3 Maggio. Santi Filippo e Giacomo Apostoli
Guardate alla forma d'una pietra squadrata:
il cristiano deve essere simile ad essa!
Di fronte a qualsiasi tentazione il cristiano non cade.
Anche se è spinto e, quasi, capovolto, egli non cade.
Una pietra di forma quadrata, infatti,
da qualunque parte tu la giri, sta dritta...
Siate, dunque, squadrati in questo modo,
cioè pronti a qualsiasi tentazione.
Qualunque cosa vi colpisca, non abbia a rovesciarvi!...
S. Agostino
Gv 14,6-14
In quel tempo, Gesù disse a Tommaso: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”.
Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”.
II Commento
I nostri occhi cercano il Padre. Da sempre. "Se quello che i mortali desiderano potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre"; così Telemaco, il figlio di Ulisse, testimoniava nell'Odissea l'angoscia di un figlio alla ricerca di suo padre. In fondo la vita non e' altro che l'attesa di nostro Padre, ed ogni atto che compiamo nasconde l'esigenza insopprimibile. E' orfano chi non può vedere suo Padre. Abbiamo tutti un urgente bisogno di vedere il volto di nostro Padre, di conoscere le nostre radici, di scoprire un punto di appoggio per la nostra vita. La nostra e' una generazione di orfani cui e' stata preclusa la visione decisiva. Come si può vivere senza Padre? Impossibile, devastante. Nella vita morale regna il caos del relativismo, ogni opinione diviene via, verita' e vita. L'esito e' sotto i nostri occhi. Morte, coniugata in aborto, droga, divorzio, anoressia, bulimia, rave, e molto di piu'. "Solo a partire da un’appartenenza posso immaginare un destino. Solo se vengo da qualche parte posso andare verso una direzione" (Claudio Rise'). Vivere da orfani e' dunque vivere disorientati, incapaci di soffrire, senza una spina dorsale. Gli eventi, siano essi felici o tristi, si abbattono sulla vita frantumandola. Chi non ha visto il Padre vive dissipato e senza una meta autentica. Scrive un lucido psichiatra: "Il padre e' colui che espone il figlio all’esperienza del dolore, ed il suo segno è la ferita. Egli impone al figlio un sacrificio, lo sottopone alla prova. La natura della prova consiste nel chiedergli di affrontare la fatica delle rinunce necessarie per crescere bene, riuscire, avere buoni rapporti con gli altri ed essere davvero contento di se'... La ferita inferta dal padre riguarda esattamente questo: costringe il figlio a smettere di pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla e' richiesto per poter vivere e per avere un buon rapporto con gli altri… Il segno del rapporto con il padre e' la “ferita” che il figlio porta con se', nel suo carattere e nella sua concezione della vita, come conseguenza della difficolta' cui e' stato sottoposto, che ha accettato e che ha positivamente superato. Il padre chiede al figlio di non fare del proprio “piacere” la misura ultima del bene e del male… Ma perche' questo accada e' necessario che il figlio attraversi l’esperienza della prova, termine messo al bando da una cultura che ha gettato nel discredito la sensibilità educativa maschile." (Osvaldo Poli).
Nel catecumenato della Chiesa primitiva, alle soglie dell'ultima tappa che schiudeva le porte al Battesimo, ai catecumeni veniva consegnata la preghiera del Padre Nostro. Al termine di un lungo percorso di iniziazione alla fede, fatto di ascolto ed esperienza, il catecumeno apriva gli occhi su suo Padre, autore e origine della sua vita. Lo aveva conosciuto sperimentando la sua presenza, la sua misericordia e il suo amore negli eventi della sua esistenza. La prova del dolore, il crogiolo della Croce ne aveva forgiato l'immagine, sino a renderla conforme a quella di suo Padre. "Sant’Ireneo dice in un passo che noi dobbiamo abituarci a Dio, come Dio si e' abituato a noi, agli uomini nell'incarnazione. Dobbiamo familiarizzarci con lo stile di Dio, così da imparare a portare in noi la sua presenza. Con un’espressione teologica: deve essere liberata in noi l’immagine di Dio, cio' che ci fa capaci di comunione di vita con lui. La tradizione paragona questo con l’azione dello scultore, che stacca dalla pietra con lo scalpello pezzo dopo pezzo, in modo che divenga visibile la forma da lui intuita... poiche' in realtà noi possiamo riconoscere solo cio' per cui si dà in noi una corrispondenza" (J. Ratzinger). Al termine del cammino di fede il catecumeno recava ormai impressa la ferita che sigillava l'appartenenza esclusiva a Dio, la stessa ferita del Signore Gesu', e poteva riconoscere così quanto di lui era più corrispondente al suo essere, Colui dal quale era stato creato ad immagine e somiglianza, suo Padre. “Se l’occhio non fosse solare, non potrebbe riconoscere il sole” (Goethe). Il processo che conduce alla conoscenza del Padre e' un processo vitale di assimilazione, un catecumenato, nel quale, passo dopo passo, il catecumeno giungeva ad accogliere in pienezza l'elezione ad essere cristiano, e, come San Francesco, poteva spogliarsi dell'uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e rivestire l'uomo nuovo, il figlio di Dio: «Non avete ricevuto uno spirito di schiavitu', per ricadere nel timore, ma uno spirito che vi rende figli, col quale gridiamo: Abba, Padre!» (Rm 8,15). Il figlio e' libero, ha imparato a vedere il Padre attraverso la sofferenza che sorge dai passi della propria storia, quelli che conducono, a poco a poco, come in un catecumenato, a compiere la volonta' di Dio. Vedere il Padre e' vedere Cristo, l'unico che ha compiuto la volontà di Dio. Vederlo e' imparare da Lui, lasciarsi attirare nella sua stessa vita che ci trascina nel passaggio dalla morte alla vita attraverso le ferite della Croce. Gesu' e' via, verità e vita, perche' percorre per noi e con noi la via dolorosa, quella che attende ogni giorno i nostri passi. Verità e vita perche' via autentica, che non rigetta nessuna sofferenza, che conduce al luogo che Lui ci ha preparato, l'intimita' incorruttibile con la fonte della vita eterna, l'intimita' con nostro Padre. Con Gesù si impara ad essere figli e ad obbedire dalle cose che patiamo, passando dall'infantilismo che fa "del proprio “piacere” la misura ultima del bene e del male", alla maturita' di chi puo' soffrire per compiere il bene autentico. Gesu' e' via, verita' e vita perche' ci insegna a vivere nel Getsemani, il luogo dove scaturisce, puro e abbandonato, il grido liberante: "Abba', Padre! Tutto ti è possibile, allontana da me questo calice! Non però quello che io voglio, ma quello che tu vuoi".
Vedere il Padre con gli stessi occhi di Cristo, il nostro sguardo nello sguardo di Lui, nel quotidiano Getsemani che costituisce la nostra vita. I rapporti con i genitori, con il coniuge, con il figlio, con il fidanzato, con gli amici. La sessualità e lo studio, il lavoro e lo svago, tutto vissuto come figli nel Figlio, smettendo di "pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla è richiesto". Vedere il Padre ci basta, perchè è sapere che esiste una volontà buona, giusta, bella e piena per la propria vita, ed essa coincide con il dono totale di sè. Vedere il Padre è non appropriarsi di nulla e nessuno, è rispettare e accogliere chi ci è vicino. Vedere il Padre è lasciarsi ferire dall'amore che nulla esige per sè ma tutto dona. Vedere il Padre è sapersi amati oltre ogni morte e dolore, di un amore più forte di qualunque peccato. Vedere il Figlio è dunque vedere il Padre, e questo è quanto basta ad ogni uomo per essere felice, in qualunque circostanza. Ed il volto di Cristo si incarna pienamente nella Chiesa, corpo vivente e visibile del Signore. Così chiunque fissi e guardi la Chiesa può vedere Gesù, e, in Lui, il Padre, l'approdo di ogni vita, il destino di ogni uomo. La missione della Chiesa, e di ciascuno di noi, non è dunque altro che essere quello che già siamo, per incendiare il mondo con la luce di Cristo. Essere suoi. Essere uno con Lui. Rimanere nel suo amore. Che Dio ce lo conceda, è questa davvero la Grazia più grande da implorare al Padre nel nome di Cristo: lo Spirito Santo che ci faccia intimi a Gesù, una sola carne e un solo spirito con Lui. Per noi, per il mondo. Perchè i figli, i genitori, gli amici, chiunque abbiamo a cuore possa vedere Dio, e credere in Lui. Quante volte soffriamo, ci scoraggiamo, perchè gli altri non si accorgono di Dio, non ne vogliono sapere. Certo, ognuno è libero, ma per esserlo davvero una volta almeno nella vita deve poter vedere Dio, toccare il suo amore. Poi potrà rifiutarlo. Per questo siamo stati chiamati nella Chiesa. Per questo prima di tutto, prima ancora che pregare per i figli, o per chiunque, è fondamentale chiedere a Dio d'essere suoi sino in fondo. E' l'evidenza di Dio in noi che aprirà al mondo lo sguardo su Dio. E' questo il fondamento della missione della Chiesa, dell'educazione, della testimonianza, della nostra stessa esistenza: "È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono una. La comunione di pace, la fraternità che le caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione e il medesimo sacro legame. Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere" (Tertulliano, Sulla prescrizione degli eretici, 20, 1ss). Esistiamo perche' Gesù possa prendere dimora in noi, e fare di noi, giorno dopo giorno, la comunione di pace e di vita eterna che, come una lettera viva, giunga al mondo intero. Lui il nostro luogo, e con Lui nel Padre, nostra eterna dimora. E noi sua dimora, qui ed ora, nella nostra carne, ed eternamente, in un vincolo d'amore che nulla e nessuno potrà mai distruggere. Anche oggi, e in ogni istante. Che Dio ce lo conceda, al di là di ogni ostacolo frapposto dalla nostra debolezza.
Si un grano del pensar arder pudiera,
no en el amante, en el amor,
sería la mas honda verdad la que se viera.
Se un seme del pensare potesse ardere,
non nell’amante, ma nell’amore,
potrebbe vedere la verita' piu' profonda.
Antonio Machado
Dal Vangelo secondo Giovanni 15,12-17.
Questo e' il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore piu' grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete cio' che io vi comando. Non vi chiamo piu' servi, perche' il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perche' tutto cio' che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perche' andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perche' tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Il commento
"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perche' andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga". Essere scelti da qualcun altro, il mistero che cela la riuscita della nostra vita e' tutto qui. Ogni nostra scelta sorge da questa "prima scelta" nella quale esistiamo. Secondo la tradizione giudaica, erano i discepoli che sceglievano il Rabbi'. Come ciascuno di noi sceglie, o vorrebbe, o si illude di scegliere, la scuola, il fidanzato, il lavoro, la casa, la macchina, il film da vedere, che cosa mangiare, come vestirsi. Al centro della vita ci siamo noi, con il bagaglio di criteri e gusti che abbiamo accumulato; e identifichiamo la liberta' con il poter scegliere in completa autonomia tra le diverse opzioni che ci presenta la vita. Spesso le passioni ci acciuffano e si impadroniscono di noi rendendoci schiavi dei loro impulsi e istinti. Ma assumiamo anch'esse nella grande famiglia della nostra liberta', magari definendole come la loro piu' completa espressione. Rompere i tabu', lasciarsi andare, cogliere l'attimo, sono le grandi conquiste della civilta' moderna che, non a caso, avrebbe finalmente liberato la sessualita' e i suoi orientamenti, i sentimenti, i desideri, le pulsioni e molto altro. Tuttavia, anche dando per buono tutto questo, ci scontriamo con un momento della nostra vita nella quale non abbiamo potuto esercitare alcun tipo di liberta'. E si tratta del momento decisivo, quello che e' alla nostra stessa origine: la nascita, o, piu' correttamente, l'istante nel quale il seme di nostro padre ha trovato accoglienza nell'ovocita di nostra madre ed e' apparso quello zigote che siamo stati tu ed io. Prima di quell'istante nessuno di noi esisteva, nessuno ha scelto di essere lo spermatozoo piu' forte della frotta che tentava di guadagnare l'ovocita al cui Dna donare il proprio.Nessuno di noi ci ha messo nulla, semplicemente eravamo in quel seme lì e in quell'ovocita lì, punto. E siamo apparsi in questo mondo, uno zigote impercettibile, quarantasei cromosomi che contenevano tutto quello che ci avrebbe caratterizzato, il profilo del naso, il disegno della bocca, il timbro della voce, compresi i difetti. Ci siamo poi impiantati nell'utero di nostra madre attraverso il tessuto che tappezza la sua superficie interna, l'endometrio, in un "dialogo biochimico" affascinante nel quale abbiamo messo a frutto la prima cosa imparata, l'amore per il quale i nostri genitori si sono uniti dandoci la vita: da subito abbiamo cominciato ad offrire qualcosa di noi, secernendo le sostanze necessarie all'impianto dell'embrione per unirle a quelle rilasciate dall'endometrio di nostra madre, altrettanto necessarie. Chimica d'amore che rivela l'identita' originaria che ci caratterizza: siamo, per natura, un dono, inscritto nel dono piu' grande che ci ha generato; la nostra vita, sin dalle prime luci dell'alba, e' stata donare come abbiamo ricevuto in dono, amare come siamo stati amati.
L'avverbio "come", "kathós", che appare nel Vangelo, in greco non esprime solo un paragone, ma anche il fondamento e l'origine: l'amore di Cristo e' norma e fondamento di ogni amore. Si potrebbe tradurre anche: "per il fatto che io vi ho amato cosi', che siete stati chiamati dentro questo mio amore concretissimo, amatevi anche voi con questo amore dal quale siate stati chiamati e costituiti, nel quale esistete; lasciate che l'amore che ho effuso in voi, con il quale vi faccio vivere, e alzare la mattina, e guardare alla realta', che questo amore giunga all'altro, chiunque esso sia". Come all'origine della nostra vita biologica non vi e' alcuna scelta da parte nostra, cosi' all'origine della nostra chiamata ad essere cristiani - ovvero di Cristo, suoi discepoli - non esiste alcuna nostra opzione. E' qualcosa di grande, di forte, di scandalizzante. Alcuni potrebbero obiettare che stando cosi' le cose non esiste liberta', esattamente come non siamo stati liberi di nascere o meno. E infatti molti maledicono il giorno in cui sono nati, sino a togliersi la vita. E, per questo, molti divorziano, abbandonano il sacerdozio, la scuola, il lavoro, anche i figli. Ma la prospettiva del Vangelo è molto diversa. E' la prospettiva dell'amore. Esso e' sempre la piu' grande manifestazione della liberta', di quella vera, autentica, capace di donare tutto, anche la propria vita. Le parole di Gesu' ci spingono a risalire la corrente della nostra storia dal momento presente alla sua origine laddove e' stata deposta la nostra elezione, e ancor piu' indietro, sino all'origine della storia dell'umanita', alla sua creazione. In essa e' inscritta e prefigurata la nostra origine e quindi la chiave della nostra identita'. Quanto detto circa la nostra vita biologica vale molto di piu' per quella spirituale: "San Giovanni, nelle prime parole del suo Vangelo, ha riassunto il significato essenziale del racconto della Creazione in quest’unica frase: “In principio era il Verbo”. In effetti, il racconto della creazione e' caratterizzato dalla frase che ricorre con regolarita': “Dio disse…”. Il mondo e' un prodotto della Parola, del Logos, come si esprime Giovanni con un termine centrale della lingua greca. “Logos” significa “ragione”, “senso”, “parola”. Non e' soltanto ragione, ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. E' Ragione che e' senso e che crea essa stessa senso.All’origine di tutte le cose non stava cio' che e' senza ragione, senza liberta', bensi' il principio di tutte le cose e' la Ragione creatrice, e' l'amore, e' la liberta'. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che e' in gioco nella disputa tra fede ed incredulita': sono l’irrazionalità, l'assenza di liberta' e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, liberta' e amore, il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalita' o alla ragione? Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con San Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la liberta'. Per questo e' cosa buona essere una persona umana. Se l’uomo fosse soltanto un prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione e' all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome e' Ragione, essa ha creato anche la liberta'; e siccome della liberta' si può fare uso indebito, esiste anche cio' che e' avverso alla creazione. Per questo si estende, per così dire, una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita rimane buona, perche' all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo puo' essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della liberta' e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama cosi' tanto che Egli ha sofferto per noi, affinche' dalla sua morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata" (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale, 24 aprile 2011).
Dio ha creato tutto per amore, ciascuno di noi e' stato creato per il suo amore, del quale l'unione sponsale dei nostri genitori e' immagine e somiglianza. Alla nostra origine vi e' l'amore, e quindi la liberta' più grande. Essa e' inscritta in noi, nel nostro spirito come nella nostra carne, nel cuore come nelle cellule. E' la liberta' che spinge a donarsi, a spendersi, a tradursi in atti concreti d'amore. E' la liberta' che fa superare ogni confine, quella che percepiamo quando ci innamoriamo, quando inizia qualcosa, qualsiasi cosa: al principio di una storia affettiva, di un fidanzamento, di un matrimonio, come di un'amicizia, alle soglie di un'impresa che ci appassiona, di studio, di lavoro, di svago, al principio vi e' sempre quell'ansia di infinito, quell'entusiasmo che ci farebbe spaccare il mondo. E' quanto descrive splendidamente Peguy:
Così tutto quello che si fa, tutto quello che la gente fa, lo si fa per la piccola speranza.
Tutto quello che c'e' di piccolo e' tutto quello che c'e' di piu' bello e di piu' grande.
Tutto quello che c'e' di nuovo e' tutto quello che c'e' di piu' bello e di piu' grande.
Tutto quello che comincia ha una virtu' che non si ritrova mai piu'.
Una forza, una novita', una freschezza come l’alba.
Una giovinezza, un ardore.
Uno slancio.
Un’ingenuita'.
Una nascita che non si trova mai piu'.
C'e' in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna.
Una partenza, un'infanzia che non si ritrova, che non si ritrova mai piu'.
Ora la piccola speranza
E' quella che sempre comincia.
Quella nascita
Perpetua
Quell'infanzia
Perpetua.
Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici.
(Peguy, Portico del mistero della seconda virtu')
La speranza dell'inizio che scaturisce da una grande felicita' è il volto della liberta' che si fa amore, dedizione, dono. Chi si sente costretto ad amare la propria ragazza? O il proprio marito, o il proprio figlio? Chi non si sente libero nell'affaticarsi in un allenamento che prepara ad una partita decisiva? Chi si vede sottrarre la liberta' nell'affrontare notti di studio in vista dell'esame che schiude le porte all'avverarsi del sogno di una vita, quello di diventare un medico, un ingegnere, un cantante d'opera? Non si sente libero solo chi non ama. Chi ha perduto la felicita' che sgorga dall'amare, chi non spera piu' nulla. Ecco, all'inizio, all'origine della vita vi e' un ardore, una freschezza, una razza che poi, purtroppo, lasciamo cadere tra le pieghe dell'egoismo e dell'utilitarismo, magari per le ferite sofferte, per le delusioni, per le sconfitte. Per questo oggi il Signore ci annuncia ancora una volta la verita', ci invita a guardare alla nostra origine, che e' il suo averci scelti e chiamati ancor prima di essere intessuti nel seno di nostra madre, amati cosi' come saremmo stati ogni istante della nostra vita, anche se nessun occhio umano, in quell'istante, ci aveva visti, scelti quando neanche nostra madre si era ancora accorta della nostra presenza. Alla nostra origine vi e', come una roccia indistruttibile, la gratuita' dell'amore e dell'elezione di Dio, la Grazia della nostra primogenitura ad essere figli di Dio per questa generazione. Scelti per quello che siamo e non per quello che vorremmo diventare, e ditemi se questa non e' la notizia capace di cambiare l'esistenza. Siamo stati scelti con i nostri difetti, debolezze, incapacita'; nessun concorso, nessun esame, nessuna rincorsa per fare innamorare qualcuno. Solo la scelta di Dio, gratuita perche' libera e piena d'amore. Non siamo stati noi a decidere di nascere, come non abbiamo scelto noi di essere suoi discepoli. All'origine della Creazione, come all'origine della nostra vita e della nostra elezione vi e' l'amore di Dio, la liberta' che lo ha mosso a plasmarci cosi' come siamo, bellissimi e perfetti perche' opera sua. La sua scelta e' più forte d'ogni nostro egoismo, di tutti i nostri testardi rifiuti, delle nostre ingannate pretese di autonomia, piu' forte di ogni peccato. All'origine di tutto quello che ci costituisce, all'alba di questo giorno come di tutti gli altri, vi e' la sua chiamata ad entrare nella sua liberta' d'amare.
La sua scelta e' caduta su ciascuno di noi "costituendoci" suoi apostoli, altri Cristo nella storia, perche' "andiamo e portiamo un frutto che non si corrompa", l'opera più affascinante, l'avventura piu' intrigante. Vivere per qualcosa di eterno, un frutto che nulla potra' mai distruggere, il suo amore da infondere nello studio, nel fidanzamento, nel lavoro, nel matrimonio. "Cio' significa che il primo, per cosi' dire, ontologico livello del fenomeno della coscienza consiste nel fatto che e' stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero (le due realta' coincidono); che c’e' una tendenza intima dell’essere dell’uomo, fatto a immagine di Dio, verso quanto a Dio e' conforme. Fin dalla sua radice l’essere dell’uomo avverte un’armonia con alcune cose e si trova in contraddizione con altre. Questa anamnesi dell’origine, che deriva dal fatto che il nostro essere e' costituito a somiglianza di Dio, non e' un sapere gia' articolato concettualmente, uno scrigno di contenuti che aspetterebbero solo di venir richiamati fuori. Essa e', per così dire, un senso interiore, una capacita' di riconoscimento, cosi' che colui che ne viene interpellato, se non e' interiormente ripiegato su se stesso, e' capace di riconoscerne in se' l’eco. Egli se ne accorge: “Questo e' ciò a cui mi inclina la mia natura e cio' che essa cerca!”. Su questa anamnesi del Creatore, che si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza, si basa la possibilita' e il diritto della missione. Il vangelo puo', anzi, dev’essere predicato ai pagani, perche' essi stessi, nel loro intimo, lo attendono. Infatti la missione si giustifica, se i destinatari, nell’incontro con la parola del vangelo, ri-conoscono: “Ecco, questo e' proprio quello che io aspettavo” (J.Ratzinger, Coscienza e verita', Conferenza a Dallas e a Siena, in La chiesa. Una comunita' sempre in cammino). Non vi e' nessuno piu' libero di chi, in un quotidiano e rinnovato inizio, con ardore e dedizione, con slancio e ingenuita', pone la sua vita al servizio della volonta' di Dio, offrendo se stesso al suo amore piu' forte della morte, l'amore piu' grande, quello che "depone" (secondo l'originale greco) la sua anima, la sua vita, per gli amici. Un amore cosi' grande da abbracciare ogni istante e ogni millimetro della vita, dove tutto e' un principio, una nascita e un'infanzia perpetua, come uno zigote che non difende nulla ma che offre ogni sostanza vitale - il tempo, le parole, i beni - all'endometrio che li attende. In quei giorni di tanti anni fa era quello zigote li' ad incontrare quell'endometrio li', cosi' come oggi usciremo con la fidanzata, ceneremo con il marito e i figli, incontreremo Giovanni sulla metropolitana, ci riuniremo con i colleghi, giocheremo la partita di calcetto con gli amici. E ovunque donare se stessi perche' cosi' e' scritto in noi, perche' siamo stati scelti per questo, in un amore che non conosce confini. Perche' non abbiamo scelto noi il fidanzato, e neanche la moglie, come questa scuola o questa Facolta', o il lavoro o di incontrare Giovanni sul metro'. Tutti e tutto sono stati scelti per noi in una scelta piu' grande, l'amore di Dio che si espande e non puo' arrestarsi, che deve giungere ad ogni uomo. Possiamo allora guardare la fidanzata e scoprire in lei scolpite le parole di Gesu', e rintracciarle in noi, e sperimentare la liberta' di una chiamata che ha coinvolto entrambi, l'uno come un dono offerto da Dio all'altro, perche' "vadano e portino un frutto che rimanga". E spariscono allora le nevrosi che sorgono dal nostro dover scegliere, e capire, e poi i dubbi se si e' scelto bene o male. Cosi' per il lavoro, così per la casa, cosi' per lo studio e anche per la macchina, sino alla gonna o alla matita. Perche' tutto ha un'origine celeste, tutto e' un dono scelto per noi, e occorrono occhi per vederlo e cuore per accoglierlo. Da soli non possiamo nulla, ci stringono d'assedio orgoglio ed egoismo; abbiamo bisogno di sperimentare innanzi tutto l'amore che non delude, il perdono e la vittoria sulla morte del Signore, perche' gli occhi dei discepoli si sono aperti solo la sera di Pasqua, quando le loro menti si sono dischiuse all'intelligenza delle Scritture, della Verita' profetizzata nella Parola di Dio. Puo' accogliere tutto e tutti come una scelta d'amore e un dono del Cielo, solo chi ha incontrato Cristo risorto, il Principio che riporta le cose nel proprio giusto ordine, anzi che le eleva oltre il loro primo splendore (Cfr. Orazione Colletta della Messa del mercoledì dell IV settimana del Tempo Pasquale). L'incontro capace di riaccendere l'ardore del principio e liberare la liberta' di amare: "Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita che non era piu' minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, e' il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo il primo giorno. Con cio' celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione, e il Dio che si e' fatto uomo, ha patito, e' morto ed e' stato sepolto ed e' risorto. Celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perche' ora, grazie al Risorto, vale in modo definitivo che la ragione e' più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore è più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perche' sappiamo che ora vale definitivamente cio' che e' detto alla fine del racconto della creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”" (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale, 24 aprile 2011). Di questo amore noi siamo stati scelti quali testimoni, "amici di Gesu' ai quali Egli non nasconde nulla", che ci fa partecipi delle sue cose, dei suoi segreti, della sua intimita'. Amici del Figlio che ci fa entrare nella sua casa, dove ci svela tutti i tesori di suo Padre, la vita che non muore, l'amore che vince il peccato, la bellezza del donarsi senza riserve per vivere l'unica esistenza autentica; nella sua intimita' apriamo gli occhi sulla nuova creazione, guardiamo tutti e tutto come "cosa molto buona", perche' tutto Lui ha assunto, eccetto il peccato, dando nuova origine e nuovo destino a ogni uomo. Lui ci porta nel suo giardino di frutti squisiti, di essi ci sfama per trasformare le nostre ore, le nostre parole, i nostri sguardi, ogni nostra azione in altrettanti frutti deliziosi capaci di sfamare, dare senso e pienezza alla vita di ogni uomo. Non siamo servi, siamo amici, conosciamo le intenzioni e i progetti di Dio, e sono disegnati con i colori della gioia che non si esaurisce, le tinte algide del paradiso. Non siamo servi e schiavi degli eventi, delle relazioni, delle persone; siamo amici e liberi, perche' in tutto e in tutti riconosciamo il mistero di Dio, la sua economia di salvezza, il destino di Gloria preparato per ogni uomo. Nel volto e negli occhi della fidanzata brilla la luce di Cristo, il suo progetto di pace e di felicita', cosi' come in quello dello sposo, dei figli, di tutti. Amici di Cristo siamo amici di tutti, a tutti possiamo offrirci con lo stesso amore con il quale il Signore si offre a noi dandoci vita e vita piena. Liberi nell'amore in ogni istante discerniamo "naturalmente" il kairos ed il luogo dove offrire tutto noi stessi. Scriveva il poeta spagnolo Antonio Machado: "Se un seme del pensare potesse ardere, non nell’amante, ma nell’amore, potrebbe vedere la verita' piu' profonda". I pensieri, gli sguardi, i desideri, le speranze degli amici del Signore ardono nell'amore e non nell'amante, nella sua scelta e non nelle proprie scelte. Gli amici non sono servi che non sanno che cosa vi sia dietro gli eventi, ciechi sull'opera di Dio. Non si perdono dialogando con i propri pensieri sulla bonta' delle scelte, ma lasciano che i pensieri, sul presente, sul passato e sul futuro, ardano nell'amore e non su chi ama, nell'Amore, in Cristo e non in se stessi, nella propria povera carne.Ardere nell'Amore e' lasciarsi afferrare dalla scelta di Gesù, come gli amici si donano all'amico, come Davide si lego' dal primo istante a Gionata. Cosi', radicati nell'Amore, gli amici non perdono mai di vista la Verita' piu' profonda delle cose, che illumina e costituisce ogni relazione, ogni impegno, ogni amore. Perche' la Verita' piu' profonda e' la verità del Principio, l'Origine di tutto, la barra del timone stretta dalle mani di chi conosce la rotta. La Verita' piu' profonda che attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio e che non e' il caso a governare le nostre ore, ma la Parola, la Ragione creatrice di Dio intrisa d'amore, la stessa che fu all'origine della nostra vita e che ha permesso al gamete che fummo di secernere le sue sostanze per impiantarsi nell'endometrio di nostra madre. La Parola creatrice che oggi ci sceglie e conduce ad impiantarci in chi ci è prossimo, per deporvi lo stesso amore. Il frutto sara' la creazione nuova, quella che, generata nell'amore, permarra' per l'eternita', la nuova ed eterna Alleanza nel sangue del Signore, sparso sul Golgota, vivo in quello dei suoi discepoli, i suoi martiri nella storia: "L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, e' predisposta nel piu' profondo della creazione. Si', l’alleanza e' la ragione intrinseca della creazione come la creazione e' il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perche' ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde e' più grande e piu' importante dell’intero immenso cosmo materiale." (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale, 24 aprile 2011).
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