Dal Vangelo del giorno
l'umano ascolto del messaggio della fede
è il risveglio della nostra memoria sepolta
è il risveglio della nostra memoria sepolta
e il dischiudersi delle forze della comprensione,
che attendono in noi la luce della verità.
che attendono in noi la luce della verità.
J. Ratzinger, Libertà e Verità
Dal Vangelo secondo Marco 11,27-33.
Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero:
«Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò anch'io una domanda e, se mi risponderete, vi dirò con quale potere lo faccio.
Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Ed essi discutevano tra sé dicendo: «Se rispondiamo "dal cielo", dirà: Perché allora non gli avete creduto?
Diciamo dunque "dagli uomini"?». Però temevano la folla, perché tutti consideravano Giovanni come un vero profeta.
Allora diedero a Gesù questa risposta: «Non sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
COMMENTO
L'autorità scaturisce dalla libertà. In greco exousia (autorità) deriva da exestin - ciò che è libero - e significa la libertà incondizionata di azione. Nell'uso rabbinico essa oscilla tra il concetto ebraico di autorità e potere del sovrano, e il potere di disporre all'interno di certi gruppi sociali. Nel vangelo di oggi appare dunque uno scontro tra diverse autorità. Quella degli anziani, degli scribi e dei sacerdoti, e quella di Gesù. Al Tempio Gesù aveva rovesciato molto più dei tavoli dei cambiavalute, aveva sfidato la menzogna e l'ipocrisia. E la domanda dei capi del Popolo è, in questo contesto, fondamentale e decisiva.
Essa è la stessa che sorge, spesso, in ciascuno di noi. Siamo realmente liberi o l'autorità di Gesù, alla fine, ci condiziona, ci stringe in un angolo sottraendoci la stessa libertà? Dietro la domanda sull'autorità vi è quella più profonda sul destino dell'uomo, sul suo rapporto con Dio. La risposta di Gesù illumina questo dilemma. Essa ci riporta con i piedi per terra, ci mostra un fatto e ci invita a giudicarlo. Il battesimo di Giovanni era lì, davanti ai capi, ed il Popolo recava, sigillata, un'esperienza. Di fronte a questo fatto dovevano prendere posizione, e si sono visti incapaci. Quel non sapere esprimeva l'infondatezza della loro autorità, quella di chi, cieco e sordo, pretende d'essere guida di altri. La gelosia aveva occultato in loro la verità, amavano infatti più la gloria degli uomini che quella di Dio. Come spesso accade anche a noi, quando, tra mormorazioni e giudizi, stretti nei lacci della superbia, poniamo a Dio la stessa domanda, con la stessa malizia. E, immancabilmente, rimaniamo senza risposta, con la vita che ci sfugge senza poter dare ad essa un senso nel quale riposare e trovare pace e allegria. Quante domande recano, celata, la stessa malizia che, come una trappola, vorrebbe giustificare le ribellioni, il rifiuto, l'assoluta difesa di se stessi e delle proprie posizioni! Quante domande apparentemente ingenue e logiche nascondono il veleno dell'ipocrisia, e quante volte vi cadiamo, intrappolati nella carne e nei criteri mondani, nel sentimentalismo e nel moralismo giustizialista che trasforma la vita in un perpetuo ricorso al tribunale, dove conduciamo Dio stesso, nelle sembianze del prossimo o degli eventi, dei superiori e di chi ha autorità su di noi...
Attraverso il Vangelo di oggi, anche la nostra storia è davanti a noi. La Parola che abbiamo ricevuto, l'annuncio che ha mosso la nostra vita iniziando a cambiarla, i segni compiuti da Gesù, sono parte della nostra esperienza. E' a questa che dobbiamo tornare per giudicare e discernere. Se non sappiamo e non riconosciamo il senso della nostra vita, significa che qualcuno ha rapito dal nostro cuore la verità, e con essa la libertà che da essa scaturisce. Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo, ed era la verità. I segni d'amore che hanno tracciato la nostra vita sono opera di Dio, e anche questa è la verità. Accoglierla significa riconoscere a Gesù un'autorità unica, quella riservata a Dio. Significa discernere in ogni evento il suo amore, e guardare e pensare la libertà ed il nostro destino in questo orizzonte. "Per i cristiani significa quella spiegazione realizzatasi nelle parole, nella vita, nella passione e nella risurrezione di Cristo, l'istanza interpretativa decisiva, nella quale si dischiude una profondità prima imprevedibile" (J. Ratzinger, Libertà e Verità, Studi cattolici, Dicembre 1996).
Se è vero che Dio ha operato in mio favore, se è vero che Lui mi ama, se il mio destino è la felicità in Lui, allora è libero di condurre la mia vita, ha l'autorità di purificare il mio cuore la mia mente come e quando vuole, come ha fatto quel giorno nel Tempio. Se il suo amore mi ha riscattato e se gli appartengo, allora l'unica ed autentica libertà si esprime proprio nel lasciarmi amare, nel consegnare la mia vita alle sue mani, alla sua volontà. "La più grande espressione della libertà è la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa" (Benedetto XVI, Discorso all'apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana, 6 giugno 2005). Sapere per un'esperienza illuminata dallo Spirito di Verità, che la nostra vita, in ogni suo aspetto, in ciascun evento, dalla famiglia nella quale siamo nati, alla scuola che abbiamo frequentato, al lavoro, riconoscere che tutto di noi viene dal Cielo ci conduce a consegnare le chiavi della nostra esistenza al Signore. Nella nostra storia nulla viene dagli uomini, perchè non da carne, né da sangue, né da desiderio di uomo siamo stati generati, ma da Dio, come frutto perfetto del suo amore. Dagli uomini vengono i peccati, assorbiti e dissolti nella sua misericordia. La sofferenza, i fallimenti, anche le situazioni difficili che, invece di essere sanate, sembrano giungere senza soluzione al loro epilogo più doloroso,tutto viene dal Cielo perchè fa parte di un disegno misterioso di amore con il quale il Padre ci conduce a sé: la nostra vita è immersa in un battesimo che viene dal Cielo, ancor più grande di quello di Giovanni. Ogni evento ci accompagna nel cammino della conversione alla Verità e all'amore, e costituisce la piscina battesimale dove lasciare senza vita il nostro uomo vecchio per rinascere come nuova creatura. Tutto è Grazia, perchè tutto è amore, anche quello che appare più assurdo, anche quando la nostra vita è messa sottosopra dallo zelo infinito del Signore.
Così l'autorità di Gesù, la sua libertà assoluta manifestata nel dono gratuito di se stesso, l'autorità crocifissa, ci incontra negli eventi di ogni giorno, e libera la nostra libertà in forza del suo amore; riconoscendo e accogliendo l'autorità del Signore, la nostra libertà ci consegna al nostro unico ed autentico destino, quello d'essere Tempio vivo di Dio in questa generazione, oblazione santa per la salvezza di ogni uomo, l'autorità di Cristo incarnata nella nostra vita. Essa non dispensa risposte a gettone, non si risolve in un ansiolitico che ci strappi al dramma fondamentale dell'esistenza. L'autorità di Cristo attira l'uomo nella sua libertà, e lo crocifigge sulla sua stessa Croce, svelando l'unico senso che da valore e sostanza alla vita: il dono senza riserve che scaturisce dall'amore, il sale di ogni istante: "Il dolore è una presenza ed esige, perciò, la nostra presenza. A questo terribile problema solo Dio era in grado di rispondere: “Non sono venuto a spiegare, dissipare dubbi con una spiegazione, ma a riempire il vuoto, a sostituire con la mia presenza il bisogno della spiegazione”. Il Figlio di Dio non è venuto a distruggere la sofferenza, ma a soffrire con noi. Non è venuto a distruggere la croce, ma a distendersi sopra". (Paul Claudel, Lettere sul dolore)
Sant'Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa
De Trinitate, VII, 26-27
De Trinitate, VII, 26-27
« Con quale autorità fai queste cose ? »
Dipende dal Padre, il fatto che il Figlio gli assomigli. Viene da lui, quel Figlio che gli si può paragonare, perché è simile a lui. È pari a lui, il Figlio che compie le stesse opere di lui (Gv 5,36)... Sì, il Figlio compie le opere del Padre ; perciò ci chiede di credere che egli è il Figlio di Dio. Non si arroga in questo un titolo che non gli sarebbe dovuto ; non fonda la sua rivendicazione sulle sue opere. No, rende testimonianza che queste non sono le sue opere, bensì quelle del Padre suo. E attesta così che lo splendore delle sue azioni è dovuto alla sua divina nascita. Ma come gli uomini avrebbero potuto riconoscere in lui il Figlio di Dio, nel mistero di questo corpo che aveva assunto, in questo uomo nato da Maria ? Il Signore compieva dunque tutte queste opere allo scopo di fare penetrare nel loro cuore la fede in lui : « Se compio le opere del Padre mio, anche se non volete credere in me, credete almeno alle opere ! » (Gv 10,38). Se l'umile condizione del suo sorpo sembra costituire un ostacolo per credere alla sua parola, ci chiede di credere almeno alle sue opere. Perché, infatti, il mistero della sua nascita umana ci impedirebbe di percepire la sua nascita divina ? ... « Se non volete credere a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre »... Tale è la natura che egli possiede fin dalla sua nascita ; tale è il mistero di una fede che ci garantirà la salvezza : occorre non dividere coloro che sono una cosa sola, non privare il Figlio dalla sua natura e proclamare la verità del Dio Vivo nato dal Dio Vivo... « Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me, così io vivo per il Padre » (Gv 6,57). « Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso » (Gv 5,26).
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