Chi è Papa Francesco
Il cardinale Kasper, uno dei teologi più stimati dal Papa, spiega come cambia la chiesa venuta dalla fine del mondo: riforma della curia e sguardo universale
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Più passa il tempo e più l’azione di Francesco incontra resistenze. Nei corridoi dei Sacri Palazzi si percepisce il mormorio contro questo Papa “fuori di testa”, assolutamente ingestibile e in continuo movimento. Forse perché le vecchie volpi della burocrazia vaticana hanno capito che Bergoglio invece che proclamare riforme o minacciare rivoluzioni sta semplicemente abbandonando a se stesse consuetudini e strutture anacronistiche. E che i suoi primi gesti non erano frutto di un’improvvisazione generosa e ingenua, quella dell’outsider che a sorpresa arriva in cima e fa qualche pazzia che tutti gli perdonano volentieri sapendo bene che non durerà, ma le prime tracce di un disegno organico e meditato. Tra gli alleati e consiglieri fidati su cui Bergoglio può contare c’è senza dubbio il cardinale tedesco Walter Kasper, teologo di valore che per anni ha guidato il dicastero vaticano per l’unità dei cristiani, tema al quale Bergoglio è molto sensibile. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a capire quello che sta succedendo a un’istituzione vecchia di duemila anni ma capace ancora di regalare sorprese.
Secondo lei quello tra Benedetto e Francesco è un passaggio epocale? “In effetti un passaggio c’è, ma non comincia con Papa Francesco. All’inizio del Ventesimo secolo soltanto il venticinque per cento dei cattolici non viveva in Europa, alla fine del secolo solo il venticinque per cento dei cattolici è europeo mentre la grande maggioranza vive nell’emisfero sud. In Europa la chiesa dà ormai segni di stanchezza mentre in Africa e in Asia la chiesa cresce ed è giovane e vitale. D’altronde l’eurocentrismo è finito anche in campo politico ed economico. Certo, questo non significa che la chiesa europea non conti più nulla, Roma resta il centro visibile della chiesa cattolica; il mondo globalizzato di oggi ha le sue radici cristiane in Europa che poi si sono secolarizzate. Abbiamo esportato anche questo… L’Europa deve svegliarsi, spero che rimarrà comunque un punto di riferimento”.
Benedetto era un Papa europeo, un platonico, un agostiniano. “Certo – risponde Kasper – ha studiato Agostino che in un certo senso fu il padre del pensiero europeo occidentale, e poi Bonaventura; conosce la teologia medievale. La sua Denkform è quella. E poi la scelta del nome, Benedetto, il padre del monachesimo che ha profondamente influenzato la cultura e la storia europea. Adesso con Francesco arriva l’emisfero sud e la chiesa latinoamericana che rappresenta quasi la metà dei cattolici; ma anche la chiesa in Africa e Asia sta crescendo molto. Anzi, credo che l’Asia sia la grande sfida di adesso e che soprattutto con la Cina diventi un centro del potere politico-economico. Sono appena stato in Corea del sud e ho trovato una comunità cattolica molto vivace, ci sono moltissime conversioni. Ma anche in Cina, nonostante le difficoltà che conosciamo, i cattolici sono aumentati”.
Ma in cosa consiste, di fatto, la svolta di Papa Francesco? Kasper sostiene che “non è possibile inquadrarlo nel classico dibattito europeo conservatori-progressisti, è uno schema esaurito. Francesco non è un conservatore né un progressista. Vuole una chiesa povera e dei poveri, lui ha ben presente che la gran parte degli uomini nel mondo vive in miseria e credo che cambierà l’agenda della chiesa. Il modello di civilizzazione occidentale non funziona più, e d’altronde noi siamo una minoranza. La chiesa deve prendere più sul serio i problemi non del cosiddetto Terzo mondo, espressione che ormai non dice più nulla, ma del nuovo mondo, tutte le terre che non sono occidente. Molti resteranno delusi da Francesco. I conservatori già lo sono perché non ha la statura intellettuale di Benedetto e poi perché ha abolito la corte pontificia – cosa di cui gli sono grato, era un barocchismo anacronistico. Ma anche i progressisti resteranno delusi: è vero, ha cambiato il modo di fare il Papa, ma non cambierà i contenuti. Tra lui e Benedetto c’è continuità nella dottrina: non cambierà sul celibato dei preti e non aprirà alle ordinazioni delle donne e tutte queste cose invocate dai progressisti”.
Guardando alla biografia di Bergoglio, in effetti, non ci si dovrebbe aspettare rivoluzioni dottrinali. “Alcuni pensano che forse cambiando vita cambi anche impostazione, ma non sarà così – ci dice il cardinale tedesco – E questo potrebbe diventare un problema, per lui. Molti adesso ne sono entusiasti: è un pastore vero, ha un grande charme e un approccio immediato alle persone, un linguaggio diretto e comprensibile. C’è chi lo accusa di fare uno show, ma secondo me la sua è una testimonianza autentica: vive ciò che dice”. Beh, è un gesuita, il senso della scena ce l’ha, è bravissimo a stare sul palco davanti a una platea; eppure la sostanza non gli manca. “E poi fa una vita semplice e questo gli dà credibilità, non vive come un principe. Anche Benedetto era una persona semplice ma si era un po’ adeguato a certe forme che Francesco rifiuta”, aggiunge Kasper.
E se la riforma di Francesco fosse più di stile che politica? Sono tutti lì a chiedersi chi sarà il nuovo segretario di stato, quali nomine farà: i soliti dettagli senza vedere l’insieme… “Anzitutto lui sta lavorando sulla mentalità della curia: non deve essere di potere e burocrazia ma di servizio per la chiesa universale e anche per le chiese locali, un tema sul quale insiste molto”. Subito, la prima sera, si è presentato come vescovo della chiesa di Roma. “Questo è necessario in una realtà plurale – osserva Kasper – Noi cattolici abbiamo un centro, e questo è un bene, ma centro non vuol dire centralismo curiale. Poi ci vuole qualche cambiamento a livello istituzionale. Questo era il desiderio quasi unanime dei cardinali alla vigilia del Conclave. D’altronde si vede che qualcosa non funziona nella curia, non è un segreto”.
Ma qual è l’ostacolo maggiore? “Il deficit di comunicazione – risponde deciso Kasper – Bisogna incontrarsi, parlarsi. I capi dicastero devono vedersi frequentemente, almeno una volta al mese, e poter accedere direttamente al Papa senza passare dalla segreteria di stato che ultimamente funzionava come organo di governo intermedio”. D’altronde la Segreteria di stato, per come è strutturata adesso, è il residuo di un’epoca ormai al tramonto, quella degli stati sovrani. “Il titolo di segretario di stato non ha più senso – riconosce Kasper – ci vuole piuttosto un moderatore. Comunque il nome non è fondamentale, ciò che conta è una migliore moderazione della curia perché adesso non c’è comunicazione”.
Lei crede davvero che la curia sia riformabile? “Ci saranno difficoltà, come per ogni grande istituzione – ammette Kasper – Sono strutture pesanti però questo Papa è molto determinato: sa ciò che vuole, e ciò che vuole fa. Ci saranno resistenze, è normale, ma una riforma della curia è necessaria sia nella mentalità che nelle strutture. Oltre a eseguire la volontà del Papa, la curia potrebbe divenire un luogo di scambio di esperienze fra le chiese, di informazione e di consultazione”. Anche lei, da teologo, ha sempre insistito sull’importanza delle chiese locali. “In un mondo globalizzato le chiese devono collaborare, imparare l’una dall’altra. E in questo senso anche la curia potrebbe giocare un ruolo importante. Adesso invece manca la comunicazione, la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra”.
Cos’altro si potrebbe fare? “Dare molto più spazio alle donne. Ci sono diversi dicasteri vaticani che non hanno potere giurisdizionale e non richiedono quindi ministri ordinati. Ad esempio il Pontificio consiglio per i laici, quello per la famiglia, i migranti, gli operatori sanitari. Oggi abbiamo molte donne preparate e capaci, hanno un approccio diverso alla realtà rispetto ai noi uomini, più integrale. La chiesa è più povera se non sfrutta questa ricchezza, basta vedere le parrocchie. E poi la presenza delle donne è utile per superare il clericalismo che in fondo è uno zelo sterile. Un altro aspetto importante è la trasparenza, e non riguarda solo lo Ior ma tutti gli enti vaticani che amministrano denaro, palazzi. Perché la chiesa ci perde con questi scandali”.
Se poi un Papa prende il nome di Francesco… “Non è solo un nome, è un programma”, riconosce Kasper. Certo, l’istituzione che prende il nome del carisma fa effetto. “Anche Benedetto era il nome di un carisma – ricorda il cardinale – Certo, Francesco è la povertà e anche la pace. Ma soprattutto, dal punto di vista teologico, Francesco è icona di Cristo, il simbolo del rinnovamento della chiesa. Che è più di una riforma. Perché il tema non è sociologico ma teologico: è Cristo che si fa povero affinché noi diventiamo ricchi. E’ un punto molto importante sul quale già Papa Benedetto ha insistito parlando di demondanizzazione. Francesco adesso la mette in pratica”.
Per quanto riguarda gli scandali, il grande teologo tedesco Karl Rahner già negli anni Sessanta diceva che il modo migliore per confrontarsi con un’opinione pubblica plasmata dai media era far crescere un’opinione pubblica dentro la chiesa stessa. “In realtà lo diceva già Pio XII – ricorda Kasper – ma poi questa esigenza si è persa nel tempo. Forse questo Papa ha la forza per riuscirci, è molto amato ma non si tratta di un’emozione superficiale. Molti parroci mi hanno detto che a Pasqua molte più persone si sono confessate, anche gente che non si accostava ai sacramenti da anni. Forse perché Francesco parla molto di misericordia… In ogni caso ci vuole tempo per formare un’opinione pubblica nella comunità ecclesiale, perché richiede libertà di parola. E poi è normale che ogni Papa affronti resistenze. Oggi questo Papa è amato ma un giorno capiterà anche a lui di subire contestazioni, è già successo a Gesù di Nazaret. Io sono cresciuto sotto il Terzo Reich ma ho avuto un’educazione antinazista. Mi ricordo quello che mi diceva mia madre (mio padre era al fronte): tu sei cattolico, quindi sei contro Hitler. La chiesa cresce nella resistenza mentre oggi il nostro mondo pluralista è debole: tutto è possibile, anything goes. Per i giovani non ci sono punti per resistere, affrontarsi, e solo confrontandosi si cresce”.
Manca il conflitto. “Sì, in questo senso sì. Non il conflitto come violenza ma come riconoscimento di posizioni diverse. E solo chi ha un’identità personale può confrontarsi con un’altra identità”. Ma questo relativismo che ci estenua da dove viene, dal Sessantotto? Per caso anche lei è rimasto choccato dal Sessantotto come Ratzinger? “La mia reazione è stata un po’ diversa – risponde Kasper – Il confronto con gli studenti mi andava bene, quelli di adesso sono fin troppo tranquilli. Il Sessantotto in realtà segnò la fine del Dopoguerra, fu un’ondata di secolarizzazione e di emancipazione. Ha distrutto molti valori non solo cristiani ma anche umani, come il rapporto uomo-donna, che finora non sono stati recuperati. Oggi tutto è tranquillo ma niente è stato risolto. Perciò credo, come dicevo prima, che il discorso sulla modernità sia esaurito mentre questo Papa ci porta un discorso nuovo. Il Sessantotto era l’ultimo stadio dell’Illuminismo ma adesso sono tramontati anche i valori del vero Illuminismo. Da qui il disorientamento di uno come Habermas”. In effetti è qualcos’altro a condurre il gioco, il paradigma dominante è economico. “Prevalgono gli interessi, ciò che conta è il profitto. Certo, l’economia è importante per vivere ma non è il tutto come sembra oggi guardando certe discussioni come il salvataggio dell’euro”.
Questo Papa non è un teologo in senso tecnico ma è un uomo che legge e studia. I teologi possono ritrovare un loro spazio in dialettica col magistero? “Possono, anzi devono – si accalora Kasper – Ai tempi del Concilio abbiamo avuto grandi personaggi come Congar, De Lubac, Balthasar, Rahner e lo stesso Ratzinger, senza contare teologi riformati come Barth e Bonhoeffer. Oggi figure simili non ci sono più: abbiamo professori di teologia ma non teologi. La situazione della filosofia è simile e per noi teologi sistematici questo è un problema”. Un altro sintomo della fiacchezza europea. “E’ vero, anche se vedo alcuni giovani teologi che promettono bene, speriamo… Una comunità come la chiesa ha bisogno della riflessione per dialogare col mondo e le altre religioni. Penso soprattutto all’Asia”. Anche perché molti, a proposito del dominio cinese, parlano di un paradigma neoconfuciano. “Entrare in profondità in queste culture richiede una vera capacità di dialogo”, ricorda Kasper. Ma con un Papa gesuita potrebbe tornare una controversia dei riti come quella che contrappose Matteo Ricci e compagni a Roma? “Forse. D’altronde i gesuiti stessi hanno una grande tradizione di studio teologico anche se pure loro hanno vissuto una stagione di debolezza. Certo, l’Asia è un altro mondo, penso al buddismo. Eppure anche loro stanno scoprendo la nostra cultura, ci sono punti di contatto. Hanno scoperto Meister Eckhart, Hegel e Heidegger sono tradotti in giapponese”.
E con i fratelli cristiani separati, per i quali tanto lei ha lavorato come presidente del pontificio consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani? Com’è la situazione oggi? “I progressi ci sono stati. Quand’ero ragazzo tra cattolici e luterani c’era un muro. Un protestante non sarebbe mai entrato in una chiesa cattolica e io non sarei mai entrato in una chiesa evangelica: avrei avuto paura di dover andare a confessarmi! Adesso siamo amici, ci siamo riconosciuti come fratelli in Cristo e questo è fondamentale. Però ci sono ancora dei problemi. Con i protestanti non siamo d’accordo su cosa sia la chiesa e quindi su quale sia il traguardo finale dell’unità”. E poi loro hanno sposato più dei cattolici la causa liberale. “Molto. Infatti ci sono delle differenze, come mai fino ad ora, sulle questioni morali. Nondimeno dobbiamo continuare il dialogo. Con gli ortodossi c’è più vicinanza, specie con il patriarcato di Costantinopoli, ma a loro manca il concetto di chiesa universale e quindi del ministero petrino. Oggi si può dire che abbiamo un’unità della cristianità più che della chiesa e quindi possiamo dare al mondo, malgrado posizioni talvolta diverse, una testimonianza di amicizia. D’altronde l’ecumenismo è nato prima del Concilio in piccoli gruppi e forse oggi dobbiamo rifare lo stesso percorso, partendo da piccole realtà che preparino la strada. D’altronde Papa Francesco è molto sensibile all’ecumenismo, già quand’era a Buenos Aires coltivava relazioni forti con la comunità evangelica e ortodossa, ma anche con quella ebraica”, ricorda Kasper.
Quindi nonostante tutti i problemi e le fatiche che appesantiscono l’istituzione, questo potrebbe essere un kairos, un tempo propizio per la chiesa: “Sì, il cristianesimo è l’unica forza spirituale e intellettuale nel mondo di oggi che ha un’alternativa per il futuro. Il liberalismo non risponde ai problemi della miseria diffusa nel mondo, è frutto della storia europea ma adesso questo Papa affronta problemi diversi. Così il cristianesimo è l’unica forza che può dare qualcosa al mondo. E ciò non dipende dai grandi numeri, come già diceva lo storico Arnold Toynbee. Una concezione, quella di minoranza creativa in situazioni di crisi, ripresa da Benedetto XVI. Oggi, con Francesco, si apre una stagione di rinnovamento spirituale. Ne ho fatto esperienza durante il Conclave, e anche altri cardinali me l’hanno confermato”. Il vento dello Spirito ha soffiato. “Sì, qualcosa è accaduto – ci dice Kasper con gli occhi che gli brillano – All’inizio non c’era un nome che emergesse ma alla fine Bergoglio ha preso più dei due terzi dei voti. In Conclave ho visto molti pregare, questa atmosfera era forte e si percepiva. Alla fine è uscito il suo nome ed è stata una sorpresa, soprattutto per i giornalisti che avevano altri nomi… Poi ho osservato con molta attenzione la reazione della folla quando si è affacciato alla loggia di San Pietro: sono bastati pochi secondi e si capiva che funzionava: la gente ha capito i primi segnali che ha dato, la richiesta di benedizione con l’inchino verso la piazza. E questo mi ha fatto molto contento”, conclude con un sorriso.
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