Di seguito il Vangelo di oggi, 19 giugno, martedi della XI settimana del T.O., con un commento e qualche pagina dalla Tradizione.Nella sua morte in croce si compiequel volgersi di Dio contro se stessonel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo— amore, questo, nella sua forma più radicale.Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo,perchè è lì che questa verità può essere contemplata.E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore.A partire da questo sguardoil cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Matteo 5,43-48.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
IL COMMENTO
La perfezione è un amore che non è di questo mondo. E' l'amore che giunge sino al nemico. Ma chi è il nemico? Buona domanda. Le anime belle diranno che non hanno nemici. Ingannandosi. Niente pacifismo, e neanche non-violenza, che si traduce in un altro tipo di violenza, immancabilmente. Niente sfilate, niente manifestazioni, niente bandiere arcobaleno, ma amore. Amore crocifisso, la vita donata, senza riserve. Sant’Agostino ci insegna che "la misura dell’amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio. L'amore manifestato in Cristo. L'amore che non resiste al male, che non fa calcoli, che, paziente, si lascia tradire, insultare, disprezzare. L'amore che non cerca il proprio interesse, o gratificazioni e gratitudine. L'amor puro che ama perchè ama. E basta. E' un amore che non è di questo mondo, non ci appartiene per natura.
Scriveva H. De Lubac: "L'umanesimo cristiano deve essere un umanesimo convertito. Nessun amore naturale può esistere senza l'irruzione nel soprannaturale. Ci si deve perdere per trovarsi. Dialettica spirituale, la cui inesorabilità si impone all'umanità come al singolo, vale a dire sia al mio amore per l'uomo come al mio amore per me stesso. Legge dell'exodus, legge dell'exstasis" (H. De Lubac, Katholizismus als Gemeinshaft). L'amore che ci annuncia oggi il Signore è dunque l'amore pasquale, che passa attraverso la Croce per esplodere nella risurrezione, l'esodo che conduce all'estasi, la visione del Cielo, la visione di Cristo risuscitato.
E' l'esperienza di Santo Stefano, inginocchiato in un amore che è esattamente quello di Gesù: sotto i colpi della lapidazione, il cuore di Stefano, ricolmo di Cristo, traboccante del suo amore, schiude i suoi occhi alla contemplazione del compimento. Nel martirio, nell'amore ai suoi persecutori egli è già nel Cielo. La preghiera per i nemici conduce lo sguardo di Stefano al volto di Cristo risuscitato alla destra del Padre. E' il Cielo in terra e la terra in Cielo. Per questo l'amore al nemico e' un dono celeste, non può essere un frutto degli sforzi umani. Non si colora dell'indifferenza con la quale, indossando sorrisi e compromessi di tolleranza, crediamo di risolvere i problemi. No. In certe situazioni, quando appare il nemico, si può solo amare.
La moglie, il marito, i figli, sì proprio i figli, i colleghi, i condomìni, i parenti, gli amici, quando cercano di invadere i nostri territori si tramutano in nemici. Quando l'altro parte alla conquista delle nostre idee, dei nostri schemi, delle nostre certezze, delle decisioni, del tempo, del denaro, dei nostri diritti. Ecco, decine di volte al giorno ci imbattiamo nei nemici, spesso con i soliti nemici, e si finisce con il divorziare, giuridicamente o solo nel cuore, e, comunque, si spezza qualcosa, perchè ci è impossibile amare oltre la morte che l'altro, diventatoci nemico, spesso solo con la presenza, ci procura. Come potremo amare allora? Come potremo essere perfetti, cioè felici, realizzati, compiuti, secondo il senso etimologicamente più profondo della parola che appare nel Vangelo? La perfezione è innanzi tutto non mancare di nulla.
Solo chi è perfetto davvero, cioè colmo d'amore, può amare. Solo chi ha conosciuto il Buon Pastore che nulla fa mancare alle sue pecore, può vivere senza difendere nulla, perchè la vita che riceve è eterna, non può finire. Anche se strappata non si esaurisce. Perfetto è il figlio che confida in suo padre, nella certezza che mai gli farà mancare qualcosa. Perfetto è Gesù, il Figlio che possiede tutto quello che è di suo Padre. Per questo ama, dona la sua vita ancr prima che qualcuno gliela tolga. Nei discorsi di Gesù il Padre appare come la fonte di ogni bene, come il criterio di misura dell'uomo divenuto retto («perfetto»): «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni...» (Mt 5,44s). «L'amore sino alla fine» (cfr. Gv 13,1), che il Signore ha portato a compimento sulla croce pregando per i suoi nemici, ci mostra la natura del Padre: Egli è questo Amore. Poiché Gesù lo pratica, Egli è totalmente «Figlio» e ci invita a diventare a nostra volta «figli» - a partire da questo criterio" (Benedetto XVI).
Perfetti sono i figli nel Figlio, i cristiani che tutto ricevono dal Padre, la pienezza della vita, della pace, della felicità. Ancora Benedetto XVI ci aiuta a comprendere, attraverso le parole dell'Enciclica "Deus caritas est": "Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l'amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo « prima » di Dio, può come risposta spuntare l'amore anche in noi.... Si rivela così possibile l'amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell'apparenza esteriore dell'altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno".
Ecco, l'amore è un dono di Dio che possiamo sperimentare in ogni istante della nostra vita. E- la libertà autentica, che non ingabbia i rapporti nelle regole di una misera economia dei sentimenti. L'eros dei pagani è passione, è sentimento che si esaurisce nel perimetro del contraccambio, che evapora quando l'altro non corrisponde al nostro affetto secondo quanto ci aspettiamo. L'amore di Dio è un amore che non calcola, non progetta: Dio ama e basta. Anche ora, che siamo nemici di Dio, nei pensieri, nelle parole, negli sguardi. Riflettiamo bene, cosa abbiamo pensato di quel collega? Come abbiamo guardato quella ragazza sull'autobus? E potremmo continuare. E Dio? Dio ci ama, ci perdona, di dona la sua vita. Ci dona Cristo, ora, completamente, perfettamente. Accoglierlo giorno per giorno è compiere questo Vangelo. E' la perfezione dell'amore, essere uno con Gesù. Semplicemente, perchè si compia in noi lo straordinario per il quale siamo nati: l'amore celeste compiuto nella nostra debolezza. Amare straordinariamente il marito, la moglie, i figli, il fidanzato, l'amico. Straordinariamente, oltre i confini dell'ordinario: l'amore sino alla fine dell'altro, dove termina la sua dolcezza, la sua simpatia, la sua bellezza e iniziano i difetti, l'insopportabilità, i peccati. Amare sino a dove ci ha amato Dio, perchè in quell'amore siamo stati uniti a Lui indissolubilmente, per sempre. L'amore che, come pioggia, scende sull'altro, sia come sia, che sorge come sole di giustizia ogni giorno; amore che si fa preghiera che intercede desiderando il bene autentico dell'altro, l'incontro decisivo ed eterno con Cristo.
Gregorio di Narek (circa 944 - vers 1010), monaco e poeta armeno
Libro di preghiere, n° 74 ; SC 78, 389
« Perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni »
Tanti sono i miei debiti, al di sopra di ogni numero,
eppure non sono tanto sorprendenti quanto la tua misericordia.
Molti sono i miei peccati,
eppure saranno sempre pochi, in confronto al tuo perdono...
Cosa potrà fare un pò di tenebra
alla tua luce divina?
Come può un po' di oscurità rivaleggiare
con i tuoi raggi, tu che sei grande!
Come la concupiscenza del mio corpo fragile
potrà essere paragonata
con la Passione della tua croce?
Che sembianze possono avere
agli occhi della tua bontà, o Onnipotente,
i peccati dell’universo intero?
Ecco che essi sono... come una bolla di acqua
che per la tua pioggia abbondante,
scompare subito...
Tu doni il sole
ai cattivi e ai buoni,
e fai piovere per ambedue senza distinzione.
Per gli uni la pace è grande a motivo dell’attesa della ricompensa;...
Ma a coloro che hanno preferito la terra
perdoni per misericordia:
dai anche a loro un rimedio di vita, insieme con i primi;
aspetti sempre che tornino a te.
Sant’Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa
Su Matteo, IV, 27 ; SC 254, 149
« Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste »
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico...” La legge infatti, esigeva l’amore per il prossimo e lasciava la libertà di odiare il nemico. La fede prescrive di amare i nemici. Con il sentimento universale della carità, essa spezza i moti di violenza che sono nel cuore dell’uomo, non soltanto impedendo all’ira di vendicarsi, ma anche placandola fino al punto di farci amare colui che ha torto. Amare coloro che vi amano spetta ai pagani, e tutti hanno affetto per coloro che gliene manifestano. Cristo ci chiama dunque a vivere in quanto figli di Dio e ad imitare Colui che, con la venuta del suo Cristo, concede ai buoni come ai colpevoli il sole e la pioggia, nei sacramenti del battesimo e dello Spirito. Così ci forma alla vita perfetta con il legame della bontà verso tutti, chiamandoci ad imitare il Padre nel cielo che è perfetto.Sant'Isacco Siriano (7o secolo), monaco nella regione di Ninive (nell'Iraq attuale)
Discorsi ascetici, 1a parte , n° 60
« Fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni »
Annuncia la bontà di Dio. Infatti nonostante tu sia indegno, egli ti guida, e mentre tu gli devi tutto, non reclama nulla da te. E per aver fatto delle piccole cose, ti dà in cambio grandi cose. Non limitarti a chiamare dunque Dio semplicemente giusto. Poiché non è in rapporto a ciò che fai tu che egli rivela la sua giustizia. Se Davide lo chiama giusto e retto (Sal 32,5), il Figlio suo ci ha rivelato che piuttosto egli è buono e mite: «Egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).
Come puoi fermarti alla semplice giustizia di Dio, quando leggi il capitolo sulla paga degli operai? «Amico, non ti faccio torto; io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,13-15). Come possiamo dire semplicemente che Dio è giusto quando leggiamo nel capitolo del figlio prodigo che ha dissipato la ricchezza del padre vivendo da dissoluto, come alla sola compunzione mostrata dal figlio, il padre gli corse incontro, gli si gettò al collo e gli diede ogni potere su tutta la sua ricchezza (Lc 15,11s)? Tutto ciò non ci viene detto da uno qualunque di cui poter dubitare, ma proprio il Figlio suo rende in prima persona questa testimonianza a Dio. Dov'è la giustizia di Dio? Non è forse in questo «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8)? Se Dio si mostra compassionevole quaggiù, crediamo che lo è da sempre.
Kiko Argüello*
"Signore, Padre Santo, Dio nostro Re Eterno, ti ringraziamo, perché ci doni la vita, perché sei infinitamente misericordioso.Abbi pietà di noi e concedici il tuo Santo Spirito, che aiuti me e questi fratelli, affinché risplenda in mezzo a noi la Tua gloria, e possiamo gioire nel tuo amore. Te lo chiediamo nel nome del Tuo Figlio diletto che con Te vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen"
Intervento di Kiko Argüello al "Meeting per l'amicizia fra i popoli"
Rimini 22 agosto 1996
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L’amore dei nemici
“Amare gli amici lo fanno tutti, i nemici li amano soltanto i cristiani” Queste parole di Tertulliano (Ad Scapulam 1,3), che vogliono esprimere la differenza cristiana, vertono significativamente sull’amore per i nemici. Questo appare come vera e propria sintesi del Vangelo: se tutta la Legge si sintetizza nel comando dell’amore di Dio e del prossimo (Marco 12,28-33; Romani 13,8-10; Giacomo 2,8), la vita secondo il Vangelo trova il suo compimento nelle parole e nei gesti di Gesù che indicano nell’amore del nemico l’orizzonte della prassi cristiana. Dice infatti Gesù: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Luca 6,27; cfr. Luca 6,28.29.35; Matteo 5,43-48) e tutta la sua vita – fino al momento della lavanda dei piedi anche a Giuda, colui che si era fatto suo nemico; fino alla croce, luogo del suo amore “fino alla fine” per i suoi (Giovanni 13,1); fino alla preghiera per i suoi carnefici mentre lo crocifiggevano (Luca 23,33-34) – attesta questo amore incondizionato rivolto anche al nemico. Il cristiano, chiamato ad assumere il sentire, il pensare, il volere di Cristo stesso (cfr. Filippesi 2,5), si trova dunque sempre confrontato con questa esigenza. Ma occorre chiedersi: è realmente possibile amare il nemico, e amarlo mentre manifesta la sua ostilità e inimicizia, il suo odio e la sua avversione? È umanamente possibile tale scandalosa simultaneità? L’esperienza infatti ci rivela che il fascino per l’assolutezza dell’amore del nemico svanisce in assoluta dimenticanza e diviene incapacità di dargli consistenza esistenziale di fronte alle precise e concrete situazioni di inimicizia. E forse già questo rappresenta un primissimo, e umanamente fondamentale, momento del cammino verso l’amore del nemico. Inoltre il cristiano è portato dal Vangelo a vedere in se stesso il nemico amato da Dio e per cui Cristo è morto: questa è l’esperienza di fede basilare da cui soltanto potrà nascere l’itinerario spirituale che conduce all’amore per il nemico! Scrive Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo peccatori e nemici, Cristo è morto per noi” (cfr. Romani 5,8-10). Su questa esperienza di fede occorre innestare la progressività di una maturazione umana che conduce ad acquisire il senso positivo dell’alterità, la capacità dell’incontro, della relazione e quindi dell’amore. Già l’Antico Testamento, quando invita l’israelita ad amare il prossimo come se stesso, propone una sorta di itinerario: “lo sono il Signore, non coverai odio verso tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. lo sono il Signore” (Levitico 19,17-18). Anzitutto è richiesta l’adesione di fede a colui che è il Signore, quindi l’israelita è chiamato a impedirsi sentimenti di odio (atteggiamento negativo), poi a correggere colui che fa il male (atteggiamento positivo) proibendosi di farsi vendetta da sé (atteggiamento negativo) e amando così il suo prossimo come se stesso (atteggiamento positivo). All’amore si arriva attraverso un cammino, un esercizio. L’amore non è spontaneo: esso richiede disciplina, ascesi, lotta contro l’istinto della collera e contro la tentazione dell’odio. Così si perverrà alla responsabilità di chi ha il coraggio di esercitare una correzione fraterna denunciando “costruttivamente” il male commesso da altri. L’amore del nemico non va confuso con la complicità con il peccatore! Anzi, proprio la libertà di chi sa correggere e ammonire chi compie il male nasce dalla profondità della fede e da un amore per il Signore che sono la necessaria premessa per l’amore del nemico. Chi non serba rancore e non si vendica, ma corregge il fratello, è infatti anche in grado di perdonare; e il perdono è la misteriosa maturità di fede e di amore per cui l’offeso sceglie liberamente di rinunciare al proprio diritto nei confronti di chi ha già calpestato i suoi giusti diritti. Chi perdona sacrifica un rapporto giuridico in favore di un rapporto di grazia! Anche Gesù, quando chiede di amare il nemico, immette il credente in una tensione, in un cammino. Dallo sforzo per superare sempre di nuovo la legge del taglione, cioè la tentazione di rendere il male che si è ricevuto, il credente deve pervenire a non opporsi al malvagio, a contrapporre al male l’attivissima passività della non violenza, fidando nel Dio unico Signore e Giudice dei cuori e delle azioni degli uomini. Anzi, mossi dalla convinzione che il nemico è il nostro più grande maestro, colui che può veramente svelare ciò che abita il nostro cuore e che non emerge quando siamo in buoni rapporti con gli altri, i credenti possono obbedire alle parole del loro Signore che invitano a porgere l’altra guancia, a devolvere anche la tunica a chi vuole toglierci il mantello... Ma perché tutto questo sia possibile è indispensabile ciò che sempre è ricordato dai Vangeli accanto al comando di amare i nemici, e cioè la preghiera per i persecutori, l’intercessione per gli avversari: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Matteo 5,44). Se non si assume l’altro – e in particolare l’altro che si è fatto nostro nemico, che ci contraddice, che ci osteggia, che ci calunnia – nella preghiera, imparando così a vederlo con gli occhi di Dio, nel mistero della sua persona e della sua vocazione, non si potrà mai arrivare ad amarlo! Ma dev’essere chiaro che l’amore del nemico è questione di profondità di fede, di “intelligenza del cuore”, di ricchezza interiore, di amore per il Signore, e non, semplicemente di buona volontà (E. Bianchi, Le parole della spiritualità, Rizzoli, Milano 2004)
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