Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 15 gennaio 2016

"Se la vita è annacquata occorre trasformarla in buon vino"


VIDEOCONFERENZE SUL VANGELO DOMENICALE


Gv 2,1-11 se la vita è annacquata occorre trasformarla in buon vino

VIDEOCONFERENZE SUL VANGELO DOMENICALE

Ecco il testo della videoconferenza sul Vangelo de La Parrocchia dell'Invisibile di martedì scorso 12 gennaio a cura di Don Luca Buccheri
12 GENNAIO 2016
Gv 2,1-11
"Se la vita è annacquata occorre trasformarla in buon vino"
di Luca Buccheri 
Nel primo dei "segni" che Gesù compie avviene la trasformazione dell'acqua in vino. La vita è una festa, un banchetto di nozze a cui non può mancare il buon vino della gioia e della gratuità, l'eb-brezza creativa dello spirito che tutto rinnova.
Consigliato il video della canzone “Gracias a la vida" dal vivo di Mercedes Sosa (con sottotitoli in italiano), a cura di Sauro Secci.
Il tema di questa sera è le nozze di Cana e l’abbiamo intitolato "se la vita è annacquata occorre trasformarla in buon vino" Questo è infatti l’inizio del vangelo di Giovanni se togliamo il prologo. E’ l’inizio del ministero pubblico di Gesù ed è bello constatare che inizia con una festa, un banchetto, una festa di nozze. Sembra quasi dire: guardate che questo vangelo che inizia, questa buona notizia del regno di D-o ha a che fare con una festa. Il Vangelo è festa, è gioia, è banchetto, è amore, è amore sponsale, alleanza. DI tutto questo ci parla il brano di questa sera. Quindi rifiutiamo, ma rifiutiamo proprio perché lo prendiamo dal vangelo e dalle sue stesse indicazioni, rifiutiamo un’idea di un cristianesimo del sacrificio, della sofferenza, della tristezza, del dolore, dell’espiazione, della mortificazione. Non fa parte del messaggio che i vangeli ci vogliono dare.
1 Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. 2Fu invi-tato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". 4E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". 5Sua madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. 8Disse loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il ban-chetto". Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo 10e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora".
11Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua glo-ria e i suoi discepoli credettero in lui.
Vorrei procedere quasi parola per parola vista la bellezza del messaggio di queste parole e dei particolari che emergono dal brano.
Il brano inizia con “tre giorni dopo/il terzo giorno”. Il terzo giorno è un’espressione importante perché al terzo giorno si riferiscono diversi episodi della bibbia. Per esem-pio nella Genesi, nella creazione il terzo giorno viene creato il mare e la terra emersa ed è l’unico giorno in cui vengono create due cose: i germogli, gli alberi, tutto il mondo vegetale “ciascuno secondo la propria specie”. Per ben 3 volte è scritto “ciascuno secondo la propria specie” e questa sottolineatura serve per dirci che la biodiversità è una cosa bella, buona cioè D-o quando ha creato, ha creato la biodiversità.
C’è un altro brano in cui si parla del terzo giorno ed è il così detto “sacrificio di Isacco” che invece dovremmo chiamare “la legatura di Isacco”. Ma ce ne è un altro ancora che è quello dell’alleanza: quando Mosè sale sul Sinai e riceve le tavole della legge, anche lì il terzo giorno. E poi quello più famoso: il terzo giorno Gesù risuscita da morte.
Quindi l’espressione “il terzo giorno” ha una grande densità, significa che sta per accadere qualcosa di grande, qualcosa di fondamentale, di “fondativo”. Infatti più che “inizio” in senso temporale possiamo dire che questo è un fondamento, è ciò che sta alla base, cioè quello che accade in questo banchetto di nozze è qualcosa che è fondamentale, come è fondamentale la creazione, come è fondamentale la fiducia nel gesto di Abramo, come è fondamentale l’alleanza con Dio stipulata da Mosè, come è fondamentale la resurrezione di Gesù.
Ci fu uno “sposalizio” non le nozze, è al singolare questo sposalizio. E’ interessante questo singolare perché probabilmente qui non si parla di nozze generiche ma Gio-vanni (che è il vangelo che ha più simboli e quindi lavora per simbolismi) qui vuole attraverso lo spunto di un matrimonio reale a cui Gesù e Giovanni stesso stanno partecipando, vuole vedervi anche un altro matrimonio che è quello di D-o con l’umanità quindi c’è dietro l’idea di un'alleanza; questo matrimonio ha dietro l’idea di un matrimonio tra Dio e l’umanità. Cosa vuol dire?
Qui c’è l’eco di Isaia: “tuo sposo è il tuo creatore” (Is 54,5). Abbiamo molti indizi che ci portano su questa linea. Innanzitutto il racconto di Giovanni non ci parla della sposa e ad un matrimonio quando manca la sposa manca l’essenziale. E questo è già un primo indizio.
Lo sposo è appena accennato, ma solo quando il maestro di tavola vuole fare i com-plimenti allo sposo perché il vino che ha assaggiato è molto buono.
Allora qui probabilmente si allude a questo sposalizio in termini di una alleanza tra D-o e il suo popolo, tra D-o e l’umanità intera. Infatti Maria viene chiamata “donna” e donna richiama Eva della Genesi nella creazione, e Eva vuol dire “madre di tutti i viventi” quindi stiamo parlando proprio dell’umanità dove Gesù è lo sposo. Gesù è l’unico di cui si sa il nome, di tutti gli altri non vengono fatti i nomi.
Allora che senso ha questo sposalizio? Forse vuole dire che D-o ti ama, D-o ci ama, ci vuole come sposare e in sostanza dire “D-o ti ama”, ma dirlo di un D-o che non vedi, che non tocchi, che cosa vuol dire? Vuol dire parlare della Vita, vuol dire che la Vita non ce l’ha contro di te, vuol dire che non ti vuole punire, che la Vita non ti sta punendo; dire che questo D-o vuole sposare l’umanità vuol dire che la Vita ha sempre ragione anche se spesso non ne capiamo le logiche. Se invece ritieni che sei stato penalizzato, che la vita ti sta punendo, che la vita non ti vuole bene, allora, forse questo brano è proprio per te, forse questo brano dice che devi trasformare qualcosa, qualcosa deve essere rinnovato, devi passare dall’acqua al vino. Forse la vita, la tua vita sta piano piano perdendo di sapore, si sta annacquando, comincia a mancare il vino.
E in effetti viene a mancare il vino. Anche questo è molto bello e mi ha fatto pensare che D-o interviene a partire dalle nostre mancanze, dalle nostre assenze, dalle nostre povertà, dai nostri vuoti, cioè il vuoto, l’assenza, la mancanza, la fragilità, la povertà è l’occasione perché D-o, in qualche modo, intervenga. Dai “senza” della vita, della nostra esistenza può venire qualcosa di migliore, qualcosa di più buono, come questo vino che è “più buono” di quello servito nella prima ora. Allora non buttiamo via le nostre fragilità, non buttiamo via le povertà, le assenze, i vuoti, perché forse questi sono l’occasione per un cambiamento, per una trasformazione che ti porterà ad essere migliore di quello che sei adesso.
Maria non dice “non c’è più vino” ma “non hanno più vino” riferito evidentemente agli sposi. Questo mi fa pensare che nella vita di coppia come anche nella vita individuale si rischia di perdere l’amore, si rischia di perdere il senso della gioia, il senso della festa. E’ importante alzarsi la mattina e chiedersi “ma io sono felice? Sto vivendo bene? Sto vivendo una “festa”? C’è gioia dentro di me?” E questo è importante sia nella dimensione di coppia che nella dimensione personale.
Che cosa rappresenta il vino? Il vino rappresenta l’amore, come ci dice il Cantico dei Cantici dove il “vino inebriante” è quasi il linguaggio dell’amore, della passione, dell’amore anche erotico.
Ma il vino è anche la gioia, proprio anche per quella sottile ebbrezza che il vino dà. Il vino mette gioia, mette allegria, quando non scade in ubriachezza e quindi in qualcosa di dannoso e nocivo.
Il vino è gratuità, perché il vino non è necessario, si può campare benissimo senza vino, infatti ci sono tante persone astemie, tra l’altro in un negozio ad Asiago ho trovato un cartello con scritto “qui si fanno corsi di recupero per astemi” questo per dirvi che per qualcuno essere astemi è una bestemmia.
La cosa buona del vino: si può stare senza vino, non è necessario e appunto per questo è qualcosa “in più”, è qualcosa di superfluo.
Il vino rappresenta anche la libertà. Qualcuno dice “in vino veritas” è vero, quando si è un po’ su di giri magari perché si è bevuto un bicchiere in più si diventa più liberi, c’è più spontaneità, magari si vincono anche certe paure. Mi raccomando: questo non è un invito all’alcolismo! Non è in questo senso, ma stiamo cercando di guardare questa cosa anche da un punto di vista simbolico.
Il vino rappresenta anche la novità. L’acqua al contrario, in questa accezione, rappresenta l’abitudine, il compromesso, la mediocrità, la necessità, il dovere; non la gioia ma il dovere; non la gratuità ma la necessità, l’indispensabilità; non la novità ma la tradizione.
L’acqua è necessaria per vivere, ma attenzione, non si può vivere di sola acqua!
Chi si accorge che sta accadendo qualcosa di grave in questa scena dove ci sta Maria, i discepoli, i commensali? Chi si accorge del dramma che si sta consumando? Cioè che sta venendo a mancare il vino? Ed io vorrei che ci immedesimassimo in un banchetto di nozze dove ad un certo punto non c’è più il vino e ti servono l’acqua. Ma aldilà di questa immagine pensiamo all’immagine figurata: sta venendo a mancare l’amore, la gioia, lo spirito di novità, di iniziativa, di gratuità, di libertà.
Si accorge di questa tragedia (è una tragedia anche se si consuma lentamente) Maria. E qui onore alle donne, sono proprio le donne che sanno essere più attente e sensibili a ciò che c’è e a ciò che manca, e vedere e accorgersi delle cose che non vanno. Se in un rapporto ci sono dei problemi, spessissimo, sono le donne le prime a volerlo mollare, a volerlo cambiare, perché hanno quell’intuito tipicamente femminile di accorgersi, di essere attente, di guardare, di non scivolare troppo in quell’abitudine, in quella ripetitività, in quei ruoli… e per fare questo ci vuole CORAGGIO. E le donne hanno più coraggio di scoperchiare le cose che non vanno.
Poi si parla di “sei giare”. Sei è un numero molto bello, 6 è il numero prima del 7. Il 7 è il numero della perfezione, della compiutezza mentre il 6 è l’incompiuto, è come quando inizi un'opera, un viaggio, un progetto e poi resti a metà; è l’incompiuto e questo 6 sembra dire: stiamo attenti a non rimanere incompiuti, a non fare un percorso di trasformazione verso il 7, cioè verso la pienezza della nostra vita, della nostra umanità.
Questo numero Giovanni ce l’ha ben in testa perché poco dopo al capitolo 4 lo ripre-senta con la donna samaritana e lì 6 sono i mariti, gli uomini di questa donna ed an-che lì c’è l’idea che Gesù sia il settimo, sia lo sposo definitivo, ma non lo sposo definitivo (mi perdonino le suore) quello che sposano le suore, non è il matrimonio mistico con Gesù, ma nel senso che Gesù è l’umano compiuto, rinnovato, è la parte migliore di noi, siamo noi nella nostra pienezza e come arrivare a questo 7? Come ti fa arrivare, Gesù, a questa compiutezza? Sposando la tua parte più debole, sposando l’altra parte di te, quella più fragile, quella che non vuoi vedere, quella che quando sei in coppia l’altro ti fa vedere, a cui ti rimanda. L’altro non fa altro che rimandarti a quella parte di te che è la parte di ombra, la parte incompiuta.
E guardate che la mistica ci dice che la parte incompiuta è proprio la parte divina che
è in te e che devi far emergere per compiere la tua umanità e raggiungere la tua pienezza. Ecco lo sposo! Gesù è lo sposo perché fa emergere questa parte, ti dice: abbracciala, sposala, amala, perché attraverso questa tu arrivi alla pienezza. E la pienezza cos’è? E’ questa festa, è questa gioia, è questo banchetto, questa abbondanza, questa sovrabbondanza, questa gratuità, quest’amore! A questo ci vuole portare Gesù sposo.
Il testo dice “sono 6 giare di pietra”. La pietra è dura, pesante, inamovibile, non sono giare di coccio che puoi spostare, tra l’altro sono grossissime perché contenevano circa 100 litri ognuna, quindi erano davvero mastodontiche. Vedete, anche dire che sono di pietra e non di coccio significa dire che c’è una durezza. Queste giare erano “per la purificazioni dei giudei”: erano riempite d’acqua per fare le abluzioni rituali, per purificarsi prima dei pasti, ma qua si sta dicendo che c’è qualcosa di immobile, di freddo, di fisso, di mortale in questo modo di vivere, cioè quando vivi per senso del dovere, quando vivi la vita come espiazione, come un doverti purificare… questo è essere pietra, immobili, vecchi.
La tua vita non cambia attraverso riti e tradizioni vecchie e consunte che magari ti sono state tramandate tali e quali, non puoi crescere se vivi solamente per abitudini, per consuetudini oppure perché “si è sempre fatto così”. Una spruzzatina d’acqua e una lavata superficiale non incidono nel cuore, nella coscienza, non ti restituiscono la vita, la gioia, l’amore, quell’amore che forse, se insisti così, perderai perché si annacquerà.
Le giare contengono solo acqua, il testo non dice che una volta versata l’acqua diventa subito vino ma fa capire che quando l’acqua esce, quando viene versata dalle giare, assaggiata, diventa vino e vino buono, cioè come dire che la trasformazione avviene solo quando esce, cioè c’è bisogno di un esodo, di un uscire, di un muoversi, nell’immobilità della pietra non c’è cambiamento, evoluzione, trasformazione e quindi non si può ritrovare la gioia, la motivazione, la spinta. Allora se ti accorgi che la tua vita si sta piano piano annacquando, devi fare qualcosa, Maria dirà “fate quello che vi dirà”, fate, devi fare qualcosa, non puoi aspettare fatalisticamente che scenda una grazia dal cielo! Ma devi uscire tu, devi avere il coraggio di uscire dai tuoi luoghi di pietra, di metterti in cammino, di metterti dentro un dinamismo nuovo e avere il coraggio di riversarti nella vita perché forse ti sei chiuso troppo e forse non stai più vivendo veramente. Allora devi tornare a vivere e solo così può avvenire la trasformazione in meglio della tua vita e puoi gustare il buon vino dell’esistenza.
Il vino allora è quel “di più”, è la cura del piccolo dettaglio, è questa attenzione alle piccole cose, è accorgersi, è essere consapevoli.
A volte le coppie in crisi, provano a fare un altro figlio, o si comprano una casa al mare, o iniziano a fare una ristrutturazione, pensano magari a cose grandi, a cose che quasi possano portarli a “distrarsi” dal loro rapporto ma in realtà invece quel rapporto tu lo puoi riconquistare solo se doni più attenzione all’altro, se cerchi di stare attento/a ai particolari che sono quelli che fanno la differenza, è il modo di fare le cose.
Mi piace pensare che “il secondo vino è migliore del primo”. Vedete, D-o non bara, non è furbino come facciamo noi che mettiamo prima il vino buono e poi quando la gente è un po’ brilla versiamo quello dozzinale! No, D-o ti dà sempre il meglio, e sempre meglio, e sempre meglio. Se hai questo coraggio di passare attraverso queste trasformazioni, di rinnovare, di fare quello che Gesù, la Vita ti dice, di uscire, il risultato sarà un netto miglioramento della tua esistenza, non solo la festa non sarà rovinata ma conoscerà la sua fase più bella. Così potrebbe essere per tante coppie in crisi, che la seconda fase possa essere più bella della prima. Ma potrebbe anche essere vero per tanti che provano a ripartire dopo un fallimento matrimoniale, dopo un fallimento di coppia e provano a ripartire con un’altra relazione, con un’altra avventura sponsale. Ecco: il secondo vino, quello che viene alla fine può essere addirittura migliore di quello precedente.
“Donna” dice Gesù chiamando sua madre, quasi a dire che non è solo una madre, un ruolo biologico, un legame di sangue. Quanto è importante soprattutto ad una certa età trasformare i nostri legami di sangue e vedere anche in chi ti ha partorito una donna.
Il maestro di tavola “non sapeva da dove venisse quel vino così buono”, ma non era lui il sommelier, il responsabile? Che tra l’altro aveva fatto mancare il vino in questo banchetto. Ma dov’era questo? A parte la sua poca professionalità, capiamo che si può vivere come Maria che vede, interviene, spinge il figlio ad intervenire, e si può essere come il maestro di tavola che non si accorge di niente, che vive la superficie delle cose, non si domanda: “ma cosa sta succedendo?”. Se vivi senza farti domande, senza attenzione e senza responsabilità per ciò o per chi che ti è stato affidato -un lavoro, una famiglia, delle persone, dei bambini...- rischi di farti scivolare addosso la vita e di arrenderti di fronte alle mancanze. Beati, invece, quelli come Maria, che non si arrendono alla banalità, alla superficialità, agli annacquamenti, alle mediocrità della vita e delle relazioni perché sanno che possiamo vivere meglio, possiamo fare qualcosa, c’è sempre qualcosa che si può fare per ritrovare la gioia, per ritrovare il gusto di vivere e trasformare le nostre vecchie abitudini in nuove tradizioni.
“Fate quello che vi dirà”: perché le cose cambino e le relazioni si trasformino non è sufficiente invocare D-o, pregare dalla mattina alla sera perché D-o ci faccia la grazia, perché D-o ci aiuti, ci faccia il miracolo, no, devi fare la tua parte. In un certo senso questo Giovanni ce lo dice anche utilizzando un termine: questo è il primo, non dei miracoli, ma dei segni non è un miracolo, non fa tutto Dio, anche tu devi fare la tua parte.
Questa trascrizione risente dello stile parlato.

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