"Creazione e libertà" - http://www.festivalbiblico.it/
Dal Teatro Comunale Città di Vicenza la Lectio Magistralis del prof. Silvano Petrosino su "Creazione e libertà" in data 14 marzo 2013.
Tema 2013
IX° Festival Biblico
«Se conoscessi il dono di Dio» (Gv 4,10a). Fede e libertà secondo le Scritture
Premessa
La nona edizione del festival biblico scommette ancora una volta sulle Sacre Scritture quale libro di fede e di vita, grande codice culturale dell'occidente e proposta di umanità piena. A partire da esse intende offrire a tutti la possibilità di pensare attorno a questioni essenziali per il cammino dell'uomo e delle nostre società. Il tema 2013 «Se conoscessi il dono di Dio» (Gv 4,10a). Fede e libertà secondo le Scritture, in sintonia con l'anno della fede indetto da Benedetto XVI e con le celebrazioni per i 1700 anni dall'editto di Costantino, apre un discorso impegnativo e decisivo, perché si tratta della questione "Dio” e di quell'atteggiamento umano nei suoi confronti che molte religioni chiamano "fede”. Se fino a pochi anni fa molti tendevano a liquidare il discorso "fede” e "religione” come qualcosa di superato e ideologico, oggi la negazione di Dio e delle religioni non è più trendy come si pensava un tempo e la questione sottesa ritorna ad essere questione sensata, aperta e promettente. Gli argomenti evoluzionisti di Dawkins o la critica dennettiana alla fede ispirati ad argomentazioni di stampo positivista possono turbare solo quanti sono stati formati a credere alla Bibbia in modo "letteralistico” e alla scienza in modo "infallibilistico”, mentre l'autentica fede biblica e cristiana in Dio non contrasta con le scienze (che peraltro si sanno imprese differenziate e probabilistiche) perché queste due realtà – come ha visto Pascal – si confrontano non appartenendo identicamente allo stesso ordine di cose. Il Festival biblico 2013 - come promette il titolo modellato su Gv 4,10 - intende approfondire il tema della "fede” alla luce delle Scritture bibliche con attenzione alla sua portata spirituale e umanizzante e mettendolo in rapporto al "dono” e alla "libertà”: facendo questo ci introduce a un'altra domanda cruciale che ha interrogato e interroga profondamente l'umanità moderna e attuale, ovvero la questione se la fede contrasti la libertà umana e l'umana giustizia o non ne sia invece condizione fondamentale di sviluppo e maturità.
Per un primo approfondimento del tema: il dono, la fede, la libertà
Gv 4,10 parla dell'esperienza della fede parlando di un dono. Sul tema del dono, che appare sempre più come un qualificante della forma umana di relazione e di scambio, oggi c'è una ricerca molto viva e interessante. Che cosa accade quando un uomo parla ad un altro uomo? Che cosa accade quando un uomo offre un dono ad un altro uomo? Alla domanda va risposto anzitutto: qualcosa va da colui che dona o parla verso colui che è fatto oggetto di un dono o interlocutore di una parola. La fonte che è nel donante, il fatto che egli un giorno comincia a parlarci e a donarci qualcosa, non può provenire da chi è fatto oggetto del dono o partner del dialogo: essa deve essere semplicemente accolta. Nello stesso tempo va riconosciuto che se un dono non fosse riconosciuto e accolto come tale non sarebbe dono: io non ho ancora ricevuto un dono per il fatto che colui che vuole donare pone qualche cosa accanto a me o opera qualcosa nel mio spirito, senza che io me ne accorga o lo intenda e riceva nel suo carattere di dono lasciandolo vivere in me come dono. Questo vale ancora di più quando il dono è una parola che mi viene rivolta, anche quando si tratta della parola di Dio. Infatti appartiene alla parola che essa dica qualcosa a qualcuno. Quindi proprio la parola, come ogni dono, è una relazione. Tale relazione parte da colui che parla o dona e, in questo senso, non è derivabile da me. Ma essa proprio partendo da lui, va al di là di lui, verso me, verso colui al quale è rivolta: vuole essere udita, compresa ed eventualmente accettata. Rientra in questo processo il fatto che l'uomo ascolti la parola e riceva il dono e li comprenda facendoli propri nella sua responsabilità umana, così che il dono ricevuto si mantenga in lui come dono in atto nel donare. Solo in questi processi – che sono processi di libertà - la parola non è più una semplice emissione di suono e diventa parola e il dono non è un semplice trasferimento di qualcosa, ma diventa dono. Pertanto il processo del donare e del parlare richiede, in quanto relazione, una certa forma di partecipazione da ambedue le parti: il donatore e il donatario. Non si può dividere l'evento del dono in due parti: chi parla e dona compie l'insieme o la totalità di questo movimento di relazione; e d'altra parte colui al quale sono indirizzati la parola e il dono compie parimenti da parte sua questo insieme, quantunque esso derivi dal suo partner. Nel contesto del festival biblico ciò che ci interessa è la posizione dell'uomo/donna quale destinatario del dono e della parola di Dio nell'atto del credere. Nella forza dei suoi sensi, della sua ragione e della sua libertà l'uomo coopera responsorialmente a realizzare l'evento nel quale gli vengono donati da Dio la parola e lo spirito della fede.
La struttura antropologica e sociale del dono e della parola che abbiamo delineato è al cuore di quella che chiamiamo esperienza della fede, sia sul versante profondamente umano e umanizzante, che su quello religioso e sacrale. Alla base di ogni agire e pensare umani vi è infatti sempre un iniziale credere, una pistis, che attraversando il dubbio si trasforma in investimento fiducioso, senza del quale gli atti liberi e i saperi che caratterizzano l'umano esistere non avrebbero vita così come ce l'hanno. Gli atti umani, anche quelli più ragionevoli e calcolati, scaturiscono da atti di fede e di fiducia con cui ci affidiamo, per il futuro, a qualcuno o a qualcosa che ci riguarda o ci interessa: si pensi – ad esempio - a ciò che è alla base dell'esperienza amorosa o dell' intraprendere una nuova iniziativa economica, scientifica, culturale. Nel caso dell'atto di fede cristiano l'affidarsi che costituisce un luogo sorgivo dell'esistenza umana si apre ad accogliere nella libertà la rivelazione gratuita di Dio che la chiama ad una relazione nuova con Lui e con gli altri la quale in certo senso fa rinascere.
L'evoluzione teologica dell'idea cristiana della fede ha condotto a identificarla, non senza l'impulso convergente della teologia biblica e dell'esperienza spirituale, come la risposta libera dell'uomo alla libera rivelazione personale di Dio in Gesù Cristo, e dunque ad assegnarle la struttura antropologica di un'esperienza realmente umana, individuale e sociale, esistenziale e storica. Tale relazione è originata dall'iniziativa della grazia, ovvero dall'azione con cui Dio, liberamente e sorprendentemente, con fatti e con parole, si volge all'uomo e al di là di ogni sua attesa e di ogni suo desiderio chiama la sua libertà a un cammino capace di rifigurare l'esistenza umana alla luce di quella di Cristo. L'esistenza credente che ne scaturisce è tutt'uno con la necessità di vivere esercitando la libertà in un orizzonte più ampio di quello delle pure (e in quanto tali inaccessibili) evidenze empiriche e razionali. Ciò si comprende concentrandosi sull'essenziale dell' esperienza cristiana e dell' «atto del credere» che la concerne da cima a fondo, e cioè su Dio accolto e riconosciuto nella libertà come Amore: il significato della storia di Gesù si manifesta allora, da cima a fondo, quale rivelazione dell'amore deciso e incondizionato – affidabile - di Dio per gli uomini. "«Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui» (1 Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni – scrive Benedetto XVI nell'enciclica Deus caritas est, al n. 1 - esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto». Abbiamo creduto all'amore di Dio – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.” In questo senso la fede può essere solo un atto della libertà.
La libertà è quella caratteristica che fa di ogni essere umano un unico personale originale e irripetibile. Se il vocabolario della libertà suscita un consenso quasi spontaneo, specie nei giovani, perché sembra includere la legittimità di un "vivere senza confini”, in realtà la natura della libertà è chiaroscurale. Se la libertà fosse solo il nome di un protagonismo che si esalta a misura di prestazioni, non si capirebbe come la libertà sia quella capacità per cui ciascuno, in qualche modo, diviene "genitore di se stesso”, quel potere di autodeterminazione che si esercita in una fitta rete di condizionamenti e fonda la responsabilità di me nei confronti di me stesso e degli altri. Essa ci investe di un compito esaltante e rischioso ("decidi di te”) dal quale non possiamo dimetterci. E viene alla luce nelle forme dell'alterità che ci costituiscono (come il corpo proprio) e trovano attuazione sintetica e originaria nella relazione interpersonale e nella coscienza. A dispetto dell'ideale eroico dell'uomo solitario self made man, scopriamo di essere all'origine di noi stessi nel momento stesso in cui facciamo l'esperienza di essere "iniziativa iniziata”, ovvero di essere preceduti. Io posso dire "io” soltanto di fronte ad un altro "io” assoluto come me e assoluto per me e il destino della mia libertà si decide sempre nell'esercizio concreto delle scelte che, più o meno indirettamente, sono scelte a fronte di altri (non è perciò del tutto esatta l'affermazione che si sente comunemente secondo cui "la mia libertà finisce dove comincia la libertà dell'altro”; l'altrui libertà è piuttosto condizione della mia). È a questo livello – antropologico fondamentale – che la realtà della "salvezza” e la questione di Dio trovano un significato per tutti, anche per coloro i quali non giungono a formularli in modo esplicito. Se il tema di Dio riguarda l'assoluto e l'incondizionato che si è fatto carne ed è entrato nel tempo e nella storia intrecciando un dialogo rivelativo e salvifico con l'umanità, sulla base di quanto detto fin qui, esso non può essere "fuori” o "sopra” l'azione e la vita effettiva dell'uomo e anzi, dimostra la sua incidenza e la sua eccedenza proprio nel cuore della nostra esistenza perché l'assolutezza è una qualità della libertà in cui mi trovo posto e incondizionato è il carattere di una relazione che non può essere predeterminata. La questione di Dio si accende e raggiunge la sua determinazione proprio dove, in modo radicale, ne va di me e degli altri.
Essere-nella-fede è il vivere un'amicizia, un'intesa ormai risoluta con Dio che – al di là della dipendenza infantile e della ribellione adolescenziale – accetta le contraddizioni della realtà ed è pronta a farsi carico del prezzo dell'amore e della giustizia che non possono darsi senza libertà. Di fronte al Dono che Dio si fa per noi e alla Parola che ci rivolge – dono e parola narrati nelle Scritture – siamo tutti interrogati: "Dio ci ha dato speranza. Ha cominciato: / Lui ha sperato in noi - / Si dovrà forse dire che noi non speriamo in lui?”.
Possibili declinazioni del tema nei percorsi per il festival
Il tema dell'edizione 2013 inteso nel senso sopra descritto, sarà approfondito attraverso alcuni percorsi fondamentali. Ciascun percorso, secondo l'esperienza ormai consolidata, prenderà forma in diversi linguaggi e modalità comunicative: lezioni e conferenze; dibattiti e confronti; testimonianze; preghiera e meditazione; arte, musica, teatro; animazioni per bambini e famiglie; coinvolgimento delle scuole e delle parrocchie ecc.
Percorso biblico. Il primo percorso è quello biblico, fondamentale e qualificante il Festival. Indagherà il rapporto fede-libertà nelle Sacre Scritture, sia attraverso la ricognizione e la riscoperta di alcune figure della fede presenti nella Bibbia che permettono di porre in luce i dinamismi del credere e anche - poiché il processo è ambivalente - del non credere, sia attraverso la riflessione su alcuni dei principali contenuti della fede biblica (spesso infatti la luminosità dei contenuti della fede mette in fuga molti malintesi, mostrando che si rifiutava una fede che non è quella biblica).
Percorso antropologico. Poiché nella Bibbia l'uomo incontrando Dio apprende se stesso il secondo percorso sarà di carattere antropologico. Svolto sia in chiave filosofica e di scienze umane che teologica questo percorso metterà a tema - anche attraverso le voci di testimoni - l'affidarsi e il credere come atto profondamente umano e perciò ragionevole; approfondirà il significato di ciò che rappresentano per l'esistenza umana la fede, la libertà e il loro intreccio, ovvero se e come la fede fa crescere la libertà (e viceversa); svilupperà, anche in chiave educativa, alcune riflessioni sul nesso tra libera disposizione di sé e obbedienza alla verità.
Percorso sociale. La fede biblica e quella cristiana hanno una dimensione personale che attiene alla coscienza del singolo, ma non è un atto individualistico e intimistico: per la struttura relazionale dell'atto di fede e per il suo manifestarsi nelle pratiche e negli stili di vita alla fede cristiana appartiene una costituiva e irrinunciabile dimensione comunitaria e pubblica. Il percorso attento alla vita della società nasce da questa consapevolezza. Si interrogherà sul contributo che la fede confessata e vissuta ha dato, dà e potrà dare al cammino della città dell'uomo; cercherà di far luce sul diritto alla libertà religiosa (in particolare come elemento essenziale dell'ordinamento civile e internazionale); analizzerà il rapporto tra fede libertà e comunicazione, fede libertà ed economia; fede libertà e tecnica.
(Roberto Tommasi)
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