E in questa vita, la tempesta è quasi continua,
e la vostra barca sempre sul punto di affondare.
Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui;
con me, questa barca è insommergibile!
Diffidate di tutto, e soprattutto di voi stessi,
però abbiate in me una fiducia totale
che scacci ogni inquietudine.
Charles de Foucauld
Mt 8, 23-27
In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.
Il commento
La vita è una traversata sul mare, immagine della morte. In ebraico "passare" si dice HBR, da cui deriva “ebreo”, i fratelli maggiori, sul cui “passare” siamo stati innestati: “l’evangelista desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mare. Simultaneamente dovranno forgiare la loro tenuta spirituale per andare avanti. Dire spirituale significa dire il loro respiro del vento di Dio. Qui appunto, c’è tutto: il vento, il mare, il pericolo, le onde marine, la tempesta di vento… Allora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah…”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “ Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” ( M. Vidal, “Un ebreo chiamato Gesù”).
La stessa domanda che oggi prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”. Perché siamo senza fede? La barca, che è anche la nostra vita, è percorsa da "tempeste violente". In greco si trova “grande sisma”, lo stesso vocabolo usato nei racconti della passione: "Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: « Davvero costui era Figlio di Dio! »" (Mt. 27, 50-54). Le scosse che spesso sconvolgono la nostra vita sono dunque il segno della sua morte; come un orologio, tutte le volte che urtano violentemente il nostro cammino, gli eventi e le persone della nostra storia ci annunciano il suo "compimento".
Ma noi abbiamo "paura", ci sentiamo "perduti", perché siamo ancora schiavi, viviamo come i pagani preoccupati del domani, della sorte che ci attende. Non abbiamo fede perché non siamo figli. Non siamo fratelli del Figlio che dorme, come un bimbo che riposa divezzato in braccio a sua madre, l’anima placata e acquietata anche nella valle oscura. Pretendiamo e il nostro cuore si leva con superbia dinanzi alla vita. L'orgoglio è sempre il più grande nemico della fede, come la superbia è la madre di ogni concupiscenza. Hanno preso possesso del nostro cuore, proiettandolo in un domani che non ci appartiene, e ci fanno fuggire con disprezzo l’oggi che non sopportiamo. L’oggi dove riposa il Signore. Le onde? I tumulti? Il terremoto? Sono tutti segni del suo amore. Per questo abbiamo bisogno di entrare nella barca come il popolo di Israele ha dovuto camminare nel deserto, per conoscere quello che vi era nel suo cuore e convertirsi, aprendosi alla fede adulta.
Le lusinghe del demonio, infatti, come le sirene che sussurravano nelle orecchie di Ulisse, ci insinuano istante dopo istante il dubbio figlio della menzogna che ha rapito mente e cuore dei progenitori e di Israele: la morte ci spaventa, "siamo perduti", e Lui dorme. E’ con noi, ma dorme. Quante volte, proprio quando si fa più furioso il vento delle avversità e delle prove, ci sentiamo soli, abbandonati. Siamo nella barca con Lui, andiamo in Chiesa, preghiamo, ma è come se Gesù non ci fosse. Non risponde. Nessuna consolazione. La notte oscura dell’Innominato, le angosce che ci atterriscono. La solitudine. Il nulla. La Croce che tutto relativizza, che sembra togliere ogni speranza. La nostra esperienza di oggi, qualunque sia, il mare o il deserto, l’odore di morte che ci atterrisce.
E' quando siamo chiamati all’esperienza della notte oscura, descritta magistralmente da San Giovanni della Croce. La notte della mortificazione, della liberazione dai “desideri” e dagli “appetiti”. E’ Lui che ci ha spinti a salire sulla barca, Lui ci ha attirato a sé con il suo amore e la sua misericordia. Ci ha messi in cammino, con noi ha iniziato la traversata. E ora dorme. Come lo Sposo del Cantico dei Cantici, ha bussato alle nostra porta, ci ha fatti alzare nella notte, ma, quando abbiamo aperto, quando abbiamo deciso di convertirci e di accoglierlo, è scomparso, si è nascosto. Ed eccoci nudi come la sposa, destati dal torpore d’una vita assuefatta alla grigia routine d’ogni giorno, obbligati a cercarlo, a svegliarlo, per non morire. Come quando invece di andare da Lazzaro ammalato e in fin di vita, Gesù s’è fermato ancora due giorni dove si trovava, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai Suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinchè potessero credere”.
Come accadde agli apostoli dinanzi alla Croce e alla morte del loro Maestro, spesso dimentichiamo le parole di Gesù che ci hanno annunciato il mistero della sua Pasqua, e, senza memoria, di fronte al mare in tempesta, la vita perde ogni senso. Per questo, al culmine della celebrazione dell'eucaristia, la Chiesa professa la sua fede che vince il mondo: "annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta". Di fronte al corpo e al sangue del Signore offerti per la salvezza di ogni uomo, come a Gesù che "dorme" nella barca, la Chiesa si stringe sulla roccia nella sua fede millenaria, più forte dei peccati e dell'incredulità: essa sa che proprio il sonno di Gesù è la chiave capace di "spezzare le rocce" che ci tengono imprigionati nella schiavitù del peccato, e "aprire i sepolcri" per farci "risuscitare" nell'amore. A differenza del mondo che la sfugge e cerca di esorcizzarla in ogni modo, la Chiesa annuncia la morte del suo Signore, perchè, come gli apostoli sulla barca, proprio nel mezzo della tempesta, ha riconosciuto Dio in quell'Uomo adagiato sul legno della Croce.
La nostra vita è una traversata verso il Cielo, imbarcati nella Chiesa, crocifissi con Cristo in mezzo alle tempeste delle tentazioni, delle sofferenze, dei fallimenti. La nostra vita “passa”, attraversa questo mondo a cui non apparteniamo e per il quale siamo stranieri e pellegrini, nella certezza della sua resurrezione che ci fa attendere il suo ritorno. Lo abbiamo visto "levarsi" vittorioso sulla natura ferita dal peccato, sulle malattie e i rovesci economici, quando il matrimonio faceva acqua e non sapevamo come rimetterlo in rotta, quando i giudizi e le invidie ci impedivano di avvicinarci al fratello, lasciandoci impauriti come Giacobbe davanti a Esaù. Siamo passati nella notte dell'angoscia per quello che sarebbe capitato, per le parole che ci saremmo detti, per le sofferenze che si sarebbero aggiunte. Ci siamo immersi nel guado dello Jabbok, "avvicinandoci" a Dio e lottando con Lui per "svegliarlo", affinché la morte non ci ghermisse; nella notte di ogni speranza abbiamo sperimentato la nostra debolezza; e, all'alba, siamo risorti nella benedizione di un nome nuovo, di una vita nuova appoggiata al suo potere: proprio la ferita infertaci dal Signore ci ha spalancato la porta del sepolcro, ed era il segno della sua Croce, la sua morte che ci ha accolto per fiaccare e vincere l'orgoglio antico e figlio del principe di questo mondo. Senza la notte non si può attendere l'alba, perché il peccato ha stordito la nostra anima e solo uno schiaffo ben assestato e un'ondata d'acqua fredda può risvegliarla alla fede, alla speranza e alla carità.
Per questo le parole che Gesù usa per placare il mare sono le stesse impiegate nei racconti degli esorcismi, e, nella versione greca della Settanta, coincidono con quelle di Yahwé che, con l’onnipotenza della sua parola, prosciuga le acque del Mar Rosso (Cfr. Nota a Mt. 8, 26 de “La Bibbia. Nuovissima Versione dai Testi Originali”). Ogni giorno, di fronte alla tempesta, siamo chiamati a scendere al fondo di noi stessi dove incontrare la nostra morte, sino all’ultimo gradino della piscina battesimale; e qui annegare l’uomo vecchio nella morte di Cristo, addormentandoci con Lui per risorgere con Lui. Questa è la fede, quella che si nutre di mortificazioni, che circoncide il cuore e la mente, che taglia le membra di scandalo: la fede adulta gestata nella notte oscura, dove sono crocifissi carne e mondo. La fede battesimale per donarci la quale il Signore si è addormentato nel sepolcro dei nostri peccati per fare della barca che ci accoglie il luogo dove possiamo addormentiamoci con Lui, segno autentico e credibile della sua vittoria per il mondo e chi ci è accanto.
E in questa vita, la tempesta è quasi continua,
e la vostra barca sempre sul punto di affondare.
Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui;
con me, questa barca è insommergibile!
Diffidate di tutto, e soprattutto di voi stessi,
però abbiate in me una fiducia totale che scacci ogni inquietudine.
Charles de Foucauld
Mt 8, 23-27
In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.
IL COMMENTO
In una barca attraversando il mare in burrasca. La nostra vita. Meravigliosa. Il Signore ci ha ordinato di salire sulla Sua barca. Una Parola. Come quella rivolta ad Abramo. E poi a Pietro. E a tutti noi. Prendere il largo, passare all’altra riva.
La vita è una traversata sul mare, sulla morte. Passare in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”: i fratelli maggiori, sul cui “passare” siamo stati innestati. Passare all’altra riva nella barca seguendo il Signore. “Dietro Gesù … l’evangelista … desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mare. Simultaneamente dovranno forgiare la loro tenuta spirituale per andare avanti. Dire spirituale significa dire il loro respiro del vento di Dio. Qui appunto, c’è tutto: il vento, il mare, il pericolo, le onde marine, la tempesta di vento… Allora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah…”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “ Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” ( M. Vidal, “Un ebreo chiamto Gesù”, Napoli 1998, pag. 163).
La stessa domanda che oggi prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”. Perché senza fede? Schiavi, siamo atterriti dalla paura di morire, ecco perché, siamo incatenati. La barca, che è anche la nostra vita, è percorsa da tempeste violente. In greco si trova “grande sisma”, lo stesso vocabolo usato nei racconti della crocifissione. La barca è dunque anche il legno della Croce. Le simbologie si intrecciano, la Chiesa, la Croce e la nostra vita. Una traversata verso il Cielo, nella Chiesa crocifissi con Cristo. E il terremoto, la tempesta delle tentazioni, delle sofferenze, dei fallimenti. La nostra vita che “passa”, attraversa questo mondo a cui non apparteniamo, per il quale siamo stranieri e pellegrini. E le sue lusinghe, le sirene che sibilavano nelle orecchie di Ulisse, le stesse suadenti menzogne del demonio sussurrate ai nostri orecchi.
Si è lui, il menzognero, l’assassino fin dal principio che attenta alla nostra anima. Le parole che Gesù userà per placare il mare saranno infatti le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso (Cfr. Nota a Mt. 8, 26 de “La Bibbia. Nuovissima Versione dai Testi Originali”).
Ma Lui dorme. E’ con noi, ma dorme. Quante volte, proprio quando si fa più furioso il vento delle avversità e delle prove, ci sentiamo soli, abbandonati. Nella barca, con Lui, ma è come se non ci fosse. Non risponde. Nessuna consolazione. Si fa buio pesto, e la barca sembra affondare. L’esperienza della notte oscura, descritta magistralmente da San Giovanni della Croce. La notte della mortificazione, della liberazione dai “desideri” e dagli “appetiti”.
E’ Lui che ci ha spinti a salire sulla barca, Lui ci ha attirato a sé con il Suo amore e la Sua misericordia. Ci ha messi in cammino, con noi ha iniziato la traversata. E ora dorme. Come lo sposo del Cantico dei cantici, ha bussato alle nostra porta ma poi s’è nascosto. Ed eccoci nudi, destati noi stessi dal torpore d’una vita assuefatta alla grigia routine d’ogni giorno. Le onde, il sisma che scopre il fondo del mare, l’inganno che ci ha sedotto e tenuto schiavi, la menzogna del demonio che ci ha obbligato a seguire e compiere i suoi desideri.
La notte oscura dell’Innominato, le angosce che ci atterriscono. La solitudine. Il nulla. La Croce che tutto relativizza, che sembra togliere ogni speranza. La nostra esperienza di oggi, qualunque sia, il mare o il deserto, l’odore di morte che ci atterrisce. Lui è lì con noi. Dorme. E noi abbiamo paura. Perché? Perché siamo ancora schiavi, pagani preoccupati del domani, della sorte che ci attende. Non abbiamo fede perché non siamo figli. Non siamo fratelli del Figlio che dorme, come un bimbo divezzato in braccio a sua madre, l’anima placata e acquietata anche nella valle oscura. Pretendiamo e il nostro cuore si leva con superbia dinanzi alla vita.
Orgoglio nemico della fede. Superbia, madre d’ogni concupiscenza. Albergano il nostro cuore proiettato in un domani che non ci appartiene, fuggendo con disprezzo l’oggi che non sopportiamo. L’oggi dove riposa il Signore. Le onde? I tumulti? Il terremoto? Sono tutti segni del tuo amore. La totale precarietà che ci spaventa. Tutto è amore. E’ Lui che ci aiuta, come condusse il Popolo d’Israele nel deserto perché conoscesse quel che vi era nel suo cuore. Per convertirsi. Per aver fede. Come quando invece di andare da Lazzaro ammalato, Gesù s’è fermato ancora due giorni dove si trovava, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai Suoi discepoli di godere per loro di non essere stato dall’amico, “affinchè crediate”.
Scendere al fondo di se stessi, incontrare la propria morte, sino all’ultimo gradino della piscina battesimale. Annegare l’uomo vecchio nella morte di Cristo, addormentarsi con Lui per risorgere con Lui. Questa è la fede, quella che si nutre di mortificazioni, che circoncide il cuore e la mente, che taglia le membra di scandalo: La fede nella notte oscura, dove sono crocifissi carne e mondo, dove siamo tutti per Lui. Come Lui è tutto per noi. La fede battesimale per donarci la quale il Signore s’e addormentato nel sepolcro dei nostri peccati. Entriamo allora oggi nella barca con il Signore, addormentiamoci con Lui, non temiamo, con Lui passeremo indenni tra le acque della morte. Lui solo basta. Il Suo amore è la nostra vita e noi viviamo per Lui.
San Cirillo di Gerusalemme (313-350), vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa
Catechesi, n° 10
« Chi è mai costui ? »
Chi vuole onorare con vera devozione il Padre adori il Figlio, perché il Padre non ne accetta altra adorazione. Lo fece intendere il Padre quando, facendo risuonare la sua voce, disse: «Questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto». Sì, il Padre si è compiaciuto del Figlio: se non si compiacerà anche di te, non avrai la vita... Riconosci pure che c'è un solo Dio, ma sappi pure che vi è un Figlio di Dio, l'Unigenito... Professa la tua fede «in un solo Signore nostro Gesù, Figlio di Dio, unigenito» (Credo). Diciamo «in un solo Signore Gesù Cristo» perché risulti unica la sua filiazione anche se molti sono i suoi nomi...
È chiamato «il Cristo» [cioè l'Unto], perché unto non da mani umane ma dal Padre fin da tutta l'eternità come sommo sacerdote per gli uomini... Lo chiamiamo «Figlio dell'uomo», non in quanto nato per generazione terrena come ciascuno di noi, ma perché verrà sulle nubi per giudicare i vivi e i morti. Lo chiamiamo «Signore», non in senso traslato come si chiamano signori alcuni uomini, ma in quello per cui si chiama Signore per natura e dall'eternità solo «Gesù» [cioè «il Signore salva»], nome che significa la sua opera di salvatore e di medico. Lo diciamo «Figlio di Dio» per natura e non per adozione.
Molti sono gli appellativi che diamo al nostro Salvatore... Molteplici sono le forme che il Salvatore prende nei suoi interventi per ciascuno di noi. Si fa infatti «vite» per chi ha bisogno di gioia, «porta» per chi deve entrare, «sommo sacerdote» e «mediatore» per chi deve offrire preghiere, «agnello» per tutti quelli che sono in peccato e per cui egli si è immolato. Rimane per natura nella dignità sovraeminente della sua filiazione immutabile, ma si fa «tutto a tutti» adattandosi alle nostre debolezze come medico davvero buono e maestro compassionevole.
Beato Charles de Foucauld (1858-1916), eremita e missionario nel Sahara
« Perché avere paura ? »
Figlioli, qualunque cosa vi succeda, ricordatevi che sono sempre con voi. Ricordatevi che, che io sia visibile o invisibile, che sembri agire oppure dormire, veglio sempre, sono dovunque, sono onnipotente. Non abbiate nessuna paura, nessuna inquietudine : sono qui, sto vegliando, vi voglio bene, posso tutto... Cosa di più vi occorre ? ...Ricordatevi di quelle tempeste sedate con una sola mia parola, subito seguite da una grande bonaccia. Abbiate fiducia, fede e coraggio ; state senza inquietudine, sia per il vostro corpo che per la vostra anima, poiché sono qui, onnipotente e benevolente.
Però la vostra fiducia non nasca dalla noncuranza, dall'ignoranza dei pericoli o dalla fiducia in voi stessi o in altre creature. In effetti, correte pericoli imminenti. ; I demoni, nemici forti e furbi, la vostra natura peccatrice e il mondo stesso vi fanno una guerra furiosa... E in questa vita, la tempesta è quasi continua, e la vostra barca sempre sul punto di affondare. Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui ; con me, questa barca è insommergibile ! Diffidate di tutto, e sopratutto di voi stessi, però abbiate in me una fiducia totale che scacci ogni inquietudine.
Mt 8, 23-27
In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.
IL COMMENTO
In una barca attraversando il mare in burrasca. La nostra vita. Meravigliosa. Il Signore ci ha ordinato di salire sulla Sua barca. Una Parola. Come quella rivolta ad Abramo. E poi a Pietro. E a tutti noi. Prendere il largo, passare all’altra riva.
La vita è una traversata sul mare. Sulla morte. Passare in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”. I fratelli maggiori, sul cui “passare” siamo stati innestati. Passare all’altra riva nella barca seguendo il Signore. “Dietro Gesù … – l’evangelista -… desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mare. Simultaneamente dovranno forgiare la loro tenuta spirituale per andare avanti. Dire spirituale significa dire il loro respiro del vento di Dio. Qui appunto, c’è tutto: il vento, il mare, il pericolo, le onde marine, la tempesta di vento… Allora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah…”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “ Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” ( M. Vidal, “Un ebreo chiamto Gesù”, Napoli 1998, pag. 163).
La stessa domanda che oggi prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”. Perché senza fede? Schiavi, siamo atterriti dalla paura di morire, ecco perché, siamo incatenati. La barca, che è anche la nostra vita, è percorsa da tempeste violente. In greco si trova “grande sisma”, lo stesso vocabolo usato nei racconti della crocifissione. La barca è dunque anche il legno della Croce.
Le simbologie si intrecciano, la Chiesa, la Croce e la nostra vita. Una traversata verso il Cielo, nella Chiesa crocifissi con Cristo. E il terremoto, la tempesta delle tentazioni, delle sofferenze, dei fallimenti. La nostra vita che “passa”, attraversa questo mondo a cui non apparteniamo, per il quale siamo stranieri e pellegrini. E le sue lusinghe, le sirene che sibilavano nelle orecchie di Ulisse, le stesse suadenti menzogne del demonio sussurrate ai nostri orecchi.
Si è lui, il menzognero, l’assassino fin dal principio che attenta alla nostra anima. Le parole che Gesù userà per placare il mare saranno infatti le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso (Cfr. Nota a Mt. 8, 26 de “La Bibbia. Nuovissima Versione dai Testi Originali”).
Ma Lui dorme. E’ con noi, ma dorme. Quante volte, proprio quando si fa più furioso il vento delle avversità e delle prove, ci sentiamo soli, abbandonati. Nella barca, con Lui, ma è come se non ci fosse. Non risponde. Nessuna consolazione. Si fa buio pesto, e la barca sembra affondare. L’esperienza della notte oscura, descritta magistralmente da San Giovanni della Croce. La notte della mortificazione, della liberazione dai “desideri” e dagli “appetiti”.
E’ Lui che ci ha spinti a salire sulla barca, Lui ci ha attirato a sé con il Suo amore e la Sua misericordia. Ci ha messi in cammino, con noi ha iniziato la traversata. E ora dorme. Come lo sposo del Cantico dei cantici, ha bussato alle nostra porta ma poi s’è nascosto. Ed eccoci nudi, destati noi stessi dal torpore d’una vita assuefatta alla grigia routine d’ogni giorno. Le onde, il sisma che scopre il fondo del mare, l’inganno che ci ha sedotto e tenuto schiavi, la menzogna del demonio che ci ha obbligato a seguire e compiere i suoi desideri.
La notte oscura dell’Innominato, le angosce che ci atterriscono. La solitudine. Il nulla. La Croce che tutto relativizza, che sembra togliere ogni speranza. La nostra esperienza di oggi, qualunque sia, il mare o il deserto, l’odore di morte che ci atterrisce. Lui è lì con noi. Dorme. E noi abbiamo paura. Perché? Perché siamo ancora schiavi, pagani preoccupati del domani, della sorte che ci attende. Non abbiamo fede perché non siamo figli. Non siamo fratelli del Figlio che dorme, come un bimbo divezzato in braccio a sua madre, l’anima placata e acquietata anche nella valle oscura. Pretendiamo e il nostro cuore si leva con superbia dinnanzi alla vita.
Orgoglio nemico della fede. Superbia, madre d’ogni concupiscienza. Albergano il nostro cuore proiettato in un domani che non ci appartiene, fuggendo con disprezzo l’oggi che non sopportiamo. L’oggi dove riposa il Signore. Le onde? I tumulti? Il terremoto? Sono tutti segni del tuo amore. La totale precarietà che ci spaventa. Tutto è amore. E’ Lui che ci aiuta, come condusse il Popolo d’Israele nel deserto perché conoscesse quel che vi era nel suo cuore. Per convertirsi. Per aver fede. Come quando invece di andare da Lazzaro ammalato, Gesù s’è fermato ancora due giorni dove si trovava, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai Suoi discepoli di godere per loro di non essere stato dall’amico, “affinchè crediate”.
Scendere al fondo di se stessi, incontrare la propria morte, sino all’ultimo gradino della piscina battesimale. Annegare l’uomo vecchio nella morte di Cristo, addormentarsi con Lui per Risorgere con Lui. Questa è la fede, quella che si nutre di mortificazioni, che circoncide il cuore e la mente, che taglia le membra di scandalo: La fede nella notte oscura, dove sono crocifissi carne e mondo, dove siamo tutti per Lui. Come Lui è tutto per noi.
La fede battesimale per donarci la quale il Signore s’e addormentato nel sepolcro dei nostri peccati. Entriamo allora oggi nella barca con il Signore, addormentiamoci con Lui, non temiamo, con Lui passeremo indenni tra le acque della morte. Lui solo basta. Il Suo amore è la nostra vita e noi viviamo per Lui.
APPROFONDIMENTI
San Cirillo di Gerusalemme (313-350), vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa
Catechesi, n° 10
« Chi è mai costui ? »
Chi vuole onorare con vera devozione il Padre adori il Figlio, perché il Padre non ne accetta altra adorazione. Lo fece intendere il Padre quando, facendo risuonare la sua voce, disse: «Questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto». Sì, il Padre si è compiaciuto del Figlio: se non si compiacerà anche di te, non avrai la vita... Riconosci pure che c'è un solo Dio, ma sappi pure che vi è un Figlio di Dio, l'Unigenito... Professa la tua fede «in un solo Signore nostro Gesù, Figlio di Dio, unigenito» (Credo). Diciamo «in un solo Signore Gesù Cristo» perché risulti unica la sua filiazione anche se molti sono i suoi nomi...
È chiamato «il Cristo» [cioè l'Unto], perché unto non da mani umane ma dal Padre fin da tutta l'eternità come sommo sacerdote per gli uomini... Lo chiamiamo «Figlio dell'uomo», non in quanto nato per generazione terrena come ciascuno di noi, ma perché verrà sulle nubi per giudicare i vivi e i morti. Lo chiamiamo «Signore», non in senso traslato come si chiamano signori alcuni uomini, ma in quello per cui si chiama Signore per natura e dall'eternità solo «Gesù» [cioè «il Signore salva»], nome che significa la sua opera di salvatore e di medico. Lo diciamo «Figlio di Dio» per natura e non per adozione.
Molti sono gli appellativi che diamo al nostro Salvatore... Molteplici sono le forme che il Salvatore prende nei suoi interventi per ciascuno di noi. Si fa infatti «vite» per chi ha bisogno di gioia, «porta» per chi deve entrare, «sommo sacerdote» e «mediatore» per chi deve offrire preghiere, «agnello» per tutti quelli che sono in peccato e per cui egli si è immolato. Rimane per natura nella dignità sovraeminente della sua filiazione immutabile, ma si fa «tutto a tutti» adattandosi alle nostre debolezze come medico davvero buono e maestro compassionevole.
(Riferimenti biblici : Mt 3,17 ; Mt 1,16 ; Mt 24,30 ; Dn 7,13 ; Mt 24,30 ; Lc 2,11 ; Mt 1,21 ; Mt 3,17 ; Gv 15,1 ; Gv 10,7 ; Eb 7,26 ; 1Tm 2,5 ; At 8,32 ; 1Cor 9,22)
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