Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 26 maggio 2013

DOMENICA DOPO PENTECOSTE della SANTISSIMA TRINITÀ


L'icona della SS: Trinità

Papa Francesco. "La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani"



Franciscus - miserando atque eligendo

Il tweet di Papa Francesco:
 "Ogni volta che seguiamo il nostro egoismo e diciamo no a Dio, roviniamo la sua storia di amore con noi" 
(26 maggio 2013)

*


L'Angelus di Papa Francesco. "La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall’alto di una cattedra, ma camminando con l’umanità, nella storia del popolo d’Israele e soprattutto in Gesù di Nazaret"


Il segno (...)indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
Cari fratelli e sorelle, buon giorno Questa mattina ho fatto la mia prima visita in una parrocchia della diocesi di Roma. Ringrazio il Signore e vi chiedo di pregare per il mio servizio pastorale a questa Chiesa, che ha la missione di presiedere alla carità universale.
Oggi è la Domenica della Santissima Trinità. La luce del tempo pasquale e della Pentecoste rinnova ogni anno in noi la gioia e lo stupore della fede: riconosciamo che Dio non è qualcosa di vago, 
(...) di astratto, ma ha un nome: «Dio è amore». Non un amore sentimentale, emotivo, ma l’amore del Padre che è all’origine di ogni vita, l’amore del Figlio che muore sulla croce e risorge, l’amore dello Spirito che rinnova l’uomo e il mondo. (...) 
La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall’alto di una cattedra, ma camminando con l’umanità, (...) nella storia del popolo d’Israele (...) e soprattutto in Gesù di Nazaret. Oggi lodiamo Dio non per un particolare mistero, ma per Lui stesso, «per la sua gloria immensa», come dice l’inno liturgico. Lo lodiamo e lo ringraziamo perché è Amore, e perché ci chiama ad entrare nell’abbraccio della sua comunione, che è vita eterna.
Affidiamo la nostra lode alle mani della Vergine Maria. Lei, la più umile tra le creature, grazie a Cristo è già arrivata alla meta del pellegrinaggio terreno: è già nella gloria della Trinità. Per questo Maria, la nostra Madre, la Madonna, risplende per noi come segno di sicura speranza
(...) e di consolazione e ci accompagna nel cammino.   (...)
Cari fratelli e sorelle, ieri, a Palermo, è stato proclamato Beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. (...) Lodiamo Dio per la sua luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!
Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti, le famiglie, i gruppi parrocchiali venuti da Italia, Spagna, Francia e tanti altri Paesi. Saluto in particolare l’Associazione Nazionale San Paolo degli Oratori e dei Circoli Giovanili, nata 50 anni fa al servizio dei giovani. Cari amici, San Filippo Neri, che oggi ricordiamo, e il Beato Giuseppe Puglisi sostengano il vostro impegno. Saluto il gruppo di cattolici cinesi qui presenti, che si sono riuniti a Roma per pregare per la Chiesa in Cina, invocando l’intercessione di Maria Ausiliatrice.
Rivolgo un pensiero a quanti promuovono la “Giornata del Sollievo”, in favore dei malati che vivono il tratto finale del loro cammino terreno; come pure l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Grazie per il vostro impegno! Saluto l’Associazione Nazionale Arma di Cavalleria, e i fedeli di Fiumicello, presso Padova.
Buona domenica a tutti!, e buon pranzo!

*
Un’omelia incentrata sulla Solennità della SS. Trinità, spiegata ai bambini con la semplicità di un catechista. Tra domande a ripetizione e risposte vivaci e sollecitate a voce alta, Papa Francesco ha dialogato questa mattina con i bambini della Prima Comunione della Parrocchia (...)

*

Ansa
Tra lo scherzo e la riflessione, il Papa, rivolto ai fedeli e al parroco della chiesa dei santi Zaccaria e Elisabetta a Prima porta che, alla estrema periferia nord di Roma, si definiscono "sentinelle della città", ha detto queste parole, prima di cominciare a celebrare la (...)


*




A distanza di 73 giorni dalla sua elezione, oggi, all'ora dell'Angelus si è potuto vedere, per la prima volta, appeso alla finestra dello studio di Papa Francesco il drappo raffigurante lo stemma pontificio. --Spiegazione dello stemma (“miserando atque eligendo”). Lo scudo. Nei tratti, essenziali, il Papa Francesco ha deciso di conservare il suo stemma anteriore, scelto fin dalla sua consacrazione episcopale e caratterizzato da una lineare semplicità. Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero. (...)

La Santissima Trinità



L'incontro d'Abramo con i tre uomini fin dai tempi antichi è diventato soggetto dell'arte religiosa. Una delle più antiche rappresentazioni di questo avvenimento è il mosaico della metà del VI secolo nella chiesa di San Vitale a Ravenna.
I tre giovani stanno seduti a tavola sotto la guercia di Mamre, aspettando il pasto. Parlano l'uno con l'altro, questo testimoniano i caratteristici gesti delle mani. Le loro teste sono attorniate da nimbi. Chi sono questi tre personaggi? Già nella Bibbia è detto che ad Abramo è apparso lo stesso Dio. A chi di questi tre Abramo si è rivolto con l'appellativo "Signore!"?
L'interpretazione dell'apparizione dei tre pellegrini ad Abramo è uno dei problemi più difficili. Alla base dell'insegnamento cristiano c'è il dogma della trinità dell'unico Dio: Dio esiste in tre ipostasi, Dio-Padre, Dio-Figlio e Dio-Spirito Santo. Tre ipostasi di Dio, indivisibili e inconfondibili, è la consustanziale Santissima Trinità. Gesù Cristo è il Dio-Figlio, apparso agli uomini in forma corporea, "sotto l'aspetto del servo", è il Logos, il Verbo di Dio, che contiene in sé tutta la pienezza ed il senso dell'essere. Su Gesù Cristo, il Figlio di Dio, nel momento del battesimo, scese lo Spirito Santo, e si sentì "la voce del cielo che diceva: Questo è il Figlio mio prediletto". Questa voce era quella di Dio-Padre. Tutto l'episodio era la rivelazione della Santissima Trinità, della Trinità Neotestamentaria.
L'incomprensibilità della Santa Trinità era riconosciuta già dal momento in cui questo dogma venne accettato dalla Chiesa (nel IV secolo). Già nel II secolo uno dei Padri della Chiesa, s. Giustino il Filosofo, insegnava, che anche se la "Sacra Scrittura dice che Dio si è rivelato ad Abramo... questo non era il Dio-Padre. Dio-Padre è stato sempre nei cieli, non si è mai rivelato a nessuno e con nessuno ha mai parlato direttamente". E s. Giovanni Crisostomo diceva, che "ad Abramo erano apparsi insieme gli angeli con il loro Signore". Questo veniva capito anche nel senso che ad Abramo era apparso Dio-Figlio con due angeli. Invece s. Agostino pensava che ad Abramo sono apparsi tre angeli sotto forma di pellegrini, che erano mandati da Dio e personificavano Dio. L'argomentazione dei Padri della Chiesa nel valutare questo fatto, di cui stiamo parlando, non si distingue in coerenza e rigore. Anche nelle deduzioni essi si contraddicono.
Nonostante questo, nell'Europa occidentale, si è consolidato l'insegnamento di s. Agostino. Questo ha trovato la sua espressione nell'arte fino a tempi molto più tardivi: l'illustrazione di questo può essere il quadro della scuola di Rembrandt, "Abramo e i tre angeli".
Nella Rus' invece si è consolidata l'idea che sotto la forma dei tre pellegrini, che visitano Abramo, si nasconde la Santissima Trinità, cioè il Dio Trino e Uno. E siccome questa visita ebbe luogo molto prima dell'incarnazione umana del Dio-Figlio, che ha portato il Nuovo Testamento, la Trinità apparsa ad Abramo viene chiamata Trinità Veterotestamentaria.


L'immagine della Trinità Veterotestamentaria, come rappresentazione del Dio Trino e Uno, si è formata precisamente nella Rus' antica e, nel profondo, non ha analogie nell'arte religiosa rappresentativa a livello mondiale.
L'idea di consustanzialità, d'indivisibilità e d'inconfondibilità delle ipostasi della Santissima Trinità ha ricevuto la sua più piena espressione nell'opera di Andriej Rubliov.
Nell'icona di Andriej Rubliov non sono rappresentati né Abramo, né Sara. Anche tutti i dettagli e i particolari del racconto biblico sono omessi come non essenziali. L'immagine presenta proprio la Santissima Trinità ed è così concreta, come lo stesso dogma sulla Trinità.
L'immagine è costruita in una composizione semiovale, poiché l'ovale è il simbolo della perfetta uguaglianza ed equilibrio. Come se di questa icona ne avesse parlato Gregorio Palamas: "Ecco il Dio Uno è tre ipostasi, e le tre ipostasi sono un Dio Uno".
Le ali degli angeli, che si toccano e soprappongono, separano uno spazio indefinibile, nel quale si forma il piano divino, separandolo dallo spazio normale. Insieme a questo, la prospettiva rovesciata e la composizione semiovale creano uno speciale effetto forte, a quelli che guardano l'icona sembra di trovarsi nel suo fuoco: il Dio Trino e Unico determina, ora e per sempre, la loro sorte personale, la sorte di ogni singolo uomo e la sorte di tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il centro composizionale dell'immagine è la coppa con la testa del vitello che sta sulla tavola. Qui troviamo il simbolo del sacrificio, che il Dio Trino e Uno compie per la redenzione dei peccati degli uomini. Manda alla crocifissione e alla morte il Figlio che s'incarnerà ad immagine dell'uomo. Entrando nel mondo sotto forma umana, Dio-Figlio accetta l'infanzia umana, le umiliazioni e le sofferenze umane, la dolorosa morte in croce e la resurrezione come uomo.
Le dita delle mani divine benedicono il sacrificio espiatorio. I nimbi, bianchi "come la luce", splendono sopra le ali degli angeli di una luce di santità non terrestre. In questa raffigurazione della Santissima Trinità, chi è Dio-Padre? Chi è Dio-Figlio? E chi è Dio-Spirito Santo? Molti hanno provato a rispondere a queste domande. Però non si sono trovati segni chiari che potessero aiutare a fare una distinzione tra le ipostasi.
L'essenza della Trinità e incomprensibile. La Trinità è indivisibile. C'è un limite nella possibilità di penetrazione del grande mistero della Trinità da parte dell'uomo. Andriej Rubliov è riuscito ad arrivare a questo limite... La "Trinità" di Rubliov è diventata un modello per gli iconografi russi. Sono apparse molte raffigurazioni in cui è stata riprodotta la composizione di Rubliov. Però tutte queste imitazioni e "riproduzioni" cedono il posto al prototipo.
Al Concilio dei Cento, svoltosi a Mosca nel 1551, lo zar Ivan il Terribile chiedeva: "Adesso gli iconografi disegnano una croce nel nimbo dell'angelo che sta nel mezzo, oppure nei nimbi di tutti e tre gli angeli, invece sulle icone antiche tale croce nel nimbo non era disegnata". Lo zar chiedeva "di vedere, secondo i divini canoni, come era opportuno dipingere questo". La decisione del Concilio dice: "Gli iconografi devono dipingere le icone come nei modelli antichi, come Andriej Rubliov, e sottoscriverle: "Santissima Trinità" e non devono fare niente a modo loro".


In questo modo, era proibito già da allora, prendersi l'audacia di distinguere fra le ipostasi della consustanziale Trinità... Però gli iconografi hanno creato immagini della Trinità ("Trinità Neotestamentaria), che contrastavano pienamente con la concezione dell'eterno e inconcepibile Dio Trino e Uno. Un esempio palese di questa classe di icone è l'icona di Novgorod, la "Paternità".
Dio-Padre, "mai visto da nessuno", è rappresentato come un anziano con canizie, "Vecchio di giorni", Dio-Figlio è raffigurato sotto forma di fanciullo che sta seduto sulle ginocchia del Padre e regge nella mani una sfera azzurra con dentro la colomba: lo Spirito Santo.
Dio-Padre non si può vedere né rappresentare. Attraverso il suo figlio, Dio si è rivelato sotto forma di uomo, durante il tempo del suo soggiorno tra gli uomini, però Dio-Figlio era "prima di tutto" e sarà sempre e non sappiamo come era il suo volto, prima dell'incarnazione. La rappresentazione di Dio-Figlio sotto forma di fanciullo seduto sulle ginocchia di Dio-Padre è un'inaccettabile ed è una non canonica applicazione del tempo a Dio, la cui esistenza non ha né inizio né fine. Se Dio-Figlio adesso è un fanciullo, questo vuol dire che "era tempo" quando Lui non esisteva, e "sarà tempo" quando Lui "crescerà", però tutti questi cambiamenti sono di ordine temporale e non trovano nessun senso nell'ordine eterno.
Lo Spirito Santo è raffigurato come una colomba. Dio-Spirito Santo si è rivelato agli uomini sotto forma di colomba, durante il battesimo di Gesù Cristo, ed anche sotto forma di lingue di fuoco che scendevano sugli apostoli. Come era lo Spirito Santo nel suo Essere, fuori del tempo e dello spazio, non lo sa nessuno.
Le icone della "Trinità Neotestamentaria" erano dipinte ogni tanto dagli iconografi. La Chiesa di solito si rapporta ad esse con prudenza e spirito critico e proibisce di dipingere alcune di esse.

SANTISSIMA TRINITÀ


DOMENICA DOPO PENTECOSTE
SANTISSIMA TRINITÀ

Anno C - Solennità 
In questa domenica, Solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù manifesta ai discepoli il suo rapporto con il Padre e lo Spirito Santo. Molte cose ha ancora da dire, ma per il momento quanti lo seguono non sono capaci di portarne il peso. Sarà lo Spirito Santo a guidarli a tutta la verità:



«Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà».



Su questo brano evangelico una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 



Si sono appena compiuti i 50 giorni della Pasqua. Abbiamo ancora negli occhi le lingue di fuoco della Pentecoste. Il Vangelo di oggi ci porta, con i discepoli, attorno alla mensa di Pasqua, nell’ultima cena, dove il Signore Gesù ci apre uno spiraglio sul mistero d’amore che unisce il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo: il mistero della Trinità. “Le tre persone divine stanno in tale comunione fra loro che possono essere immaginate solo come ‘danzanti insieme’ in una danza comune: il Figlio è completamente nel Padre, e con il Padre, il Padre completamente nel Figlio, e con il Figlio, e ambedue trovano la loro unità mediante il vincolo dello Spirito Santo” (G. Greshake, La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, p. 31). Cristo ci rivela il Padre, e donandoci lo Spirito ci rende “icone di Dio”, ci riconduce al Padre. Questo mistero d’amore, questa “relazione” – e quindi questa festa che celebriamo – non è la definizione di una verità, un dogma solo da credere, lontano da noi. È piuttosto entrare in comunione con le sorgenti stesse della vita: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’Unica e indivisa Trinità, la primordiale comunità d’amore nella cui immagine siamo stati creati. Ecco allora l’opera dello Spirito Santo in noi: in questa celebrazione Egli prende Cristo e ce lo dona: diventiamo partecipi del suo Corpo, spezzato per noi, del suo Sangue, versato per noi. Rivestiti di Lui, entriamo anche noi nella “danza divina” della comunione fraterna, della comunità cristiana. È vinta la dispersione e la solitudine: a noi è dato il pegno della vita eterna, di questa “danza divina” d’amore.



MESSALE
Antifona d'Ingresso
Sia benedetto Dio Padre,
e l'unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo:
perché grande è il suo amore per noi.
 
Colletta

O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, f
a' che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l'unico Dio in tre persone. Per il nostro Signore...

Oppure:

Ti glorifichi o Dio, la tua Chiesa, contemplando il mistero della tua sapienza con la quale hai creato e ordinato il mondo; tu che nel Figlio ci hai riconciliati e nello Spirito ci hai santificati f
a' che, nella pazienza e nella speranza, possiamo giungere alla piena conoscenza di te che sei amore, verità e vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  Pro 8, 22-31
Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata.
 

Dal libro dei Proverbi
Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all'origine.
Dall'eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
pri­ma che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 8
O Signore nostro Dio, 
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.

Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.


Seconda Lettura
  Rm 5, 1-5
Andiamo a Dio per mezzo di Cristo, nella carità diffusa in noi dallo Spirito.
 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a que­sta grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. 
 

Canto al Vangelo
   Ap 1,8
Alleluia, alleluia.

Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo:
a Dio che è, che era e che viene.

Alleluia.

  
  
Vangelo
  Gv 16, 12-15
Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve l'annunzierà.
 



Dal vangelo secondo Giovanni


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.


Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».


*

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la domenica della Santissima Trinità 2013. Come di consueto, il presule propone anche una lettura (quasi) patristica.






LECTIO DIVINA
L’Amore divino fonda e svela l’amore umano.

Il Dio vicino: la Trinità, di cui noi siamo Tempio.
Festa della SS.ma Trinità – 26 maggio 2013
Rito romano
Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15
Rito ambrosiano
Gen 18,1-10a; Sal 104; 1Cor 12,2-6; Gv 14,21-26
1) Dalla Croce alla Trinità.
Nella Croce di Gesù tutta la santissima Trinità è coinvolta: coinvolta nell'Amore e per Amore! Molti antichi dipinti occidentali raffigurano il Crocifisso sostenuto dalle braccia del Padre, scelgo quello del Masaccio (a Firenze, in Santa Maria Novella) dove lo Spirito Santo sotto forma di colomba è tra la testa del Padre ed il capo coronato di spine di Cristo. E’ vero! Tra il Padre e il Figlio c'è una misteriosa, comunione di amore. Per questo Gesù ha potuto dire dalla croce senza esitazione: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Tra il Padre e il Figlio c'è una perfetta, spirituale comunione d'Amore! Per questo, morendo, Gesù ha potuto esclamare con filiale fiducia: “Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito” (Lc 23,46). E da questo momento l'umanità di Gesù, attraversata dall'atto di Amore che unisce il Figlio al Padre dall'eternità, è diventata sorgente di vita filialeper tutti coloro che si aprono a Gesù nell'umiltà della fede: “A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).
Se Dio è così, se questa è la via attraverso la quale egli ci salva (ed è così!) la Trinità non è un mistero remoto, irrilevante per la nostra vita. Queste tre Persone divine che ci sono più “intime” nella vita: non sono infatti fuori di noi, come la stessa moglie o il marito o i figli o gli amici, ma sono dentro di noi. Esse “dimorano in noi” (Gv 14, 23).
Un esempio grande di come la Croce sia via alla Trinità ci è dato da San Francesco d’Assisi. Contemplando il Verbo incarnato e crocifisso, questo grande Santo visse l’amore del Dio-Trinità, che si dona a lui e lui, Francesco, rispose a sua volta con piena dedizione.
San Francesco mutato nel cuore divenne simile a Cristo anche nel corpo, con le stigmate. Condotto dallo Spirito tra i lebbrosi, il Santo di Assisi condivise la misericordia che aveva ricevuto da Dio Padre, ricco di misericordia. San Francesco capì e ci fa capire che l'atto del morire del Cristo è il dono che Egli fa del suo Spirito. E se il Cristo ci dona il suo Spirito, noi diveniamo membra del Cristo, viviamo la sua Presenza.
Sulla Croce Gesù donò il suo Spirito e in quel momento lo ricevettero in pochi, perché in pochi (la Madonna, San Giovanni e Santa Maria Maddalena) erano rimasti ai piedi della Croce. Poi, nel giorno della sua Resurrezione, la domenica, quando Egli entrerà nel Cenacolo a porte chiuse lo donò ai dodici: “Ricevete lo Spirito Santo”. Poi ancora lo donò alla Chiesa il giorno di Pentecoste: “Si effonderà su tutti” disse San Pietro. È un crescere continuo di questo dono che oggi è stato fatto anche a noi e che fa di noi “Tempio della Trinità”.
2) Il Dio vicino.
La liturgia della Messa odierna ci ricorda che Dio non è un Dio impersonale, freddo e lontano da noi. In effetti, Lui “è buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Sal 102 [103], 8), “ricco di misericordia, di grazia e di fedeltà” (Ef 4,2 e Es 34, 6). Il Signore non disprezza la polvere di cui siamo plasmati e ci sazia di misericordia e di perdono. 
Affermiamo con grande gioia: Benedetto sia Dio, il Padre e il suo Figlio unigenito e lo Spirito Santo, perché Dio è il Padre, che ci ha amato così tanto da offrirci suo Figlio e da concederci il suo Spirito cosicché possiamo riconoscere Dio come amore infinito.

Niente è più vero, vivificante e confortante per noi che la presenza della Santa Trinità nella nostra vita. Niente, infatti, può esistere o agire oppure divenire perfetto senza le tre Persone divine, senza Dio, tanto che san Paolo non esita di affermare che “in Lui, infatti, viviamo, ci muoviamo e siamo” (At 17, 28).

Dio è vicino e noi lo pensiamo lontano. E' nel reale e negli avvenimenti e noi lo cerchiamo nei sogni e nelle utopie impossibili.
Il vero segreto per entrare in rapporto con Dio è la piccolezza, la semplicità del cuore, la povertà di spirito: tutte cose che vengono frustrate in noi dall'orgoglio, dalla ricchezza e dalla furbizia. Gesù lo aveva detto: “Se non sarete come bambini... non entrerete nel mio Regno” (cfr Mt 18, 3): cioè “non mi sarete vicini” e non aveva certo voglia di scherzare o di prenderci in giro. Il vedere o il non vedere Dio dipende dal nostro occhio: se è un occhio semplice e puro Lo vede, se è un occhio maligno e impuro non Lo vede. Poi, Se per distrazione o superficialità ci si dimentica qualche volta di Lui, ci pensa il dolore o il mistero a richiamarmene la presenza. Certo che il mistero continuava a circondarci, ma è un mistero d’amore. Come il grembo di nostra mamma che ci contenuti e generati alla vita.
Cosa c'è di più vero e di più semplice del grembo di una madre donna che contiene un figlio? Come cogliere il mistero di Chi ci ama?
Il modo più semplice è di essere semplici, intelligenti e saggi come bambini. In loro, nei bambini, c'è una intuizione di base data da Dio stesso. Ma non basta essere piccoli, occorre anche essere poveri. Attenzione, però, perché essere piccoli nel Vangelo non significa essere piagnucolosi e immaturi. E essere poveri, non vuol dire avere abiti frusti, scarpe consumate e case brutte. Piccolo – cristianamente parlando - è chi non pone la sua sicurezza in quelle che è o ha, ma confida totalmente nella paternità di Dio. Povero è chi non trasforma in idoli le cose che possiede e sente nel profondo che nulla riuscirà a saziarlo se non Dio Amore.
3) La Trinità: un mistero che ci rivela Dio e che rivela chi siamo noi.
Nei confronti della Trinità, la cosa più importante non è speculare sul mistero, ma rimanere nella fede della Chiesa che è la “nave” che porta alla Trinità.
Siamo condotti a un Dio che “Amante (Padre), Amato (Figlio) e Amore (Spirito Santo)” (Sant’Agostino), che è amore e dialogo, non solo perché ci ama e dialoga, ma perché in se stesso è un dialogo d'amore. Ma questo non rinnova soltanto la nostra concezione di Dio, bensì anche la verità di noi stessi. Se la Bibbia ripete che dobbiamo vivere nell'amore, nel dialogo e nella comunione, è perché sa che siamo tutti “immagine di Dio”. Incontrare Dio, fare esperienza di Dio, parlare di Dio, dar gloria a Dio, tutto questo significa - per un cristiano che sa che Dio è Padre, Figlio e Spirito - vivere in una costante dimensione di amore, di dialogo e di dono. 
La Trinità è un mistero davvero luminoso: rivelandoci Dio, ha rivelato chi siamo noi.
Nella comprensione di questa rivelazione ci sono di particolare aiuto ed esempio la vergini consacrate. Con la pratica dei consiglio evangelici di castità obbedienza e povertà questa donne che si sono donata completamente a Dio vivono con particolare intensità il carattere trinitario, che contrassegna tutta la vita cristiana. La castità delle vergini, in quanto manifestazione della dedizione a Dio con cuore indiviso (cfr 1 Cor 7, 32-34), costituisce un riflesso dell'amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria. La povertà, vissuta sull'esempio di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8, 9), diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. L' obbedienza, praticata ad imitazione di Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre (cfr Gv 4, 34), manifesta la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia, che è riflesso nella storia dell' amorosa corrispondenza delle tre Persone divine. (Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Post-sinodale Vita Consecrata, n. 21)
ELEVAZIONE ALLA SANTISSIMA TRINITA'
Beata Elisabetta della Trinità (1880 - 1906)
O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m'immerga sempre più nella profondità del tuo Mistero.
Pacifica la mia anima, rendila tuo cielo, tua dimora prediletta, luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta, interamente desta nella mia fede, tutta in adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino a morirne. Ma sento la mia impotenza, e ti chiedo di "rivestirmi di te", d'identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua vita. Vieni in me Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per imparare tutto da Te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissare Te e restare sotto la tua grande luce. O mio Astro amato, affascinami perché non possa più uscire dalla tua irradiazione.
Fuoco consumante, Spirito d'amore, "discendi in me", affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, "coprila della tua ombra", e non vedere in lei che "Il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio tutto, mia beatitudine, solitudine infinita, immensità in cui mi Perdo, mi abbandono a Voi come una preda.
Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l' abisso delle vostre grandezze.
*
LETTURA (QUASI) PATRISTICA
Dal Libro della più alta verità (Dat boec der hoechster waerheit) di Giovanni Ruusbroec, scritto per i monaci della Certosa di Herne (o Hérinnes).
Livre de la plus haute verité, 8 11. Oeuvres, Bruxelles Paris, 1921, t. I1, 211  218. 
Vi descriverò come l'uomo interiore fa l'esperienza dell'unione con Dio non mediata.
Quando un uomo si eleva verso Dio con tutto se stesso con tutte le sue forze, e vi si consacra con amore vivo operante, sente nel fondo del suo essere un amore dilettevole e senza limiti. Egli prova una gioia estrema in questo fondo donde proviene e ove ritorna questo amore.
Se poi con il suo amore operante egli vuole penetrare più addentro in quell'amore dilettevole, allora tutte le potenze della sua anima devono cedere e accettare di patire la verità e la bontà di Dio, cioè Dio stesso.
Sapete che l'aria è bagnata dalla lucentezza e dal calore del sole; vi è noto che Il ferro, quando è tutto penetrato dal fuoco, scalda e illumina come il fuoco stesso. Anche l'aria, se fosse dotata di ragione, potrebbe dire: "Rischiaro e illumino il mondo intero". Tuttavia, ogni elemento conserva la propria natura e il fuoco non diventa ferro, cosi come il ferro non diventa fuoco.
L'unione non avviene tramite elementi intermedi, perché il ferro è nel fuoco e il fuoco nel ferro; ugualmente, l'aria è nella luce del sole e la luce del sole nell'aria. 
Dio è sempre presente nell'essenza dell'anima. Quando le potenze superiori dell'anima rientrano in se stesse con amore attivo, sono unite a Dio in modo non mediato.
Questa unione è una conoscenza semplice della verità, un sentimento e un gusto essenziale per il bene. Possediamo questa conoscenza e questa esperienza semplici di Dio nell'amore dilettevole ed essenziale, e le esercitiamo mediante l'amore attivo.
Questa conoscenza ed esperienza di Dio, a cui si accede per le potenze dell'anima, supera poi queste potenze, perché il ritorno interiore a Dio esala nell'amore. Eppure le potenze sono necessarie, perché dimorano sempre nella parte essenziale dell'anima.
Ecco perché dobbiamo sempre far ritorno all'amore e rinnovarci in esso, se vogliamo trovare l'amore con l'amore. Ce lo insegna san Giovanni, quando scrive: Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.
Tuttavia, benché quest'unione tra lo spirito amante e Dio sia senza modi intermedi, i due esseri rimangono perfettamente distinti. La creatura non diventa Dio ne Dio diventa creatura, così come ho spiegato sopra nell'esempio del ferro e del fuoco o dell'aria e del sole. 
Abbiamo detto che le cose materiali create da Dio, come il ferro e il fuoco, potevano unirsi senza elementi medianti. A maggior ragione, Dio stesso può unirsi in modo non mediato con i suoi diletti, purché questi si applichino e si preparino a ciò, aiutati dalla grazia.
Per rendere possibile quest' unione, Dio ha ornato di virtù l'uomo interiore e lo ha innalzato alla vita contemplativa. Nell'atto supremo del ritorno verso Dio, l'uomo non sperimenta nessun'altra funzione intermediaria tra 1 (Gv 4,16) se e Dio, se non la sua ragione illuminata e il suo amore operante. Tramite queste attività, egli aderisce a Dio o, per dirla con san Bernardo, è uno con Dio.
Oltre la ragione e l'amore operante, l'uomo è elevato fino all'amore essenziale in una visione pura e scevra di attività. Egli è un solo spirito e un solo amore con Dio, come vi descrissi. Quest'unione  è abituale per i contemplati vi e trascende l'intelligenza. 
4
Finché l'uomo permane in questo stato, è capace di contemplare e di avvertire l'unione non mediata. Sente in se quel tocco di Dio che è un rinnovamento della grazia e di tutte le virtù divine.
Dovete sapere che tale grazia di Dio penetra pure nelle potenze inferiori dell'anima. Essa tocca il cuore dell'uomo, vi produce un amore tenero e provoca un'attrattiva sensibile per Dio.
Il sentimento di questa unione è la nostra beatitudine sovra essenziale. Dio gode allora dei suoi eletti ed essi godono di lui. Questa beatitudine è silenzio nelle tenebre, è quiete. Tale silenzio appartiene all'essenza stessa di Dio, ma è sovra essenziale a ogni creatura.
In quella quiete le persone divine ritornano nell'amore essenziale e vi s'inabissano come in un'unione fruitiva; eppure rimangono sempre distinte, secondo le loro proprietà personali e le loro operazioni.
Secondo il modo delle persone divine, la Trinità è eternamente attiva, mentre secondo la semplicità della sua essenza dimora eternamente nella quiete e senza modo. Ecco perché tutto quello che Dio ha eletto e accolto nel suo amore eterno e personale, lo gode perfettamente nell'unità dell'amore essenziale.
Infatti le persone divine si abbracciano in una reciproca compiacenza eterna. Nella loro unità esse condividono un amore infinito e operoso che si rinnova senza posa nella sorgente viva della Trinità. Infatti, in seno a essa vi è sempre nuova generazione e nuova conoscenza, nuova compiacenza e nuova ispirazione in nuovo amplesso, nuovo torrente d'amore eterno.
Tutti gli eletti, angeli e uomini, dal primo all'ultimo, sono coinvolti in questa compiacenza. Da essa dipendono il cielo e la terra, la vita, l'essere, l'attività e la conservazione di tutte le creature.
Dall'amore divino però è escluso il peccato, che proviene dalla cieca perversità propria alla creatura e che la allontana da Dio. 
Dalla compiacenza divina derivano la grazia, la gloria, tutti i doni in cielo e in terra. Questa compiacenza si manifesta in ogni essere con modo differente, secondo la necessità e le capacità che gli sono proprie. Infatti la grazia di Dio si offre ad ogni uomo e aspetta che ogni singolo peccatore faccia ritorno.
Quando, soccorso dalla grazia, il peccatore consente ad avere pietà di se stesso e ad implorare Dio con fiducia, si scopre sempre perdonato da lui. La compiacenza amorosa lo conduce fino all'eterna compiacenza di Dio, per cui egli è afferrato e risucchiato nell'amore infinito che è Dio stesso.
L'uomo così abbracciato da Dio, va rinnovandosi in amore e in virtù, perché esercita l'amore e partecipa alla vita eterna non appena si compiace in Dio e Dio si compiace in lui.
Se capissimo davvero che l'amore di Dio e la sua compiacenza sono eterne, il nostro amore e la nostra compiacenza verso di lui si rinnoverebbero senza posa, ad immagine delle relazioni tra le persone divine. In esse infatti vi è sempre nuova compiacenza nell'unità, e nuova emanazione d'amore in nuovo amplesso. 
L'amplesso divino è fuori del tempo, senza prima ne dopo, in un eterno presente. Tutto è consumato nell'unità di questo abbraccio; tutto si attua nell'effusione di questo amore, e tutto riceve l'esistenza nella natura viva e feconda della Trinità.
In questa natura viva e feconda, il Figlio è nel Padre, il Padre nel Figlio e lo Spirito Santo in entrambi, L'unità trinitaria è all'inizio di ogni vita e all'origine di ogni divenire. In Dio tutte le creature sono presenti come nella loro causa eterna, condividendo cosi una medesima essenza e una medesima vita con Dio.
La distinzione delle persone divine proviene dalla loro reciproca emanazione. Il Figlio è generato dal Padre e lo Spirito Santo procede dall'uno e dall'altro.
Grazie all'emanazione del Figlio nello Spirito, il Padre crea e ordina ogni cosa, ciascuna nella sua essenza propria. Là, per quanto dipende da lui, Dio ricrea l'uomo mediante le sue grazie e la sua morte in croce; lo adorna d'amore e di virtù, e lo riconduce con se nell'unità divina. 
Nella Trinità, tutti gli eletti sono afferrati e risucchiati nel vincolo dell'amore con il Padre e il Figlio, cioè nell'unità dello Spirito Santo. L'unità trinitaria feconda l'emanazione delle persone divine e nel loro ritorno è legame d'amore eterno e indissolubile.
Tutti coloro che hanno l'esperienza di quel legame d'amore posseggono una beatitudine eterna; sono ricchi in virtù, illuminati nella loro contemplazione e semplici nel loro riposo fruitivo. Quando infatti ritornano nel loro fondo interiore, vedono l'amore di Dio effondersi in essi con tutti i beni e attirarli nell'unità divina. Essi avvertono questo amore come sovra essenziale e senza modo in una quiete eterna.
Ecco perché i beati sono uniti a Dio in modo non mediato, mediato e anche senza differenza. I giusti avvertono l'amore di Dio come un bene comune che si espande in cielo e sulla terra, e sentono la santissima Trinità china su di loro e presente in loro con la pienezza di grazie.



La chiesa non è più un problema, almeno per lui



Sono belle le lampadine che si accendono, illuminano i volti. Che Papa Francesco non abbia partecipato al Concilio, stava in seminario ai confini del mondo, lontano dall’estenuato piano inclinato della guerra tra chiesa e modernità, è un bel taglio di luce. Forse farà la Grande Riforma, o forse no. Il terzo Vaticano, o forse no. Ma in ogni caso, a renderlo lo stupor mundi che è, è una luce diversa: è un Papa che non ha problemi. Non ha il problema del Concilio. Del moderno e del post moderno. Nemmeno, secondo me, dei poveri (i poveri come “problema”, roba da pietose ong). Semplicemente, è un Papa che non ha il problema della chiesa come un rebus da risolvere (quello è il Papa di Moretti: “Non si può fare che scompaio?”). E questo, al mondo d’oggi, è già una cosa che farebbe girare la testa per strada, più di una bella donna.
Quando dissero il suo nome sulla loggia, a molti miei cari amici, e a me di riflesso, il cuore è balzato nel petto. Lucio Brunelli stava in piazza in mondovisione, gli è partito un sorriso trattenuto, dei suoi. Sono partite le mail e gli sms, non ci potevamo credere. Come si sta con un Papa per amico? Io non è che lo conosco. Ma so della sua lunga amicizia con alcuni miei amici, nata attorno alla rivista 30Giorni, che ora non c’è più, e a un rapporto bellissimo con don Giacomo Tantardini, che ora c’è forse più di prima. Di Bergoglio mi avevano parlato. Non come di un candidato, o almeno non a questo giro (mica siamo tutti Messori). Ma come un bel tipo, un vero cristiano, un cardinale addirittura, con cui era scattata qualcosa di più di una umana simpatia. E di molto diverso da una conventicola, da una cordata ecclesiale. Un riconoscimento tutto basato su un modo di vivere il cristianesimo come una storia semplice, e bella. Non fuori dal mondo. Non misticamente inconsapevole. Non è che si debba essere inconsapevoli dei grandi temi – islam, politica, morale, valori non negoziabili, spazi pubblici da occupare o da cui fuggire precipitosamente, coscienza e libertà – tutte cose che il mondo non considera, e che apposta da queste colonne ci piace sparare come missili. Ma la percezione, che in Papa Bergoglio è addirittura fisica, è che prima di tutto il cristianesimo sia un’altra cosa. Un fatto di vita, una storia di uomini.
Giovanni Paolo I (Luciani) ha detto una frase che basterebbe, da sola, a farne un grande Papa: “Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole”. Quanta fatica, quanta morale, quanta “attuazione del Concilio”, quanto blabla clericale spazzato via. Bergoglio, tra le prime cose che ha detto, alla messa di Santa Marta, fregandosene della forma perché la sua forma è la sostanza, ha detto che i discepoli di Emmaus erano “fuori di sé per lo stupore… questo è grande, è molto grande… è lo stupore che viene quando ci incontriamo con Gesù”.
Così è apparso sulla loggia, buonasera. La simpatia per lui, e credo anche quello che suscita nella gente, viene da qui. “Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede. La fede è un dono, è il Padre che ce la dà”. Senza, che serve all’uomo conquistare tutto lo spazio pubblico del mondo, se poi non ci trova se stesso? Sai che palle.
Io, devo dire, sono molto contento di come sono andate le cose, anche con l’altro Papa.Parafrasando Andreotti, protettore di papi, che amava così tanto la Germania da preferirne due, io li amo così tanto i miei due papi che mi sento consolato che ce ne siano due. Sarebbe ingeneroso dire che Benedetto XVI è rimasto intrappolato nella guerra col relativismo, e ora è arrivato un vento nuovo. Ratzinger ha preso su di sé la croce di ricapitolare un secolo di subbuglio teologico, e dipanare la matassa del Concilio per il verso giusto, di riscrivere in tre splendidi libri la persona di Gesù di Nazaret, che si erano un po’ perse le tracce. Sono contento di sapere che ancora sta lì, nel recinto di Pietro, a reggere su di sé questa incombenza. Così che Francesco ne sia libero, e possa camminare con le sue scarpe dove vuole.

Devo anche dire che il Ratzinger che amo di più, a differenza del mio direttore, è quello della semplicità. Quello che soprattutto negli ultimi tempi ripeteva “vedo la chiesa viva!”, e non credo che tutti, nemmeno in curia, vedessero altrettanto, e che all’ultima udienza pubblica disse “anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio”. Il Ratzinger ricco di felicità che disse “abbiamo dichiarato eretici l’amore e il buon umore”, che fu il vero leitmotiv della nostra pazza campagna contro l’aborto. Il Papa insomma della “grande gioia”, il saluto per cui spesso è stato deriso come un timido e impacciato professore. E invece è della stoffa dei buonasera allegri di Bergoglio: loro lo vedono, Gesù. Basta guardarli, e non è che la gente non si accorga. Ed è questo che fa il botto. Quando Ratzinger si è dimesso temevo, sì, l’avvento di un papato da combattimento: un Papa neogollista, finalmente capace di riformare l’istituzione, di fornirsi di una sua force de frappe e fargli finalmente un culo così, al Mondo. A che sarebbe servito?
Invece c’è un Papa che non ha il problema. Questo credo stupisca. Sono contento che il mio direttore abbia usato questa parola, stupore. “I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce”, è un’altra frase, di san Gregorio di Nissa, che ci fa compagnia da tanto tempo. Non serve manco essere teologi. Ce la disse il don Giuss. E’ una frase straordinariamente bergogliana, e io credo che l’affetto di don Giacomo per lui, e di lui per don Giacomo, nascesse da qui. Presentando un libro di Tantardini su Agostino, Bergoglio scrisse: “Alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca. Quando lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo”. Sono le stesse cose che dice ogni giorno, da Curato Universale. E’ questo che cambia il paradigma. Se no come le riguadagni, le periferie esistenziali? Quando parla dei cristiani “tristi, trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità”, ecco che tutte le pippe sul tradizionalismo, sul rinnovamento conciliare, svaniscono come un bel giorno nuovo. Ha colpito persino Patti Smith, una che disse “Gesù è morto per i peccati di qualcuno. Non certo per i miei”, può colpire chiunque, anche un “cazzone avariato” del nostro tempo, per dirla come il timidissimo Hugh Grant di “Notting Hill”, deliziosa commedia sullo stupore dell’imprevisto e della felicità.
(Crippa)

Nessun commento:

Posta un commento