Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 26 marzo 2016

Sabato Santo, il giorno più lungo / Il Sabato santo è il giorno del silenzio di Dio./ ... un messaggio dentro il giorno più femminile...

Enzo Bianchi e il Sabato Santo: il giorno più lungo

 
Il Sabato Santo è il giorno del silenzio e dell’attesa. È aliturgico, nel senso che non si celebra la Messa e, a differenza del Venerdì Santo, la Comunione può essere distribuita solo come viatico a chi è gravemente malato tanto da prevederne la morte. Anche se nelle chiese oscurate e dominate dal colore viola prevale il senso di lutto, questo giorno è incentrato sull’attesa dell’annuncio della Risurrezione, nella solenne Veglia notturna che introduce alla Pasqua, la «madre di tutte le veglie»secondo la definizione di sant’Agostino.


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Il giorno più lungo
di Enzo Bianchi
Il sabato santo, o grande sabato, è il giorno “frammezzo”, perché sta tra il giorno della morte di Gesù e quello della sua resurrezione. È un giorno unico nel ritmo liturgico, un giorno di silenzio e di attesa, che non sta solo nella settimana santa ma diventa un’ora, un tempo, a volte una stagione nella vita del cristiano. Dobbiamo anche confessare che è un giorno scomodo, che appare vuoto, e non è un caso che fino a qualche decennio fa fosse stato, per così dire, “rubato”, “sottratto”, perché in qualche modo era stato quasi espulso dalla liturgia stessa.
Ho buona memoria di come si viveva il sabato santo prima della riforma liturgica voluta da Pio XII con la restaurazione della veglia pasquale, nel 1951. Il venerdì santo era celebrato in un clima severo, penitenziale e di lutto. Al pomeriggio vi era la liturgia della croce nella quale, scalzi, si andava a inginocchiarsi davanti al grande crocifisso e si innalzavano intercessioni veramente universali: per la chiesa, i giudei, gli eretici, gli scismatici, i peccatori e i malati nel corpo e nell’anima. Venuta la notte, la processione con il Cristo morto solcava le vie del paese, mentre canti funebri e dolorosi, davvero struggenti, ricordavano che la madre dolorosa stava presso la croce piangente accanto al corpo del Figlio. Il venerdì santo era un giorno di tenebra, e anche l’Ufficio delle tenebre, con le Lamentazioni di Geremia cantate su toni cupi, accompagnava i sentimenti di oscurità e tristezza presenti nei cuori.
Ma al mattino, quando avremmo dovuto vivere il sabato santo con il suo silenzio e il suo vuoto, in realtà c’era un darsi da fare quasi convulso. In chiesa si drappeggiavano con panni le finestre, in modo che non entrasse la luce e il buio permettesse di celebrare la vittoria del fuoco, con la sua luce. Vi era poca gente in chiesa in quel mattino: il prete, le suore, qualche donna e noi chierichetti… Pochi lo ricordano, ma la resurrezione si celebrava il sabato mattina, verso le dieci, in uno stile non certo di festa: si eseguiva un rito con fede ma senza un vero coinvolgimento delle emozioni e dei sentimenti di gioia pasquale. Poi, al suono delle campane (si diceva che “si slegavano le campane”), si correva al ruscello vicino e, segnandosi con il segno della croce, ci si lavava la faccia nell’acqua fredda ma pulita che scorreva tra le pietre e i ciuffi dell’erba nuova. E così il sabato santo di fatto non si viveva, mentre alla domenica, allora sì, si andava tutti alla liturgia eucaristica (la messa) della resurrezione, poi si faceva festa in famiglia e a volte c’era il pranzo nei prati.
Ma dopo la riforma liturgica di Pio XII ecco riapparire il sabato santo, ecco la meditazione su di esso da parte dei grandi teologi, ecco la ripresa della continuità con la liturgia della chiesa dei padri: era tornato il sabato santo! E così a poco a poco si riscoprivano i suoi significati. Innanzitutto, in ascolto delle sante Scritture, il sabato santo appare come il giorno nel quale nulla è stato detto di Gesù, morto e sepolto il giorno prima, e poco è stato detto riguardo agli altri, i discepoli e i protagonisti della sua passione e morte. Sembra un giorno che deve passare in fretta, perché le donne attendono il giorno successivo per fare ritorno alla tomba, i sommi sacerdoti pensano che nulla possa succedere, visto che la tomba è vigilata dai soldati di Pilato, i discepoli presi dalla paura stanno in casa, a porte chiuse.
Sabato santo, giorno in cui non accade nulla, giorno del riposo di Dio, secondo la vita di fede giudaica, giorno in cui il corpo morto di Gesù è nella tomba a riposare. Morto il giorno prima, il venerdì 7 aprile dell’anno 30, Gesù appare morto per sempre: non c’è ormai più nulla da vedere e da ascoltare da lui… La sua storia appare un fallimento e la sua comunità è smarrita e impaurita. Si impone un’evidenza: un corpo esanime, chiuso con una grande pietra dentro una tomba, inaccessibile. Un giorno così vuoto, segnato da aporia, appare il giorno più lungo! Si vorrebbe che finisse presto, perché mette alla prova la nostra adesione alle parole in cui abbiamo creduto, la nostra speranza in un esito di salvezza e di trionfo del bene sul male.
E invece siamo posti di fronte alla morte: quella di Gesù ma anche la nostra morte e la morte degli altri che amiamo. Vorremmo accorciare quel giorno, vorremmo cancellarlo, eppure, nel triduo salvifico, è un necessario giorno frammezzo: si tratta di capire ciò che è successo, di guardare in faccia la realtà della morte come fine che si impone inesorabile, di esercitarci nell’attesa, vincendo costantemente i dubbi attraverso l’adesione alle parole di Gesù. Nel sabato santo la fede è costretta a combattere, a conoscere la propria debolezza, per essere vittoriosa sulla nientità, sul nulla, sul vuoto. Se il sabato santo testimonia che Gesù “è andato a fondo”, esso ci richiede di andare in profondità, di accogliere il buio che avvolge l’enigma, che a poco a poco, grazie alla forza dello Spirito di Dio operante in noi, può trasformarsi in mistero. Sì, dall’enigma disperante al mistero che rivela il senso di tutte le cose e di tutti gli eventi! Non si può vivere il sabato santo senza accettare la “crisi della parola”, l’esperienza che le parole non sono sufficienti e a volte devono lasciare il posto al silenzio, al “non saper dire”. Lo scandalo della croce getta un’ombra, e in quest’ombra dobbiamo imparare a stare. “È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” canta il profeta nelle Lamentazioni per la morte del Messia (3,26).
Ma se è vero che questo silenzio e questa attesa ci stringono il cuore, nelle profondità del cuore stesso continuiamo però a credere che Gesù Cristo è sempre operante e che proprio quando non vediamo nulla e constatiamo solo che “recessit Pastor noster” – “se n’è andato il nostro Pastore” –, proprio allora lui, il Signore dei vivi e dei morti, è sceso negli inferi, nelle profondità irredente dell’uomo, a portare quella salvezza che noi non possiamo darci. In quel sabato santo è sceso per incontrare tutti gli umani già morti, ma ancora oggi scende nelle nostre profondità non evangelizzate, abitate dalle nostre ombre e dalla morte, per operare ciò che noi non possiamo operare. Sì, nella vita spirituale prima o poi si va a fondo, ma andando a fondo troviamo Gesù che ci ha preceduti e ci attende a braccia aperte. Allora la nostra attesa finisce, il nostro lamento si cambia in cantico nuovo, il nostro giacere su terre di morte in una danza di gioia: lui, Gesù risorto, asciugherà le lacrime dai nostri occhi e con la sua mano nella nostra ci condurrà al Padre nel Regno eterno.
E la tomba, che il terzo giorno risulta vuota, sarà eloquente: Non è qui, è risorto da morte, come aveva detto!. Così, dopo il sabato santo inizia quel giorno senza fine, senza tramonto: la Pasqua di Gesù e la nostra Pasqua, un’unica Pasqua!
Pubblicato su: Avvenire

La Donna del Sabato Santo

Giotto di Bondone Scenes from the Life of Christ Resurrection

di Antonio Gaspari
“Il Sabato santo è il giorno del silenzio di Dio. Gesù deposto nel sepolcro condivide con tutta l’umanità il dramma della morte”. (Papa Francesco – Udienza Generale, 23 marzo 2016) E oggi più che mai, travolti da una sequenza interminabile di orrore, sentiamo il bisogno di silenzio, di dare respiro all’anima, di ritrovare stabilità interiore, occhi e cuore persi per strade buie e senza uscita per cominciare a vivere il ‘nostro Sabato’ come invita il Santo Padre e imparare a ‘stare’ nel tempo che ci attraversa.
Violenza, distruzione, morte, sfruttamento, schiavitù, emarginazione, degrado, fame, odio, guerra … in questo abisso di tenebra è possibile scorgere uno spiraglio di luce all’orizzonte e credere ancora alla ‘buona notizia’? È ancora possibile oggi scoprire la santità del tempo, avvolto dalla benedizione di Dio? Dov’è il Dio dell’alleanza che ha visitato e redento il suo popolo e non si stanca di custodirlo lungo il cammino verso la terra promessa?
Quel Padre che ‘ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito’ ha forse dimenticato i suoi figli?
Mentre il grido di ogni cuore ferito sale al cielo in questo Sabato santo, ecco elevarsi sovrana, al di sopra di ogni oscurità, una “Donna” bellissima, regale, splendente, “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle”, proprio come l’emblema dell’Europa.
La sua presenza silenziosa, più eloquente di mille parole, come Gesù con i discepoli di Emmaus, si accosta discretamente per ‘stare’ con noi. Sta nel nostro smarrimento e ci rischiara la strada. Ci ri-orienta.
Ci scalda il cuore e riaccende in noi la speranza di una vita nuova. Qualsiasi situazione viviamo o osserviamo, qualsiasi sia la nostra o l’altrui passione, ci chiede di sostare con lei ai piedi della croce e di guardare le cose da una prospettiva nuova, dall’alto, anothen.
Assente al tempo dei trionfi, ora lei è lì, sotto la croce, più che mai presente, a vivere in strettissima simbiosi la passione del suo adorato Figlio, a morire d’amore con lui, senza poter morire. È lì a vivere con Lui la più profonda kenosi nella storia dell’umanità.
Impietrita da tanto dolore, atroce, insopportabile, inimmaginabile, il più grande che un essere umano possa provare, non infierisce, non si contorce, non urla, non scappa.
Lei soltanto ‘c’è’, con tutto il suo cuore, con tutta se stessa e ci svela la strategia vincente dell’essere nel dolore, nostro e altrui, dell’entrare in sé prima di uscire, senza spendere parole inutili, frasi di convenienza, atteggiamenti teatrali e ipocriti, senza esperti e sapientoni.
Lei ‘sta’, ci sta, non compiange il Figlio, non si chiede “perché?”, non invoca miracoli, non aspetta parole. Lei è lì, semplicemente, totalmente, visceralmente, a testimoniare l’amore perfetto, inscindibile, che la unisce a Lui. Niente e nessuno potrà mai separarli, nemmeno la morte. Un amore così non muore mai, non può morire, vive in eterno.
In lei si condensa la storia d’amore di ogni figlio, di ogni padre, di ogni madre che è chiamata a vivere la stessa atroce esperienza, la morte di un figlio: solo in lei riesce a trovare misteriosamente la sua vocazione, la sua missione, il suo compimento.
Chi più di lei può chiedere ad ogni cuore trafitto di non fermarsi al buio del Venerdì Santo?
Siamo incamminati come pellegrini nel “sabato” del tempo, verso l’ottavo giorno, in attesa della piena rivelazione della vittoria di Pasqua. Siamo chiamati a guardare oltre, certi che le promesse di Dio si avvereranno, allora, non cediamo alla tentazione di assolutizzare l’oggi.
Per quanto la notte possa essere oscura, non ci smarriremo se continueremo a tenere accesa la lampada della fiducia in Dio che ci fa sperare contro ogni speranza. Se, come questa Donna intrepida, innalzeremo lo sguardo oltre lo scandalo di ogni croce, di ogni dolore innocente.
“La Madonna dovrà essere l’icona, per noi, di quel Sabato Santo. Pensare tanto come la Madonna ha vissuto quel Sabato Santo; in attesa. È l’amore che non dubita, ma che spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua” (Papa Francesco – Udienza Generale, 23 marzo 2016)
Dalla Croce, dai cuori squarciati del Figlio e della Madre irrompe un fiume di amore, immenso, senza confini. Acqua viva che sana ogni ferita, lenisce ogni angoscia, rigenera ogni morte, purché trovi un cuore aperto, disposto a riceverla.
Attraverso la Donna del Sabato Santo l’amore di Dio potrà accarezzare ogni crocifisso della nostra storia. Ogni ferita, ogni morte sarà trasfigurata in feritoia da cui risplenderà un raggio di luce del Risorto.
Per ogni approfondimento: www.figlincielo.org

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 Il giorno più "femminile" dell'anno liturgico...
20259O
di Alessandro D'Avenia


Il Sabato Santo è il giorno più femminile dell’anno, perché è il giorno dell’attesa. Solo la donna sa cosa vuol dire attendere, perché porta in grembo la vita per nove mesi e la si dice per questo in dolce attesa. Attesa e attenzione hanno la stessa radice, per questo le donne sono attente ai dettagli sino a rischiare di perdersi in essi, perché ogni talento ha la sua ombra. Solo la donna sa cosa vuol dire tessere la vita, prendersene cura e donarla al mondo. Solo la donna conosce questo accadere in lei e ne stupisce nel corpo e nell’anima. Il Sabato Santo è infatti il giorno delle donne. Alle donne è affidato il compito di prendersi cura, cioè di 'attendere' al corpo di Cristo, prima che inizi il sabato ebraico: con i profumi e le essenze ne preparano la sepoltura provvisoria, in tutta fretta, in attesa di quella definitiva dopo l’obbligatorio riposo sabbatico. In qualche modo anticipano, inconsapevolmente, la risurrezione con quel gesto umanissimo della mirra e dell’aloe, che avevano funzione non solo di profumare ma di rallentare la corruzione del corpo. È proprio della donna dare la vita, è proprio della donna profumare e preservare dalla corruzione, è proprio della donna prendersi cura del corpo. Ed è a una donna che viene dato il lieto annuncio della risurrezione, della vita preservata dalla morte che si scopre sconfitta, quando credeva ormai di aver vinto la partita su un cadavere, che è il Corpo più vivo della storia umana. Le parole di Luca, apparentemente soltanto descrittive, svelano il motivo per cui alle donne per prime è dato l’annunzio, loro così attente a quel corpo perché in attesa di quel corpo: «Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento. Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato».


Il silenzio del sabato per gli uomini è sconfitta e disfatta. Tutto è finito. Per gli uomini che cercano sempre soluzioni efficaci ai problemi, la morte non ha soluzione: Cristo è stato un’illusione, non è la soluzione al problema, che differenza vuoi che facciano gli aromi e gli oli profumati (solo Nicodemo fa eccezione, proprio quello a cui nottetempo Gesù aveva spiegato che bisogna rinascere dall’alto). Per le donne c’è qualcosa di diverso, intuiscono che Cristo è come loro, che danno ai loro figli il loro sangue e il loro corpo, perché i figli abbiano la vita. Il punto per loro non è trovare la soluzione al problema, ma accompagnare chi ha il problema, non lasciarlo solo. Il chicco di grano muore a sé, come chi è in dolce attesa, per dare frutto: la donna questo lo sa nel corpo e quindi anche nell’anima, il suo dischiudersi è dolore che dà la vita. L’uomo invece vede la morte con freddo realismo: senza soluzione, e basta. Altro che risurrezione. Anche nella nostra vita molte cose devono morire (e noi moriremo), perché appartengono al mondo vecchio, mortalmente ferito dal peccato. Ma su questo se ne innesta uno nuovo, inaugurato da Cristo, che fa risorgere la vita e la restituisce intatta, prendendosene cura come fa una donna incinta: il realismo del cristianesimo non ha nulla a che fare con le favole. Si muore realmente e con tutte le sofferenze del caso, ma si risorge altrettanto realmente, per intervento del Padre a cui la vita è affidata. Questa buona notizia, l’unica buona notizia nel naufragare continuo delle cose umane, è data a una donna, a Maria di Magdala, perché sono le donne che sanno dare la vita e sono loro che devono trasmettere agli uomini il messaggio che la vita è ricominciata. Sono loro ad attendere preparando aromi e oli, non sono in fuga, c’è ancora qualcosa da fare per il corpo di Cristo: preparano la loro umanissima ricetta di risurrezione. Tutto questo avviene nel giardino del sepolcro, così come nel giardino la donna aveva mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, decidendo che poteva essere lei a dare la vita in proprio, senza il consenso di Dio, e quindi avrebbe potuto anche non attendere la vita, non attendere alla vita. Nello stesso giardino tutto viene riparato: «Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio». Quella donna si era alzata prima dell’alba, probabilmente dopo ore insonni, ed era andata di fretta al sepolcro. Ecco perché il sabato è donna, perché la donna ha atteso trepidante tutto il sabato e quando può scatta in avanti, corre in fretta, come una molla compressa, per curare la vita, anche quella più ferita, si alza quando è ancora buio, per nutrire la vita, come le madri che allattano nel cuore della notte. Non si cura del fatto che il sepolcro è chiuso da una pietra che non potrà mai spostare, a lei quello che interessa è stare il più vicino possibile al suo amore, essere lì presente, fisicamente. Proprio a lei, innamorata folle, allora viene concesso il privilegio di essere chiamata per nome («Maria!») dal risorto, e così riconoscerlo. Una nuova vita viene attesa dagli uomini, scegliendo il nome che ne inaugurerà l’inedito essere al mondo. La nuova vita di Cristo risorto si mostra pronunciando il nome di Maria come nessuno lo ha mai pronunciato, con un tono tale che sentiamo risuonare tutta la meraviglia del nostro essere, che non solo è amato così come è, ma è voluto dall’eternità e per l’eternità proprio da chi non può morire più, perché è risorto una volta per tutte. Come quando lo sposo dice alla sposa nel Cantico dei Cantici: «Sei tutta bella», e quel 'tutta' non indica solo la totalità del corpo ma la totalità del tempo, bella in ogni tempo, passato presente e futuro. Lei che era andata a prestar cura a un corpo senza vita si ritrova a essere chiamata per nome, per prima, dalla Vita stessa, che non può più morire. E la sua vita rifiorisce, dall’alto. Lei ora sa che non può più appassire, grazie a quella Vita che pronuncia il suo nome come nessun amore umano potrà mai fare.

In quel giardino la donna che era in attesa, era in realtà la donna attesa. Lei che voleva in qualche modo ridare vita a quel corpo con i suoi profumi, rinasce dall’alto, a partire dal suo nome. Lei per prima viene a sapere la buona notizia, sin dentro al suo nome, perché piena di fede e di cure, che poi è lo stesso. Lei la prima a dare la notizia, la buona notizia, perché lei è la prima, vigile, scattante, ad aspettarla quella notizia per un intero trepidante malinconico sabato d’attesa.

By Kairos

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