Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 1 novembre 2013

XXXI Domenica del tempo Ordinario C "un uomo, di nome Zacchèo"

Si può sempre ricominciare

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Mi sembra di essere arrivato al punto ultimo della mia vita. Niente è stato ed è buono in questa mia vita. Non ho preso il bene che veniva e sono stato sempre attratto dal male, anche se adesso ci sto male. Dai miei genitori cattolici non ho preso niente. Una vita sbagliata non riesco a buttarla via. È inutile che le dica i particolari, perché penso che lei li conosca bene in tanti uguali a me. Il suo messaggio di domenica passata mi attirava ma mi sembra che per me non ci siano alternative. Per come la conosco lei sorriderà se le dico che non ho ancora trent’anni eppure mi sembra di essere arrivato alla fine.


L’anonimato rigoroso del suo messaggio mi consente di pubblicarlo senza il timore di essere indelicato nei suoi confronti. D’altra parte è in me prepotente il desiderio di darle un segno di speranza e di pace che può darsi anche qualche altro lettore possa ricevere. Sono segni di speranza che non posso ricavare dalla mia vita, perché anch’io sono un povero peccatore e i miei “conti”, come i suoi, sono tutti a svantaggio. Ma ho ricevuto senza nessun mio merito quella Parola della speranza e della pace, che è capace di annullare ogni distanza e di restituire la pace anche alla vicenda più tempestosa e dolorosa. In questo mi sento sostenuto e incoraggiato dalla presenza, dall’esempio e dall’insegnamento di Papa Francesco. Questo mi consente di dirle che il desiderio di Gesù è quello di comunicare la speranza del Vangelo ad ogni situazione umana, anche la più ferita. Non si deve partire dal giudizio morale. Bisogna sempre partire dalla potenza del Vangelo e dal desiderio di Gesù di comunicarlo e regalarlo ad ogni persona, e vicenda e situazione. Anche la più oscura e disperata. E quindi sono a dire a lei , come a me e come a tutti, che si può sempre ricominciare. Anche dalla condizione più lontana e rattristata. Quindi, caro amico e fratello, ricominciamo anche noi. Anch’io. E anche lei. E il Vangelo ricomincia non dove siamo già stati capaci di scrollarci il peso della nostra vita, ma là dove abbiamo bisogno di essere liberati per una speranza nuova.

Buona Domenica a lei e a tutti i nostri cari lettori.

Domenica 3 novembre 2013









Gesù arriva, alza lo sguardo verso di lui, lo chiama per nome. 
Nulla è impossibile a Dio! 
Da questo incontro scaturisce per Zaccheo una vita nuova: 
accoglie Gesù con gioia, 
scoprendo finalmente la realtà che può riempire 
veramente e pienamente la sua vita. 
Ha toccato con mano la salvezza,
ormai non è più quello di prima 
e come segno di conversione si impegna a donare 
metà dei suoi beni ai poveri 
e a restituire il quadruplo a chi aveva derubato. 
Ha trovato il vero tesoro, 
perché il Tesoro, che è Gesù, ha trovato lui!


Benedetto XVI


Dal Vangelo secondo Luca 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


Il commento
Per Zaccheo l’"Arci-pubblicano”, arci-peccatore, “ricco” e “perduto”, quello fu un giorno speciale. Aveva sentito il suono dello Shofar, la tromba del gran Giorno del Giudizio che inaugurava i dieci giorni del pentimento, nei quali ogni ebreo era chiamato ad andare a casa di chi aveva offeso per riconciliarsi con lui, preparandosi così a Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione. Ed era inquieto, come sempre in quei giorni; aveva "frodato e rubato" tanto a molti suoi fratelli tradendoli con gli invasori romani; lo disprezzavano e sfuggivano, ma proprio non riusciva a liberarsi da quella vita.

Quel giorno però, Gerico gli appariva strana, piena di euforia e gioia, nonostante ancora non fossero spuntate le prime stelle che chiudevano il Giorno dell’Espiazione. Non riusciva a collegare la guarigione del cieco sulla porta della sua città, e quel frastuono con quei giorni che avrebbero dovuto essere austeri di lacrime e pentimento; non poteva riconoscere in Gesù il nuovo Giosuè che, proprio al suono dello Shofar, era entrato in Gerico abbattendo le mura dell’egoismo e dell’orgoglio che impedivano anche a lui d’essere felice, votando allo sterminio tutti i peccati.
E così Zaccheo si era messo a “correre avanti” per “vedere quale fosse” quel Rabbì così speciale, mosso dalla curiosità e da una segreta e ancora acerba speranza, perché sentiva che “doveva passare di là”, nella sua vita. Lo aveva visto “attraversare” la città, ma non poteva sospettare che, così, Gesù compiva quanto prescritto dalla Torah, e che stava cercando proprio lui, per riconciliarlo con Dio e con i suoi fratelli. Non era Zaccheo che avrebbe dovuto chiedere perdono? E invece era il Figlio di Dio che si stava facendo peccato per renderlo "puro", come il suo nome significava.
Allo stesso modo oggi Gesù cerca ciascuno di noi, schiavi dei nostri peccati, incapaci di perdonare e di chiedere perdono, ma con un desiderio insopprimibile di “vederlo”, chissà che non succeda anche a noi come a quel fratello che si è appena riconciliato con sua moglie.
Ma, come Zaccheo, cerchiamo Gesù ancora con occhi troppo umani; lo crediamo simile a noi, e pensiamo che per incontrarlo dovremmo fare come siamo abituati con gli altri: “salire” sul “sicomoro” per essere diversi dalla “folla”, cambiare in qualche modo la nostra realtà, che ci sembra inadeguata e di inciampo. Ma Gesù ci stupisce con il suo amore che fa proprio del sicomoro così meschino e ridicolo sul quale ci issiamo, il “katalyma”, come la grotta di Betlemme e il Calvario, - nei cui brani è usato lo stesso termine - il "seno" benedetto dove si rinasce a vita nuova.
Gesù, che conosce il nostro nome come quello di Zaccheo, ci guarda e ci dice: "Puro, scendi subito, che devo fermarmi a casa tua”. Non importa se puri non siamo, i suoi occhi intrisi di misericordia ci vedono già così, “anche noi figli di Abramo”, nonostante tutto; per questo “deve” venire, e “fermarsi” a casa nostra per “purificarci” riconciliandoci con Dio e con i fratelli.
E non c'è tempo di mettere ordine, di spazzare, di prepararci all'incontro, perché Lui ci anticipa sempre. Solo la sua Parola può compiere il Giorno del Perdono: "scendi", convertiti, torna in te, scendi i gradini del cammino che ti conduce al battesimo; "non temere, io ti amo così come sei". Gesù anche oggi è in ginocchio davanti a ciascuno di noi per lavarci ogni peccato; ci guarda dal basso, “alza lo sguardo” e, se ci chiama a “scendere”, è perché Lui è già lì, dove abbiamo “derubato e frodato”. E’ già accanto a nostro marito che abbiamo giudicato, possiamo chiedergli perdono. E’ già dove si trova nostro cugino che ci ha calunniato, possiamo perdonarlo.
Per amarci il Signore non pone condizioni: la conversione è il frutto del suo amore, perché “l'agire segue sempre l'essere”, e l'essere deve essere prima rinnovato. “E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto... Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare” (S. Agostino, Discorso 174).
Zaccheo, nevrotico e sempre in lotta con se stesso e con i suoi complessi, si è specchiato in Cristo e ha trovato in Lui la pace, la statura ideale per la sua vita: è tornato ad essere il “figlio di Abramo” che s’era “perduto” a causa del peccato. Zaccheo, “cercato” e “salvato” senza condizioni, vede il suo cuore ormai trasformato gratuitamente in una sorgente d'amore, nonostante le “mormorazioni” e lo “scandalo” che sempre provoca una conversione impensata. Liberato da se stesso si dona senza misura ai fratelli, “poveri” come lui.
Accogliendo “oggi” Cristo che si auto-invita nella nostra casa attraverso la Chiesa che ci ammaestra con la Parola e i sacramenti, possiamo vivere in pienezza ogni giorno come Yom Kippur. Era “necessario e conveniente”, come recita il greco originale, che Cristo si “fermasse” nella casa di Zaccheo, come "oggi" nella nostra vita; era “conveniente” per chi ci è accanto, ai quali poter finalmente restituire “quattro volte tanto” quanto abbiamo sottratto ingiustamente; era “conveniente” per il mondo al quale ogni Zaccheo risuscitato può annunciare l’amore di cui aveva diritto, moltiplicato dalla misericordia di Dio.





Regina Mundi con piacere vi propone le riflessioni sul Vangelo di 
Don Fabio Rosini.


«Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


Don Fabio RosiniDon Fabio Rosini


Padre Alfredo Fermin
e di Il Vangelo della Domenica di Don Alfredo Fermin
di Don Alfredo Fermin


Anche le orecchie

da qui
La guarigione del cieco ti ha trasmesso un’euforia che non riesci a spiegarti, come avessi convertito, in una volta, tutta la città. Entri trionfante, col seguito dei tuoi discepoli, accolto col clima d’entusiasmo e di curiosità di un evento irripetibile. Per la prima volta, forse, ti lasci cullare da questo sentimento, come avessi bisogno di una lunga carezza di tuo Padre. Due ali di folla alzano grida e esclamazioni di allegria, come al passaggio di un re e della sua corte. Posi lo sguardo ora a destra ora a sinistra, come per rendere partecipi i presenti del momento di pienezza. A un certo punto, ti senti attratto verso un albero che svetta sul ciglio della strada, un sicomoro. Osservi bene l’intrico dei rami e delle foglie, fino a intravedere una figura umana. Ti fermi, causando un contraccolpo comico nella corrente umana che ti segue: ciascuno va a urtare contro colui o colei che lo precede.
Maestro, che ti prende?
Non senti più nulla di quello che accade intorno a te.
Zaccheo, scendi subito! Oggi devo fermarmi a casa tua.
La gente non capisce: solo i più prossimi al bordo della strada si avvedono, seguendo la direzione del tuo sguardo, del fogliame di un albero tutto scompigliato. C’è un uomo che scende lungo il tronco e con un salto deciso tocca terra: un gesto rischioso, perché è basso di statura. La folla non crede ai suoi occhi: è il pubblicano! Si diffonde un mormorio, un darsi di gomito l’un l’altro, un sussurrarsi frasi accompagnate da smorfie di disgusto. Sì, è proprio lui, l’odiato capo degli esattori delle tasse. E’ venuto a rovinare la festa alla città? Sembra tutto predisposto: lui ti conduce a casa sua, tra i commenti piccati della gente: è entrato nella casa di un pagano, ne uscirà contaminato! Ma la voce squillante di Zaccheo si percepisce nitida, dalle prime file di persone accalcate lì davanti.
Ecco, Signore: do metà dei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco il quadruplo.
La tua risposta è quasi gridata, perché possano sentire i più lontani.
Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo.
Il mormorio di prima si trasforma in un frastuono insopportabile: qualcuno freme, vuole entrare nella casa.
Il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
Cade il silenzio; un silenzio impressionate, dopo tanto trambusto. La città dagli occhi aperti è costretta ad aprire anche le orecchie.


XXXI Domenica del tempo Ordinario C - XXXI Domingo del Tiempo Ordinario C










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Lc 19,1-10


In quel tempo, Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io dò la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.






IL COMMENTO




Scendere. Si tratta dell'esatto contrario d'ogni nostro impulso. Figuriamoci se, una volta raggiunto qualcosa, un obiettivo, un risultato, o quello che sia, abbiamo voglia di scendere. Di lasciar perdere. Assolutamente improponibile. E invece si tratta proprio di scendere, di lasciare la posizione conseguita e lasciarsi guidare da un Altro. Lasciare che sia un Altro a condurre le fila della nostra vita. Semplicemente perchè non è Zaccheo che cerca di vedere Cristo. E' Lui che -da sempre- s'è posto in cammino alla ricerca di chi era perduto. Di Zaccheo appunto. Scendere dai progetti, dalle proprie idee e lasciare entrare il Signore. Proprio di questi tempi nei quali guai anche solo a pensare di avere idee non allineate: tutti i convincimenti hanno egual diritto perbacco.


Ma con il Signore no. E' proprio l'esatto contrario, anche in tema di salvezza o santificazione personale. E' inutile tentare d'arrampicarsi, di staccarsi dalla massa: fatica sprecata. Perchè bisogna scendere: Gesù è ai nostri piedi saliti troppo in alto. La nostra perfetta e vera gioia scaturisce dall'ascolto della Sua voce piena di misericordia che ci riporta giù, nella realtà e nel totale abbandono di figli tra le braccia del Padre.


La Sua chiamata libera il cuore sino a restituire tutto quello che avevamo rubato e frodato: l'amore ai fratelli. La carità è il frutto più dolce della gioia di chi è amato gratuitamente dal Signore.




COMMENTO (2)


Il Signore deve passare proprio dalle nostre parti. Il Signore deve fermarsi a casa nostra. Oggi. Perchè allora correre cercando di precederlo? perchè scalare la storia incapaci di accettare la nostra piccolezza e inadeguatezza? Lui sa tutto. Lui ci conosce. Lui conosce il nostro Nome, come appare chiaramente nel Vangelo di questa domenica quando, sorprendentemente, Gesù chiama per nome Zaccheo. Lui sa perfettamente dove ci appollaiamo in attesa di scoprire chi sia questo Dio che ci sconvolge le esistenze.

Lui ci ama, sempre e comunque, a prescindere. Per questo Lui deve, spinto da un'irrefrenabile esplosione d'amore, venire e stare, e restare a casa nostra. Noi inventando modi e scalando alberi per cercare di vederlo, e Lui, calpestando la realissima terra della nostra vita, a dover venire a casa nostra. E non c'è tempo di mettere ordine, di spazzare, non c'è tempo di prepararci all'incontro. Lui ci anticipa. Sempre.

Solo la Sua Parola può cambiare, anche oggi, la nostra vita: "scendi". Torna in te, rientra nella verità e non temere. Gesù vuole stare con noi, con me, con te. Altro non conta. Passato, presente, futuro, tutto è racchiuso in una Parola d'amore: "Non temere, scendi, io ti amo così come sei. Ti ho sempre amato". Ora, subito, senza indugio, altro non ci è chiesto che di scendere dai sogni e dalle fughe alienanti e accogliere il Suo amore esattamente laddove noi siamo. Percorrere il cammino che ci fa scendere dall'albero sul quale, come Adamo ed Eva, abbiamo steso la mano attirati dall'inganno secondo il quale saremmo diventati come dio; percorrere, gradino dopo gradino, il cammino che ci conduce nella discesa alle acque del battesimo, come i catecumeni, nella Chiesa primitiva, percorrevano il catecumenato.

Scendere perchè conviene che oggi Cristo si fermi a casa di ciascuno di noi. Conviene a noi e al mondo. Conviene perchè il suo amore è capace di trasformare un cuore che ha usato tutto per se stesso - amici, sesso, denaro, lavoro, fidanzati e famiglia - in un cuore capace di donarsi, di perdere la propria vita vivendo la stessa vita di Cristo. Il Suo amore infatti può trasformare e trasfigurare tutto di noi, fare della nostra vita un'agape, un unico e intenso atto d'amore, come Zaccheo, amato e per questo trasformato in un amante generoso. Riconciliato con Dio, il pubblicano vede rinnovata e riconciliata anche la propria vita e, laddove aveva abbondato il peccato con la frode, il furto e relazioni egoistiche e rapaci, sovrabbonda ora la Grazia, che fa restituire il maltolto oltre ogni legge e giustizia.

Nell'incontro con Cristo la vita è sanata sin nelle radici, le relazioni curate e riconciliate, e, alla luce del suo amore e nella sapienza della Croce che schiude orizzonti diversi, guardare alla propria storia senza timore. Quando il Signore entra e si ferma nella nostra casa i frutti della Pasqua non si fanno attendere: ecco le famiglie ricostruite, le amicizie che si fanno a poco a poco pure e sincere, i fidanzamenti casti. Dove giunge il Signore tutto ritrova il senso originario ed autentico. Zaccheo restituisce in modo sproporzionato a significare l'opera sproporzionata della Grazia. Non c'è legge che tenga! Non c'è moralismo che possa tanto, perchè l'agire segue sempre l'essere: "L’etica è conseguenza dell’essere: prima il Signore ci dà un nuovo essere, questo è il grande dono; l’essere precede l’agire e da questo essere poi segue l’agire, come una realtà organica, perché ciò che siamo, possiamo esserlo anche nella nostra attività. E così ringraziamo il Signore perché ci ha tolto dal puro moralismo; non possiamo obbedire ad una legge che sta di fonte a noi, ma dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova identità. Quindi non è più un’obbedienza, una cosa esteriore, ma una realizzazione del dono del nuovo essere... Ringraziamo il Signore perché Lui ci precede, ci dà quanto dobbiamo dare noi, e noi possiamo essere poi, nella verità e nella forza del nostro nuovo essere, attori della sua realtà" (Benedetto XVI, Lectio divina con i seminaristi, Cappella del Seminario Romano Maggiore, 12 febbraio 2010).

L'essere in Cristo, come è stato per Zaccheo che lo ha accolto in casa sua, - nella sua intimità, nelle sue cose, nella sua mente e nella sua anima si potrebbe dire - fa agire come Cristo, perchè è l'amore gratuito di Dio che dilata il cuore a dismisura. E spinge il figlio a tornare a riconciliarsi con i genitori, il marito verso la moglie per umiliarsi davanti a lei, l'amico verso l'amico divenuto nemico per amarlo così come è, ciascuno di noi verso la propria storia per restituire, per fare giustizia, ovvero per lasciare che la Grazia operi in modo sproporzionato secondo la giustizia della Croce.

Infatti "Oggi la salvezza è entrata in questa casa", il Signore è entrato nell'intimità di Zaccheo, come nella nostra, come in quella della comunità, della Chiesa, e ha sparso il suo profumo fragrante, quello dell'olio di cui è unto il Messia Salvatore, lo Spirito Santo che trasforma la casa di Zaccheo in viscere di misericordia. Accoglie perchè accolto nelle medesime viscere d'amore, come la Chiesa sempre in conversione, come ciascuno di noi.Gesù, nel desiderare di stare con Zaccheo, lo ha attirato nello stesso desiderio. Il desiderio di Gesù ha creato in Zaccheo il desiderio. L'andare di Gesù verso Zaccheo ha mosso l'andare di Zaccheo verso Gesù. Sguardo e sguardo, desiderio e desiderio, amore e amore.

Quì è nascosto il segreto del cristianesimo, la novità impressionante che porta al mondo. La ricerca di Zaccheo si è risolta nello scoprire di essere a sua volta, e anticipatamente, cercato da Gesù. La ricerca per vedere chi era Gesù è terminata nell'incontro con lo sguardo di Gesù che lo stava cercando. Zaccheo ha visto Gesù e questo ha cambiato la sua vita. "Io penso che chi si è fatto toccare da questo mistero, che Dio si è svelato e si è squarciato il velo del tempio, mostrato il suo volto, trova una fonte di gioia permanente. Possiamo solo dire: “Grazie. Sì, adesso sappiamo chi tu sei, chi è Dio e come rispondere a Lui”. E penso che questa gioia di conoscere Dio che si è mostrato, mostrato fino all’intimo del suo essere, implica anche la gioia del comunicare: chi ha capito questo, vive toccato da questa realtà... La missionarietà non è una cosa esteriormente aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa. Chi ha visto, chi ha incontrato Gesù, deve andare dagli amici e deve dire agli amici: “Lo abbiamo trovato, è Gesù, il Crocifisso per noi” (Benedetto XVI, idem...). Stare con il Signore è tutto: quando Gesù chiamò i Dodici fu essenzialmente perchè essi stessero con Lui. Solo poi, e come frutto e conseguenza, per andare a predicare.

Così il Signore, nella casa di Zaccheo riconquistata e strappata al potere del demonio e finalmente divenuta la sua stessa dimora, vi compie ogni Parola della Legge Antica, quel "ma io vi dico" che scaturisce da una giustizia che supera quella dei farisei, la misura smisurata dell'amore di Dio, che depone il perdono e la misericordia laddove non si sarebbe neanche osato sperare. Il suo amore scandalizzante suscita la mormorazione nei giustizieri della carne, i moralisti che presumono di compiere la Legge realizzando precetti che non ne superano i limiti e disprezzano gli altri. Il suo amore ricrea invece dalla morte tutto quanto sembrava perduto, in uno splendore mai conosciuto. Zaccheo è il frutto dell'amore che ha vinto la morte, che ha moltiplicato pani e pesci, che ha placato tempeste, che ha sanato emorragie, lebbra, cecità e sordità. Zaccheo è l'uomo vecchio e perduto ritrovato e ricreato ad immagine del suo Creatore. Zaccheo è immagine di chiunque sia toccato dalla Grazia, trasformato in un figlio del Cielo. In lui è superata e compiuta la legge nell'amore che dona la vita in abbondanza e fa vivere in una gioia che va oltre ogni speranza e aspettativa.

Per questo, nel segno della restituzione e del dono del denaro moltiplicato ai poveri, vediamo come il frutto dell'incontro con il Signore è che tutto ormai trasformato. Però il dono di Zaccheo è frutto del dono anticipato di Dio. Il dono di Zaccheo è frutto del per-dono di Dio: "la vera novità non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto Lui: il Signore ci ha dato se stesso, e il Signore ci ha donato la vera novità di essere membri suoi nel suo corpo. Quindi, la novità è il dono, il grande dono, e dal dono, dalla novità del dono, segue anche il nuovo agire". In Zaccheo, come in ciascuno di noi, esiste dunque come un primo livello ontologico dove "siamo uniti con Lui, che ci ha dato in anticipo se stesso, ci ha già dato il suo amore, il frutto. Non siamo noi che dobbiamo produrre il grande frutto; il cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e, nel contesto del suo Corpo, nel contesto dello stare in Lui, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo" (Benedetto XVI, idem...).

In Zaccheo e in chiunque faccia la sua stessa decisiva esperienza la vita è trasformata in un dono abbondante che colme e reca gioia ad ogni istante perchè "la vera giustizia non consiste in un’obbedienza ad alcune norme, ma è amore, amore creativo, che trova da sé la ricchezza, l’abbondanza del bene. Abbondanza è una delle parole chiave del Nuovo Testamento, Dio stesso dà sempre con abbondanza. Per creare l’uomo, crea questa abbondanza di un cosmo immenso; per redimere l’uomo dà se stesso, nell’Eucaristia dà se stesso. E chi è unito con Cristo vive di questa legge, non chiede: “Posso ancora fare questo o no?”, “Devo fare questo o no?”, ma vive nell’entusiasmo dell’amore che non domanda: “questo è ancora necessario oppure proibito”, ma, semplicemente, nella creatività dell’amore, vuole vivere con Cristo e per Cristo e dare tutto se stesso per Lui e così entrare nella gioia del portare frutto; è il dinamismo che vive nell’amore di Cristo; andare, cioè, non rimanere solo per me, vedere la mia perfezione, garantire per me la felicità eterna, ma dimenticare me stesso, andare come Cristo è andato... Quanto più siamo pieni di questa gioia di aver scoperto il volto di Dio, tanto più l’entusiasmo dell’amore sarà reale in noi e porterà frutto" (Benedetto XVI, idem...)

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