Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 11 marzo 2013

Lunedì della IV settimana del Tempo di Quaresima “Spirito di Dio, tu che tutto penetri – indica!”. (F. Lombardi) <> Omelie tenute ieri, quella del Cardinal Dolan e quella del Cardinal Scola.















La Parola di Dio ci spinge a cambiare 
il nostro concetto di realismo:
realista è chi riconosce nel Verbo di Dio 
il fondamento di tutto.


Benedetto XVI








Dal Vangelo secondo Giovanni, 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.


Il commento

Il miracolo è già compiuto nella Parola. L'annuncio del Vangelo dice di un fatto che si compie nello stesso istante in cui è annunciato. Come fu per la notte della creazione. Come fu per Abramo, per Mosè ed il popolo in Egitto. Come fu per la Vergine Maria quando udì le parole dell'angelo. Come per i discepoli sulle rive di Cafarnao e del Giordano. Come per il figlio del centurione: “Accade un fatto imprevedibile e incredibile, eppure reale: nello spessore della vita, in cui l’impotenza e la rassegnazione sembrano inevitabili, c’è una presenza che cambia i termini della questione. Li cambia oggettivamente per una pretesa che pone” (L. Negri, Essere prete oggi). La pretesa di essere vera. Reale. La pretesa di avere un’autenticità e un potere unici. Una pretesa che si può “verificare”. La fede è questa verifica, un cammino nella storia reale dove si realizza la Parola, ed in essa tutto ciò che "pretende". La fede è un cammino al vero appoggiato a una parola, spesso assurda e in contrasto con l'evidenza. L'annuncio svela sempre un impossibile che si fa possibile, un figlio nato da una carne sterile, il concepimento in un seno vergine, la guarigione di chi è ormai senza speranza, il perdono dei peccati e la possibilità reale d’una vita nuova nella sequela del Signore. Nell'annuncio del Vangelo appare sempre la vita trionfante sulla morte. Ascoltare e credere è andare a vedere il prodigio operato dalla Parola. Verificarlo. Abramo esce dalla sua terra e spera contro ogni speranza. Mosè lancia il popolo nel mare, Maria corre da Elisabetta, i discepoli lasciano tutto e seguono il Signore, il centurione va abbrancato ad una Parola, e "scende" da suo figlio. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. E un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato il centurione. Un tempo, questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi. E le sue orme, le parole che ci dice nella Sua Parola, proclamata, ascoltata, meditata, pregata.

Un crinale che lambisce li morte si spalanca ogni giorno davanti a noi, la reale situazione di preoccupazione, di precarietà, di solitudine, di angoscia: quel letto d’ospedale, quelle analisi, quel fidanzato che se n’è andato, quel figlio che sembra perduto, quel lavoro stressante, il combattimento per difendere la castità nel fidanzamento prima e nel matrimonio poi, il timore nell'aprirsi alla vita dopo cinque parti cesarei, le angherie sul lavoro, la fatica dei pomeriggi sui libri mentre fuori sboccia la primavera. E l'unica forma per assumere l'ora che ci è data, scendere nella realtà, che è obbedire e ascoltare, che è libertà sciolta dalla sua Parola che scende con noi. Anche quando essa non si ode più: "È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita" (Massimo il Confessore, La vita di Maria, n.89). È quando il Signore ci chiama ad entrare nella notte oscura della vita come Gesù è entrato nel Sabato santo, per sperimentare il potere straordinario della Parola che si è fatta silenzio per dare una Parola di vita al silenzio delle speranze umane: "Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui... C’è un’angoscia che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita"" (J. Ratzinger, Meditazione sul sabato santo). Sì, l'odore di morte, la sofferenza, le delusioni, non ci sono estranee. Questa nostra vita scorre in una "valle di lacrime", ed è inutile ogni alienazione. Eppure a ogni lacrima è data una Parola. Tutte sono raccolte nelle sue mani, e in ciascuna vi è deposto un seme di vita. Anche laddove sembra impossibile. Siamo chiamati a scendere oggi e ogni giorno dove Lui è già sceso, per sperimentare che il sepolcro invece della morte ci consegna la vita: "Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce" (J. Ratzinger, ibid.). Scendere e riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci era stato annunciata la parola e avevamo ascoltato l'invito a scendere nella storia di dolore e morte che ci attendeva, in quel momento la Parola aveva già operato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva dischiuso la vita. Il matrimonio che credevamo fallito, il lavoro senza senso, l'amicizia tradita, la malattia gravida di morte, in tutto ci è dato di verificare il potere della Parola predicata dalla Chiesa. 


APPROFONDIRE




Domenica 10 Marzo 2013

Omelie tenute ieri, quella del Cardinal Dolan e quella del Cardinal Scola.



Homily, 4th Sunday of Lent
Our Lady of Guadalupe Parish, Rome
March 10, 2013
His Eminence Timothy Michael Cardinal Dolan

Oggi è la Domenica Laetare, ovvero “la Domenica della gioia!”

Mi sembra un’occasione propizia perché io sono davvero pieno di gioia ad essere qui con tutti voi nella mia parrocchia titolare di Nostra Signora di Guadalupe.

Don Mammoli, fratelli sacerdoti, care suore, amati parrocchiani, fedeli tutti: grazie per la vostra calda accoglienza. Mi sento davvero sempre a casa qui.

Dopo la cattedrale di San Patrizio a New York City, questa è la mia chiesa favorita! Per favore non ditelo alla mia gente a New York che vi ho detto queste cose!

Qui infatti non sono l’Arcivescovo di New York; non sono un Cardinale; ma sono finalmente un Parroco, come ho sempre voluto essere sin dal giorno della mia prima santa comunione.

E naturalmente è come Parroco di una parrocchia romana, anche se solo onorario, che sono venuto per eleggere un nuovo Vescovo di Roma, un nuovo Papa.

Noi Cardinali sentiamo il sostegno della preghiera di tutto il Popolo di Dio sparso nel mondo, e anche questo ci fa veramente gioire.

Noi cattolici siamo davvero tutti romani.

Noi siamo figli di Dio.

Noi siamo come l’uomo del Vangelo di oggi, che è sempre il benvenuto nella casa di suo padre, del Padre Nostro.

Noi siamo tutti redenti dal Figlio di Dio, Gesù, che ci vuole tutti salvi per sempre nella casa del Padre celeste.

Noi tutti guardiamo a Maria, la Madre di Gesù, la nostra madre spirituale, come lei stessa si è chiamata davanti a San Juan Diego a Guadalupe.

Noi tutti guardiamo anche alla Chiesa come nostra madre.

Pertanto, non fa meraviglia che noi oggi possiamo davvero essere colmi di gioia!


* * *


Basilica dei Santi Apostoli – Roma
IV Domenica di Quaresima – Ciclo C
Giosuè 5,9a.10.12; Sal 33; 2Co 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Santa Messa Pro eligendo Pontifice
13 marzo 2013
S. Em. Card. Angelo Scola

1. “I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘questi accoglie i peccatori e mangia con loro’”. Con la celebre parabola del Vangelo di oggi, Gesù risponde loro in maniera indiretta ma assai efficace. Tanto è vero che le Sue parole attraversano ben duemila anni di storia e toccano ora ciascuno di noi riuniti in questa gloriosa Basilica dedicata ai Santi Apostoli.
Immedesimiamoci con la scena descritta. Cosa ci vuol dire Gesù? Egli ci mostra il Volto di Dio, il Suo essere Padre di misericordia che aspetta, a braccia aperte, il ritorno di ogni donna e di ogni uomo, qualunque sia la ragione per cui ha scelto di allontanarsi da casa.
I farisei e gli scribi non comprendono il comportamento di Gesù. Invece se c’è un dato che i Vangeli ci trasmettono con insistenza è che i peccatori si avvicinano a Gesù. Egli li accoglie, mangia con loro, perdona il loro peccato, li conduce al Cuore misericordioso del Padre.

2. Riflettiamo brevemente su cosa significhi misericordia. Essa è l’espressione compiuta della paternità. Vediamo come.
Quando il figlio chiede al padre della parabola “la parte del patrimonio che gli spetta”, il padre non ha paura della sua libertà e del rischio che essa comporta: “egli divise tra loro le sue sostanze”. Egli era forse ignaro della debolezza di quel suo figlio minore? No, di certo. Ma rispetta e ama così profondamente la libertà del figlio perché sa bene che solo nella libertà egli potrà essere riconosciuto e amato come padre.
Carissimi, ogni giorno il Padre scommette sulla libertà di ciascuno di noi. Egli non teme la nostra debolezza, perché questa non può cancellare il fatto che noi siamo figli. Fragilità e peccato, fonte di disordine e sofferenza nostra e altrui, sfigurano la nostra dignità di figli, ma non sono in grado di sopprimerla.
Il figlio giovane, che sicuramente aveva già fatto esperienza di questo amore di misericordia, ma poi con la sua scelta orgogliosa l’aveva disprezzato, messo di fronte alle conseguenze del suo peccato, prova dolore e decide il ritorno al Padre, disposto all’espiazione per la sua colpa: “Padre ho peccato verso il cielo e davanti a te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi salariati”.
Charles Péguy commenta l’attesa e la corsa del Padre, la sua grande compassione: “Quando era ancora lontano … gli si gettò al collo e lo baciò”. Dice il poeta: “Dio, che è tutto, ha avuto qualcosa da sperare, da lui, da quel peccatore. Da quel nulla. Da noi. E’ stato messo a questo punto, si è messo a questo punto, in questa condizione, da aver da sperare, da attendere da quel miserabile peccatore”.
Se Dio non cessa di sperare in ciascuno di noi, allora possiamo sperare anche noi. La speranza che scaturisce dalla misericordia di Dio è fonte della nostra speranza e ci da la forza di cambiare. Ovviamente non a buon mercato. La misericordia non è un colpo di spugna.

3. Si comprende così l’accorato invito dell’Apostolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. La missione della Chiesa sta proprio nel ridire, anche a noi uomini del terzo millennio, che la misericordia del Padre è fonte di speranza. Ma dove la Chiesa, i cui membri sono segnati da limiti e da peccati, può trovare la forza per questo annuncio che sempre e di nuovo ridona energie fresche per ricominciare? San Paolo risponde con un’affermazione radicale: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Gesù prende su di Sé il nostro male e lo redime: noi non siamo innocenti, siamo peccatori redenti.
In questo tempo di Quaresima intensifichiamo con la preghiera, il sacrificio del digiuno, le opere di carità e soprattutto con sincero pentimento che ci conduca fino al sacramento della Riconciliazione, la nostra supplica al Padre misericordioso: lasciamoci abbracciare dal Suo amore. Amen.



Alla fine della celebrazione

In questa domenica che precede l’inizio del Conclave, vorrei sottolineare che tutti i fedeli sono chiamati a partecipare responsabilmente, ognuno secondo la propria condizione, all’elezione del Papa.
Invochiamo lo Spirito di Gesù Risorto perché infonda i Suoi sette doni ai Cardinali che si riuniranno in Conclave. Lo Spirito conceda loro, sorretti dall’affetto di comunione e dalla preghiera di tutti i fedeli, di interrogarsi umilmente su che cosa lo Spirito stesso, in questo momento di delicato passaggio di millennio, stia chiedendo a tutte le Chiese che vivono ad immagine della Chiesa universale.
Questa domanda conduca la Santa Chiesa di Dio a lasciar trasparire sempre più sul suo volto Gesù Cristo, luce di tutte le genti del mondo.

Nessun commento:

Posta un commento