Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 21 marzo 2013

Domenica delle Palme





Domenica delle Palme 


Il Signore mi disse:"Sappi, figlia Mia, che il tuo quotidiano silenzioso martirio nella totale sottomissione alla Mia volontà, conduce molte anime in Paradiso, e quando ti sembra che la sofferenza oltrepassi le tue forze, guarda le Mie Piaghe, e t'innalzerai al di sopra del disprezzo e dei giudizi degli uomini. 

La meditazione sulla Mia Passione ti aiuta a sollevarti al di sopra di tutto".

Dal "Diario" di Santa Faustina Kowalska


Passione di Dio per me. Per te. Si, Dio si è appassionato alle mie cose, a quelle di tutti i giorni, al punto di morirci. Non è questo che in fondo tutti andiamo cercando? Non è qualcuno, anche uno solo, che sia attento a quello che ci accade, che abbia a cuore la nostra vita, che si accorga di noi, che ci abbracci quando ci sentiamo soli, che ci stringa forte quando le lacrime ci gonfiano gli occhi, che ci sorrida dolcemente quando ci sentiamo soli e distrutti, che ci prenda per mano e ci tiri fuori dai pasticci? Non desideriamo qualcuno che ci ami davvero, di quell'amore che non troviamo da nessuna parte, se non a brandelli, nei genitori, nei fidanzati, nelle famiglie, nei figli, negli amici. Frammenti di quello che ci urge disseminati nei giorni e che poi è così difficile rimetterli insieme perchè diano senso, e pace, e gioia alle nostre esistenze. Eccolo oggi Colui che stiamo desiderando. Eccolo amarci sino a farsi uccidere per noi. Eccolo umile su di asino, eccolo tra le pagine della Passione. Leggiamola oggi con pazienza, vi incontreremo le trame delle nostre vite. Il Sinedrio, Pilato, Barabba, e tutti gli altri, e le fruste, e i chiodi, e la lancia. La Croce. La Passione è la nostra vita. Di ieri, di oggi, di domani. Le pene, le ansie, i dolori, i sogni infranti, le malinconie, i peccati. Nella Passione di Cristo è racchiuso il gomitolo della nostra vita, tutto quello che sembra scombinato, fili senza capo né coda, dolori e gioie attorcigliate sulle ore, esperienze gettate alla rinfusa nei giorni, e non sappiamo dove siamo, ci addormentiamo in un sorriso e ci svegliamo in una lacrima, e non sappiamo perchè. La storia nostra è tutta dentro la passione d'amore di Gesù, prorpio per noi, proprio per tutto di noi. Leggiamola, meditiamola, vi troveremo l'amore sbocciare esattamente dai fatti, dai momenti più bui delle nostre esistenze. Lui è sceso e continua a scendere in ogni angolo della nostra vita, per adagiarvi il suo amore. Non vi sono spiegazioni, discorsi, poesie. solo un fatto, semplice e vero: Lui con me, sempre. E tutto di me trasformato in amore.

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Domenica delle Palme


domenica 24 marzo 2013
Anno C
Lc 19,28-40

Dietro alla narrazione del cammino di Gesù verso Gerusalemme, il vangelo lascia intravedere il cammino di Cristo verso il Padre e la guida che egli esercita sulla chiesa dall’alto dei cieli.

Anzitutto viene presentata la missione: “Gesù inviò dicendo: ‘Andate’… Essendo andati quelli che erano stati inviati…” (vv. 29-30.32). Una missione che esige dai cristiani, da un lato, la capacità di rendere conto dei gesti che si compiono a chiunque ne chieda conto (vv. 31-34), dall’altro, la capacità di motivazioni il loro agire sulla base del Vangelo, della Parola del Signore. I gesti compiuti dalla chiesa nella sua missione nel mondo non mirano alla soddisfazione o all’eliminazione di un suo bisogno, ma sono obbedienza alla Parola del Signore e manifestano il bisogno del Signore, narrano un Signore che viene all’uomo nella povertà e nell’umiltà, perché solo così – nella condivisione della povertà – può avvenire l’incontro. La ricchezza che gli inviati portano con sé è tutta nel ridire le parole che il Signore ha consegnato loro (vv. 31.34): parole che, mentre proclamano la povertà e l’indigenza dell’inviante, situano nella povertà e nell’indigenza l’inviato stesso. Il racconto dell’ingresso messianico di Gesù nella sua città diviene la paradossale proclamazione di un Signore bisognoso e indigente. Viene così indicato alla chiesa che i bisogni e le mancanze che essa può patire possono divenire motivo di fiducia invece che di angoscia. Fiducia nel Signore e forza di comunione con i poveri e i bisognosi a cui è rivolto il vangelo.

Nel v. 37 si afferma che tutta “la folla dei discepoli” lodava Dio a gran voce. Luca utilizza di nuovo l’espressione in At 6,2 per indicare i cristiani. Al rimprovero che i farisei intendono rivolgere ai discepoli attraverso Gesù, questi risponde dicendo: “Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” (v. 40). Il testo intravede la possibilità di un silenzio colpevole della chiesa: c’è una confessione di fede, una proclamazione della lode del Signore, un riconoscimento dei suoi prodigi, che non possono essere taciuti, pena la sconfessione del proprio statuto di cristiani. Ignavia, codardia, vergogna, complicità, paura, interesse, convenienza, conformismo: tanti sono i motivi che possono spingere il cristiano a tacere quando dovrebbe parlare oppure a dire parole non più abitate dallo scandalo evangelico, parole allineate, parole che non scomodano. E sia chiaro che le parole evangeliche non scomodano solamente coloro che le ascoltano, ma anzitutto chi le pronuncia. Perché lo pongono nella situazione di povertà, inermità e bisogno che sono proprie del suo Signore. La condivisione della povertà del Signore è la condizione dell’autorevolezza e della credibilità della chiesa tra gli uomini.

L’acclamazione della folla dei discepoli proclama benedetto “Colui che viene” (v. 38; cf. Sal 118,26). Nome del Signore è “il Veniente”. Ora, in quanto Veniente, il Signore non è presenza addomesticabile, non è possesso, non è realtà già conosciuta e non foriera di novità. Il Veniente ricorda alla chiesa che della confessione di fede fa parte l’apertura allo stupore e alla meraviglia, la disponibilità a mettersi in discussione, a farsi interpellare dalle novità della storia. Solo in quanto Veniente il Signore è anche il Vivente. E la confessione e la testimonianza della chiesa hanno la responsabilità di annunciare il Vivente, non – come fanno i discepoli di Emmaus – un morto (cf. Lc 24,19-24).

Gesù precede i suoi salendo verso Gerusalemme, la “città della pace”, la città che uccide coloro che sono inviati a lei (cf. Lc 13,34) e su cui Gesù piangerà perché non ha saputo riconoscere la via della pace (cf. 19,41-42). Il cammino verso la pace richiede un’esigenza: il non fare violenza. La regalità di Cristo non è di questo mondo proprio perché, a differenza delle regalità mondane che legalizzano la violenza e se ne servono, Gesù ne rifiuta radicalmente l’uso, rifiuta di creare vittime. Egli è il Re radicalmente non violento, fino ad assumere la violenza su di sé sulla croce, epifania massima della sua paradossale regalità.

LUCIANO MANICARDI

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