Omelie della VI^ Domenica di Pasqua <<< dalla Famiglia della Visitazione
MESSALE
Antifona d'Ingresso Cf. Is. 48,20
Con voce di giubilo date il grande annunzio,
fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia.
Colletta
Dio onnipotente, fa' che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede. Per il nostro Signore...
Oppure:
O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore tutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere. Per il nostro Signore...
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura At 15, 1-2. 22-29
È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie.
Dagli Atti degli ApostoliIn quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 66
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Seconda Lettura Ap 21, 10-14. 22-23
L'Angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo.
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostoloL’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.
Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Canto al Vangelo Gv 14,23
Alleluia, alleluia.
Se uno mi ama, osserva la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.
Vangelo Gv 14, 23-29
Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
*
COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO
Il tempo pasquale, di cui oggi celebriamo la sesta domenica, è sicuramente un invito costante e pressante alla gioia, sia per la risurrezione di Cristo che per la redenzione operata da Gesù per tutti gli uomini; eventi questi che ci richiamano a vivere con particolare intensità il mistero della Chiesa che è sorta proprio in virtù della pasqua di Cristo, e la Parola del Signore ci viene incontro nel ribadire che la Chiesa deve essere una comunità d’amore permeata dalla potenza dello Spirito Santo che la vivifica e la rende capace di ricevere e trasmettere la salvezza.
Una Chiesa quindi di tipo universale che si realizzi e si manifesti nelle Chiese dei vari luoghi della terra per essere segno perenne nel mondo della carità di Cristo, stimolo per ogni cristiano e per ogni comunità a rendere credibile il messaggio evangelico nella concretezza delle situazioni quotidiane.
La Chiesa, infatti, non può essere considerata come organismo gerarchico da una parte e come corpo mistico dall’altra, come Chiesa della terra e Chiesa ormai in possesso dei beni celesti.
Sono, queste, due aspetti di una stessa realtà e inscindibili tra loro.
La Chiesa è una sia nella gloria che sulla terra, in quanto la Gerusalemme celeste si intreccia con la storia della Gerusalemme terrestre essendo quest’ultima la continuatrice dell’opera di Cristo.
Gesù è risorto e di conseguenza si è sottratto all’esperienza visibile dei fedeli. Ma ciò non per allontanarsi da essi , bensì per essere più intensamente e profondamente presente nella loro vita quotidiana. È Lui il centro e il principio di unità della Chiesa trionfante, purgante e militante.
Infatti, quel Gesù che sulla terra sui trovava in condizioni di umiltà e nascondimento, una volta risorto ha avuto, presso il Padre, la pienezza della gloria, che non ha tenuto solo per sé ma ha riversato sui suoi fedeli.
Egli stesso lo precisa con le parole proclamate nel brano del Vangelo, allorquando afferma: “se uno mi ama osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Quindi il Signore è con colui che lo ama e osserva i suoi comandamenti, per cui il cristiano, realizzando il messaggio evangelico, cioè amando, riesce a catturare Dio nel suo cuore e non può essere diversamente in quanto Dio è amore e in questa comunione il dialogo con Lui porterà ad amare coloro che Dio ama.
Nella Chiesa si realizzerà ancora di più questo incontro con Dio, essendo la Chiesa una compartecipazione di amore, in cui tutti gli uomini testimonieranno che Dio ama tutti indistintamente.
Credere e amare rappresentano sicuramente un atto di coraggio da parte del cristiano, che si può comprendere solo per il fatto che Cristo ha promesso il dono dello Spirito.
Questo evento risulterà un segno ulteriore della presenza di Dio nel mondo perché, con l’avvento dello Spirito, il cristiano penetrerà più a fondo l’insegnamento di Cristo realizzando un ricordo di Lui non solo come semplice ripetizione , ma anche come approfondimento capace di intuire nuovi sviluppi e rinnovate applicazioni dell’unica esperienza salvifica realizzatasi in Cristo.
Si otterrà così il vero culto da rendere a Dio, un culto santificante perché si avvertirà la presenza dello Spirito Santo che lo anima.
È questo, dunque, lo Spirito di cui ha bisogno la Chiesa nel suo cammino storico per essere fedele alla memoria integrale del suo Signore, una Chiesa che ha il suo culmine nell’Eucarestia in cui fa memoria del suo Signore: non una memoria che si pensa ma una memoria che è presenza reale di Cristo che si realizza per mezzo dello Spirito in modo perenne e sempre nuovo.
È il significato di Chiesa completamente nuovo rispetto a quello che, come dice la prima lettura, invitavano all’osservanza minuziosa della legge di Mosè.
Come afferma San Luca, è lo Spirito Santo che interviene suggerendo agli apostoli e agli anziani una linea di fedeltà nell’amore: fedeltà all’insegnamento di Cristo che ha comandato di diffondere il Vangelo, la lieta novella, superando così l’osservanza esteriore della legge mosaica.
È questa una prova certa che lo Spirito Santo assiste la sua Chiesa illuminando i pastori delle comunità e ispirandoli a vivere in conformità con la vita di Cristo.Ci saranno, sicuramente, nella vita della Chiesa tensioni e difficoltà, ma la barca di Pietro non potrà mai affondare in quanto al timone c’è lo Spirito di Dio.
*
Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche della VI Domenica di Pasqua.
LECTIO DIVINA
Obbedienza è libertà.
Nella Sacra Scrittura l'amore è identificato all'obbedienza, perché l'obbedienza è il dono di sé.
Rito romano
VI Domenica di Pasqua – Anno C – 5 maggio 2013
At 15, 1-2.22-29; Sal 144 (145); Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
Rito ambrosiano
At 21,40b-22,22; Sal 66; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
1) Obbedire è amare.
Nel brano romano del Vangelo di questa VI Domenica di Pasqua, Gesù collega l'amore verso di Lui con l'osservanza della sua parola: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Osservare qui significa sia custodire che mettere in pratica).
Ma perché è così importante obbedire a Dio? Perché Dio ci tiene tanto a essere obbedito? Non certo per il gusto di comandare. Lui è un Padre che vuole dei figli e non degli schiavi. Questi figli sono chiamati ad amarlo mediante l’obbedienza, perchél'amore è realmente un'affermazione dell'altro, di un Altro: è obbedienza, praticate come l'affermazione di una presenza quale criterio e comportamento di vita.
L’obbedienza a Dio è importante perché, obbedendo a Lui, noi facciamo la Sua volontà di bontà e perfezione, vogliamo le stesse cose che Lui vuole, e così realizziamo la nostra vocazione originaria che è di essere “a sua immagine e somiglianza”. Siamo nella verità, nella luce e di conseguenza nella pace, come il corpo che ha raggiunto il suo punto di quiete. Dante Alighieri ha racchiuso tutto ciò in un verso tra i più belli di tutta la Divina Commedia: “e ’n la sua volontate è nostra pace” (Dante Alighieri, Paradiso, 3,85).
Per capire che la parola di Cristo non è un comando d’imposizione ma una legge di libertà amorosa, dobbiamo chiedere al Signore di farci capire che l'amore non è dare ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si vuole anche ciò che gli altri sono, non le loro cose. Non il dono delle proprie cose è amore, ma il dono di sé. Non per nulla nella Sacra Scrittura l'amore è identificato all'obbedienza, perché l'obbedienza è il dono di sé. Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi osserva i miei comandamenti, quello è colui che mi ama, dice Gesù nell'Ultima Cena.1
L'obbedienza cristiana è prima di tutto atteggiamento d’amore. È quel particolare tipo d'ascolto che c’è tra amici veri, perché illuminato dalla certezza che l’amico, che dà la vita per l’amico, ha solo cose buone da dire e da dare all’amico: un ascolto intriso di quella fiducia che ci accoglienti della volontà di Cristo, sicuro che essa sarà per il bene.
L'obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana.
2) Obbedire è vivere nella libertà.
Finché non c’è amore si obbedisce “costretti” da varie regole più o meno rigide e più o meno numerose. Nell’amore si ascolta la volontà dell’amato e si è lieti di metterla in pratica. L’obbedienza cristiana è libera e liberante., per questa obbedienza a Dio coincide anche con “il vero bene dell’Uomo”, di ogni uomo. Per il cristiano, l'amare Dio implica ovviamente l'obbedienza alla Sua volontà in vista di un sommo bene: la pace e l'amicizia con Dio e con gli uomini (si pensi alla “legge delle Beatitudini” data da Gesù durante il suo Discorso della Montagna.
La Madonna è, dopo Cristo, l’esempio più alto di obbedienza, di amore e di libertà. La Vergine Maria ha accolto con libertà suprema il Verbo di Dio. Lei ha “osservato” (=custodito e messo in pratica) fedelmente il dono dell’Amore di Dio, che grazie alla suo sì obbediente si è fatto carne e a posto la sua dimora in noi e tra noi. Lei ha obbedito alla suprema legge dell’amore. Con il suo libero sì, ha fatto sì che la verità e l’amore di Dio entrasse nel cuore di lei e di ogni essere umano, che come lei dice sì al dono di Dio. Allora Dio pone nel cuore umano la sua fissa dimora. Non è un Dio qualsiasi:
è il Dio vivo,
che è amore,
che crea a sua immagine le libertà,
che libera dalla morte con la croce di Pasqua,
che apre all'uomo, nello Spirito Santo, lo spazio infinito della vera libertà.
Credere in questo Dio non è aderire ad una teoria, non è avere un’opinione sul divino e sull’umano. Credere è riconoscere una Presenza che ci ama. In effetti “la fede nasce dall’impatto dell’amore di Gesù con il cuore dell’uomo. La fede è l’iniziativa dell’amore di Gesù Cristo sul suo cuore.”(Benedetto XVI).
3) Amore è felicità.
Un monaco agostiniano, che è rimasto anonimo, ha lasciato scritto: «L’amicizia è una virtù, ma l’essere amati non è una virtù, è la felicità». Prima bisogna essere amati, poi si può amare. Prima bisogna essere contenti di essere amati, poi si comunica questo amore pieno di gioia agli altri, osservando il comando dell’amore.
L'amore per Cristo è la risposta libera e totalealla scelta originaria che Lui ha fatto di noi, una risposta che non può essere vago sentimento, ma passa attraverso l'ascolto attento della parola di verità che Cristo ci ha annunciato, parola di vita, parola che salva, parola accolta, coltivata nel cuore e poi vissuta.
Chi ama veramente il Signore Lo ascolta, Lo segue, si lascia guidare da Lui, perché sa che obbedirgli non è cosa gravosa, ma è segno di amore che dice desiderio, affetto, amicizia, appartenenza. Di più, nel breve passo del Vangelo romano che oggi ci è proposto, l'amore è anche il luogo dell'incontro col Padre, il luogo in cui il Padre e il Figlio Gesù pongono la loro dimora: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola; il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui e faremo dimora presso di lui". Il Vangelo di carità chiede di costruire case di carità, comunità di carità vissuta, che siano segno tangibile della novità di Cristo nella storia, lievito umile, ma fecondo, nella società individualista e conflittuale. Il cuore di queste comunità sono le Vergini consacrate. Questa donne testimoniano chel’amore è il dono di sé, e il dono di sé a un certo momento ha una sua riprova in questo: tu non puoi possedere più nulla dal momento che non possiedi te stesso. Lietamente hanno donato tutto all’Amore e diffondo questo Amore, lietamente.
*
LETTURA PATRISTICA
Questa domenica consiglio due testi di San Tommaso, quindi si tratta di due scritti “quasi” patristici.
Preghiera per l’obbedienza di San Tommaso d'Aquino
“Rendimi, Signore mio Dio,
obbediente senza ripugnanza,
povero senza rammarico, casto senza presunzione,
paziente senza mormorazione, umile senza finzione,
giocondo senza dissipazione, austero senza tristezza,
prudente senza fastidio, pronto senza vanità,
timoroso senza sfiducia, veritiero senza doppiezza,
benefico senza arroganza,
così che io senza superbia corregga i miei fratelli
e senza simulazione li edifichi con la parola e con l'esempio.
Donami, o Signore, un cuore vigile
che nessun pensiero facile allontani da te,
un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi,
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare,
un cuore fermo che resista ad ogni avversità,
un cuore libero che nessuna violenza possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio,
un'intelligenza che ti conosca,
una volontà che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
una fiducia che, alla fine, ti possegga.”
Lettura (quasi) Patristica
Dagli Opuscoli teologici di San Tommaso d’Aquino
La Legge della divina carità
“E’ evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano conoscere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve” (Rm 9, 28).
Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla regola della divina carità. Quando invece è in contrasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta.
Questa legge dell’amore divino produce nell’uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E’ noto infatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). E’ pure la legge dell’amore, che l’amante venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Signore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui ” (1 Cor 6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo della carità, mediante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3, 14). Se perciò qualcuno possedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita.
Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per 1’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola”(Gv14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge.
Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio ”(Rm 8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama.
Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ottenga in noi questo quadruplice risultato.
Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio."
Dagli “Opuscoli teologici ” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote; in Opuscula theologica,II, nn. 1137-1154
*
NOTE
1 Ecco il contesto :
Il brano di questa domenica è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'Ultima Cena, che occupa tutto il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. L'inizio di tale discorso è nel capitolo precedente (13,33) di cui abbiamo ascoltato una parte la scorsa domenica, e un suo ampliamento nei capitoli 15-17. Gesù saluta i suoi prima della sua passione, ma indica loro anche ciò che devono fare in attesa del suo ritorno; le sue parole non sono solo per i dodici ma anche per i discepoli di tutti i tempi. Anche questa volta il contesto è importante, suggerisco quindi di collocarlo all'interno del capitolo 14 che ha questa struttura:
prima parte: La via per giungere al Padre (14,1-14)
seconda parte: La comunione tra Gesù e la sua comunità (14,15-26)
terza parte: la partenza di Gesù e il dono della pace (14,27-31.
*
Enzo Bianchi
Siamo sempre in ascolto dei «discorsi di addio»contenuti nel quarto vangelo, quelli pronunciati da Gesù alla fine della sua ultima cena con i discepoli, prima di essere arrestato sul monte degli Ulivi.
Dopo aver consegnato il comandamento nuovo (cf. Gv 13,34), Gesù ha annunciato il suo esodo da questo mondo al Padre, ma ciò suscita domande tra i discepoli: Pietro, Tommaso, Filippo e infine Giuda, «non l’Iscariota», gli chiedono di spiegare meglio le sue parole (cf. Gv 13,36-14,22). In particolare, la domanda di Giuda è quella che abita anche i nostri cuori di credenti: «Signore, perché tu ti manifesti a noi credenti e non ti manifesti pubblicamente al mondo, a tutti gli uomini?». Anche se abbiamo fede in Gesù, restiamo incapaci di assumere le conseguenze del nostro credere, del nostro aderire a lui, e così ci chiediamo: perché egli non ha compiuto segni, prodigi, azioni straordinarie, in modo da convincere tutti gli uomini? Perché ha scelto l’umiltà, la piccolezza, uno stile di voluto nascondimento? Perché non ha cercato il consenso, servendosi dei mezzi a lui disponibili per ottenere successo? Questa ottica è la stessa dei fratelli di Gesù, i quali lo avevano invitato a manifestarsi al mondo, in modo da costringere gli uomini a credere in lui mediante l’evidenza dello straordinario (cf. Gv 7,4)…
Ma Gesù delude chi ragiona in questi termini, e ribadisce che ciò che conta non è l’ampiezza del consenso, non è la quantità dei «conquistati»; no, l’importante è che vi sia un rapporto personale d’amore nei confronti di Gesù, non l’ammirazione che si può nutrire per un taumaturgo, per un operatore di miracoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora in lui». Tutto avviene in modo invisibile eppure reale, concreto, sperimentabile. Ciò che è decisivo è il rapporto di conoscenza e di amore tra il credente divenuto discepolo e Gesù, «il Signore e il Maestro» (Gv 13,14): in questo modo il credente diviene addirittura dimora di Gesù e del Padre! Sì, la vita cristiana è «vita nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3): tutto ciò è straordinario, ma non visibile agli occhi del mondo; è decisivo per la vita e la salvezza, ma non verificabile da parte degli altri; è verissimo, anzi sperimentabile alla luce della fede, ma non accertabile alla luce della visione (cf. 2Cor 5,7)…
Gesù se ne va e certamente un giorno tornerà nella gloria, alla fine della storia; allora la sua Venuta si imporrà a tutti gli uomini e a tutta la creazione. Ma nel frattempo che intercorre tra la sua morte–resurrezione e la sua Venuta finale, Gesù viene quotidianamente nel cuore del credente che ama, che compie il comandamento nuovo. E affinché questo avvenga, durante la sua assenza fisica dovuta al suo dimorare presso il Padre, vi è da parte del Padre stesso un grande dono: lo Spirito santo, colui che ha funzione di Consolatore, di difensore, di «chiamato accanto» al credente. Lo Spirito ricorda tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, rendendolo presente nella sua comunità e svolgendo la funzione di Maestro interiore capace di illuminare e guidare la vita di ogni cristiano. Nel corso della vita terrena di Gesù, i discepoli avevano il suo insegnamento diretto, ma spesso non lo capivano perché il loro cuore non era in grado di accogliere le sue parole. Ma quando lo Spirito sarà presente nel cuore dei discepoli, allora scomparirà «il cuore indurito» (cf. Mc 16,14), perché il Maestro interiore renderà «il cuore capace di ascolto» (1Re 3,9), renderà il cristiano capace di realizzare le parole di Gesù…
Insomma, il cristiano non è mai solo, ma grazie allo Spirito santo è dimora, casa, tempio della Presenza di Dio (cf. 1Cor 3,16; 6,19). Di più, lo Spirito che rende possibile questa inabitazione del Padre e del Figlio nel cuore del credente, è lo stesso che ci rende consapevoli del dono lasciatoci da Gesù: «la sua pace», cioè la vita piena da lui vissuta, la vera vita. E così quella che era la pace di Gesù è ora divenuta la nostra pace.
Su alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it
Ascensione del Signore Leggi QUI
"Mettendomi in ascolto"
Omelie di don Gianfranco Gaudiano
Chi è don Gianfranco Gaudiano
Su alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it
Ascensione del Signore Leggi QUI
"Mettendomi in ascolto"
Omelie di don Gianfranco Gaudiano
Chi è don Gianfranco Gaudiano
Giorno liturgico: VI Domenica (C) di Pasqua
Testo del Vangelo (Gv 14,23-29): In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Commento: Rev. D. Francesc CATARINEU i Vilageliu (Sabadell, Barcelona, Spagna)
Nessun commento:
Posta un commento