Incontro interreligioso alla Diyanet.
Discorso di Papa Francesco. Kairòs
Turchia |
Incontro interreligioso alla Diyanet. Discorso di Papa Francesco. "In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace"
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
Signor Presidente,
Autorità religiose e civili,
Signore e Signori,
E’ per me motivo di gioia incontrarvi oggi, nel corso della mia visita al vostro Paese. Ringrazio il Signor Presidente di questo importante Ufficio per il cordiale invito, che mi offre l’occasione di intrattenermi con leaders politici e religiosi, musulmani e cristiani.
E’ tradizione che i Papi, quando viaggiano in diversi Paesi come parte della loro missione, incontrino anche le autorità e le comunità di altre religioni. Senza questa apertura all’incontro e al dialogo, una visita papale non risponderebbe pienamente alle sue finalità, così come anch’io le intendo, nella scia dei miei venerati Predecessori. In questa prospettiva, sono lieto di ricordare in modo speciale l’incontro che il Papa Benedetto XVI ebbe, in questo medesimo luogo, nel novembre 2006.
Le buone relazioni e il dialogo tra leader religiosi rivestono infatti una grande importanza. Essi rappresentano un chiaro messaggio indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze. Tale amicizia, oltre ad essere un valore in sé, acquista speciale significato e ulteriore importanza in un tempo di crisi come il nostro, crisi che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere popolazioni.
Vi sono infatti guerre che seminano vittime e distruzioni; tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale, all’aria, all’acqua, alla terra.
Veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo. Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro.
In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche.
Alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni. Ciò richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. In particolare, i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei valori presenti nelle loro rispettive tradizioni. Noi, Musulmani e Cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno… elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini. Riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà (cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità cattolica di Ankara, 29 novembre 1979). Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti. A questo proposito, vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. Ce ne sono 2 milioni. E’ questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere.
Con soddisfazione ho appreso delle buone relazioni e della collaborazione tra il Diyanet e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Auspico che esse proseguano e si consolidino, per il bene di tutti, perché ogni iniziativa di dialogo autentico è segno di speranza per un mondo che ha tanto bisogno di pace, sicurezza e prosperità. E mi auguro che questo dialogo continui in forma creativa.
Signor Presidente, esprimo nuovamente la mia riconoscenza a Lei e ai Suoi collaboratori per questo incontro, che ricolma il mio cuore di gioia. Sono grato inoltre a tutti voi, per la vostra presenza e per le vostre preghiere che avrete la bontà di offrire per il mio servizio. Da parte mia, vi assicuro che pregherò altrettanto per voi. Il Signore ci benedica tutti.
FRANCESE
Monsieur le Président,
Autorités religieuses et civiles,
Mesdames et Messieurs,
C’est pour moi un motif de joie de vous rencontrer aujourd’hui, au cours de ma visite dans votre pays. Je remercie Monsieur le Président de cet important Bureau pour son invitation cordiale qui m’offre l’occasion de m’entretenir avec des leaders politiques et religieux, musulmans et chrétiens.
Il est de tradition que les Papes, quand ils voyagent dans différents pays pour accomplir une part de leur mission, rencontrent aussi les autorités et les communautés des autres religions. Sans cette ouverture à la rencontre et au dialogue, une visite papale ne répondrait pas pleinement à ses finalités, c’est ainsi que moi aussi je l’entends, à la suite de mes vénérés prédécesseurs. Dans cette perspective, je suis heureux de rappeler de façon spéciale la rencontre que le Pape Benoît XVI a eue, en ce même lieu, en novembre 2006.
Les bonnes relations et le dialogue entre leaders religieux revêtent en effet une grande importance. Ils représentent un message clair adressé aux communautés respectives, pour exprimer que le respect mutuel et l’amitié sont possibles, malgré les différences. Cette amitié, en plus d’être une valeur en soi, acquiert une signification spéciale et une importance supplémentaire en un temps de crises comme le nôtre, crises qui deviennent dans certaines régions du monde de véritables drames pour des populations entières.
Il y a en effet des guerres qui sèment victimes et destructions ; tensions et confits inter-ethniques et interreligieux ; faim et pauvreté qui affligent des centaines de millions de personnes ; dégâts pour l’environnement naturel, pour l’air, pour l’eau, pour la terre.
La situation au Moyen-Orient est vraiment tragique, spécialement en Irak et en Syrie. Tous souffrent des conséquences des conflits, et la situation humanitaire est angoissante. Je pense à tant d’enfants, aux souffrances de tant de mamans, aux personnes âgées, aux personnes déplacées et aux réfugiés, aux violences de toutes sortes. Une préoccupation particulière vient du fait que, surtout à cause d’un groupe extrémiste et fondamentaliste, des communautés entières, spécialement – mais pas seulement – les chrétiens et les yazidis, ont subi et souffrent encore des violences inhumaines à cause de leur identité ethnique et religieuse. Ils ont été chassés de force de leurs maisons, ils ont dû tout abandonner pour sauver leur vie et ne pas renier leur foi. La violence a frappé aussi des édifices sacrés, des monuments, des symboles religieux et le patrimoine culturel, comme si on voulait effacer toute trace, toute mémoire de l’autre.
En qualité de chefs religieux, nous avons l’obligation de dénoncer toutes les violations de la dignité et des droits humains. La vie humaine, don de Dieu Créateur, possède un caractère sacré. Par conséquent, la violence qui cherche une justification religieuse mérite la plus forte condamnation, parce que le Tout-Puissant est le Dieu de la vie et de la paix. Le monde attend, de la part de tous ceux qui prétendent l’adorer, qu’ils soient des hommes et des femmes de paix, capables de vivre comme des frères et des sœurs, malgré les différences ethniques, religieuses, culturelles ou idéologiques.
A la dénonciation, il faut faire suivre le travail commun pour trouver des solutions adéquates. Cela demande la collaboration de toutes les parties : gouvernants, leaders politiques et religieux, représentants de la société civile, et tous les hommes et toutes les femmes de bonne volonté. En particulier, les responsables des communautés religieuses peuvent offrir la précieuse contribution des valeurs présentes dans leurs traditions respectives. Nous, Musulmans et Chrétiens, nous sommes dépositaires d’inestimables trésors spirituels, parmi lesquels nous reconnaissons des éléments qui nous sont communs, même vécus selon nos propres traditions : l’adoration du Dieu miséricordieux, la référence au patriarche Abraham, la prière, l’aumône, le jeûne… éléments qui, vécus d’une manière sincère, peuvent transformer la vie et donner une base sûre à la dignité et à la fraternité des hommes. Reconnaître et développer cette communauté spirituelle – à travers le dialogue interreligieux – nous aide aussi à promouvoir et à défendre dans la société les valeurs morales, la paix et la liberté (cf. Jean-Paul II, Discours à la communauté catholique d’Ankara, 29 novembre 1979). La reconnaissance commune de la sacralité de la personne humaine soutient la compassion commune, la solidarité et l’aide active envers ceux qui souffrent le plus. A ce sujet, je voudrais exprimer mon appréciation pour tout ce que le peuple turc, les musulmans et les chrétiens, font envers les centaines de milliers de personnes qui fuient leur pays à cause des conflits. C’est un exemple concret de la manière de travailler ensemble pour servir les autres, un exemple à encourager et à soutenir.
J’ai appris avec satisfaction les bonnes relations et la collaboration entre le Diyanet et le Conseil Pontifical pour le Dialogue interreligieux. Je souhaite qu’elles se poursuivent et qu’elles se consolident, pour le bien de tous, parce que chaque initiative de dialogue authentique est signe d’espérance pour un monde qui a tant besoin de paix, de sécurité et de prospérité.
Monsieur le Président, j’exprime de nouveau, à vous-même et à vos collaborateurs, ma reconnaissance pour cette rencontre, qui remplit mon cœur de joie. Je vous suis tous reconnaissant aussi de votre présence et de vos prières que vous aurez la bonté d’offrir pour mon service. Pour ma part, je vous assure que je prierai aussi pour vous. Que le Seigneur nous bénisse.
INGLESE
Mr President,
Religious and Civil Authorities,
Ladies and Gentlemen,
I am pleased to meet with you today in the course of my visit to your country. I thank the President of this distinguished office for his cordial invitation which affords me the opportunity to share these moments with political and religious leaders, both Muslim and Christian.
It is a tradition that Popes, when they visit different countries as part of their mission, meet also with the leaders and members of various religions. Without this openness to encounter and dialogue, a Papal Visit would not fully correspond to its purposes. And so I have wished to meet you, following in the footsteps of my venerable predecessors. In this context, I am pleased to recall in a special way Pope Benedict XVI’s visit to this very same place in November 2006.
Good relations and dialogue between religious leaders have, in fact, acquired great importance. They represent a clear message addressed to their respective communities which demonstrates that mutual respect and friendship are possible, notwithstanding differences. Such friendship, as well as being valuable in itself, becomes all the more meaningful and important in a time of crises such as our own, crises which in some parts of the world are disastrous for entire peoples.
Wars cause the death of innocent victims and bring untold destruction, interethnic and interreligious tensions and conflicts, hunger and poverty afflicting hundreds of millions of people, and inflict damage on the natural environment – air, water and land.
Especially tragic is the situation in the Middle East, above all in Iraq and Syria. Everyone suffers the consequences of these conflicts, and the humanitarian situation is unbearable. I think of so many children, the sufferings of so many mothers, of the elderly, of those displaced and of all refugees, subject to every form of violence. Particular concern arises from the fact that, owing mainly to an extremist and fundamentalist group, entire communities, especially – though not exclusively – Christians and Yazidis, have suffered and continue to suffer barbaric violence simply because of their ethnic and religious identity. They have been forcibly evicted from their homes, having to leave behind everything to save their lives and preserve their faith. This violence has also brought damage to sacred buildings, monuments, religious symbols and cultural patrimony, as if trying to erase every trace, every memory of the other.
As religious leaders, we are obliged to denounce all violations against human dignity and human rights. Human life, a gift of God the Creator, possesses a sacred character. As such, any violence which seeks religious justification warrants the strongest condemnation because the Omnipotent is the God of life and peace. The world expects those who claim to adore God to be men and women of peace who are capable of living as brothers and sisters, regardless of ethnic, religious, cultural or ideological differences.
As well as denouncing such violations, we must also work together to find adequate solutions. This requires the cooperation of all: governments, political and religious leaders, representatives of civil society, and all men and women of goodwill. In a unique way, religious leaders can offer a vital contribution by expressing the values of their respective traditions. We, Muslims and Christians, are the bearers of spiritual treasures of inestimable worth. Among these we recognize some shared elements, though lived according to the traditions of each, such as the adoration of the All-Merciful God, reference to the Patriarch Abraham, prayer, almsgiving, fasting… elements which, when lived sincerely, can transform life and provide a sure foundation for dignity and fraternity. Recognizing and developing our common spiritual heritage – through interreligious dialogue – helps us to promote and to uphold moral values, peace and freedom in society (cf. JOHN PAUL II, Address to the Catholic Community in Ankara, 29 November 1979). The shared recognition of the sanctity of each human life is the basis of joint initiatives of solidarity, compassion, and effective help directed to those who suffer most. In this regard, I wish to express my appreciation for everything that the Turkish people, Muslims and Christians alike, are doing to help the hundreds of thousands of people who are fleeing their countries due to conflicts. This is a clear example of how we can work together to serve others, an example to be encouraged and maintained.
I wish also to express my satisfaction at the good relations which exist between the Diyanet and the Pontifical Council for Interreligious Dialogue. It is my earnest desire that these relations will continue and be strengthened for the good of all, so that every initiative which promotes authentic dialogue will offer a sign of hope to a world which so deeply needs peace, security and prosperity.
Mr President, I renew my gratitude to you and your colleagues for this meeting, which fills my heart with joy. I am grateful also to each one of you, for your presence and for your prayers which, in your kindness, you offer for me and my ministry. For my part, I assure you of my prayers. May the Lord grant us all his blessing.
SPAGNOLO
Señor Presidente,
Autoridades religiosas y civiles,
Señoras y señores
Es para mí un motivo de alegría encontrarles hoy, durante mi visita a su país. Agradezco al señor Presidente de este importante Organismo por la cordial invitación, que me ofrece la ocasión estar con los dirigentes políticos y religiosos, musulmanes y cristianos.
Es tradición que los Papas, cuando viajan a otros países como parte de su misión, se encuentren también con las autoridades y las comunidades de otras religiones. Sin esta apertura al encuentro y al diálogo, una visita papal no respondería plenamente a su finalidad, como yo la entiendo, en la línea de mis venerados predecesores. En esta perspectiva, me complace recordar de manera especial el encuentro que tuvo el Papa Benedicto XVI en este mismo lugar, en noviembre de 2006.
En efecto, las buenas relaciones y el diálogo entre los dirigentes religiosos tiene gran importancia. Representa un claro mensaje dirigido a las respectivas comunidades para expresar que el respeto mutuo y la amistad son posibles, no obstante las diferencias. Esta amistad, además de ser un valor en sí misma, adquiere especial significado y mayor importancia en tiempos de crisis, como el nuestro, crisis que en algunas zonas del mundo se convierten en auténticos dramas para poblaciones enteras.
Hay efectivamente guerras que siembran víctimas y destrucción; tensiones y conflictos interétnicos e interreligiosos; hambre y pobreza que afligen a cientos de millones de personas; daños al ambiente natural, al aire, al agua, a la tierra.
La situación en el Medio Oriente es verdaderamente trágica, especialmente en Irak y Siria. Todos sufren las consecuencias de los conflictos y la situación humanitaria es angustiosa. Pienso en tantos niños, en el sufrimiento de muchas madres, en los ancianos, los desplazados y refugiados, en la violencia de todo tipo. Es particularmente preocupante que, sobre todo a causa de un grupo extremista y fundamentalista, enteras comunidades, especialmente – aunque no sólo – cristianas y yazidíes, hayan sufrido y sigan sufriendo violencia inhumana a causa de su identidad étnica y religiosa. Se los ha sacado a la fuerza de sus hogares, tuvieron que abandonar todo para salvar sus vidas y no renegar de la fe. La violencia ha llegado también a edificios sagrados, monumentos, símbolos religiosos y al patrimonio cultural, como queriendo borrar toda huella, toda memoria del otro.
Como dirigentes religiosos, tenemos la obligación de denunciar todas las violaciones de la dignidad y de los derechos humanos. La vida humana, don de Dios Creador, tiene un carácter sagrado. Por tanto, la violencia que busca una justificación religiosa merece la más enérgica condena, porque el Todopoderoso es Dios de la vida y de la paz. El mundo espera de todos aquellos que dicen adorarlo, que sean hombres y mujeres de paz, capaces de vivir como hermanos y hermanas, no obstante la diversidad étnica, religiosa, cultural o ideológica.
A la denuncia debe seguir el trabajo común para encontrar soluciones adecuadas. Esto requiere la colaboración de todas las partes: gobiernos, dirigentes políticos y religiosos, representantes de la sociedad civil y todos los hombres y mujeres de buena voluntad. En particular, los responsables de las comunidades religiosas pueden ofrecer la valiosa contribución de los valores que hay en sus respectivas tradiciones. Nosotros, los musulmanes y los cristianos, somos depositarios de inestimables riquezas espirituales, entre las cuales reconocemos elementos de coincidencia, aunque vividos según las propias tradiciones: la adoración de Dios misericordioso, la referencia al patriarca Abraham, la oración, la limosna, el ayuno... elementos que, vividos de modo sincero, pueden transformar la vida y dar una base segura a la dignidad y la fraternidad de los hombres. Reconocer y desarrollar esto que nos acomuna espiritualmente – mediante el diálogo interreligioso – nos ayuda también a promover y defender en la sociedad los valores morales, la paz y la libertad (cf. Juan Pablo II, A la comunidad católica de Ankara, 29 noviembre 1979). El común reconocimiento de la sacralidad de la persona humana sustenta la compasión, la solidaridad y la ayuda efectiva a los que más sufren. A este propósito, quisiera expresar mi aprecio por todo lo que el pueblo turco, los musulmanes y los cristianos, están haciendo en favor de los cientos de miles de personas que huyen de sus países a causa de los conflictos. Y esto es un ejemplo concreto de cómo trabajar juntos para servir a los demás, un ejemplo que se ha de alentar y apoyar.
He sabido con satisfacción de las buenas relaciones y de la colaboración entre la Diyanet y el Consejo Pontificio para el Diálogo Interreligioso. Espero que continúen y se consoliden, por el bien de todos, porque toda iniciativa de diálogo auténtico es signo de esperanza para un mundo tan necesitado de paz, seguridad y prosperidad.
Señor Presidente, expreso nuevamente gratitud a usted y a sus colaboradores por este encuentro, que llena de gozo mi corazón. Agradezco también a todos ustedes su presencia y las oraciones que tendrán la bondad que ofrecer por mi servicio. Por mi parte, les aseguro que yo rogaré igualmente por ustedes. Que el Señor nos bendiga.
PORTOGHESE
Senhor Presidente,
Autoridades religiosas e civis,
Senhoras e senhores!
É para mim motivo de alegria encontrar-vos hoje, durante a minha visita ao vosso país. Agradeço ao Senhor Presidente deste importante Departamento o cordial convite, que me dá ocasião de falar com líderes políticos e religiosos, muçulmanos e cristãos.
É tradição que os Papas, quando visitam os diversos países no desempenho da própria missão, encontrem também as autoridades e as comunidades de outras religiões. Sem esta abertura ao encontro e ao diálogo, uma visita papal não corresponderia plenamente às suas finalidades, tal como as entendo eu na esteira dos meus venerados Antecessores. Nesta perspectiva, recordo com prazer de modo especial o encontro que o Papa Bento XVI teve, neste mesmo local, em Novembro de 2006.
Na verdade, as boas relações e o diálogo entre líderes religiosos revestem-se de grande importância. Constituem uma mensagem clara dirigida às respectivas comunidades, manifestando que, apesar das diferenças, são possíveis o respeito mútuo e a amizade. Esta, além de ser um valor em si mesma, adquire significado especial e importância acrescida num tempo de crises como o nosso; crises que se tornam, em algumas áreas do mundo, verdadeiros dramas para populações inteiras.
Com efeito, há guerras que semeiam vítimas e destruições, tensões e conflitos interétnicos e inter-religiosos, fome e pobreza que afligem centenas de milhões de pessoas, danos ao meio ambiente, ao ar, à água, à terra.
Verdadeiramente trágica é a situação no Médio Oriente, especialmente no Iraque e na Síria. Todos sofrem com as consequências dos conflitos, e a situação humanitária é angustiante. Penso em tantas crianças, nos sofrimentos de tantas mães, nos idosos, nos deslocados e refugiados, nas violências de todo o género. Particularmente preocupante é o facto de que, sobretudo por causa de um grupo extremista e fundamentalista, comunidades inteiras – especialmente de cristãos e yazidis, mas não só – sofreram, e ainda sofrem, violências desumanas por causa da sua identidade étnica e religiosa. Foram expulsos à força das suas casas, tiveram de abandonar tudo para salvar a sua vida e não renegar a fé. A violência abateu-se também sobre edifícios sagrados, monumentos, símbolos religiosos e o património cultural, como se quisessem apagar todo o vestígio, qualquer memória do outro.
Como chefes religiosos, temos a obrigação de denunciar todas as violações da dignidade e dos direitos humanos. A vida humana, dom de Deus Criador, possui um carácter sagrado. Por isso, a violência que busca uma justificação religiosa merece a mais forte condenação, porque o Omnipotente é Deus da vida e da paz. O mundo espera, de todos aqueles que afirmam adorá-Lo, que sejam homens e mulheres de paz, capazes de viver como irmãos e irmãs, apesar das diferenças étnicas, religiosas, culturais ou ideológicas.
A denúncia deve ser acompanhada pelo trabalho comum para se encontrarem soluções adequadas. Isto requer a colaboração de todas as partes: governos, líderes políticos e religiosos, representantes da sociedade civil e todos os homens e mulheres de boa vontade. Em particular, os responsáveis das comunidades religiosas podem oferecer a valiosa contribuição dos valores presentes nas respectivas tradições. Nós, muçulmanos e cristãos, somos depositários de tesouros espirituais inestimáveis, entre os quais reconhecemos elementos de convergência, embora vividos segundo as tradições próprias: a adoração de Deus misericordioso, a referência ao patriarca Abraão, a oração, a esmola, o jejum... elementos que, vividos sinceramente, podem transformar a vida e dar uma base segura para a dignidade e a fraternidade dos homens. Reconhecer e desenvolver esta convergência espiritual – através do diálogo inter-religioso – ajuda-nos também a promover e defender, na sociedade, os valores morais, a paz e a liberdade (cf. João Paulo II, Discurso à comunidade católica de Ancara, 29 de Novembro de 1979). O reconhecimento conjunto da sacralidade da pessoa humana sustenta a compaixão comum, a solidariedade e a ajuda efectiva aos mais atribulados. A este respeito, queria exprimir o meu apreço por quanto está a fazer o povo turco inteiro, muçulmanos e cristãos, pelas centenas de milhares de pessoas que fogem dos seus países por causa dos conflitos. Isto é um exemplo concreto de como trabalhar em conjunto para servir os outros, um exemplo que deve ser incentivado e apoiado.
Com satisfação, soube das boas relações e da cooperação entre o Diyanet e o Pontifício Conselho para o Diálogo Inter-religioso. Espero que aquelas continuem e se consolidem para bem de todos, porque toda a iniciativa de diálogo autêntico é sinal de esperança para um mundo tão necessitado de paz, segurança e prosperidade.
Senhor Presidente, de novo exprimo a minha gratidão a Vossa Excelência e seus colaboradores por este encontro, que enche o meu coração de alegria. Além disso agradeço a todos vós pela vossa presença e pelas orações que tereis a bondade de oferecer pelo meu serviço. Pela minha parte, igualmente vos garanto que rezarei por vós. Que o Senhor nos abençoe!
Crocevia di incontro e dialogo Kairòs
Il Papa in Turchia loda l’impegno del Paese per i profughi e ne sottolinea la vocazione di ponte tra continenti e popoli.
(Gaetano Vallini) Per quanto tempo il Medio oriente dovrà ancora soffrire per mancanza di pace? Dall’Ak Saray, il nuovissimo e imponente palazzo presidenziale di Ankara, i tuoni di guerra certo non si sentono, ma i confini di Siria e Iraq non sono poi così lontani. Papa Francesco non si è lasciato sfuggire l’occasione, e così venerdì, appena giunto nella capitale, tappa iniziale del viaggio in Turchia, ha subito puntato l’attenzione sulla martoriata regione, da troppo tempo devastata da guerre che sembrano autoalimentarsi in una spirale infinita. Nel primo discorso ufficiale in terra turca, il Pontefice ha ribadito che non ci si può rassegnare alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione. E ha lanciato un nuovo, accorato appello a intraprendere con coraggio iniziative che portino alla pace.
Rispondendo all’invito rivoltogli da Bartolomeo il 19 marzo 2013, Francesco è giunto in Turchia soprattutto per rafforzare il profondo legame che unisce le sedi di Roma e di Costantinopoli. Ma se il respiro ecumenico costituirà il cuore della visita, con l’appuntamento al Fanar nella festa patronale di Sant’Andrea, il Pontefice non poteva non tener conto della situazione dell’area e delle peculiarità della nazione che lo ospita. Il viaggio appena cominciato si svolge infatti in un Paese laico, a stragrande maggioranza musulmana, che è un ponte tra l’Europa — a cui la Turchia guarda da tempo con l’auspicio di potervi entrare come membro dell’Ue — e il Medio oriente da sempre instabile, ora alle prese anche con la sanguinaria avanzata del cosiddetto Stato islamico. Che perseguita, costringendole alla fuga, intere popolazioni; e tra queste diverse comunità cristiane.
La prima giornata del Pontefice in terra turca, dedicata agli impegni istituzionali, è iniziata dallo scalo internazionale Esenboğa di Ankara, dove l’aereo papale è atterrato alle 12.43 (le 11.43 in Italia), dopo un volo di circa tre ore, durante il quale ha rivolto un breve saluto ai giornalisti: «Vi do il benvenuto — ha detto — e vi ringrazio per la vostra compagnia in questo viaggio, perché il vostro lavoro è un sostegno, un aiuto e anche un servizio al mondo per far conoscere questa attività religiosa e umanitaria». Un’attività della quale, ha ricordato, «la Turchia in questo momento è testimone» essendo un Paese «che dà aiuto ai rifugiati delle zone in conflitto». Nel presentare i giornalisti a bordo dell’aereo, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha ricordato il sessantaduesimo compleanno di Jean-Louis de la Vaissière, della France Presse. E il Papa è stato il primo ad applaudire facendo gli auguri al festeggiato.
All’arrivo, il nunzio apostolico in Turchia, arcivescovo Antonio Lucibello, accompagnato dal capo del protocollo, è salito a bordo per accogliere Francesco che, una volta sceso dall’aereo, è stato salutato dal ministro degli Esteri, dal governatore della regione, dal comandante militare, dal sindaco della capitale. È stata una cerimonia semplice, con un picchetto d’onore schierato ai piedi della scaletta del velivolo.
Dopo un percorso di quarantacinque chilometri in auto, il Pontefice è giunto al Mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna, rendendo così omaggio a tutta la popolazione e alla stessa identità nazionale. Accolto nel piazzale del complesso monumentale dal comandante del corpo di guardia, attraverso la scalinata d’onore è entrato nel mausoleo, dove ha deposto una corona di fiori bianchi e rossi in prossimità della tomba dello statista, sostando per qualche istante in silenzio. Accompagnato quindi alla vicina sala Tower National Pact del museo, come avevano fatto Giovanni Paolo II il 28 settembre 1979 e Benedetto XVI il 28 novembre 2006, ha firmato il libro d’oro, scrivendo una frase in ricordo della visita: «Formulo i voti più sinceri perché la Turchia, ponte naturale tra due Continenti, sia non soltanto un crocevia di cammini, ma anche un luogo di incontro, di dialogo e di convivenza serena tra gli uomini e donne di buona volontà di ogni cultura, etnia e religione».
Subito dopo, sempre in auto, scortato da un reggimento a cavallo, il Papa si è trasferito al palazzo presidenziale. Ad accoglierlo all’ingresso, il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan. Ascoltati gli inni, il Pontefice ha rivolto, in lingua turca, il tradizionale saluto «salve, soldati!» al picchetto d’onore schierato. E dopo la presentazione delle rispettive delegazioni, il capo dello Stato lo ha accompagnato all’interno del palazzo, dove si è svolto il colloquio privato, seguito dallo scambio dei doni. Francesco ha offerto un’opera raffigurante una veduta di Castel Sant’Angelo — tratta da un dipinto a olio del pittore romano contemporaneo Antonello Riommi — realizzata dallo Studio del mosaico vaticano. Quindi, dopo il colloquio con il primo ministro, Ahmet Davutoğlu, si è svolto l’incontro con le autorità, durante il quale il presidente e il Pontefice hanno tenuto i discorsi ufficiali.
Francesco, parlando in italiano, ha sottolineato innanzitutto come il viaggio gli offra l’opportunità di proseguire un dialogo di amicizia, di stima e di rispetto nel solco tracciato dai suoi predecessori, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che qui giunsero da vescovi di Roma, senza dimenticare l’opera preparatoria compiuta dal delegato apostolico Angelo Roncalli. E ha riconosciuto la vitalità della Turchia e il suo ruolo nella comunità internazionale, ricordando che, per la sua collocazione geografica e per la sua importanza nella regione, essa ha una grande responsabilità: le sue scelte e il suo esempio hanno una valenza particolare nel contribuire a favorire un incontro di civiltà. Il Pontefice ha ribadito quanto sia fondamentale che musulmani, ebrei e cristiani possano godere degli stessi diritti, rispettando i medesimi doveri, perché le libertà religiosa e di espressione garantite a tutti non potranno che stimolare l’amicizia.
Riferendosi poi alla situazione del Medio oriente, ancora una volta il Pontefice ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e interculturale per contrastare ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo. Ai quali, ha aggiunto, occorre contrapporre la solidarietà di tutti i credenti, in un processo di pacificazione che, perseguendo il diritto e la giustizia, porti al ripudio della guerra e della violenza.
Da ultimo ha dato atto alla Turchia della generosità con la quale ha accolto una grande quantità di profughi provenienti da Siria e Iraq, sottolineando che la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutare il Paese in questo impegno. Così come ha ribadito anche la liceità di fermare l’aggressore ingiusto nel rispetto del diritto internazionale, ma riaffermando che ciò non può avvenire con il solo uso delle armi.
Nel pomeriggio è in programma l’ultimo appuntamento della giornata: la visita alla Diyanet, la Presidenza per gli Affari religiosi, con la presenza di alcuni membri della comunità musulmana. E già da questo incontro — ma soprattutto nei successivi due giorni a Istanbul — il viaggio comincerà ad assumere un carattere più decisamente interreligioso ed ecumenico. Sabato mattina infatti sono previste le visite al museo di Santa Sofia e alla moschea Sultan Ahmet, la “moschea blu”, quindi la prima tappa al Fanar per una preghiera con il patriarca Bartolomeo, cui farà seguito la mattina di domenica, festa di Sant’Andrea, sempre nella chiesa di San Giorgio, la partecipazione alla divina liturgia, con la benedizione ecumenica e la firma della dichiarazione congiunta. Come ha ribadito Bartolomeo qualche giorno fa, essa «costituirà una tappa importante nelle relazione tra le due Chiese». Ne è convinto anche Francesco, che fin dall’inizio del pontificato ha posto tra le priorità il dialogo con Costantinopoli e con le altre confessioni cristiane, nell’intento di intraprendere ogni iniziativa che possa favorire il cammino verso l’unità.
Ma non sarà dimenticato il “piccolo gregge”. Sabato mattina, nella sede della rappresentanza pontificia di Istanbul, il Papa incontrerà una rappresentanza delle comunità cattoliche latina, armena, sira e caldea, e nel pomeriggio celebrerà nella cattedrale dello Spirito Santo la messa con vescovi, sacerdoti, religiosi e numerosi fedeli. Una Chiesa piccola quella in Turchia — cinquantatremila cattolici su 76 milioni di abitanti (lo 0,07 per cento), per sette circoscrizioni ecclesiastiche e cinquantaquattro parrocchie — ma dalle origini antichissime.
La celebrazione e l’incontro dureranno in tutto un paio di ore, ma costituiranno un momento di grazia atteso «con cuore gioioso e riconoscente», come si legge nel messaggio diffuso dal vicariato apostolico di Istanbul in occasione del viaggio: un’iniezione di coraggio ed entusiasmo per una presenza che, nonostante i numeri, aspira a essere testimonianza di speranza per i credenti e per tutti gli uomini di buona volontà.
L'Osservatore Romano
Nessun commento:
Posta un commento