Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 7 novembre 2013

Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.




Chi stenta ad accettare Papa Francesco forse stenta ad accettare la Chiesa, così come il Signore l'ha fondata e il Papa ci aiuta a comprendere.


Takamatsu, 26 Ottobre 2013 (Zenit.org) Don Antonello Iapicca


Ascolti Papa Francesco e ti appare chiaro e compiuto il Vangelo. Ci stupisce, semina sgomento, in fondo abbiamo sempre pensato alla Chiesa come la nostra casa. Calda, accogliente, le cose in ordine, sempre allo stesso posto, e, soprattutto sicura. Allarme, cani e inferriate a presidiare quello che abbiamo costruito... leggi tutto






James Tissot, Il Buon Pastore
La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto,
era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita
che, nel deserto, non trova più la strada.
Il Figlio di Dio non tollera questo;
Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione.
Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo,
per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce.
La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi.
Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore.

Benedetto XVI, Omelia per l'Inizio del Pontificato




Dal Vangelo secondo Luca 15,1-10.

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».


Il commento
L'invidia corrode i cuori. Non potevano accettare che «tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinassero a Gesù per ascoltarlo». Loro quella gente la scansavano, erano perduti... E invece si avvicinavano a Lui, come le api al miele. Avevano compreso che quella era la fonte viva e gratuita dell'acqua che non avevano mai bevuto. Mentre ci capita spesso di ritrovarci in un angolo, come un pugile stonato, e non riusciamo a tirarci su. Contempliamo una palese ingiustizia e precipitiamo un un abisso di tristezza. Qualcuno molto peggio di noi, qualcuno che ne ha fatte di cotte e di crude è lì a gustarsi l'amore di Dio, perdonato, salvato, risuscitato. E noi invece, siamo incapaci di accettare l'amore di Dio che si «protende ad accogliere» «tutti» i peccatori gratuitamente. Appare in questo Vangelo la gioia incontenibile di Dio per aver salvato una pecora perduta. Tutto contento è Dio se può perdonare un uomo! Diciamolo senza ipocrisia: è proprio il nostro esatto contrario.
Certo ci prodighiamo anche noi per aiutare, salvare, come bravi volontari al servizio degli altri. Ma vi è sempre un prezzo, una promessa strappata al beneficiario dei nostri sforzi, almeno di non essere più come prima, almeno di cambiare, in fondo per contraccambiare. La gratuità ci spaventa. Il nostro cuore, confessiamolo, è una banca con bilanci dalle regole ferree. Ma Dio no. Dio ha sempre i conti in rosso, lascia il successo, la fama, i guadagni sicuri di 99 pecore ben custodite e si lancia alla ricerca di una, una sola pecora che s'è smarrita. Probabilmente la peggiore, la più egoista, persa in se stessa, una di quelle che è meglio perderla che trovarla. E giosce per lei. Non per le altre.
Ma per noi è assurdo e ingiusto, non lo possiamo sopportare. Quante volte i genitori si avvitano cercando verso i figli una giustizia distributiva di attenzioni e cure impossibili, con il risultato, ovvio, di scontentare tutti. Come un professore, o un prete, quando dimenticano il modo unico e irripetibile, perfettamente su misura, con il quale Dio ha amato ciascuno.
Proprio i peccati, infatti, e le loro conseguenze ci hanno resi «unici» agli occhi di Dio, come il suo Figlio, l’unico che doveva morire per tutti, perché «tutti hanno peccato». Nella pecora smarrita della parabola, infatti, è adombrato Lui, l’Agnello di Dio, l’unico «perduto» nella morte per riscattare le altre novantanove che si credevano «giuste», mentre invece vagavano «sperdute» nel «deserto». Nel sepolcro il Padre ha «ritrovato» suo Figlio, lo ha risuscitato «prendendolo sulle sue spalle» e lo ha riportato «a casa»; qui, nella gioia straripante e coinvolgente della Pasqua, è apparso agli «amici» che lo avevano tradito con il perdono di ogni peccato nella carne, e li ha inviati ad annunciare ai «vicini» lo stesso perdono e la «conversione», la gioia di lasciarsi amare. Così la Chiesa è chiamata ogni giorno a «cercare» la «dramma perduta», il fratello più debole e difficile, che la carne vorrebbe dimenticare. Con la «lucerna» della fede accesa nelle tenebre della menzogna, possiamo «cercarlo con cura» e pazienza, «spazzando» via la polvere e l’immondizia che il tempo perduto nei peccati ha lasciato, per riconoscere il volto di Cristo che risplende in lui. 

Questo è il folle cuore di Dio: attraverso la Chiesa, ha amato senza condizioni me e te, pecore perdute dentro le nostre stesse invidie, forse scappate dal gregge perché non comprese, tradite, ingannate. E sporche, ferite, perdute. Arriva oggi il nostro Pastore, che ci conosce e non può star tranquillo sino a che non ci ritrova e ci carica sulle sue spalle. Questo è il cielo, una curva esultante ad ogni gol del Signore, uno di noi strappato alla solitudine dell'inganno del nemico. Anche se alla fine sembra che il Signore perda 99 a 1 fuori casa. In questa sua sconfitta è la nostra vittoria. Siamo suoi. La gioia, la vera gioia, è questo amore. La gioia del Cielo, la gioia di Cristo. Non ve ne sono altre. La gioia piena di restare uniti a Lui e, nascosti nel suo cuore, vivere tutto con Lui, per Lui, in Lui. Ritrovati, amati, trasformati. Solo questa gioia di Dio che ti avvolge mentre sei nelle tenebre più nere può cambiare il cuore. 

Con Lui si vive ogni istante alla ricerca della dramma perduta, ogni nostro fratello dentro le sue debolezze, caduto nei propri peccati. Posare su ciascuno lo sguardo di Cristo, e cercare, sperare senza stancarsi, sperare che tutti siano ritrovati da Cristo. E' questo il cuore di Dio, e, nel suo, il cuore rinnovato d'ogni madre, padre, amico, fidanzato, prete o suora. Il cuore di Dio, unica fonte dell'unica gioia. Il suo sguardo su ciascuno di noi, perduti, non cattivi. La sua speranza laddove nessuno osa sperare, invincibile dinanzi ad ogni nostro smarrimento. Nei suoi occhi, nei suoi passi alla ricerca dei nostri incerti cammini, "la più profonda contraddizione insita nella nostra esistenza perde la sua importanza assoluta" (Althaus). La sua ostinata ricerca di ciò che è perduto, vite e persone, spezza la catena di giudizi e rancori, e apre la porta su di un orizzonte nuovo di relazioni. Compassione e misericordia, la vita nuova dei "ritrovati", di tutti noi cercati, portati, riaccolti. Noi, la gioia di Dio.

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