Nuovo tweet del Papa: La Chiesa è giovane e lo si vede proprio bene nella GMG. Che il Signore ci mantenga sempre tutti giovani di cuore #Rio2013 #JMJ (23 luglio 2013)
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Giovanni Maria Vian: Nell’amata America latina
[Text: Italiano, Français, English, Português]
(Giovanni Maria Vian) Una settimana per trovare i giovani nel loro tessuto sociale nella giornata mondiale che si apre a Rio de Janeiro. Così Papa Francesco ha descritto il suo primo viaggio internazionale — dopo quello a Lampedusa, eloquente pellegrinaggio in una delle “periferie” del nostro tempo — nell’incontro con i giornalisti mentre l’aereo papale sorvolava il Sahara.
È un viaggio che il vescovo di Roma per la prima volta proveniente dal continente americano — il «nuovo mondo», oltre le mitiche «colonne d’Ercole» che segnavano il limite delle terre conosciute fino agli inizi dell’età moderna — non ha programmato, ma che gli ha permesso di tornare nell’«amata America latina». Era stato infatti Benedetto XVI a scegliere Rio per la giornata della gioventù, senza sapere che da questa parte del mondo sarebbe venuto il suo successore. E il primo Papa americano e latinoamericano ha voluto sottolineare questa dimensione provvidenziale nelle prime parole pronunciate in un Paese immenso, dove i cattolici sono numerosissimi, e in una città che lo ha accolto con un entusiasmo letteralmente travolgente.
Salutato dalla presidente Dilma Rousseff con un discorso appassionato — e più volte applaudito dallo stesso Papa Francesco — il successore di Pietro si era lasciato lungamente abbracciare dal calore esuberante e cordiale della metropoli carioca. Poi, nel suo discorso, ha restituito l’abbraccio con parole toccanti: «In questo momento le braccia del Papa si allargano per abbracciare l’intera nazione brasiliana», perché «nessuno si senta escluso dall’affetto del Papa».
Sull’aereo, prima di incontrare singolarmente tutti i giornalisti, Papa Francesco ha parlato con loro soprattutto dei giovani, con cenni comprensivi di una realtà esistenziale che conosce da decenni. Quando li isoliamo — ha detto con acutezza — commettiamo un’ingiustizia perché hanno un’appartenenza, un tessuto sociale del quale fanno parte integrante anche gli anziani: anch’essi, come i giovani, futuro di un popolo perché ne costituiscono la memoria. Va dunque respinta una mentalità che esclude, per costruire una cultura dell’inclusione e dell’incontro.
A Rio sono molte centinaia di migliaia i giovani arrivati da ogni parte del mondo per questo appuntamento, che inizia con la messa presieduta dall’arcivescovo e al quale il Papa prenderà parte come nell’ultimo trentennio hanno fatto i suoi predecessori. Con un prologo significativo preannunciato dalla preghiera davanti all’icona della Salus populi Romani di Santa Maria Maggiore: la preghiera a Maria nel santuario di Aparecida, dove sei anni fa si è svolta la conferenza generale dell’episcopato latinoamericano.
Ai brasiliani il successore dell’apostolo Pietro si è presentato con le sue parole, chiedendo il permesso di bussare al cuore della Nazione: «Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo!». È così andato all’essenziale il vescovo di Roma, che vuole solo «confermare i fratelli nella fede». E incontrare giovani che, «attratti dalle braccia aperte del Cristo redentore» simbolo di Rio de Janeiro, «vogliono trovare rifugio nel suo abbraccio, proprio vicino al suo cuore, ascoltare di nuovo la sua chiara e potente chiamata: Andate e fate discepoli tutti i popoli».
[Text: Italiano, Français, English, Português]
(Giovanni Maria Vian) Una settimana per trovare i giovani nel loro tessuto sociale nella giornata mondiale che si apre a Rio de Janeiro. Così Papa Francesco ha descritto il suo primo viaggio internazionale — dopo quello a Lampedusa, eloquente pellegrinaggio in una delle “periferie” del nostro tempo — nell’incontro con i giornalisti mentre l’aereo papale sorvolava il Sahara.
È un viaggio che il vescovo di Roma per la prima volta proveniente dal continente americano — il «nuovo mondo», oltre le mitiche «colonne d’Ercole» che segnavano il limite delle terre conosciute fino agli inizi dell’età moderna — non ha programmato, ma che gli ha permesso di tornare nell’«amata America latina». Era stato infatti Benedetto XVI a scegliere Rio per la giornata della gioventù, senza sapere che da questa parte del mondo sarebbe venuto il suo successore. E il primo Papa americano e latinoamericano ha voluto sottolineare questa dimensione provvidenziale nelle prime parole pronunciate in un Paese immenso, dove i cattolici sono numerosissimi, e in una città che lo ha accolto con un entusiasmo letteralmente travolgente.
Salutato dalla presidente Dilma Rousseff con un discorso appassionato — e più volte applaudito dallo stesso Papa Francesco — il successore di Pietro si era lasciato lungamente abbracciare dal calore esuberante e cordiale della metropoli carioca. Poi, nel suo discorso, ha restituito l’abbraccio con parole toccanti: «In questo momento le braccia del Papa si allargano per abbracciare l’intera nazione brasiliana», perché «nessuno si senta escluso dall’affetto del Papa».
Sull’aereo, prima di incontrare singolarmente tutti i giornalisti, Papa Francesco ha parlato con loro soprattutto dei giovani, con cenni comprensivi di una realtà esistenziale che conosce da decenni. Quando li isoliamo — ha detto con acutezza — commettiamo un’ingiustizia perché hanno un’appartenenza, un tessuto sociale del quale fanno parte integrante anche gli anziani: anch’essi, come i giovani, futuro di un popolo perché ne costituiscono la memoria. Va dunque respinta una mentalità che esclude, per costruire una cultura dell’inclusione e dell’incontro.
A Rio sono molte centinaia di migliaia i giovani arrivati da ogni parte del mondo per questo appuntamento, che inizia con la messa presieduta dall’arcivescovo e al quale il Papa prenderà parte come nell’ultimo trentennio hanno fatto i suoi predecessori. Con un prologo significativo preannunciato dalla preghiera davanti all’icona della Salus populi Romani di Santa Maria Maggiore: la preghiera a Maria nel santuario di Aparecida, dove sei anni fa si è svolta la conferenza generale dell’episcopato latinoamericano.
Ai brasiliani il successore dell’apostolo Pietro si è presentato con le sue parole, chiedendo il permesso di bussare al cuore della Nazione: «Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo!». È così andato all’essenziale il vescovo di Roma, che vuole solo «confermare i fratelli nella fede». E incontrare giovani che, «attratti dalle braccia aperte del Cristo redentore» simbolo di Rio de Janeiro, «vogliono trovare rifugio nel suo abbraccio, proprio vicino al suo cuore, ascoltare di nuovo la sua chiara e potente chiamata: Andate e fate discepoli tutti i popoli».
L'Osservatore Romano, 24 luglio 2013.
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L'orizzonte del cammino
Aparecida non è certo una tappa marginale in questo primo viaggio internazionale che riporta Papa Bergoglio in Sudamerica. Il breve pellegrinaggio verso Nossa Senhora de Aparecida, Francesco lo ha inserito nell’ouverture di queste giornate brasiliane così come a chiusura di esse ha voluto dare appuntamento ai vescovi della riunione ordinaria della Conferenza episcopale latinoamericana. Due momenti che appaiono legati da un filo ideale e che intendono così incorniciare l’incontro con i giovani del mondo.
«Il ritorno al santuario che è centro della pietà popolare brasiliana è un ritorno pieno di significato per Papa Francesco e riveste una particolare importanza ecclesiale», ha detto il cardinale Claudio Hummes. Sei anni fa si è svolta qui l’ultima assemblea generale dell’episcopato latinoamericano e Jorge Mario Bergoglio guidò la preparazione del documento finale. Anche subito dopo la sua elezione, parlando con il cardinale brasiliano Damasceno Assis, Papa Francesco ricordava "il clima fraterno" vissuto ad Aparecida durante quell’assemblea. E certamente egli si distinse in quei lavori per il sensus Ecclesiae dimostrato, che non sfuggì ai suoi futuri elettori e che si ritrova contenuto nel documento finale.
«È stata la prima volta – commentava alla fine dei lavori lo stesso Bergoglio – che una nostra conferenza generale non parte da un testo base preconfezionato, ma da un dialogo aperto. La nostra disposizione è stata quella di ricevere tutto ciò che veniva dal basso, dal popolo di Dio, e di creare l’unità nella molteciplicità, quella che solo lo Spirito Santo può dare. È stata anche la prima volta che una conferenza si è riunita in un santuario mariano e il luogo di per sé dice tutto il significato». Spiegava ancora l’allora arcivescovo di Buenos Aires: «Ogni mattina abbiamo celebrato le lodi, abbiamo celebrato la messa assieme ai pellegrini... questo ci ha dato vivo il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio e di noi vescovi come suoi servitori». Il primate della Chiesa argentina non esitava allora ad affermare: «Oserei dire che il documento di Aparecida è l’Evangelii nuntiandi dell’America latina, è come l’Evangelii nuntiandi».
Quello di Aparecida è certamente diverso rispetto ai testi delle conferenze precedenti: quanto allo stile, quanto al tono e anche quanto al contenuto. Ma anche perché il documento di Aparecida non si esaurisce in se stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla missione. L’annuncio e la testimonianza dei discepoli. «Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida. Questo è il cuore della missione», diceva già Bergoglio. E in esso si trovano espressi tutti motivi attuali e salienti del magistero di Papa Francesco: il primato della grazia, la misericordia, il coraggio apostolico, la visione di una Chiesa non regolatrice ma facilitatricedella fede, che si fa prossima e si offre a tutti «come una madre che esce all’incontro». Soprattutto la visione mariana della Chiesa, così come è descritta anche nel documento: «La Chiesa, come la vergine Maria, è Madre… La chiesa-famiglia si genera intorno a una madre, la quale conferisce anima e tenerezza alla convivenza familiare. Questa visione mariana della Chiesa è il migliore antidoto contro una concezione di Chiesa puramente funzionale e burocratica» (n. 268).
Il testo invitava «a liberarsi di tutte le strutture caduche che non favoriscono più la trasmissione della fede» (n. 365), «a non crogiolarsi nei compiacimenti retorici sul "Continente della speranza"», e «a non dar niente per scontato e acquisito» (n. 549). Lo stesso documento ha anche tolto pretesti ai professionisti del lamento e della recriminazione augurando «che il mondo del nostro tempo possa ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi, impazienti e ansiosi, ma da ministri che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia di Cristo» (n. 552). Ed è appunto nella prospettiva di conversione pastorale indicata da Aparecida che si è concepita, in questi anni, la missione nelle Chiese particolari latinoamericane. La missione continentale non è stata, pertanto, delineata come il termine di una prestazione degli operatori pastorali, il frutto di chi pretende di costruire con il suo sforzo la Chiesa. Sembrano perciò aver fatto ormai il loro tempo le impostazioni di quanti nelle Americhe, negli anni Ottanta e Novanta, puntavano esclusivamente sulla formula della "evangelizzazione della cultura", da appaltare a élites militanti per riacquisire alla Chiesa un presidio influente sulla scena pubblica (e qui, nel Vecchio Mondo, la duplice e costante attenzione della Chiesa italiana, "Chiesa di popolo", a dimensione pastorale e progettazione culturale la trova già impegnata nel nuovo intenso cammino indicato dal Papa).
Ad Aparecida troviamo così il senso di un pontificato. Ma Aparecida non è solo un ritorno, è proprio come allora, un’orizzonte, una partenza, non solo per la Chiesa latinoamericana. «Il prossimo incontro di Papa Francesco con il consiglio del Celam a Rio – afferma Claudio Hummes – potrà essere perciò occasione per nuovi orientamenti, per altre sollecitudini. La Chiesa, come Maria, è sempre aperta, pronta a cogliere i segni, alle necessità del momento, e, come Maria, deve andare in fretta».
Stefania Falasca
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