NOVENA DELLA GRAZIA
A SAN FRANCESCO SAVERIO
Il grande apostolo dell'Asia, la cui memoria celebreremo il 3 dicembre, è pronto per donarvi la grazia di cui avete bisogno. Vi invito a pregare questa novena, ogni giorno per nove giorni, da oggi (o da domani).
Santa Teresa di Gesù Bambino dopo aver fatto la novena (1896), pochi mesi prima di morire, disse: “Ho domandato la grazia di far del bene dopo la mia morte, e adesso sono sicura d’essere stata esaudita, perché per mezzo di questa novena si ottiene tutto ciò che si desidera”.
O amabilissimo e amatissimo San Francesco Saver io, con te adoro con riverenza la divina Maestà. Mi compiaccio degli specialissimi doni di grazia di cui Dio ti ha favorito durante la tua vita terrena e di quelli di gloria di cui ti ha arricchito dopo la morte e vivamente lo ringrazio. Ti supplico con tutto l’affetto del mio cuore di chiedere per me, con la tua efficacissima intercessione, prima di tutto la grazia di vivere e morire santamente. Ti supplico inoltre di ottenermi la grazia… Ma se ciò che chiedo non fosse secondo la maggior gloria di Dio ed il maggior bene dell’anima mia, ti prego di supplicare il Signore affinché mi conceda ciò che è più utile all’una e all’altra cosa. Amen.
Pater, Ave, Gloria.
O amabilissimo e amatissimo San Francesco Saver io, con te adoro con riverenza la divina Maestà. Mi compiaccio degli specialissimi doni di grazia di cui Dio ti ha favorito durante la tua vita terrena e di quelli di gloria di cui ti ha arricchito dopo la morte e vivamente lo ringrazio. Ti supplico con tutto l’affetto del mio cuore di chiedere per me, con la tua efficacissima intercessione, prima di tutto la grazia di vivere e morire santamente. Ti supplico inoltre di ottenermi la grazia… Ma se ciò che chiedo non fosse secondo la maggior gloria di Dio ed il maggior bene dell’anima mia, ti prego di supplicare il Signore affinché mi conceda ciò che è più utile all’una e all’altra cosa. Amen.
Pater, Ave, Gloria.
Lunedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Tutto
Per il «superfluo» non di rado occupiamo le nostre migliore energie, dando importanza agli aspetti marginali della vita, mentre fluiamo sull’essenziale e fondamentale, secondo l'etimologia latina del termine «superfluus», composto da «super» - «sopra» - e «fluus» (da «fluere») - «scorrere». Marginali e «inutili», secondo un altro significato del termine, sono, ad esempio le passioni civili così trendy e quelle sentimentali che, negli sconvolgimenti ormonali, incendiano il cuore; quando catturano la scena dell’esistenza diventandone i protagonisti «assoluti», stringono anima, mente e cuore in un cappio mortale senza recare altro «utile» che l’insoddisfazione e l’ira giustiziera che ne consegue. Al Tempio, i ricchi «gettano» a Dio il loro «superfluo». Essi sono immagine di chi idolatra il proprio impegno e le proprie pretese virtù nell’illusione di darsi agli altri e agli ideali, solo perché assorbono forze, entusiasmi e tempo, ma è incapace di consegnare, oltre la superficie, la «propria vita». La libido, infatti, è attratta irresistibilmente da ciò che ci costruisce, «innalza» e sembra appagare, mentre la paura di morire impedisce di donarci senza riserve. Non è un caso che il contrasto evidenziato dal Signore sia tra una «una povera vedova» e «alcuni ricchi»: essi sono come sposi adulteri perché idolatri. Con le «loro offerte» non si mettono in gioco: impegnando solo il «superfluo» rivelano come i loro rapporti siano chiusi nell’egoismo che tradisce Dio e il prossimo nell'immagine falsa dell'impegno volontaristico. Non si fidano di nessuno perché non conoscono l’amore gratuito, e così offrono, e a caro prezzo, solo quella parte di se stessi che non li espone ai rischi di un impegno autentico e totale, cercando con essa di servirsi di Dio e del prossimo. Tra il «superfluo» e la propria «ricchezza» vi è come un anticoncezionale che li protegge da eventi imprevisti; come accade nei rapporti sessuali chiusi alla vita, pre o post matrimoniali: ci si illude di poter piegare la storia e gli affetti secondo le passioni della carne, traendone una momentanea soddisfazione, senza accorgersi di sciupare così nella sterilità la propria vita e quella degli altri. La «vedova», invece, è fedele al suo unico Sposo. Entra nel Tempio appena purificato dal Signore con la stessa certezza che aveva accompagnato Abramo mentre saliva al Moria per sacrificare il suo unico figlio: il «Dio dei vivi» che poteva risuscitare i morti e non aveva sottratto Isacco a suo padre, le avrebbe restituito, moltiplicato, «tutto quello che aveva per vivere» e che si accingeva a offrire. Giunge al Tempio spogliata d'ogni «superfluo», come l’«ultima nella società», secondo l'originale greco reso nella traduzione con «nella sua miseria». Senza alcuna sicurezza, ha solo quei «due spiccioli» tra le mani: «due» come lei e il suo Sposo uniti in una stessa carne e in un solo spirito; nulla più di quell’amore esclusivo, l’unico capace di farla «vivere». E’ «vedova», segno profetico di chi vive già ogni relazione come i «figli della risurrezione», al di là dell’egoismo carnale. La storia l’ha resa come «un angelo del cielo» che sulla terra non ha più nulla capace di soddisfarla. Anela all’unica cosa «cosa necessaria», il compimento dell’amore con il quale Cristo l’ha sposata, del quale ha sperimentato le primizie. Per questo «getta le due monete» nel tesoro del Tempio, restituendo a Dio la vita da Lui ricevuta, unita al sacrificio di Cristo che ha «gettato» la propria nella morte per riscattarla e farla sua sposa per l’eternità; ella è certa che, proprio donandosi, vedrà compiute le sue nozze come una pietra preziosa incastonata nel Tempio della Gerusalemme celeste. L’amore autentico, infatti, è sempre aperto alla vita che non muore, una profezia escatologica che rivela il Cielo, perché la vita vera, piena e autentica sgorga solo dall’intimità fedele e totale con Cristo. Mentre le «offerte dei ricchi» avranno certamente catturato l’attenzione e il plauso di tutti, nessuno si sarà accorto dei due spiccioli «deposti» dalla «vedova». Ella è lontana dagli sguardi e dalla gloria vana di questo mondo, vive d’amore nel «segreto della sua stanza» nuziale: solo lo Sposo può vederla nuda e abbandonata a Lui. Anche noi siamo chiamati a non aver paura di consegnarci a Dio uniti a Cristo in un rapporto vissuto come un segreto che nessuno può sapere, forse senza apparente significato o valore umano. Così è il dono perseverante di tutta la vita, l'offerta delle piccole cose che la costituiscono; non si tratta di grandi gesti «superflui», ma della «fedeltà nel poco», lo «spicciolo» che costituisce oggi la nostra vita da offrire insieme a Cristo: è Lui che tesse ogni filo della nostra esistenza, anche quello che sembra non avere capo né coda, per farne un drappeggio meraviglioso. Se «gettata» con il Signore e «deposta» nel «tesoro» del suo amore, questa giornata ha dunque, istante per istante, un valore infinito, come uno spicciolo d’oro incorruttibile che risplende già per l’eternità, accanto a Cristo e a tutti coloro che, per mezzo del sacrificio silenzioso di noi stessi, saranno accolti in Cielo: sappiamo infatti che «Dio non esige il valore del metallo luccicante, ma quell'oro che nel giorno del giudizio il fuoco non può consumare» (S. Ambrogio).
L'ANNUNCIO |
In quel tempo, mentre era nel tempio, Gesù, alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una povera vedova che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”.
(Dal Vangelo secondo Luca 21, 1-4)
Il superfluo è esattamente la zona della vita dove passiamo la maggior parte del nostro tempo e per la quale occupiamo le nostre migliore energie e risorse. Francamente, il superfluo, tutto ciò che è periferico a quel che davvero conta, tutto quello che è laterale alla tremenda serietà della vita, questo davvero ci appassiona e ci trascina. Facciamo surf sulle onde della vita, fluiamo sopra gli eventi e le relazioni, non vi entriamo mai realmente, secondo l'etimologia latina del termine superfluus composto di super - "sopra" - e fluus da fluere - "scorrere"-.
L'illusione di essere vivi e di vivere fino in fondo le cose, ha quasi sempre il sopravvento su ogni timido tentativo di prendere seriamente la vita tra le mani e chiedersi per quale motivo ci vien data e per che cosa valga la pena viverla. I cosiddetti amori travolgenti, passionali, dove il cuore in gola acceso da uno sconvolgimento ormonale cattura tutta la scena e diventa l'assoluto protagonista dell'esistenza; o qualunque altra "passione", civile, sportiva, culturale, religiosa, perché no?, al diventare "assolute" stringono mortalmente le anime, le menti e i cuori in un cappio mortale. La menzogna del superfluo, del marginale che assurge ad assoluto. Il superfluo che diventa il motore dell'esistenza.
Attenzione, il superfluo non è un male, anzi, fa parte della vita, ma è come la terra che gira intorno il sole, non è il centro e il fondamento dell'esistenza. E' "super", è lo stesso "di più" che il Signore ha miracolosamente moltiplicato. E' l'abbondanza che Dio non disdegna, anzi, al punto che in tutta la letteratura profetica e sapienziale il "superfluo" - che, etimologicamente, si può anche leggere traboccante, che scorre sopra il livello - l'abbondanza, sono segni dell'ormai avvenuta era messianica. Ma porre il superfluo come centro della vita è rovesciare la verità delle cose in menzogna, scambiare il frutto con l'albero, il Creatore con la creatura. "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni - i pani moltiplicati e avanzati, al punto di divenire "superflui" - ma perché avete mangiato e vi siete saziati" diceva il Signore a Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani. E' idolatria. E' la fonte della più grande sofferenza. E' la porta della solitudine.
Al Tempio, i ricchi, i tronfi che credono di possedere e invece sono così stolti da aver perso la bussola e smarrito il centro e il senso dell'esistenza, gettano del loro superfluo. Come Caino, riconoscono al Signore una parte minima della loro esistenza, e neanche la migliore. E superfluo può voler dire anche inutile, che non serve, come il grasso superfluo, le parole superflue... Essi sono immagini di tutti noi che viviamo una vita in superficie e in superficie viviamo il rapporto con il Signore. La vedova invece, è ormai priva di tutto, ha terminato il suo cammino di fede attraverso la spoliazione d'ogni superfluo, non le rimane che l'"essenziale" per vivere. La vedova non ha nulla sulla terra.
Anche i beni messianici, anche l'abbondanza delle benedizioni celesti sembrano essere scomparse: il marito, i figli, nessuno più. Nuda con due centesimi. Tutta la sua vita. Ha gettato tutta la sua vita nel tesoro del Tempio, nel cuore di Cristo. Non consegna al Signore il superfluo, i pani avanzati, il segno del suo amore in lei; ella consegna la sua vita colmata, risanata. Ella consegna i talenti moltiplicati, la sua vita e l'opera di Dio; non conserva nulla, non difende, perché ormai in lei è tutto rigenerato, ordinato, pacificato. In questa vedova si compie lo Shemà, ella ama con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze.
Gesù registra un dato, non loda l'aspetto morale della vicenda, la generosità della vedova: solo chi ha camminato nella fede sino a non avere più nessuna sicurezza su questa terra, solo la vedova, l'"ultima" nella società (secondo la traduzione della parola greca "sua povertà" che appare nel Vangelo), solo chi dalla periferia della vita è stato condotto al centro dove si gioca il destino dell'esistenza, solo chi ha percorso il cammino in discesa che conduce alle acque battesimali, può "gettare", consegnare, perdere la sua vita. Tutta.
Perderla non in un senso moralista e volontarista. Perderla perché è già del Signore, perdere e gettare via l'appropriazione di quel che non è nostro e che ci è stato affidato. Gettare i due spiccioli nel tesoro del Tempio significa riconsegnare a Dio ciò che è suo da sempre. Significa accogliere la verità sulla nostra povertà, sul nostro non poter fare nulla senza di Lui. Significa gettarsi tra le sue braccia, consegnargli la totale precarietà che costituisce la nostra vita.
Perdere la nostra vita nel Signore è riaverla moltiplicata eternamente. Come Cristo ha gettato e consegnato per noi la Sua vita, tutta, nel tesoro del suo tempio che siamo noi. La Sua vita in noi, completamente, perché la nostra vita sia in Lui, altrettanto completamente. Questo è vivere la vita sino in fondo, al suo centro e autenticamente. Una vita d'amore.
La vedova offre lontana dagli sguardi umani, dalla gloria vana di questo mondo. Ella vive per Dio! Il suo rapporto con Lui èun segreto che nessuno poteva conoscere, non ha apparente significato, non ha valore umano. E' come il piccolo seme gettato in terra, che rimane celato agli occhi umani. Così è il dono di tutta la vita, l'offerta delle piccole cose che la costituiscono; non sono i grandi gesti, fatti magari suonando la tromba o facendo sentire l'eco delle monete che scendono... è la fedeltà nel poco, che non significa quantità, ma il poco che siamo, il piccolo spicciolo che costituisce oggi la nostra vita: il lavoro e la sua routine che non ci piace, la stanchezza del marito, il nervosismo della moglie, il carattere del figlio, il mal di denti, il traffico, il non potersi comprare qualcosa o non poter dare ai figli quello che desiderano...
Offrire tutto se stessi, giorno dopo giorno, nel tesoro del Tempio è farsi un tesoro nel Cielo di cui il Tempio terreno è immagine. Ma il nuovo Tempio è Cristo. Quindi dare offerte al Tempio è vivere già nel Cielo. Proprio all'ultimo posto, sconosciuti, come in un convento di clausura; eppure quelle due monete "restituite a Dio" come i Talenti, producono un frutto impressionante, proprio alle persone vicine e anche lontane. I missionari si muovono grazie alle preghiere dei conventi, l'offerta silenziosa delle sofferenze dei malati. Le nostre offerte.E allora, nel segreto dell'apparente insignificanza, possiamo prendere il mappamondo, girarlo e andare in un istante in qualunque parte del mondo, perché è come mettere la nostra vita in un satellite che rimanda l'immagine presa in diretta nel nostro posto di ora, nella sofferenza, e poi "vista" all'altra parte del mondo, fa frutto dall'altra parte del mondo, come al nostro fianco. Il satellite è il corpo glorioso di Cristo a cui associamo e offriamo la vita perché la presenti al Padre e faccia piovere la Grazia. Siamo ogni istante "in diretta", come un Reality segreto, dove tutta la nostra vita diviene immagine di Dio, salvezza per ogni uomo.
αποφθεγμα Apoftegma
Non voglio ammassare meriti per il cielo;
voglio lavorare solo per il tuo Amore,
nell'unico desiderio di farti piacere,
di consolare il tuo sacro Cuore
e di salvare anime che ti ameranno per sempre.
Al tramonto di questa vita,
mi presenterò a Te, o Signore,
con le mani vuote,
perché non voglio domandarti di cantare le mie opere...
Tutta la nostra giustizia si presenta macchiata ai tuoi occhi.
Voglio rivestirmi dunque della tua Giustizia
e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Tè.
Non voglio altro Trono o altra Corona se non Tè, o mio Diletto!...
S. Teresa di Lisieux
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