Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 15 marzo 2013

V Domenica di Quaresima (Anno C) Donna, nessuno ti ha condannata?

Ronchi - 17 marzo 2013 V Quaresima








(...) Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

Una trappola ben congegnata, per porre Gesù o contro Dio o contro l'uomo. Gli scribi e i farisei gli condussero una donna... la posero in mezzo. Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è una cosa, che si prende, si porta, si conduce, si pone di qua o di là, dove a loro va bene. Che si può mettere a morte. Una donna su cui gli uomini possono fare la massima delle violenze, compiuta per di più dagli uomini del sacro, legittimata da un Dio terribile e oscuro, amante non della vita ma della morte. Una donna ferita nella persona, nella sua dignità, nella sua grandezza e inviolabilità. Contro la quale i difensori di Dio commettono un peccato più grave del peccato che vogliono punire. Gesù si chinò e scriveva col dito per terra... Davanti a quella donna Gesù china gli occhi a terra, come preso da un pudore santo davanti al mistero di lei. Gli fa male vederlo calpestato in quel modo. «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei».Gesù butta all'aria tutto il vecchio ordinamento con una battuta sola, con parole taglienti e così vere che nessuno può ribattere. Nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno. Ecco la giustizia di Dio: non quella degli uomini ma quella di Gesù, il giusto che giustifica, il santo che rende giusti, venuto a portare non la resa dei conti ma una rivoluzione radicale dei rapporti tra Dio e uomo, e di conseguenza tra uomo e uomo. A raccontare di una mano, di un cuore amorevole che ci prende in braccio e, per la prima volta, ci ama per quello che siamo, perdonando ogni errore, sciogliendo ogni ferita, ogni dolore. Più avanti compirà qualcosa di ancor più radicale: metterà se stesso al posto di quella donna, al posto di tutti i condannati, di tutti i colpevoli, e si lascerà uccidere da quel potere ritenuto di origine divina, spezzando così la catena malefica là dove essa ha origine, in una terribile, terribilmente sbagliata idea di Dio. Va e d'ora in poi non peccare più: ciò che sta dietro non importa, importa il bene possibile domani. Tante persone vivono come in un ergastolo interiore. Schiacciate da sensi di colpa, da errori passati, e abortiscono l'immagine divina che preme in loro per crescere e venire alla luce. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono dare ai fratelli libertà e perdono. Va', muoviti da qui, vai verso il nuovo, e porta lo stesso amore, lo stesso perdono, a chiunque incontri. Il perdono è il solo dono che non ci farà più vittime e non farà più vittime, né fuori né dentro noi.

Fonte: avvenire


Omelia del giorno 17 Marzo 2013
 Non si può leggere il brano, che il Vangelo ci propone in questa domenica di Quaresima, senza provare una grande emozione per la delicatezza, l’amore che Gesù mostra davanti alla donna adultera, che scribi e farisei gli avevano condotto davanti, soprattutto per vedere come si sarebbe comportato, se seguendo la legge di Mosè o contro.
Possiamo facilmente immaginare lo stato d’animo di quella donna ‘colta in flagrante adulteri’.
Già l’essere stata scoperta sul fatto, deve essere stato umiliante. Ma vedersi poi strattonata e portata per le vie, tra il disprezzo di tutti, verso il monte degli Ulivi, dove anche Gesù presto avrebbe subito la stessa vergogna, come condannato alla crocifissione, era sapere che presto il senso di ‘morte interiore’, che già provava, sarebbe stata una realtà definitiva: posta in mezzo tra gli scribi e i farisei da una parte e Gesù dall’altra, sarebbe stata lapidata per la sua colpa.
Chi di noi non ricorda il tempo, non tanto lontano, di ‘tangentopoli’, quando era all’ordine del giorno la sfilata con le manette ai polsi, sotto i riflettori impietosi della TV e il disprezzo generale?
Ho conosciuto parecchie di queste persone, che finirono in manette, per quel reato.
Ne ricordo in particolare una, che ricopriva un alto incarico. Viveva in uno stato di ansia, da quando gli era giunto l’avviso di garanzia, pronta ad essere prelevata dalle forze dell’ordine e portata in tribunale, additata come un ignobile corrotto.
‘Mi sembrava di vivere nell’anticamera della morte. Morivo ogni giorno un poco, per il disprezzo che sempre più saliva nell’opinione pubblica e la vergogna di essere finito nella polvere. E non avevo alcuna colpa. Chi non ha provato ‘il tintinnio delle manette’, sotto i riflettori, con la sensazione di essere calpestato da tutti, come fosse un cencio, non può capire cosa voglia dire ‘essere trascinato in piazza’, con la sensazione che la propria condanna sia già stata decretata’.
Ho rivisto quell’amico dopo quella esperienza. Anche se dichiarato innocente, era un uomo provato, come un semivivo, segnato da un dolore che non riusciva a superare, a nascondere.
Non era più la persona ‘importante’, che avevo conosciuto, ma ‘un relitto umano’, che si trascinava a stento, evitando tutto e tutti, per schivare il disprezzo che gli si era appiccicato alla pelle, come una lebbra inguaribile.
Ed anche se non in quella forma, siccome tutti siamo fragili e quindi facili a sbagliare, a volte la nostra debolezza, più  o meno grave, quando si manifesta agli occhi della gente, subito fa scattare il disprezzo o la condanna. E difficilmente riusciamo a cancellarne il ricordo.
È un ‘sentirsi’ privati della stima o del perdono, che sono la forza che ci consente di andare avanti.
Ma per fortuna la meraviglia del Cuore di Dio è diversa.
Lui è ‘un papà’ e i papà non si concedono la disistima del figlio, anche quando sbaglia.
Il cuore di un papà non glielo consente, magari strilla, ammonisce, ma poi perdona il figlio, sempre. Il cuore di un papà ama sempre. Come quello della mamma che era con me, quando visitavo i terroristi nelle carceri. Ci divideva da loro uno spesso vetro, che non permetteva alcun contatto. Ci si parlava con un microfono. Quella mamma meravigliosa, davanti alla figlia terrorista, piangendo e bagnando il vetro con le lacrime, continuava a recitare come un rosario: ‘Ti voglio bene..sei sempre mia figlia..ti voglio bene’. Di fronte a questa immagine di amore, mi venne da piangere con lei.
Il perdono, e lo abbiamo meditato nel Vangelo del figlio prodigo, è davvero il grande Cuore di Dio, che non si fa scoraggiare dai nostri sbagli: neppure ci toglie un briciolo di stima, come si fa con i figli...ma conosce solo la commozione e ‘le braccia al collo’, quando il figlio si ravvede e rientra in se stesso.
C’era un tempo, in cui si pensava a Dio, non come un Padre che per perdonarci sacrifica Suo Figlio, Gesù, ma come un Giudice pronto a condannarci o punirci. E le nostre ‘confessioni’, tante volte, risentivano di questo carattere di ‘giudizio’, non di incontro gioioso.
Ma gustiamo, parola per parola, il Vangelo di oggi:
Gesù si avviò verso il Monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da Lui ed Egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno: va’ e non peccare più”. (Gv. 8, 1-11)
Se la settimana scorsa Gesù, con la parabola del figlio prodigo, rivelava la incredibile ampiezza della Misericordia del Padre, e Sua: ‘commosso gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e disse: ‘Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita’, ancor più, nell’episodio della donna adultera, colta in flagrante adulterio e da condannarsi, secondo la Legge, alla lapidazione, mostra quanto in Lui prevalga la Misericordia su quella che noi, a volte, non so con quale diritto, chiamiamo giustizia.
La differenza, rispetto a noi, è che ‘Dio non ama la morte del peccatore, ma desidera solo che si converta e viva’. Noi, invece, a volte, preferiamo la morte del peccatore o la pena, disinteressati rispetto alla sua vita, alla sua dignità, alla possibilità di redenzione.
Se Dio ci vede ‘caduti’, qualunque sia la nostra colpa, preferisce darci una mano per rialzarci e aiutarci a tornare a vita nuova, come il figlio prodigo.
Fa davvero impressione, intorno a quella donna, da un lato la folla di giudici che ne invocano la morte, e, ‘con una raffinata malizia’: vogliono anche condannare Gesù e la sua sentenza, mentre dall’altra parte c’è proprio Lui, Gesù, che davanti al peccato tace, si china per terra, prendendo un netto distacco da loro, da noi, forse triste proprio per la nostra condotta di giudici senza pietà, che proprio non ci spetta. E come a confermare questa immensa Bontà e Misericordia di Dio, scrive il profeta Isaia: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!
Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò una strada nel deserto, immetterò fiumi nella steppa, mi glorieranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua nel deserto, fiumi alla steppa per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
Il popolo, che Io ho plasmato per me, celebrerà le mie lodi”. (Is. 43, 16-22)
Davvero meraviglioso è l’Amore di Dio... e noi abbiamo paura a gettarci nelle Sue braccia?!
Come ce la spieghiamo questa paura o vergogna? La Pasqua, che è ormai alle nostre porte, ci invita a sperimentare la Bontà del Signore, che ci aspetta tutti sulla porta di casa Sua, attende che rientriamo in noi stessi e, attraverso il sacramento della Penitenza, vuole poterci correre incontro e gettarci le braccia al collo. Dinnanzi alla nostra coscienza che, a volte, si oscura per la vergogna o paura, o di fronte ad una mentalità che preferisce affidarsi alla giustizia umana, che a volte chiude gli orizzonti della vita, ci attende Gesù che ci dice:
“Io non ti condanno! Va’ in pace e non peccare più.”
Scriveva Paolo VI, commentando questo Amore: “In un mondo che si divora nell’egoismo, individuale e collettivo, che genera gli antagonismi, le inimicizie, le gelosie, le lotte di interesse, le lotte di classe, le guerre, l’odio in una parola, noi proclameremo la Legge dell’Amore, che si diffonde e si dona, che sa allargare il cuore ad amare gli altri, a perdonare le offese, a servire gli altrui bisogni, a sacrificarsi senza calcoli, a farsi povero per i poveri, fratello per i fratelli, a creare un mondo nuovo di concordia, di giustizia e di pace” (28.6.1956)
Non mi resta, cari amici, che pregare ed augurare a tutti che la Pasqua, che è alle porte, ci faccia conoscere i passi verso il ritorno al Padre, per insieme cantare la Gioia dell’Alleluja!


19 marzo Festa di S. Giuseppe

Questi ultimi tempi sono stati segnati dal dibattito sulla sacralità della famiglia in contrapposizione al riconoscimento delle unioni di fatto, che, partendo da una solidarietà per chi convive senza matrimonio, rischia domani di mettere a repentaglio la stessa famiglia, così come è stata pensata e voluta da Dio stesso. Si sono dette e scritte tante, ma tante, parole, con il pericolo di creare lacerazioni, che non dovrebbero esistere quando si dibatte su un bene che riguarda l’uomo.
Domani è la solennità di S. Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, Madre di Dio, e padre putativo di Gesù. La testimonianza di una famiglia, chiamata ‘sacra’, che dovrebbe ispirare tutti, politici e noi semplici cittadini, che non possiamo lavarci le mani di fronte a questi vitali problemi.
Credo che più delle tante parole, sia efficace guardare alla Sacra Famiglia e pregarla perché ogni nucleo familiare abbia origine e sostegno da loro.
Ma ci vuole davvero una preghiera profonda e sincera, perché in gioco c’è ‘la vera pietra angolare’ della società di sempre.
Alla Sacra Famiglia affido tutte le famiglie ed in modo particolare quelle che con me vivono la Quaresima, tempo di ritorno alla Verità, che è Dio.

Antonio Riboldi – Vescovo

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