Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 16 novembre 2013

XXXIII^ Domenica del Tempo Ordinario. Anno C





L'ANNUNCIO

Sperare contro ogni speranza è il fondamento ultimo e primo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti ad un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato da ciascuno di noi, desidera ascoltare la nostra voce, ci chiama e ci invita a «pregare incessantemente». La «necessità di pregare sempre e senza stancarsi» è la necessità dell'amore, perché per amare Cristo, non abbiamo che l'»insistenza» delle lacrime e della preghiera. Quando tutto ci sembra congiurare contro, la preghiera è il «linguaggio» della fede adulta. Laddove non possono le ragioni umane, può l' "insistenza" spinta al limite della resistenza altrui, come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo. La "vedova" è immagine di tutti noi, chiamati a vivere nella «Giustizia»: essa nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio. Come lei, abbiamo un "avversario" che ci strappa lo Spirito Santo: è il demonio, che prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci trascina «accusandoci» davanti al Giudice. Per questo è vedova, come lo siamo ciascuno di noi quando non è lo Spirito di Cristo a dar vita alla nostra carne. Si comprende perché «non si stanca» nel rivendicare la misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein» tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati». La vedova sa di avere un avversario e di rischiare la vita, il suo senso e la sua identità: per questo non può trascurare la preghiera. Chi invece ha perduto questa coscienza credendo di farcela da solo, si stanca e comincia a tralasciare l'unico impegno necessario. Siamo noi vero? Che sappiamo cosa fare, che abbiamo capito... E, allontanandoci dall'unico che ci può fare giustizia, siamo precipitati nell'ingiustizia. Ma pur essendo schiaccianti le prove contro di noi - la moglie ha sofferto i nostri tradimenti, i figli si sono sentiti perduti senza una parola di fede da parte nostra, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso: "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa «prontamente» garante per noi presso Dio e il Giudice non può che ascoltare altrettanto «prontamente» un Avvocato che garantisce mostrando le sue stesse piaghe, il segno della sua vita offerta in riscatto. Per questo chiediamo con insistenza il compimento in noi della Giustizia della Croce, che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice. E' la «giustificazione» che fa di noi i testimoni, come Abramo, della «fede sulla terra»: anche oggi "quando il Signore tornerà sulla terra" nelle nostre storie, potrà "trovare" la fede di quanti credono al suo amore contro ogni evidenza delle proprie debolezze.

"È Lui che persevera in noi"

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario. Anno C






Takamatsu, 14 Novembre 2013 (Zenit.org) Don Antonello Iapicca

La Chiesa è la comunione d’amore tra i fratelli, il Tempio non costruito da mani di uomo che annuncia il Cielo. L'arte cristiana ha sempre espresso questo contenuto d'amore. “Ammirarne” la …leggi tutto



XXXIII Domenica del Tempo Ordinario. Anno C




La Chiesa è la comunione d’amore tra i fratelli, il Tempio non costruito da mani di uomo che annuncia il Cielo. L'arte cristiana ha sempre espresso questo contenuto d'amore. “Ammirarne” la bellezza nelle chiese schiude alla salvezza. Ma se costruiamo templi solo perché siano ammirati li vedremo ridotti un cumulo di pietre. Il ministero presbiterale, il matrimonio, lo studio, il lavoro, le parole e le attività vissute in Cristo sono opere d'arte che mostrano il volto di Dio. Quando sono edificate per sé stessi si corrompono.
La sessualità, ad esempio, se non esprime il contenuto di un amore divenuto dono, è un tempio costruito per essere distrutto. Non resterà nulla di quell'amplesso che non sorge dall'amore autentico, sigillato dal sacramento, che fa dei due una carne sola. Se non vi è davanti a Dio e ai fratelli l'offerta libera e responsabile di sé stessi nella conseguente apertura alla vita che Dio dona, l'unione sessuale resta come un bel Tempio destinato ala distruzione.
Per questo, di fronte ai dati che registrano i fallimenti dei matrimoni, i cristiani possono discernere: sanno che, per una relazione fondata sull’egoismo e il narcisismo che si specchia nelle “belle pietre”, nella passione e nel piacere, «verranno giorni in cui, di tutto quello che si ammira, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 
Discernere, infatti, è saper leggere i segni dei tempi con “attenzione”, per “non lasciarsi ingannare” dal pensiero del mondo;, infiltrandosi anche nella Chiesa, esso pretende di parlare “nel nome” del Signore: interpreta il “tempo” che viviamo come “prossimo” a chissà quali “rivoluzioni” morali e “guerre” culturali, destinate ad inaugurare un mondo nuovo di pace e tolleranza.
“Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo” (Card. Ratzinger) e con Lui pregustiamo già oggi le primizie di una vita e un amore più forti del peccato e della morte. Per questo non siamo “terrorizzati” davanti alla storia e alle crisi economiche, e non ci lasciamo “prendere dal panico” “seguendo” la menzogna dei falsi profeti, le ideologie e le mode culturali, la politica camaleontica e i tuttologi che imperversano sui media.
Viviamo nel “prima” dove Dio parla e agisce con i “segni” della Croce: come un aratro essa dissoda il terreno della storia perché vi sia seminata la salvezza. Una linea rossa d’amore rivela la “necessità” degli sconvolgimenti nella vita degli uomini: i “terremoti, le carestie e le pestilenze” sono certo i frutti del peccato, ma Dio non vi si oppone proprio perché ci ama e vuole svegliarci. Così come “devono accadere” gli sconquassi ormonali dei figli, le epidemieaffettive che dissestano le nostre comunità, le “carestie” che seccano i nostri cuori.
Il male “deve” emergere “di luogo in luogo”, come il pus da una ferita! Solo così gli uomini saranno umili per accogliere il Medico che assuma il peccato trasformandolo in misericordia. Nelle “sollevazioni di popoli e regni” gli uni contro gli altri, appare la divisione seminata dal demonio, il peccato che ha reso Adamo ed Eva nemici di Dio e tra di loro, e che è giunto a “distruggere” il vero Tempio, il corpo benedetto del Signore.
Il rumore sordo delle “pietre” che cadono le une sopra le altre annuncia, infatti, il mistero Pasquale di Gesù. Esso “distrugge” ogni “spelonca di ladri”, esteriormente “bella” e degna di “ammirazione”, ma “piena di rapina e iniquità” al suo interno. Quelle pietre ci ricordano la pietra grande deposta sul pozzo di Sichem, che impediva a Rachele di far abbeverare il suo gregge, pesante come quella che serrava il sepolcro del Signore.
Un midrash racconta che "una rugiada di risurrezione discese dai cieli su Giacobbe rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere".
Con la stessa potenza il Signore è risorto dal sepolcro facendo rotolare via la pietra. Per questo, i cumuli di pietre in cui si riducono le opere delle mani dell’uomo - il matrimonio o il lavoro ad esempio - sono i “segni” che decretano la “fine” di ogni sapienza della carne, perché "non sia più necessaria per attingere scampoli di felicità".
Dietro a ogni “fatto terrificante” e ai “segni grandi dal cielo” vi è il Signore "forte e coraggioso" che sta rovesciando di nuovo la pietra. Attraverso la forza dei fatti che per il mondo significano distruzione, Gesù ci rivela il potere del suo amore: come fece Giacobbe innamorato di Rachele, esso dischiude il pozzo dove dissetarci con gioia dell’acqua viva dello Spirito Santo che rinnova il matrimonio, il lavoro, la vita intera.
Mentre cadono le pietre è necessaria la "perseveranza", la chiave che apre la nostra vita al compimento che "salva le nostre anime". Essa è una "virtù infusa" per mezzo della Grazia, e ci viene data attraverso un cammino di conversione lungo e severo; il termine “perseverare” deriva, infatti, dal latino per (a lungo) e severus (rigoroso). La vita di un cristiano è sempre in un “agôna”, il combattimento per difendere l’intimità con Gesù in ogni relazione e attività, lasciando che le pietre issate per vanagloria cadano ogni giorno perché Dio ricrei in noi un nuovo Tempio.
E’ ovvio che “tutti” si ribellino, ci “odino” e “ci mettano a morte”: sono abituati alle relazioni e ai criteri dell’uomo della carne, non comprendono e si sentono contestati dall’uomo nuovo. Guai allora se oggi il collega non ci uccidesse con quel giudizio tagliente; significherebbe che ci siamo nascosti nel compromesso offrendoci ancora come un bel tempio da ammirare. 
E’ naturale essere “traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici”: legati a noi dai vincoli del sangue che devono essere purificati per rinascere nel sangue di Cristo, si sentono traditi da noi che non ci fermiamo più al sentimentalismo e alla passione ma li amiamo nell’amore autentico e libero.
Sono questi i momenti in cui “metterci bene in testa di non preparare alcuna difesa”: proprio l’odio che ci conduce ogni giorno ai “tribunali” e alle “prigioni” - famiglie, scuole e posti di lavoro dove siamo giudicati e rifiutati - rivela come tutta la nostra vita sia una magnifica “occasione” per annunciare il Vangelo, uno specchio dove l'amore di Dio ha scelto di rifrangersi per la salvezza d'ogni uomo.
E’ necessario essere “trascinati davanti a re e a governatori” perché in noi sia consegnato Cristo a ogni uomo. E’ “a causa del suo nome” che siamo odiati: è a causa del suo amoreche oggi saremo di fronte a quella persona che ci aspettava da sempre per vomitarci ogni sua sofferenza intrisa nell’odio: proprio in quel momento Gesù stesso sarà lì vivo in noi per abbracciarla, prenderne i peccati su di sé e donarle il suo amore.
Ma anche oggi “non dovrò preoccuparmi perché lo Spirito Santo provvederà” a tutto per amore di coloro ai quali saremo inviati: è Lui che persevera in noi e ci attesta che “nessun capello del nostro capo perirà”.

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