Santa Maria,

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sabato 1 novembre 2014

Sul discorso del Papa ai movimenti popolari.

Le case occupate della beata Irma Dulce



di Giorgio Bernardelli | 31 ottobre 2014 
Sul discorso del Papa ai movimenti popolari.
 E su un ritornello che ritorna spesso nel magistero e che forse sarebbe un po' da ripensare

L'abbiamo scritto a caldo l'altro giorno sulla nostra pagina Facebook: non riduciamo lo splendido discorso tenuto l'altro giorno da Bergoglio ai movimenti popolari alla battuta sul Papa comunista («È strano, se parlo di terra, casa e lavoro questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l'amore per i poveri è al centro del Vangelo»). Frase a effetto, che riprende una cosa che aveva già detto dom Helder Camara. Ma quello che conta davvero in quel lungo discorso - anche abbastanza denso - sono i suoi contenuti, tutti concretissimi: riforma agraria che garantisca il diritto alla terra (nel silenzio del mondo ci sono Paesi cattolicissimi dove si continua a morire per difendere il diritto dei poveri alla terra: ne sono stato testimone personalmente nelle Filippine); urbanistica che abbia al centro l'impegno a dare una casa dignitosa a ogni famiglia e non altro (pensate a come è ridotta oggi in Italia l'edilizia residenziale pubblica), un mondo dell'economia che per uscire dalla crisi si incammini davvero su una visione comunitaria del lavoro e non continui a proporre soluzioni solo individualistiche.
Se poi andiamo indietro di una settimana e allarghiamo lo sguardo a un altro discorso ampio del Papa legato a questione sociali - quello rivolto all'Associazione Internazionale di Diritto Penale - troviamo altri spunti molto precisi: il no al «populismo penale», il no alla pena di morte non solo nelle sue forme «ufficiali» ma anche in quelle nascoste (ergastolo, carceri invivibili, esecuzioni extragiudiziali...), la lotta alla corruzione perseguendo con maggior severità «quelle forme che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale - come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l'esercizio sleale dell'amministrazione - come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia».
Basterebbe mettere uno dietro l'altro questi punti per costruire un vero e proprio programma di azione sociale targato Papa Francesco.
Proprio per questo, però, mentre leggevo parole e indicazioni così precise, mi veniva una domanda: ma allora il famoso ritornello «non spetta alla Chiesa indicare le soluzioni...» ripetuto fino all'inverosimile per dire (a volte solo a parole) che il magistero non si intromette in certe scelte concrete «che sono responsabilità della politica»? Che cosa sono queste di Papa Francesco se non precise indicazioni di azioni politiche? E quando proprio cinquant'anni fa (inascoltato quanto sull'Humanae Vitae, ma in questo caso più dimenticato...) Paolo VI da Bombay supplicava le grandi potenze a destinare una parte delle spese militari per un fondo straordinario per la lotta alla fame, non faceva esattamente la stessa cosa?
Non è che forse sarebbe ora di rivedere anche un certo modo di pensare il magistero sociale, fatto di principi belli ma un po' troppo timoroso di assumersi la responsabilità di indicare strade concrete per soluzioni possibili? Non è che alla fine - in nome di una sacrosanta distinzione degli ambiti - finiamo per fare troppi passi indietro?
Certamente un cambio di prospettiva presupporrebbe un magistero che non nasce nel chiuso delle stanze di qualche dicastero (o peggio ancora: di tante sale convegni...), ma si sbilancia di più su idee e iniziative sorte là dove i poveri si organizzano per dare risposte alla domanda di un mondo più giusto. Che è poi esattamente quanto ha fatto Papa Francesco l'altro giorno scegliendo di dare così tanto peso all'incontro con i movimenti popolari.
Chiudo con un'ultima provocazione. Quest'anno vedo girare parecchio per la festa di Tutti i Santi l'iniziativa di scegliere un santo per il proprio profilo, ne ha parlato anche Assunta Steccanella ieri qui su Vino Nuovo. Aderisco anch'io un po' a modo mio: scelgo la beata brasiliana Irma Dulce, beatificata nel 2011. Mi sta simpatica perché è l'icona di una santità che farebbe rizzare i capelli a più d'uno in questa Italia di oggi: se dovessi indicarla come patrona di qualcuno direi i ragazzi di Occupy, dovunque essi abitino. Anche lei infatti - nel 1939, a Salvador Bahia - diede vita a un gesto clamoroso: occupò cinque case abbandonate alla Ilha dos Ratos, l'isola dei topi, una delle zone più degradate del quartiere più povero di Salvador. E lì cominciò a curare gli ammalati. Non chiese il permesso a nessuno: prese e le occupò. E puntualmente arrivò chi la buttò fuori persino da lì. Allora lei - che era una suora - andò dalla sua madre superiora chiedendo di poter usare almeno il pollaio del convento. E la superiora acconsentì, ma solo a patto che si occupassero anche dei polli... Quella cosa nata dai colpi di mano di una suora piantagrane tra topi e polli, oggi è uno degli ospedali più importanti dello Stato di Bahia.
Non si è fermata ai principi Irma Dulce, ma ha scelto la via delle risposte concrete. Mettendoci anche un gesto esplicito di ribellione rispetto a una situazione inaccettabile di ingiustizia che vedeva nella sua città. Chissà, magari se cominciassimo a prendere anche i santi patroni un po' di più dalla fine del mondo...
Vino nuovo

1 commento:

  1. Grazie per farci riflettere più profondamente questi concetti, spesso trascurati ...
    Una serena e dolce serata!

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