dio. La genealogia di Matteo, pertanto, non è semplicemente l’elenco delle generazioni: è la storia realizzata primariamente da Dio, ma con la risposta dell’umanità. È una genealogia della grazia e della fede: proprio sulla fedeltà assoluta di Dio e sulla fede solida di queste donne poggia la prosecuzione della promessa fatta a Israele.
CELEBRACIÓN EUCARÍSTICA CON LA COMUNIDAD
DEL "CENTRO ALETTI" DE ROMA
CON OCASIÓN DEL 90° CUMPLEAÑOS DEL CARDENAL TOMÁS SPIDLÍK, S.J.
HOMILÍA DEL SANTO PADRE BENEDICTO XVI
Capilla Redemptoris Mater del Palacio Apostólico Vaticano
Jueves 17 de diciembre de 2009
El pasaje del evangelio de san Mateo nos presenta la "genealogía de Jesucristo, hijo de David, hijo de Abraham" (Mt 1, 1), subrayando y explicitando todavía más la fidelidad de Dios a la promesa, que realiza no sólo mediante los hombres, sino también con ellos y, como en el caso de Jacob, a veces a través de caminos tortuosos e imprevistos. El Mesías esperado, objeto de la promesa, es verdadero Dios, pero también verdadero hombre; Hijo de Dios, pero también Hijo dado a luz por la Virgen, María de Nazaret, carne santa de Abraham, en cuya descendencia serán bendecidas todas las naciones de la tierra (cf. Gn 22, 18). En esta genealogía, además de María, se recuerda a cuatro mujeres. No son Sara, Rebeca, Lía, Raquel, es decir, las grandes figuras de la historia de Israel. Paradójicamente, en cambio, son cuatro mujeres paganas: Rajab, Rut, Betsabé y Tamar, que aparentemente "perturban" la pureza de una genealogía. Pero en estas mujeres paganas, que aparecen en puntos determinados de la historia de la salvación, se refleja el misterio de la Iglesia de los paganos, la universalidad de la salvación. Son mujeres paganas en las que se manifiesta el futuro, la universalidad de la salvación. Son también mujeres pecadoras y, así, en ellas se manifiesta también el misterio de la gracia: no son nuestras obras las que redimen el mundo, sino que es el Señor quien nos da la vida verdadera. Son mujeres pecadoras, sí, en las que se manifiesta la grandeza de la gracia que todos nosotros necesitamos. Sin embargo, estas mujeres revelan una respuesta ejemplar a la fidelidad de Dios, mostrando la fe en el Dios de Israel. Así vemos reflejada la Iglesia de los paganos, misterio de la gracia, la fe como don y como camino hacia la comunión con Dios. La genealogía de san Mateo, por lo tanto, no es simplemente la lista de las generaciones: es la historia realizada primariamente por Dios, pero con la respuesta de la humanidad. Es una genealogía de la gracia y de la fe: precisamente sobre la fidelidad absoluta de Dios y sobre la fe sólida de estas mujeres se apoya la continuidad de la promesa hecha a Israel.
«Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1)
Il presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace commenta la genealogia di Gesù secondo il Vangelo di Matteo
di François Xavier Nguyên Van Thuân
L’evangelista Matteo inizia la sua testimonianza su Gesù con queste parole: «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo...» (Mt 1, 1).
Quando nelle celebrazioni liturgiche ricorre questo brano evangelico, non di rado sentiamo un certo imbarazzo. C’è chi considera la lettura di tale testo come un esercizio senza significato, quasi un arido elenco di nomi, su cui è difficile costruire prediche ad effetto piene di riflessioni spirituali. Altri lo leggono di corsa, rendendolo incomprensibile ai fedeli; altri ancora ne tagliano alcuni pezzi, abbreviandolo.
Per me che sono vietnamita, e in generale per tutti noi asiatici, la memoria dei nostri antenati è una cosa a cui teniamo molto. Seguendo la nostra cultura, spesso nelle nostre case conserviamo con pietà e devozione il libro della nostra genealogia familiare. Io stesso conosco i nomi di 15 generazioni dei miei antenati, fin dal 1698, quando la mia famiglia ha ricevuto il santo battesimo. Quando ripenso alla mia genealogia, mi accorgo di appartenere ad una storia che è più grande di me. E colgo con maggior profondità il senso della mia propria storia.
Per questo ringrazio la santa madre Chiesa che, almeno due volte all’anno, nel tempo dell’Avvento e nella festa della Natività di Maria, fa risuonare durante le nostre celebrazioni liturgiche, fin nella più sperduta cappellina cattolica, i nomi di quegli uomini che hanno avuto, secondo il misterioso disegno di Dio, un ruolo importante nella storia della salvezza e nella realtà del popolo d’Israele.
Sono convinto che le parole del documento della genealogia di Gesù Cristo esprimono qualcosa di essenziale dell’Antica e della Nuova Alleanza, hanno a che fare con il cuore del mistero della salvezza che ci trova uniti tutti – cattolici, ortodossi e protestanti.
Questo brano della Scrittura ci schiude il mistero della storia della salvezza come mistero della misericordia. Esso ci richiama a quanto proclama la Vergine Maria nelMagnificat, il suo cantico profetico che la Chiesa ripete ogni giorno nella lode del vespro: il disegno misericordioso e fedele di Dio si è compiuto secondo la promessa fatta «ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (Lc 1, 55). Davvero, la misericordia di Dio si estende e si estenderà di generazione in generazione, «perché eterna è la sua misericordia» (cfr. Sal 100, 5; 136).
Il Libro della genealogia di Gesù Cristo si articola in tre parti. Nella prima sono nominati i patriarchi; nella seconda i re prima dell’esilio di Babilonia; nella terza i re venuti dopo l’esilio.
Ciò che colpisce in primo luogo nella lettura del testo è il mistero della predilezione, della scelta da parte di Dio. Dio fa misericordia perché è libero. Il suo è un dono gratuito incomprensibile ai parametri del calcolo umano, tanto da apparire a volte scandaloso.
Così, nel Libro della genealogia di Gesù Cristo appare che Abramo, invece di scegliere il primogenito Ismaele, figlio della schiava Agar, ha scelto Isacco, il secondogenito, figlio della promessa, figlio della moglie Sara («In Isacco ti sarà data una discendenza»). Come notava l’esegeta Erik Peterson: «La generazione carnale non costituisce, da sola, la razza di Abramo nel senso della promessa divina, ma sono figli di Abramo quelli ai quali il nome di Dio è dato in sovrappiù [...]. Non vi è vera filiazione se non là dove c’è la promessa».
A sua volta, Isacco voleva benedire il primogenito Esaù ma, alla fine, ha benedetto piuttosto Giacobbe, secondo il misterioso disegno di Dio.
Giacobbe non trasmette la continuità familiare della stirpe che avanza storicamente verso il Messia, né a Ruben, il primogenito, né a Giuseppe, il più amato, il migliore di tutti, colui che ha perdonato i suoi fratelli e li ha salvati dalla fame in Egitto. La scelta è caduta su Giuda, il quarto figlio, che pure insieme agli altri fratelli aveva venduto Giuseppe ai mercanti che lo avevano condotto in Egitto.
Il mistero sorprendente della libera scelta degli antenati del Messia da parte di Dio incomincia a sollecitare la nostra attenzione. Questa pagina illumina anche il mistero della nostra elezione, di come è capitato anche a noi di diventare, per grazia, cristiani. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16). Non siamo stati scelti a causa dei nostri meriti, ma solamente a causa della sua misericordia. «Ti ho amato di amore eterno», dice il Signore (Ger 31, 3). Questa è la nostra sicurezza. «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato» (Is 49, 1). È questo il nostro unico vanto: la consapevolezza di essere stati gratuitamente chiamati e scelti. «Egli solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, i principi del suo popolo» (Sal 113, 7-8).
Infatti, se consideriamo i nomi dei re presenti nel documento della genealogia di Gesù, possiamo constatare che prima dell’esilio solo due di essi sono stati fedeli a Dio: Ezechia e Giosia. Gli altri sono stati idolatri, immorali, assassini.
Anche nel periodo dopo l’esilio, fra i numerosi re nominati, troviamo solo due personaggi che sono rimasti sempre fedeli al Signore: Salatiel e Zorobabele. Gli altri sono o pubblici peccatori o figure sconosciute.
In Davide, il più famoso fra i re che hanno dato i natali al Messia, si intrecciano fedeltà a Dio, peccati e delitti: con amare lacrime egli confessa nei suoi salmi i peccati di adulterio e il crimine di assassinio, specialmente nel Salmo 50, che nella liturgia della Chiesa cattolica è diventato preghiera penitenziale.
Anche le donne che Matteo nomina all’inizio del suo Vangelo come madri che trasmettono la vita, dal grembo della benedizione di Dio, ci colpiscono per le loro storie. Sono donne che si trovano tutte in una situazione irregolare e di disordine morale: Tamar è una peccatrice, che con l’inganno ha avuto un’unione incestuosa col genero Giuda; Raab è la prostituta di Gerico, che accoglie e nasconde le due spie israelitiche inviate da Giosuè, e viene ammessa nella comunità israelita; Rut una straniera; della quarta donna non si dice il nome, si dice soltanto «quella che era stata moglie di Uria». Si tratta di Betsabea, la compagna di adulterio di David.
Scriveva il grande poeta francese Charles Péguy, che mi è molto caro: «Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno avuto forse tanti antenati criminali, e così criminali. Particolarmente così carnalmente criminali. È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, un arretramento spaventoso. Tutto il suo impeto, tutto il suo carico di umanità. Di carnale. Quantomeno per una parte, e per una gran parte».
Perché il fiume di queste generazioni umane, gonfio di peccati e di crimini, diventa una sorgente di acqua limpida man mano che ci avviciniamo alla pienezza dei tempi: con Maria, la Madre, ed in Gesù, il Messia, vengono riscattate tutte le generazioni.
Questa lista di nomi di criminali, di adultere e di meretrici che Matteo evidenzia nella stirpe umana di Gesù non scandalizzi noi poveri peccatori. Essa fa risaltare il mistero della misericordia di Dio. Anche nel Nuovo Testamento, Gesù ha scelto Paolo, che lo ha perseguitato, e Pietro, che lo ha rinnegato, al quale erano così devoti i cristiani lapsi dei primi tempi, quelli che nei momenti più duri delle persecuzioni, per paura, avevano ceduto alle pressioni, abiurando la propria fede. Pietro e Paolo, un rinnegato e uno zelante persecutore, sono le colonne della Chiesa. In questo mondo, se un popolo scrive la sua storia ufficiale, di regime, parlerà delle sue vittorie, dei suoi eroi, della sua grandezza. È un caso unico, mirabile e stupendo, trovare un popolo che nella sua storia ufficiale non nasconde i peccati dei suoi antenati.
Con il parto mirabile e stupendo di Maria, che celebriamo nella festa del Natale, il Regno è venuto, la pienezza dei tempi è già arrivata. Ma Gesù afferma che il Regno sta crescendo lentamente, di nascosto, come un granello di senape. Tra la pienezza e la fine dei tempi, la Chiesa è in cammino come popolo della speranza.
Scriveva ancora Charles Péguy: «La fede che mi piace di più è la speranza».
È questa la nostra grande chiamata. Non per nostro merito, ma «perché eterna è la sua misericordia». Oggi, come nei tempi dell’Antico e del Nuovo Testamento, Dio agisce nei poveri di spirito, negli umili, nei peccatori che per il dono libero della sua predilezione si convertono a lui con tutto il cuore, trovando felicità oltre ogni attesa.
albero di Jessé, Guiard dei Mulini, Bibbia historiale, Francia, Sant'Omer, XIV° sec.
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Etichette: 17 dicembre, Avvento, Novena di Natale
17 dicembre. Novena di Natale
Mt 1, 1-17
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Il Commento
Una storia. E una vita. Dio con il suo popolo, senza stancarsi, con rinnovata misericordia, con pazienza, con eterno amore. In Cristo scorre questo sangue divino ed è una cosa sola con il sangue umanissimo dei suoi fratelli. Scorrere a ritroso il cammino del seme di Gesù è scoprire l'intensità e la profondità del suo amore. Da sempre con i suoi, di generazione in generazione, di momento in momento, sempre. Abramo, l'inizio incastonato in una promessa. Davide, la promessa che si svela come misericordia. L'esilio, la deportazione, la promessa che riverbera fedeltà sin dentro l'abisso del fallimento. E volti, persone, peccati, eroismi, la terra da cui è tratto il popolo, e lo Spirto Santo insufflato nei progenitori a condurre, misteriosamente, la storia. Lo stesso termine usato da Matteo per definire la genealogia - ghénesis - lo incontriamo nella lettera di Giacomo al capitolo 1 versetto 23: " (Chi non mette in pratica la parola) somiglia ad un uomo che osserva il proprio volto, alla lettera la forma del suo essere in uno specchio". Ecco, la storia del Popolo è tutta in questa Parola. Chiamato a guardare Dio, ad abbandonarsi alla sua promessa colma d'amore fedele, ha costantemente disatteso l'ascolto e l'obbedienza e si è trovato a contemplare il proprio volto, la forma del suo essere corrotto, inconsistente, vuoto. E' il fallimento d'ogni presunzione religiosa, l'elezione dimenticata nell'orgoglio. E non è questa la nostra medesima situazione? Quante ore passate a contemplarci allo specchio, costretti a sbattere contro la nostra insipienza e stoltezza, e quel senso d'inappagamento, di non risolto, di effimero che sbiadisce ogni istante, ogni relazione, ogni atto. E' il trionfo della carne assogettata alla menzogna. Ma è proprio qui che Dio ha deciso di piantare la sua tenda. In questa carne votata alla morte, la nostra carne sorta da una promessa e condannata al nulla. Qui giunge l'amore appassionato di Dio, in questo prossimo Natale, in questo giorno che ci è consegnato. Qui dove siamo, come siamo, frutti bacati di una storia d'amore. Dio è buono, Dio è misericordioso, Dio è innamorato di ciuascuno di noi. C'è Abramo nella nostra storia, la promessa che ci ha dato vita; c'è Davide, l'elezione ed il peccato perdonato mille volte; c'è l'esilio, quello di ogni giorno scivolato senza amore. E ci sono quei volti che ci dicono la fedeltà di Dio: Isacco, l'impossibile che Dio ha tante volte realizzato nella nostra vita; Giacobbe, l'astuzia piegata dalla Croce di ogni giorno; Ruth straniera eppure baciata dalla Grazia; Rut, la straniera e pagana bagnata dalla Grazia come i nostri pensieri, i criteri spesso mondani riacciuffati dalla misericordia infinita; Salomone, il trionfo della follia divina, le tante nostre opere morte, frutto di compromessi e peccati, rigenerate dal perdono che trasforma il male in bene; e i mille altri volti, sino a Giuseppe, sino a Maria, la Chiesa nostra Madre che ci ha adottati conoscendo il profondo del nostro cuore, e che ci ha allevato con tenerezza sino ad oggi. Oggi, il culmine di una generazione d'amore. Oggi, e noi come siamo, e Dio che si fa carne. Oggi, Gesù generato in noi dallo Spirito santo, perchè impariamo, da Abramo e Maria, l'inizio ed il compimento della nostra storia, ad ascoltare la Parola, la Buona Notizia e ad obbedire per distogliere lo sguardo dalla nostra debolezza e fissarlo sul volto misericordioso di Colui che può darci vita, e vita eterna.
Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa (Lett. 31, 2-3; Pl 54, 791-793)
Sacramento della nostra riconciliazione
Non giova nulla affermare che il nostro Signore è figlio della beata Vergine Maria, uomo vero e perfetto, se non lo si crede uomo di quella stirpe di cui si parla nel Vangelo. Scrive Matteo:
«Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1). Segue l'ordine della discendenza umana con tutte le generazioni fino a Giuseppe, al quale era sposata la Madre del Signore. Luca invece, percorrendo a ritroso la successione delle generazioni, risale al capo stesso del genere umano per dimostrare che il primo Adamo e l'ultimo sono della stessa natura.
Certo l'onnipotenza del Figlio di Dio, per istruire e giustificare gli uomini, avrebbe potuto manifestarsi come già si era manifestata ai patriarchi e ai profeti, sotto l'aspetto di uomo, come quando affrontò la lotta con Giacobbe o dialogò o accettò l'accoglienza di ospite o mangiò persino il cibo imbanditogli. Ma quelle immagini erano soltanto segni di questo uomo che, come preannunziavano i mistici segni, avrebbe assunto vera natura dalla stirpe dei patriarchi che lo avevano preceduto.
Nessuna figura poteva realizzare il sacramento della nostra riconciliazione, preparato da tutta l'eternità, perché lo Spirito santo non era ancora disceso sulla Vergine, né la potenza dell'Altissimo l'aveva ancora ricoperta della sua ombra. La Sapienza non si era ancora edificata la sua casa nel seno immacolato di Maria. Il Verbo non si era ancora fatto carne. Il Creatore dei tempi non era ancora nato nel tempo, unendo in sé in una sola persona la natura di Dio e la natura del servo. Colui per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, doveva egli stesso essere generato fra tutte le altre creature.
Se infatti questo uomo nuovo, fatto «a somiglianza della carne del peccato» (cfr. Rm 8, 3), non avesse assunto il nostro uomo vecchio, ed egli, che è consostanziale con il Padre, non si fosse degnato di essere consostanziale anche con la Madre e se egli, che è il solo libero dal peccato, non avesse unito a sé la nostra natura umana, tutta quanta la natura umana sarebbe rimasta prigioniera sotto il giogo del diavolo. Noi non avremmo potuto aver parte alla vittoria gloriosa di lui, se la vittoria fosse stata riportata fuori della nostra natura.
In seguito a questa mirabile partecipazione alla nostra natura rifulse per noi, il sacramento della rigenerazione, perché, in virtù dello stesso Spirito da cui fu generato e nacque Cristo, anche noi, che siamo nati dalla concupiscenza della carne, nascessimo di nuovo di nascita spirituale. Per questo l'evangelista dice dei credenti: «Non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 13).
OMELIA DI BENEDETTO XVI
Cari amici,
con l’odierna Liturgia entriamo nell’ultimo tratto del cammino dell’Avvento, che esorta ad intensificare la nostra preparazione, per celebrare con fede e con gioia il Natale del Signore, accogliendo con intimo stupore Dio che si fa vicino all’uomo, a ciascuno di noi.
La prima lettura ci presenta l’anziano Giacobbe che raduna i suoi figli per la benedizione: è un evento di grande intensità e commozione. Questa benedizione è come un sigillo della fedeltà all’alleanza con Dio, ma è anche una visione profetica, che guarda in avanti e indica una missione. Giacobbe è il padre che, attraverso le vie non sempre lineari della propria storia, giunge alla gioia di radunare i suoi figli attorno a sé e tracciare il futuro di ciascuno e della loro discendenza. In particolare, oggi abbiamo ascoltato il riferimento alla tribù di Giuda, di cui si esalta la forza regale, rappresentata dal leone, come pure alla monarchia di Davide, rappresentata dallo scettro, dal bastone del comando, che allude alla venuta del Messia. Così, in questa duplice immagine, traspare il futuro mistero del leone che si fa agnello, del re il cui bastone di comando è la Croce, segno della vera regalità. Giacobbe ha preso progressivamente coscienza del primato di Dio, ha compreso che il suo cammino è guidato e sostenuto dalla fedeltà del Signore, e non può che rispondere con adesione piena all’alleanza e al disegno di salvezza di Dio, diventando a sua volta, insieme con la propria discendenza, anello del progetto divino.
Il brano del Vangelo di Matteo ci presenta la "genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1,1), sottolineando ed esplicitando ulteriormente la fedeltà di Dio alla promessa, che Egli attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro e, come per Giacobbe, talora attraverso vie tortuose e impreviste. Il Messia atteso, oggetto della promessa, è vero Dio, ma anche vero uomo; Figlio di Dio, ma anche Figlio partorito dalla Vergine, Maria di Nazaret, carne santa di Abramo, nel cui seme saranno benedetti tutti i popoli della terra (cfr Gen 22,18). In questa genealogia, oltre a Maria, vengono ricordate quattro donne. Non sono Sara, Rebecca, Lia, Rachele, cioè le grandi figure della storia d’Israele. Paradossalmente, invece, sono quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che apparentemente "disturbano" la purezza di una genealogia. Ma in queste donne pagane, che appaiono in punti determinanti della storia della salvezza, traspare il mistero della chiesa dei pagani, l’universalità della salvezza. Sono donne pagane nelle quali appare il futuro, l’universalità della salvezza. Sono anche donne peccatrici e così appare in loro anche il mistero della grazia: non sono le nostre opere che redimono il mondo, ma è il Signore che ci dà la vera vita. Sono donne peccatrici, sì, in cui appare la grandezza della grazia della quale noi tutti abbiamo bisogno. Queste donne rivelano tuttaviauna risposta esemplare alla fedeltà di Dio, mostrando la fede nel Dio di Israele. E così vediamo trasparire la chiesa dei pagani, mistero della grazia, la fede come dono e come cammino verso la comunione con Dio.La genealogia di Matteo, pertanto, non è semplicemente l’elenco delle generazioni: è la storia realizzata primariamente da Dio, ma con la risposta dell’umanità. È una genealogia della grazia e della fede: proprio sulla fedeltà assoluta di Dio e sulla fede solida di queste donne poggia la prosecuzione della promessa fatta a Israele.La benedizione di Giacobbe si accosta molto bene all’odierna felice ricorrenza del 90.mo compleanno del caro Cardinale Špidlík. La sua lunga vita e il suo singolare cammino di fede testimoniano come sia Dio a guidare chi a Lui si affida. Ma egli ha percorso anche un ricco itinerario di pensiero, comunicando sempre con ardore e profonda convinzione che il centro di tutta la Rivelazione è un Dio Tripersonale e che, di conseguenza, l’uomo creato a sua immagine è essenzialmente un mistero di libertà e di amore, che si realizza nella comunione: il modo stesso di essere di Dio. Questa comunione non esiste per se stessa, ma procede – come non si stanca di affermare l’Oriente cristiano – dalle Persone divine che liberamente si amano. La libertà e l’amore, elementi costitutivi della persona, non sono afferrabili per mezzo delle categorie razionali, per cui non si può comprendere la persona se non nel mistero di Cristo, vero Dio e vero uomo, e nella comunione con Lui, che diventa accoglienza della "divinoumanità" anche nella nostra stessa esistenza.
omelia pronucniata da Benedetto XVI nel corso della Messa presieduta questo giovedì mattina, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano, con la Comunità del Centro "Aletti" di Roma, in occasione del novantesimo compleanno del Cardinale Tomáš Špidlík, S.I. 17 dicembre 2009
Dal Vangelo secondo Matteo
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Parola del Signore
Lunedì della III settimana del Tempo di Avvento
Questo fu per me lo scopo supremo a cui tesi nella conoscenza:
di non impiegare la vita in niente di vano,
ma di trovare quel bene,
trovato il quale non ci si sbaglia nel discernimento di ciò che è utile.
Gregorio di Nissa
P. F. Manns. L'ULTIMO PROFETA.Sulle tracce di Giovanni il Battista
Mt 21,23-27
In quel tempo, entrato Gesù nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: “Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?”
Gesù rispose: “Vi farò anch’io una domanda e se voi mi risponderete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”.
Ed essi riflettevano tra sé dicendo: “Se diciamo: ‘‘dal cielo’’, ci risponderà: ‘‘perché dunque non gli avete creduto?’’; se diciamo ‘‘dagli uomini’’, abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta”.
Rispondendo perciò a Gesù, dissero: “Non lo sappiamo”. Allora anch’egli disse loro: “Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose”.
IL COMMENTO
"Lei non sa chi sono io. Come si permette?". Quante volte risuona tra le nostre labbra questa frase sbattuta a malo modo in faccia a qualche malcapitato. Vigile urbano, impiegato delle poste, funzionario del Comune che sia. Qualcuno su cui, comunque, far valere i nostri diritti. Quelli acquisiti dalla nostra posizione sociale, vera o presunta, o dalle nostre capacità, più presunte che vere. Siamo convinti che gli altri, in genere, non comprendono chi siamo realmente. E non ci rispettano come meriteremmo. Il sentimento di aver subito un'ingiustizia è un denominatore più che comune delle nostre esistenze. Nel fondo del cuore rimbalza la domanda su chi abbia autorità su di noi. Chi può entrare nella nostra vita e contestarne qualcosa? Chi può dirci qualcosa?
A ben vedere, probabilmente, dovremmo rispondere nessuno. Moglie, marito, genitori, figli, colleghi, amici, suocere e nuore, nessuno ha il benchè minimo diritto. Siamo noi il primo e ultimo criterio, non v'è spazio per invasioni di campo. E così avviene con Dio. Anche se indossiamo il soprabito che ancora odora di incenso e sacrestia. Qualsiasi cosa sconvolga o turbi i nostri piani è un attentato alla nostra stessa persona. E a noi non la si fa tanto facilmente.
Però, non sappiamo rispondere alla domanda rimbalzataci da Gesù. La palla avvelenata con la quale tendiamo sempre insidie e trabocchetti per difendere la nostra stessa autorità ci ritorna tra le mani: "Vi farò anche io una domanda...". E non abbiamo parole, e ragioni. Il nostro silenzio di fronte alla domanda di Gesù provoca il suo silenzio. Se sapessimo cosa rispondere, significherebbe che avremmo accettato la sua autorità. Ma Gesù rimane in silenzio perchè ha capito che la domanda che poniamo, stretta tra mormorazioni, pregiudizi e rifiuti, non cerca una risposta: è una condanna previa, il segno di una decisione già presa nel cuore. Così è di tante riflessioni, spesso delle nostre preghiere. Anche se abbiamo lunghi anni di esperienze pastorali, anche se frequentiamo la Chiesa, e ascoltiamo assiduamente la Parola, ci accostiamo ai sacramenti, e siamo impegnati in mille attività. Quando giunge lo tsunami che svela la totale precarietà che ci costituisce, reagiamo come bestie ferite, e cerchiamo di sospingere il Signore fuori dalla nostra vita, mettendo in dubbio la sua autorità.
Gesù aveva rovesciato i tavoli dei cambiavalute, messo a soqquadro i locali del Tempio. Aveva fatto pulizia del profano e purificato il sacro. Aveva rotto equilibri ormai consolidati. Aveva turbato le coscienze. Già, ma con quale autorità? Con quale autorità il Signore sconvolge tante volte la nostra vita, le gerarchie esistenziali così faticosamente conseguite? Come si permette? Una malattia, un problema, un imprevisto. Una delusione, un tradimento, un fallimento. Non è accettabile, e Dio non può fare certe cose. Non può permettere che crolli tutto, che ci ritroviamo nudi, al buio, senza riuscire a comprendere nulla di quello che ci accade. La Parola sembra non dirci nulla, le preghiere paiono svanire nell'aria, il rapporto con gli altri è ridotto a un colabrodo. Non riusciamo più ad orientarci: i tavoli cui ci sedevamo per vendere e comprare, in un clima di preghiera e austerità, favori e affetti; i riti usuali come un lasciapassare verso la pace e la tranquillità; tutto per aria! E non ci rimane che un senso di frustrazione, l'incapacità di appigliarci a qualcosa, un lembo di certezza, uno straccio di pace. Niente! E quel silenzio assordante del Signore... Non una parola che giustifichi il suo operare. Non una parola a spiegare perchè con la moglie non va proprio, perchè i figli non ascoltano più, perchè al lavoro ricevo solo disprezzo, perchè la missione non funziona secondo lo schema appreso. Perchè non riesco più a pregare, perchè preferisco ritirarmi in me stesso, e mi sento lontano da Dio, pur desiderandone la presenza e l'amicizia che dia calore, consolazione e certezze alla mia vita. Eppure avevamo introdotto tutti i dati giusti, avevamo studiato, ci eravamo sacrificati, ci siamo inginocchiati. Ma arriva Lui e, invece di mettere la firma in calce ai nostri sforzi, fa saltare il banco, e la matematica spirituale cui avevamo chiesto pace e sicurezza, sembra impazzita. Il computer che ci aveva tante volte rassicurato, proprio quello in cui avevamo visto operare il Signore, non riconosce più le password, non accetta i dati, e il lavoro di tanti anni è da buttare!
Come per i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo, anche per noi arriva il Messia, e ogni attesa, ogni speranza incasellata negli schemi prodotti dal mix di desideri e appetiti, è sconvolta. E rimane, sola e cruda, una totale precarietà, quella più difficile, la precarietà spirituale. Il Signore è passato come un'onda anomala, e non rimane in piedi nulla, è sconvolta la topografia dell'anima, non servono a nulla gli indirizzi cui avevamo abituato i sentimenti. Ci sentiamo persi e feriti proprio laddove, credendo di essere in regola con Dio, avevamo messo le radici del nostro cuore. E scopriamo che, al di là delle nostre certezze, quella roccia non era Lui. Stavamo aspettando un ideale messianico, un idolo e non il Messia. Volevamo certezze capaci di renderci immuni al dolore, estranei alla precarietà. Per questo il Signore oggi ci pone dinanzi il battesimo di Giovanni, il segno celeste di un perdono prossimo a sconvolgere il cuore e trasformare l'esistenza; e ci scopriamo incollati sulle apparenze, incapaci di discernere la traccia divina nelle parole infuocate e nelle gocce d'acqua versate dal Battista. I fatti che ci purificano, la famiglia nella quale siamo nati, la moglie, il marito, sono un dono del Cielo oppure no? La Croce che ci inchioda ogni giorno ad una debolezza che ci fa mendicanti, reca il segno dell'autorità di Dio sulla nostra vita o è un tragico equivoco di un destino manovrato dagli uomini? Non lo sappiamo. La folla di chi ha riconosciuto il dito di Dio in ogni evento, i santi, il Popolo di Dio, i fratelli: sono una folla quelli che ci testimoniano la natura celeste del battesimo impartito da Giovanni. E abbiamo paura di sbagliarci, che la loro testimonianza possa percuotere le nostre fragili certezze. Però neanche possiamo riconoscere apertamente la Verità, l'orgoglio ce lo impedisce. Testardi, ci chiudiamo nel silenzio, e spegniamo la luce, abbracciati alla sofferenza cullata dal dubbio e dal rifiuto.
Ma giunge anche oggi Gesù con questo Vangelo, pieno di zelo, della gelosia di un amante che arde d'amore. E' questa l'autorità di Gesù. I colpi di frusta con i quali sconvolge le nostre vite apparentemente tranquille e installate, sono mossi da un inguaribile zelo per i suoi amati. L'autorità della Croce, il Tempio del suo corpo distrutto per amore, perchè in esso sia distrutta la nostra carne di peccato, compromessa con il mondo e la corruzione. L'autorità dell'amore infinito.
Dietro ad ogni colpo inferto alle nostre traballanti sicurezze vi è l'amore indomito di Chi non si rassegna a vederci corrodere l'anima. Il commercio di affetti, il contrabbando di sicurezze, la maschera del sacro e del religioso che così spesso indossiamo, tutto è sconvolto, ed è amore. Il puro amore che ci fa puri nel crogiuolo del suo zelo. Il Signore non è un vigile che attenta al nostro onore di automobilisti vessati, è un Padre di misericordia che le tenta tutte pur di riscattarci dal tiepidume che ci porta all'inferno. Se crolla tutto nella nostra vita è perchè Lui sta ricostruendo tutto sull'unica Roccia capace di resistere. E tutto è nuovo in Lui, che viene alla nostra vita con l'autorità delle sue stigmate d'amore. Non ci risponde per indurci a gettar via le domande perverse, e a lasciare che purifichi il nostro cuore malato. Sradica ogni certezza spirituale ancor prima che materiale, per condurci a cercare e desiderare Lui solo, ad entrare nella notte oscura della precarietà, della solitudine, del dolore acuto dell'anima, per trovarvi l'unico rapporto che dia certezza autentica alla nostra vita, anche quando in nulla ci si può appoggiare. La notte che la frusta del Signore ha inaugurato nella nostra vita, suo Tempio eletto. La notte cantata da San Giovanni della Croce:
"Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!
Il termine ‘autorità’ infatti, deriva dal latino auctoritas, che a sua volta si rifà al verbo augere, che significa far crescere. Ecco l'autorità del Signore, la sua mano tesa con la frusta della Verità, che ci conduce nella notte, per farci crescere nell'amore autentico, il suo, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo. Ogni autorità che non faccia crescere nell'amore di Cristo e nell'amore a Cristo è falsa, è un inganno demoniaco, una porta spalancata sull'inferno. Anche se reca l'impronta dei figli di Abramo. Per questo Giovanni Battista, predicando il suo battesimo, annuncia la totale novità che porterà il Messia: Egli farà nascere dalle pietre, dai cuori induriti, dai peccatori, i veri figli di Abramo, cuori di carne capaci di amare. Nessun certificato di appartenenza, nessuna pratica religiosa, nulla da vantare per ottenere la salvezza! Basta solo un cuore umile, contrito, sepolto nella verità e disposto ad accogliere l'amore sconvolgente di Gesù, la sua autorità volta a farlo crescere nell'abbandono fiducioso alla sua misericordia.
Sì, siamo pietre, dure, fredde, mute. Ma Lui può fare di noi un cuore acceso d'amore, unica luce che trafigge anche la notte più oscura: "Egli ci ha insegnato ad amarlo, quando per primo ci ha amati fino alla morte di croce, incitandoci con l'amore e la predilezione ad amare lui, che per primo ci ha amati sino alla fine. Proprio così: ci hai amati per primo, perché noi ti amassimo; non che tu avessi bisogno del nostro amore, ma perché noi non potevamo essere ciò per cui ci hai creati se non amandoti. E quanto egli operò, quanto disse sulla terra, fino agli insulti, fino agli sputi e agli schiaffi, fino alla croce e al sepolcro, altro non fu che il tuo parlare a noi per mezzo del Figlio: incitamento e stimolo del tuo amore al nostro amore per te. Tu sapevi infatti, o Dio creatore delle anime, che quest'amore non poteva essere imposto alle anime dei figli degli uomini, ma bisognava semplicemente stimolarlo. E sapevi pure che dove c'è costrizione, non c'è più libertà; e dove non c'è libertà, non c'è nemmeno giustizia. Hai voluto dunque che ti amassimo noi che non potevamo nemmeno essere salvati con giustizia, se non ti avessimo amato, né potevamo amarti, se non ne avessimo avuto il dono da te. Ma noi ti amiamo con l'affetto d'amore che tu ci hai infuso. Il tuo amore invece è la tua stessa bontà, o sommamente buono e sommo bene; è lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio; quegli che dall'inizio della creazione aleggia sulle acque, ossia sulle menti fluttuanti dei figli degli uomini, donandosi a tutti, tutto a sé attirando, ispirando, favorendo, allontanando ciò che è nocivo, provvedendo ciò che è utile, unendo Dio a noi e noi a Dio." (Guglielmo di Saint-Thierry, La contemplazione di Dio).
San Cirillo di Gerusalemme (313-350), vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa
Catechesi 12, 6-8
« Perché dunque non gli avete creduto ? »
I profeti sono stati inviati, insieme con Mosè, per guarire Israele ; loro però curavano tra le lacrime, non riuscendo a dominare il male, come ha detto uno di loro: «Ahimé! L'uomo pio è scomparso dalla terra» (Mi 7,2)... Grande era la ferita dell'umanità; dalla pianta dei piedi alla testa non c'era una parte sana, nessun punto dove poter mettere fascia, o olio, o benda (Is 1,6). I profeti sfiniti dalle lacrime dicevano: «Chi verrà da Sion a dare la salvezza?» (Sal 14,7)... E un altro profeta supplica in questi termini: «Signore, piega il tuo cielo e scendi» (Sal 144,5). Le ferite dell'umanità superano i nostri rimedi. Hanno ucciso i profeti e demolito i tuoi altari (1 R 19,20). La nostra miseria non può essere guarita da noi ; abbiamo bisogno di te per rialzarci.
Il Signore ha esaudito la preghiera dei profeti. Il Padre non ha disprezzato la nostra razza straziata ; ha mandato dal cielo suo Figlio come medico. «Viene il Signore che voi cercate, e subito verrà» dice un profeta. Dove? «Nel suo Tempio» (Ml 3,1), dove avete lapidato il suo profeta (2 Cr 24,21)... Dio ha detto ancora: «Ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te. Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore» (Zc 2,14) ... Ora verrà a radunare tutti i popoli e tutte le lingue (Is 66,18), poiché «venne fra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolto» (Gv 1,11).
Vieni; e cosa doni alle genti? «Io verrò a radunare tutti i popoli. Io porrò in essi un segno» (Is 66,19). Infatti in seguito al mio combattimento sulla croce, dono a ciascuno dei miei soldati di portare sulla fronte il sigillo regale (Ap 7,4). Un altro profeta ha detto: «Abbassò i cieli e discese, fosca caligine sotto i suoi piedi» (Sal 18,10). Ma la sua discesa dai cieli è rimasta sconosciuta dagli uomini.
J. Danieolou. Il battesimo di Giovanni.
La missione di Giovanni non è consistita soltanto nel predicare ma anche, nel battezzare. Ed è tanto importante questo aspetto della sua missione che ad esso si riferisce il nome che propriamente, lo definisce: Giovanni il Battista. Infatti, ai suoi contemporanei è apparso soprattutto come colui che battezza «e venne a predicare il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati» (Lc. 3, 3). E le folle accorrevano per farsi battezzare. Essenziale è quindi il capire a che cosa corrisponda questo battesimo, che significato abbia nella missione di Giovanni e nella preparazione della Parusia. Allora soltanto la missione di Giovanni ci apparirà nella sua totalità.
Il Battesimo, cioè il rito religioso dell'immersione in un'acqua corrente, non è stato inventato da Giovanni. Come la maggior parte dei riti, anche questo fa già parte della religione naturale e si trova in una gran parte delle religioni con significati diversi, dei quali il più comune è quello della purificazione. In particolare, il battesimo sembra legato alla tradizione dei popoli che abitavano le rive del Giordano. Non era un rito ebraico. Inoltre il Giordano non occupa molta parte nella Bibbia. Tuttavia esiste un episodio significativo. Sappiamo che il generale siriano Naaman, per ordine di Eliseo, si immerge tre volte nel fiume ed è guarito dalla lebbra. L'esistenza di battesimi nel fiume Giordano al tempo di Giovanni è confermata dal fatto che questo rito viene praticato in numerose sette. J. Thomas è stato in grado di scrivere un importante libro sul movimento battista al tempo di Cristo in Galilea e in Giudea.
Ciò che importa, quindi, non è tanto il rito dell'immersione nel Giordano, ma il significato che ad esso attribuisce Giovanni.
Ora, assai evidente è il suo legame alla conversione, alla penitenza. Giovanni predica « un battesimo di penitenza ». L'immersione nel Giordano esprime ed insieme ratifica tale conversione. Essa vuol significare la volontà di rottura con l'esistenza passata e la nascita ad un'esistenza. nuova. In questo senso, il significato del battesimo giovanneo, antic1pa quello del battesimo cristiano. Del resto, è evidente che il battesimo cristiano si colloca nel prolungamento del battesimo di Giovanni e non in quello di altri riti quali il battesimo dei proseliti ebrei o le abluzioni dei monaci esseni.
Tuttavia vi è ancora un abisso fra il battesimo di Giovanni ed il battesimo cristiano. Lo dichiara lo stesso Giovanni quando dice: «lo vi ho battezzati nell'acqua ma Egli vi battezzerà nello Spirito Santo» (Mc. 1, 8). Il battesimo cristiano farà seguito alla Parusia, alla venuta della Gloria del Signore, all'effusione dello Spirito alla Pentecoste. Appartiene al mondo della nuova creazione, già realizzato nella Gloria del Cristo risorto. Sarà il segno visibile ed efficace, il sacramento della partecipazione alla vita del Cristo risorto. Questo fiume d'acqua viva che sgorga dal trono di Dio e dell'Agnello e che è lo Spirito Santo medesimo effuso sopra gli uomini con il battesimo, trasforma questi uomini in creature nuove, il nuovo Paradiso fatto di alberi vivi, il nuovo Tempio fatto di pietre vive.
Non così il battesimo di Giovanni. Egli non,' può donare lo Spirito, perché lo Spirito non è ancora stato donato. Ma predispone al dono di esso. Appartiene all'ordine delle preparazioni e tuttavia segna un percorso decisivo. Sancisce la conversione ,dei cuori attraverso un procedimento visibile, costituito una rottura con il passato.
Attesta l'insufficienza di appartenere all'antico Israele. Aggrega ad una comunità nuova, la comunità di coloro che si predispongono alla venuta del Signore. E questo è così vero che anche dopo la venuta della Gloria di Dio nel Cristo i discepoli di Giovanni continueranno a formare: un gruppo a sé. Li incontriamo nel Vangelo dove vediamo che Giovanni li orienta verso il Cristo, ma li incontriamo anche negli Atti degli Apostoli che riferiscono, che ad Efeso vi sono uomini che conoscono soltanto il battesimo di Giovanni (19, 3). E Paolo dice loro: « Giovanni ha battezzato con, il battesimo di penitenza dicendo al popolo di credere in Colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè Gesù» (19, 4).
Il ruolo di Giovanni nella storia assume qui una consistenza nuova. Egli non è soltanto predicatore di un messaggio, ma creatore di una comunità. Benché lo spazio che occupa tale comunità sia molto ristretto, ciò nondimeno essa costituisce un passaggio intermedio fra il popolo dell'Antico Testamento e la Chiesa della Nuova Alleanza. I discepoli di Giovanni non sono più semplicemente i figli di Abramo, sono la comunità di coloro che si sono convertiti negli ultimi tempi, sono coloro che si preparano al compimento delle promesse profetiche; essi appartengono ancora ai tempi della preparazione, non sono ancora la Chiesa dei risorti. Tuttavia, quale fondatore di una comunità, il ruolo di Precursore di Giovanni ci appare sotto una luce nuova. Egli non prepara soltanto il Cristo ma anche abbozza già la struttura (1) della Chiesa come comunità e del battesimo come rito di aggregazione a questa comunità.
La predicazione della conversione in vista del Giudizio che viene è dunque il contenuto essenziale della missione di Giovanni, rimarrà una parte essenziale della missione della Chiesa, ed era già stata in precedenza una parte essenziale della missione dei profeti. Sono queste le stesse realtà fondamentali che incontriamo via via nelle diverse epoche della Storia sacra. Le loro modificazioni dipendono dall'essere situate a tappe diverse di tale Storia. Altro è la tappa profetica altro la tappa giovannea, altro quella della Chiesa. Ma poiché gli atteggiamenti sono pur sempre i medesimi, quanto appartiene ad un'età resta valido anche per le altre. Così è per il messaggio di Giovanni. Anche se, storicamente, corrisponde al periodo che precede la prima Parusia, questo messaggio di conversione del cuore in vista della venuta del Signore, resta vivo e valido durante tutto il tempo della Chiesa, nel quale la Chiesa tutta intera è ufficialmente inviata dalla Trinità a predicare all'umanità la conversione del cuore in vista della seconda Parusia, la venuta definitiva della Gloria.
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